Mons. G. B. Arnaldi 1865: “Devastano la vigna della Chiesa”

Quanto segue viene da una Lettera molto interessante portata alla nostra conoscenza da Don Mario Proietti e che, ringraziando di cuore, vogliamo così anche condividere:

“Mons. Arnaldi, dopo aver smascherato gli errori del tempo, si rivolge infine al cuore dei suoi fedeli, non per ammonirli, ma per sostenerli nel cammino. È il momento in cui l’autorità si unisce alla paternità, e l’insegnamento alla consolazione.
La fede, ricorda il Vescovo, non si difende con l’ira, ma con la carità. Anche quando l’ingiustizia trionfa, anche quando l’errore si maschera da verità, anche quando gli “empi bestemmiano”, il cristiano non si abbandona all’odio, né cede alla tentazione della vendetta. Al contrario: rimane saldo nella preghiera, perseverante nella speranza, ardente nell’amore.” (Don Mario Proietti)

Dello stesso tenore vi ricordiamo anche un’altra Lettera Pastorale importante: 1883 Patriarca di Venezia profetizza l’apostasia e la fine della Famiglia .. 

“DEVASTANO LA VIGNA DELLA CHIESA”. LA LETTERA DEL 1865 DELL’ARCIVESCOVO ARNALDI: UN MANIFESTO DI VERITÀ IN TEMPI DI PERSECUZIONE. PRESENTAZIONE DEL VESCOVO ARNALDI E DEL CONTENUTO DELLA LETTERA PASTORALE. (Don Mario Proietti cpps)
 
Nel cuore di una Quaresima ottocentesca, segnata da lutti civili e prove ecclesiali, Mons. Giovanni Battista Arnaldi, vescovo di Spoleto, scriveva una Lettera pastorale che, a distanza di oltre 140 anni, continua a sorprendere per lucidità dottrinale, calore paterno e senso profetico.
Non era una semplice circolare.
Era la voce di un pastore che, pur esiliato dal suo popolo, desiderava ardentemente continuare a pascere le sue pecore. Non potendo abitare la sua diocesi, vi abitava col cuore e con la penna.
Questa lettera, oggi pressoché sconosciuta, è un piccolo tesoro sepolto nella storia. In essa si condensa tutto il dolore e tutta la fede di un vescovo che aveva visto le chiese spopolarsi, i confratelli disorientarsi, l’unità ecclesiale ferirsi per mano delle ideologie del tempo.
Eppure, proprio da questa ferita nasce un canto di speranza, un insegnamento vibrante, una visione teologica e pastorale ancora capace di parlare al cuore della Chiesa contemporanea.
 
Per questo nasce questa serie di articoli: per riaprire le pagine ingiallite di quella lettera e riscoprirne la luce. Non per nostalgia, ma per fedeltà. Perché in quella voce antica si nasconde un’eco della voce di Cristo, che non smette di parlare attraverso i suoi pastori, specialmente quelli che hanno sofferto per amore della Chiesa.
Sette saranno le tappe del nostro cammino, ognuna dedicata a un tema essenziale della lettera.
Non saranno riflessioni astratte: ogni articolo partirà dalle parole del Vescovo Arnaldi per lasciarsi condurre dentro la sua anima, per cogliere lo stile pastorale che animava le sue scelte, la teologia che illuminava il suo sguardo, la spiritualità che ne sorreggeva l’azione.
 
E così, tappa dopo tappa, conosceremo non solo un documento, ma un uomo di Dio. Un padre. Un maestro. Un testimone. E scopriremo che la sua voce non è affatto superata. Anzi, è forse una delle voci più urgenti da ascoltare oggi, in una Chiesa spesso in affanno, divisa, ferita, smarrita.
Perché Arnaldi non aveva soluzioni ideologiche, ma una fede viva. Non offriva progetti, ma il Vangelo. Non cedeva al lamento, ma coltivava la speranza.
Ci lasceremo allora guidare da questa voce antica che parla ai cuori moderni. Una voce severa ma paterna, sapiente ma accessibile, capace di risvegliare in ciascuno il desiderio di appartenere a un popolo, di vivere una fede adulta, e di rimanere saldi nella verità e nella carità.
 
Ritratto spirituale di Mons. Arnaldi attraverso la sua Lettera Pastorale del 1865
Chi legge la Lettera Pastorale non incontra per prima cosa un testo. Incontra un uomo. Un vescovo. Un padre. E proprio come accade con i grandi pastori della storia della Chiesa, la forza delle sue parole non sta solo in ciò che dice, ma in come lo dice, e soprattutto in chi lo dice: un uomo provato, affettuoso, indomito. Un’anima sacerdotale temprata dal dolore e dalla speranza.
Questa Lettera non ci offre solo un contenuto dottrinale e disciplinare: ci restituisce il ritratto vivo di Monsignor Giovanni Battista Arnaldi, Arcivescovo di Spoleto, come emerge dal suo stesso modo di scrivere, ammonire, benedire.
Arnaldi è un Padre che non ha dimenticato i suoi figli: sin dalle prime righe, Arnaldi si presenta come padre e pastore.
Il popolo gli è stato strappato con la forza, ma non dal cuore. Parla di sé come di un “Padre separato dai suoi figli”, e si rivolge a loro come a “dilettissimi figli e fratelli”, esprimendo un bisogno ardente di far giungere la sua voce paterna dopo la lunga prigionia.
È evidente un tono tenero e familiare, che nasce da un’autentica paternità spirituale. Non un’affettazione, ma l’urgenza di un cuore episcopale che ha sofferto per il silenzio forzato e ora desidera, con passione, tornare a parlare.
“Dopo l’acerba separazione dall’amato gregge, toccataci per non aver voluto che nella nostra persona il carattere episcopale e i diritti della Chiesa fossero compromessi…”
È un testimone ferito ma incrollabile: la Lettera è scritta dopo dieci mesi di prigionia.
Ma il tono non è rancoroso.
Arnaldi non si erge a vittima. Non chiede pietà per sé. Il suo sguardo resta fisso su Cristo e sulla Chiesa: il suo dolore è per le ingiurie recate alla dignità episcopale e all’unità del popolo di Dio.
La sua è resistenza spirituale, non vendetta civile. Egli mostra di aver offerto le sue catene in spirito di fede, senza mai rinunciare alla missione pastorale: nemmeno in carcere ha smesso di ammonire, consolare, pregare per il suo popolo.
“Né la prigionia poté impedirci di continuare a versarvi il tesoro del nostro amore e di amministrarvi, per quanto si poteva, utili ammaestramenti.”
Come dovrebbe essere per ogni Vescovo, è il custode vigilante del gregge: Arnaldi è pastore vigilante.
 
Avverte il dovere urgente di proteggere il suo popolo dalle insidie degli errori moderni, che definisce “fallacie” e “mene degli empi”. Il suo linguaggio si accende quando descrive l’assalto alla fede: il pericolo non è solo teorico, ma reale, e il Vescovo lo sente sulle spalle.
Il suo invito al clero e ai fedeli è chiaro: non dormite! Non lasciatevi sedurre! Le sue parole risuonano come un’eco delle lettere apostoliche: “Vigilate!”, “state saldi!”, “non lasciatevi ingannare!”.
 
Il suo ruolo è chiaro: è il difensore infiammato della dottrina.
La Lettera è anche una dichiarazione di guerra agli errori del tempo. Ma non in modo polemico: Arnaldi smonta con lucidità e vigore tutte le menzogne che attentano alla fede cattolica. Condanna il liberalismo, il razionalismo, il socialismo, la massoneria, il protestantesimo, l’indifferentismo, la libertà di stampa e di coscienza, l’ateismo, il modernismo nascente.
Le sue parole sono taglienti, non ideologiche: egli parla come un Vescovo che sente la verità non come possesso personale, ma come dovere sacro da difendere. Il linguaggio è apocalittico, ma mai teatrale: è linguaggio di chi sa che quando si nega Dio, si corrompe l’uomo.
“La vigna della Chiesa è devastata da forze che covano odio, macchinano vendette, seminano bestemmie e veleno.”
 
Un’altra caratteristica del Vescovo che emerge dalla lettera è essere maestro della vita spirituale e morale: oltre al combattente, emerge il guida spirituale. Arnaldi è un formatore delle coscienze. Invita alla preghiera, al digiuno, alla pratica delle virtù cristiane.
Elenca con precisione le virtù fondamentali: Fede, Speranza, Carità, Giustizia, Mitezza, Temperanza, Onestà, Prudenza, Costanza.
La Quaresima è per lui il tempo della conversione, da vivere con disciplina e misericordia, e l’indulto che concede non è un allentamento ma un accompagnamento del popolo nelle sue fatiche. Egli guida non solo con dottrina, ma con compassione e saggezza.
Arnaldi è l’uomo dell’unità e dell’obbedienza: una delle cifre profonde del suo episcopato, come emerge dalla Lettera, è l’obbedienza piena e consapevole al Papa. L’unione col Pontefice è per lui la misura della verità e della salvezza: chi è con Pietro è con Cristo, e chi si separa da Roma, si separa da Dio.
Allo stesso modo, insiste sull’obbedienza alla gerarchia, ai pastori, al Magistero.
Arnaldi non teme di essere impopolare, ma vuole che il suo popolo non si perda nell’illusione dell’autonomia religiosa o della religiosità privatizzata.
Un profeta della speranza finale: pur in mezzo alla denuncia e all’ammonimento, la Lettera è attraversata da una vena profonda di speranza. Arnaldi crede nella vittoria finale della Chiesa. Nonostante le umiliazioni e le ferite, la Sposa di Cristo, dice, continua a sedere “maestosamente sul trono lucido della verità”.
 
La sua è una speranza pasquale, che non nasconde la Croce ma già ne contempla la risurrezione. In fondo, l’intera Lettera è un atto di fede nella Provvidenza, che regge anche quando tutto sembra crollare.
Possiamo affermare con serenità che Arnaldi è un Vescovo come Pietro: fragile nella carne, roccia nello spirito. In definitiva, la figura che emerge è quella di un pastore antico nello stile, profetico nel linguaggio, paterno nel cuore, teologicamente solido nella dottrina. Un Vescovo forgiato dalla Croce, che non ha smarrito né la tenerezza né l’autorità. Arnaldi parla con la voce dei Padri, cammina con l’anima dei martiri, scrive con l’inchiostro della carità.
Non è un protagonista della storia civile.
È un gigante del silenzio ecclesiale. Ma proprio per questo, la sua Lettera merita oggi di essere ascoltata: perché in un tempo che ha perso il coraggio della verità, il suo sguardo limpido e il suo cuore ardente ci indicano ancora la via.
Da questa figura episcopale, che nella sua fermezza dottrinale e nella sua tenerezza pastorale incarna un prototipo ideale di Vescovo cattolico, emerge un ritratto che, pur appartenendo allo stile ottocentesco, con i suoi accenti solenni e la sua grammatica di combattimento spirituale, continua a offrire un riferimento luminoso e attuale per ogni pastore della Chiesa. In lui si compongono, in armonia, la dignità del munus episcopale e la compassione del padre, la vigilanza del custode e la sofferenza del testimone.
 
Il contenuto della Lettera Pastorale
È a partire da questa personalità, lucida, ardente, piagata ma non piegata, che possiamo accostarci ai contenuti della sua Lettera Pastorale, non solo per cogliere il battito del cuore di un pastore immerso nella persecuzione, ma anche per condividere il destino del popolo che gli è stato affidato, un popolo sballottato dai venti della storia e minacciato nel profondo nella sua identità spirituale.
Le pagine della Lettera, sebbene scritte in un’epoca che ai nostri occhi può apparire remota e difficilmente immaginabile, parlano ancora oggi con sorprendente attualità.
Gli eventi cambiano, i linguaggi si trasformano, le maschere degli errori si rinnovano, ma il fondo delle sfide resta identico.
È la lezione del Qoèlet: “non c’è nulla di nuovo sotto il sole”.
Le difficoltà dell’anima sono sempre le stesse, come pure le esigenze della verità, i doveri della coscienza, il cammino della grazia.
Certo, i problemi si manifestano con volti nuovi, con retoriche aggiornate, con strumenti più sofisticati. Ma ciò che essi esigono dal cristiano non è mai mutato: il coraggio della testimonianza, la chiarezza della fede, la fermezza nella dottrina, la carità nella verità. E ciò che la Chiesa risponde, da due millenni, resta intatto nel nucleo: un Vangelo che non si consuma, ma che si rinnova nell’annuncio e si adatta nella forma alle generazioni, senza mai alterare la sostanza.
 
Se si sanno oltrepassare gli orpelli retorici del tempo, se si riconosce che lo stile dell’epoca non ne compromette la sostanza, ciò che resta è l’austera bellezza di un percorso cristiano che non si è mai interrotto: un cammino di verità e di salvezza che, attraverso ogni secolo, ha saputo affrontare sfide analoghe con gli stessi strumenti spirituali: la Parola, i Sacramenti, la carità operosa, la custodia della fede.
Questa è la forza della Lettera del Vescovo Arnaldi: non ci riconduce al passato, ma ci restituisce il Vangelo nel suo splendore di sempre, capace di illuminare anche le oscurità del nostro tempo. Perché, in fondo, le generazioni passano, ma il cuore dell’uomo e il cuore di Dio restano gli stessi.
 
Conosciamo la Lettera Pastorale
Ciò che colpisce fin da subito è evincere che il Vescovo comincia a scrivere la sua Lettera Pastorale con le ferite addosso. Arnaldi, infatti, apre la Lettera evocando la “prigionia sofferta oltre a dieci mesi” e la “acerba separazione dall’amato gregge”.
Non lo fa per lamentarsi, ma per contestualizzare un tempo di persecuzione: la Chiesa viene colpita nei suoi pastori perché non cede. È subito chiaro che la Lettera non ha toni accomodanti. È una parola di verità che nasce dalla Croce.
Sentiamo più vivo rinascervi in cuore il desiderio di rivolgervi la nostra paterna voce, e più stringente il bisogno di premunirvi […] dalle fallacie e dalle mene dei tristi e degli empi che oggi trionfano, ed impunemente devastano la vigna della Chiesa.”
 
Al centro della Lettera vi è l’obbedienza assoluta al Sommo Pontefice, attaccato in quel tempo dai poteri civili e da molte correnti ideologiche. Arnaldi proclama senza ambiguità:
“Chi è con il Pontefice è con Gesù Cristo, chiunque è contro il Pontefice è contro Gesù Cristo, chiunque è contro Gesù Cristo è contro Dio.”
Il riferimento esplicito al Sillabo (1864) e all’enciclica Quanta cura è trattato con solennità: sono per lui atti profetici, che smascherano le menzogne moderne. L’attacco alla Chiesa è visto come un’aggressione alla sua costituzione divina, alla gerarchia, alla morale, ai sacramenti. Il Vescovo denuncia una volontà sistematica di demolizione spirituale, mascherata da progresso civile.
 
Nel cuore della Lettera Pastorale del 1865, l’Arcivescovo Arnaldi abbandona ogni prudenza umana e ogni ambiguità diplomatica per farsi maestro e sentinella: una guida per le coscienze, un baluardo contro l’errore. È qui che il tono si fa più alto e insieme più drammatico, perché l’epoca lo esige: l’anima del popolo cattolico è minacciata non solo da persecuzioni esterne, ma da dottrine velenose, ideologie mascherate da progresso, correnti di pensiero che promettono libertà e seminano dissoluzione.
 
Con precisione dottrinale e linguaggio profetico, Arnaldi compone una vera e propria rassegna degli errori del tempo, smascherando senza esitazioni quelle forze culturali e spirituali che intaccano la fede e la vita cristiana.
1. L’illusione della libertà senza verità: il liberalismo e la falsa coscienza
Il primo grande nemico che Arnaldi denuncia è il liberalismo religioso e politico, che separa la verità dalla libertà, la legge morale dalla coscienza, Dio dallo Stato. È l’errore di chi pretende che ogni opinione abbia diritto di cittadinanza, anche quando nega apertamente Dio e la Chiesa, come se la coscienza fosse fonte autonoma del bene e del male.
Per il Vescovo, questa non è libertà: è licenza disordinata, sovvertimento dell’ordine voluto da Dio, preludio all’anarchia morale. La coscienza, dice, non è creatrice della verità, ma sua serva e sua custode.
2. La religione dell’uomo che rifiuta Dio: socialismo, comunismo e razionalismo
Poi viene il turno dei grandi sistemi politici ed economici nati dal rifiuto del Vangelo: socialismo e comunismo, che promettono la redenzione dell’uomo attraverso l’abolizione della proprietà, l’odio tra le classi, la distruzione delle gerarchie. Ma il Vescovo vede chiaro: sono costruzioni ideologiche che scimmiottano la salvezza cristiana, proponendo al posto del Regno di Dio un paradiso immanente, e al posto della grazia, la lotta e la violenza.
Ad essi si unisce il razionalismo, la pretesa che la sola ragione possa spiegare tutto e giudicare tutto, senza bisogno della Rivelazione. Una ragione chiusa a Dio, dice Arnaldi, diventa cieca e sterile, “non vuole più vedere alcuno spirto al di sopra di sé stessa”.
3. I lupi travestiti da agnelli: protestantesimo, gallicanesimo, giansenismo
Non meno pericolosi, anzi più insidiosi, sono gli errori che si insinuano dentro lo stesso perimetro religioso, alterando il dogma, svuotando i sacramenti, corrompendo la fede con l’apparenza di pietà. Il protestantesimo viene denunciato come l’origine di tutte le fratture, poiché ha osato staccare la Scrittura dal Magistero. Il gallicanesimo, come pretesa di piegare la Chiesa alla volontà dello Stato. Il giansenismo, come mortificazione della misericordia di Dio e irrigidimento farisaico.
Arnaldi li denuncia come le radici velenose da cui sono scaturiti molti degli errori moderni, e li chiama per nome, senza diplomazie.
4. Le forze occulte: massoneria e società segrete
Con parole che trasudano discernimento spirituale, Arnaldi si scaglia poi contro la Massoneria e gli ordini misteriosi, accusandoli non solo di agire contro la Chiesa, ma di volersi sostituire ad essa. Sono società che lavorano nell’ombra, che cospirano contro la religione rivelata per costruire una religione dell’uomo, fatta di simboli ambigui e di potere senza verità. Le definisce “forze tenebrose”, agenti dell’empietà, strumenti di un disegno anticristico.
5. Il veleno più sottile: l’indifferentismo e l’ateismo pratico
Ma non mancano gli errori più diffusi e meno appariscenti: l’indifferentismo religioso, che afferma che tutte le religioni sono uguali, che Dio può essere adorato in qualunque forma, che la fede è affare privato. Arnaldi lo vede per quello che è: la morte lenta della verità, il trionfo del relativismo, la resa della coscienza davanti al mondo.
L’ateismo, invece, viene descritto come il fondo oscuro verso cui tende tutto l’insieme degli errori moderni. Non è solo negazione teorica, ma esclusione pratica di Dio dalla vita, dal pensiero, dalle leggi. E questa esclusione, ammonisce, prepara la rovina spirituale e sociale.
 
In questo panorama, ogni errore non è solo una teoria sbagliata: è un’offesa a Dio e un pericolo per le anime. Il Vescovo non offre confutazioni accademiche, ma grida l’allarme del pastore che vede il lupo avvicinarsi al gregge. E chiama i suoi figli alla vigilanza, alla formazione dottrinale, alla fermezza interiore.
 
“Non v’è più pietra dell’edifizio religioso e sociale che i novatori non abbiano mossa, e non muovano tuttavia per farlo crollare, e per seppellire la società nelle sue ruine.”
Non è un’allucinazione, è una visione profetica. E oggi più che mai, a distanza di un secolo e mezzo, questa diagnosi appare non solo lucida, ma provvidenziale. Perché gli errori hanno cambiato nome, ma non natura. E solo chi ha conservato la sapienza dei pastori antichi saprà offrire il discernimento necessario ai fedeli del nostro tempo.
 
Nel momento in cui la Lettera raggiunge il suo apice nella condanna degli errori moderni, Mons. Arnaldi non cede alla tentazione dell’anatema isolato, né si rifugia in una visione difensiva o nostalgica. Al contrario, nel mezzo del disorientamento culturale e dell’aggressione ideologica, egli traccia il profilo luminoso della Chiesa Cattolica, mostrandola non solo come baluardo della verità, ma come dimora viva della grazia, fonte di ricostruzione interiore, arca di salvezza per le anime ferite dal secolo.
Non è tempo di fuggire, ma di fondare nuovamente, nella coscienza e nella vita, l’identità cattolica.
Non è tempo di accomodare, ma di purificare e fortificare.
 
Contro il relativismo religioso e la dissoluzione dottrinale, Arnaldi proclama con forza che la Chiesa cattolica è l’unica vera Chiesa: fondata da Cristo, sostenuta dallo Spirito, visibile nel mondo, immacolata nella sua dottrina. Non si tratta di trionfalismo, ma di fede nel disegno divino: la verità non è opinabile, né dispersa tra le confessioni, ma affidata interamente alla Sposa di Cristo.
 
Il Vescovo invita i fedeli a restare uniti alla Chiesa non solo per appartenenza esterna, ma nella fede professata, nei sacramenti vissuti, nella morale custodita. La comunione con la Chiesa è la condizione della fedeltà a Cristo e della salvezza dell’anima.
Mons. Arnaldi indica con chiarezza le vie maestre della vita cristiana, che non sono cambiate nei secoli, perché fondate sul Vangelo stesso:
• L’Eucaristia e la Confessione: cuore della santificazione, medicina per le ferite dell’anima.
• La preghiera, il digiuno e l’elemosina: esercizi spirituali della conversione, specialmente nella Quaresima.
• L’obbedienza al Magistero: garanzia di sicurezza dottrinale nella confusione del tempo.
• La pratica costante delle virtù evangeliche: Moralità, Giustizia, Mitezza, Temperanza, Onestà, Prudenza, Costanza, come vie ordinarie alla santità.
 
In questo, la Lettera è anche una piccola regola di vita cristiana, un vademecum per i fedeli smarriti, un’ancora spirituale nel mare mosso della modernità.
 
La persecuzione come purificazione
Lungi dal percepire la prova come fallimento, Mons. Arnaldi legge la persecuzione come partecipazione al martirio. La Chiesa che soffre è la Chiesa che viene purificata, e i fedeli che resistono sono assimilati ai santi martiri:
I martiri del Cattolicismo andarono incontro a qualsiasi tormento e sacrificio.”
Questa visione, austera ma luminosa, non rattrista, ma incoraggia: fa alzare lo sguardo sopra la storia per contemplare la gloria che attende chi è rimasto fedele.
 
Ma tra i passaggi più profondi e toccanti della Lettera, emerge anche la dolcezza spirituale di un pastore che conosce la fatica del suo popolo. Non è solo teologo e difensore della verità: è padre che conosce il dolore dei suoi figli. Ed è in questo spirito che, dopo averne fatto richiesta alla Santa Sede, Arnaldi concede un indulto per la Quaresima del 1865, dedicandogli un’intera sezione della Lettera.
Un gesto che, a prima vista, potrebbe apparire solo giuridico o disciplinare, ma che in realtà esprime tutta la compassione pastorale di una Chiesa che è madre nella prova.
L’indulto non allenta la penitenza, ma la trasfigura in carità, adattandola alla realtà sociale: malati, poveri, lavoratori… Non tutti possono osservare le rigorose prescrizioni tradizionali, ma tutti possono vivere lo spirito della Quaresima.
E così:
• si permette il consumo di carne o latticini in giorni determinati;
• si dispensa chi è gravemente impedito;
• si orienta il popolo verso opere pie, come visite alle chiese designate, partecipazione a esercizi spirituali, atti di carità concreta.
 
In questo gesto, Arnaldi non solo governa, ma consola. Non solo comanda, ma accompagna. Mostra che la Chiesa non è una legge fredda, ma una madre vigile che non cede alla mondanità, ma si fa carico delle fragilità, indicando sempre una via di salvezza.
La penitenza, in questa visione, non è un peso opprimente, ma un atto d’amore, da vivere secondo lo spirito del Vangelo e la verità del tempo, con discernimento e fortezza.
È la bellezza di una Chiesa che, pur ferita, non smette di partorire speranza.
Nelle battute finali della Lettera, il tono si trasfigura in una sintesi sapienziale della vita cristiana, dove la fermezza della dottrina si congiunge alla tenerezza dell’esortazione, e la voce del pastore, fino a poco prima profetica e accesa nella denuncia, si fa ora piana, profonda, affettuosa.
 
Mons. Arnaldi, dopo aver smascherato gli errori del tempo, si rivolge infine al cuore dei suoi fedeli, non per ammonirli, ma per sostenerli nel cammino. È il momento in cui l’autorità si unisce alla paternità, e l’insegnamento alla consolazione.
La fede, ricorda il Vescovo, non si difende con l’ira, ma con la carità. Anche quando l’ingiustizia trionfa, anche quando l’errore si maschera da verità, anche quando gli “empi bestemmiano”, il cristiano non si abbandona all’odio, né cede alla tentazione della vendetta. Al contrario: rimane saldo nella preghiera, perseverante nella speranza, ardente nell’amore.
 
Questa è, per Arnaldi, la vera militanza evangelica: non una reazione violenta, non una rivalsa politica, ma una resistenza interiore fondata sulla grazia, che ha come arma la Croce e come stile la mansuetudine del Signore. Il credente, infatti, non alza la voce per imporsi, ma alza il cuore per intercedere. Non chiede la rovina dei nemici, ma la loro conversione, offrendo per essi lacrime e preghiera.
Anche nel conflitto, la carità resta la legge suprema, “pienezza della legge e altezza della perfezione”, come egli la definisce con parole che sanno di Vangelo e di Patristica.
“I veri cattolici pregano, aspettano, sperano, ed alzato il cuore chiedono umilmente la concordia e l’unione di tutti nella via della salute.”
È questo il sigillo della Lettera.
E con esso, il suggello dell’identità cristiana: vigilare nel cuore, resistere nello spirito, amare fino alla fine. In questo stile si rivela la vera forza della Chiesa perseguitata, che non reagisce secondo la carne, ma secondo lo Spirito.
La sua vittoria non è politica, ma spirituale. Non si misura in applausi, ma in fedeltà. Non in potere, ma in santità.
Ecco perché la Lettera Pastorale del 1865 non è un documento superato, relegato a una stagione ecclesiale lontana. È, al contrario, una testimonianza viva di fede, coraggio e discernimento. Un atto di magistero e di amore, offerto non per commentare la società, ma per guidare le anime verso la verità tutta intera.
Rileggerla oggi significa ritrovare le coordinate della vera fedeltà cattolica in un tempo segnato da nuove ambiguità. E significa, soprattutto, riconoscere che la verità non cambia, anche se cambiano i volti e le parole di chi la combatte.
 
È questa la grande lezione di Mons. Arnaldi: una Chiesa ferita, ma non piegata; povera, ma non smarrita; umiliata, ma piena della forza del Vangelo. Una Chiesa che non teme di parlare con voce ferma, perché sa di parlare in nome di Cristo, e per amore delle anime.
Nei prossimi giorni (chi vuole seguire veda qui), ci addentreremo con attenzione nelle diverse tematiche della Lettera Pastorale, scoprendone la struttura, il linguaggio, il pensiero.
Conosceremo più da vicino il carattere profondo di questo scritto e, attraverso le sue espressioni, lasceremo emergere la personalità viva e ardente di questo Vescovo della nostra terra spoletina, pastore fedele e guida coraggiosa in tempi difficili.
Ci lasceremo istruire dalle sue parole, non per semplice memoria storica, ma per trarne luce per il nostro presente.
Perché le sue indicazioni, radicate nel Vangelo e nella sapienza della Chiesa, non sono scadute, ma possono ancora orientare il nostro cammino oggi, in questo secolo incerto e agitato.
E scopriremo che quelle stesse verità, vissute con fede, proclamate con chiarezza, custodite con amore, continuano a rendere sicura la traversata della barca della Chiesa, anche ora, in mezzo ai flutti sempre mutevoli della storia, in un mondo che troppo spesso pare in balia di venti e correnti contrarie.

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