Il 14 luglio del 1789 con la presa della Bastiglia comincia ufficialmente quella che viene chiamata la “Rivoluzione Francese”. In questa radio-conferenza, della quale pubblichiamo sia l’audio che la trascrizione, il prof. Roberto de Mattei contesta la visione comune che attribuisce la rivoluzione alla miseria e all’oppressione, sostenendo invece che essa fu il culmine di un processo ideologico iniziato con l’Umanesimo e il Protestantesimo, e promosso in particolare dall’Illuminismo e dalle logge massoniche. Viene sottolineato il carattere anticristiano della rivoluzione, evidenziando la persecuzione della Chiesa e la volontà di sostituire l’autorità divina con quella del popolo. Infine, la conversazione si conclude con un confronto tra la Rivoluzione francese e altre rivoluzioni, proponendo la civiltà cristiana come unica vera antitesi all’utopia rivoluzionaria.
Cari amici di Radio Maria, buonasera. Vi parla Roberto De Mattei e questa sera continuiamo le nostre conversazioni storiche parlando di un evento che ha marcato a fuoco la storia dell’Europa e del mondo: la Rivoluzione francese. È fondamentale comprenderla, perché la profonda crisi religiosa, politica e morale che stiamo vivendo ai nostri giorni si inserisce in un processo che ha le sue fasi precedenti proprio nella Rivoluzione francese, e prima ancora nell’Umanesimo e nel Protestantesimo. Questo è un processo la cui storia è stata ben tracciata dal professor Plinio Correa de Oliveira.
Le Vere Origini della Rivoluzione: Non la Miseria, ma le Idee
Nei manuali di storia si legge spesso che la Rivoluzione francese fu frutto dell’oppressione e della miseria. Tuttavia, questa è una lettura superficiale. Come scrive lo storico francese Pierre Gaxotte, la miseria può suscitare sommosse, ma non sostenere rivoluzioni che hanno cause ben più profonde. Anzi, nel 1789, i francesi non erano in miseria. Alla vigilia della Rivoluzione, la Francia era il paese più ricco e popolato d’Europa. Certo, vi era una grave crisi finanziaria che colpì lo Stato francese attorno al 1770, ma questa non intaccò la prosperità del paese. Gaxotte ha dedicato un intero capitolo della sua opera a questo tema, intitolandolo “Lo Stato povero nel paese ricco”. Il deficit del bilancio della corona, seppur presente (503 milioni di entrate contro 629 di uscite), non era insormontabile. Spesso si è parlato dei lussi sfrenati della corte di Versailles, ma è stato dimostrato che le spese di corte rappresentavano appena il 6% del bilancio. Le maggiori responsabilità della crisi finanziaria vanno attribuite agli uomini che guidarono l’economia francese in quel periodo, come i ministri Turgot e Necker, i quali indebitarono pesantemente lo Stato. Basti pensare che l’anno prima della Rivoluzione, nel 1788, ben il 50% delle uscite era dovuto agli interessi pagati sui prestiti.
Ma le rivoluzioni, prima di manifestarsi nell’ordine dei fatti, avvengono sul piano delle idee. E queste idee, a loro volta, come spiega Plinio Correa de Oliveira, hanno la loro origine in un complesso di tendenze disordinate che costituiscono l’anima e la forza di propulsione più intima del processo rivoluzionario. Ebbene, l’origine della Rivoluzione francese sta nella “rivoluzione delle idee” promossa dal Partito degli Illuministi nella seconda metà del XVIII secolo.
L’Illuminismo e i Suoi Campioni: Voltaire e Rousseau
Abbiamo avuto occasione di parlare nelle precedenti conversazioni dell’Illuminismo e del suo campione alla metà del Settecento, Voltaire. Voltaire stesso parlava spesso di una “rivoluzione degli spiriti,” o delle menti, di cui i filosofi andavano gettando i semi. Nel 1769, egli scriveva che questa rivoluzione era già in corso da quindici anni e in altri quindici sarebbe giunto il “giorno pieno”. Secondo Voltaire, secoli di ignoranza e di oscurantismo erano destinati a essere illuminati dalla fiaccola della ragione, impugnata dal partito dei filosofi che volevano far sorgere l’alba di una nuova epoca per l’umanità sotto il segno del progresso e della ragione.
Voltaire non arrivò a vedere questo “giorno pieno” o il “radioso mattino” della rivoluzione nei fatti, ma i suoi meriti di padre e iniziatore della Rivoluzione francese furono riconosciuti dai suoi “figli”. Nel maggio del 1791, un deputato chiese per Voltaire gli onori del Panthéon, il tempio laico della Repubblica, affermando che “la rivoluzione di Voltaire ha preparato la nostra”. La richiesta fu immediatamente convertita in decreto e le spoglie di Voltaire furono traslate al Panthéon l’11 luglio 1791. Lo stesso accadde nel 1794 per le spoglie di Rousseau, l’altro grande personaggio dell’Illuminismo. Monsignor Gaume, uno scrittore cattolico, descrivendo queste solenni cerimonie, affermò che mai la città di Parigi aveva riservato onori così trionfali ad alcun santo.
Il discepolo di Voltaire, Condorcet, ultimo degli enciclopedisti (e l’Enciclopedia era stata la grande impresa degli illuministi), formulò la filosofia della storia illuministica. Nella sua opera dedicata al progresso dello spirito umano, Condorcet descrisse le tappe in cui si sarebbe compiuto il perfezionamento umano nella storia: la marcia in avanti ininterrotta degli individui e dei popoli verso la verità e verso la felicità. Secondo questo schema, a cui si richiamano ancora oggi gli eredi della cultura illuministica e progressista, il 1789 è una data epocale che segna la liberazione dalla miseria, dall’ignoranza e dall’oppressione. Questa data avrebbe aperto per la Francia e per l’umanità un’era di progresso, di pace e di benessere, segnando l’ingresso nell’ultima e definitiva epoca di questa trionfale evoluzione verso il bene e la felicità dell’umanità. Paradossalmente, Condorcet stesso non vide questa “ora storica” che annunciava, poiché, imprigionato dai suoi compagni di partito rivoluzionari, morì suicida nel 1792.
Il Legame Profondo tra Illuminismo e Rivoluzione: La Condanna di Benedetto XV
Quello che vogliamo sottolineare è l’esistenza di un nesso profondo tra le idee dell’Illuminismo e la Rivoluzione francese. Questo nesso fu ben stabilito da Papa Benedetto XV in una lettera del 7 marzo 1917. Cito Benedetto XV: “Dopo i primi tre secoli dalle origini della Chiesa, nel corso dei quali il sangue dei cristiani fecondò l’intera terra, si può dire che mai la Chiesa ha corso un tale pericolo come quello che si manifestò alla fine del XVIII secolo. Fu allora infatti che una filosofia in delirio, prolungamento dell’eresia e dell’apostasia dei novatori, acquistò sugli spiriti una potenza universale di sedizione e provocò uno sconvolgimento totale con il proposito determinato di rovinare i fondamenti cristiani della società, non solo in Francia, ma poco a poco in tutte le nazioni. Così rigettata pubblicamente l’autorità della Chiesa, poiché si è cessato di tenere la religione come custode salvaguardia del diritto e del dovere e dell’ordine nella società, si insegnò che il potere ha origine dal popolo e non da Dio; che tutti gli uomini sono uguali per natura come per diritto; che a ciascuno è lecito ciò che gli piace se non è espressamente proibito dalla legge; che nulla ha forza di legge se non è comandato dalla moltitudine e ciò che è più grave che si può pensare e pubblicare in fatto di religione tutto ciò che si vuole sotto pretesto che ciò non reca danno a nessuno“. Questa visione del mondo relativista e ugualitaria, descritta dal Papa Benedetto XV, fu elaborata nelle logge massoniche e portata avanti dalle società di pensiero che sorsero prima e durante la Rivoluzione francese.
Il Mito Sfatato: La Rivoluzione Non Fu Opera del Popolo
Qui c’è un altro mito da sfatare: quello secondo cui la Rivoluzione francese fu una rivolta del popolo contro la monarchia che lo governava. Dobbiamo dire che la Rivoluzione francese non fu opera del popolo, ma fu opera di una minoranza raccolta nei cosiddetti “club”. Questi club erano la proiezione politica organizzata delle logge massoniche. Nel 1782, sette anni prima della Rivoluzione, si svolse a WIlhelmsbad il convegno massonico, nelle cui riunioni segrete la setta degli Illuminati di Baviera, guidata da Adam Weishaupt, programmò il coinvolgimento delle massonerie nazionali in un piano universale di rovesciamento delle monarchie e di instaurazione del comunismo e dell’ateismo. Per realizzare il loro piano, questi congiurati promossero la nascita di club, gruppi politici che precorrevano i moderni partiti. In Francia, il principale di questi club fu quello giacobino, che raccoglieva l’ala estrema dei rivoluzionari.
La struttura dei club non era democratica, bensì piramidale. Per esservi ammessi occorreva essere cooptati, cioè ammessi dall’alto dal comitato direttivo, dietro presentazione di almeno due membri. I membri, tra l’altro, erano sottoposti a continue epurazioni. Le riunioni avvenivano quattro volte la settimana di sera, ma le deliberazioni più importanti avvenivano a tarda notte, quando la maggior parte dei soci era già tornata a casa. Erano quindi guidati da pochissime persone. Lo storico Augustin Cochin ha mostrato il ruolo di questi club e più in generale di quelle che lui chiama le “società di pensiero” nel preparare la Rivoluzione. Queste società formavano una rete dipendente da quella che lui chiamava la “società madre,” il club dei giacobini. Non ci fu in Francia, alla vigilia della Rivoluzione, un luogo di qualche importanza che non avesse avuto il suo circolo di liberi pensatori, la sua società patriottica, la sua loggia massonica, la sua accademia letteraria. Una fitta ragnatela di queste società si estendeva sulla Francia.
Dunque, quando si parla di “popolo,” ciò che viene chiamato popolo in realtà sono le società popolari, e il governo rivoluzionario non sarà altro che la dittatura di queste società, che istituiranno il regno del “Dio popolo” per instaurare poi il culto della “volontà generale”. Nasce con la Rivoluzione francese una nuova morale, in cui il problema non è se un atto sia in sé buono o cattivo, ma se un atto è in sé rivoluzionario o no, cioè se sia conforme o no alla volontà presente e attiva del “Dio popolo”.
Gli Eventi Chiave del 1789 e la Decapitazione del Principio Monarchico
Come in ogni rivoluzione, il momento decisivo sono sempre i primi giorni, perché è nei primi giorni che salta la legalità. La Rivoluzione francese durò più di cinque anni, ma i primi mesi furono quelli decisivi. Dall’apertura degli Stati Generali il 4 maggio 1789 (convocati da Luigi XVI a Versailles a causa della grave crisi finanziaria dello Stato) alla fatidica giornata della Bastiglia, il 14 luglio dello stesso anno, passano in tutto due mesi e mezzo. Fu il tempo di un braccio di ferro tra il re e il Terzo Stato su un problema molto specifico: il problema del voto. Il costume e la logica del sistema politico allora vigente volevano che negli Stati Generali il voto avvenisse per ordini, con ciascuno dei tre ordini (clero, nobiltà e Terzo Stato) avente diritto a un voto. Il Terzo Stato, però, reclamava la riunione degli ordini e invece il voto per testa. In questo secondo caso, il Terzo Stato, che contava il maggior numero di rappresentanti, avrebbe avuto la maggioranza sugli altri due ordini riuniti.
Clero e Nobiltà si opponevano, ma il 12 giugno, con un atto unilaterale, il Terzo Stato si riunì a parte, e il 17 giugno i suoi deputati approvarono una mozione secondo cui “spetta all’assemblea e soltanto ad essa di interpretare e presentare la volontà generale della nazione”. In questa giornata, il Terzo Stato non solo si proclamò Assemblea Nazionale, ma fece atto di potere costituente, dichiarando illegali le imposte e i contributi fino allora percepiti dallo Stato. Questa deliberazione è il primo atto rivoluzionario, un atto che sarà suggellato tre giorni dopo, il 20 giugno, dal cosiddetto “giuramento della pallacorda,” dal nome della sala dove i deputati del Terzo Stato si riunirono e giurarono di non separarsi prima di aver dato una Costituzione alla nazione.
Questo giuramento, questo atto simbolico del 20 giugno 1789, contiene le idee di Rousseau e dell’abate Sieyès, secondo cui la legittimità risiede nella “volontà generale”. L’abate Sieyès fu il punto di raccordo tra le teorie di Rousseau e degli Illuministi e poi la politica giacobina che ebbe il suo compimento nel Terrore. Il suo opuscolo, “Che cos’è il Terzo Stato?”, apparso nei primi giorni del 1789 e largamente diffuso in Francia, costituì un documento capitale per l’influenza che ebbe sugli avvenimenti successivi. Ebbene, per Sieyès, la sovranità della Francia, che fino allora si impersonava nella figura del re, risiede invece infallibilmente nella nazione, che poi si identifica col Terzo Stato. La nazione, dice Sieyès, è preesistente a tutto, è all’origine di tutto. La sua volontà è sempre conforme alla legge, è la legge stessa. E in quanto sovrana, la nazione non è sottomessa ad alcuna legge. La volontà del popolo nazione è assoluta, è infallibile e costituisce la fonte suprema di ogni legalità. Da questo momento, osserva uno scrittore controrivoluzionario, Ludwig von Haller, “da questo momento la rivoluzione era fatta e il regno di Francia era cambiato in repubblica”.
Nell’immaginario popolare, e oggi diremmo con un linguaggio alla moda, la Rivoluzione francese ha il suo atto di nascita e il suo episodio più simbolico nel 14 luglio 1789, il giorno della presa della Bastiglia. La mattina di quel giorno, una folla di non più di un migliaio di scalmanati, perlopiù prezzolati, si gettarono sull’Hotel des Invalides e poi sulla Bastiglia, una fortezza che veniva presentata come il simbolo dell’assolutismo monarchico. La leggenda della Bastiglia, che sarebbe stata una tetra prigione dove languivano in catene i detenuti politici dell’Ancien Régime, è stata del tutto demistificata. Oggi sappiamo che quando la Bastiglia quel giorno, quel 14 luglio, fu invasa dai rivoluzionari, vi furono trovati in tutto sette prigionieri. Nessuno di essi era un detenuto politico. Si trattava di quattro falsari, di due pazzi e di un pervertito che poi era il celebre marchese De Sade.
Il 14 luglio il popolo a Parigi fu padrone della piazza. Luigi XVI, il re, avrebbe potuto stroncare la rivolta, ma non lo fece, nell’illusione di poter fermare la Rivoluzione senza spargimento di sangue. Sarà la Rivoluzione a spargere il suo.
Il 4 agosto l’Assemblea Nazionale abolì il regime feudale che costituiva da secoli l’intelaiatura sociale della Francia. Fu anche questo un atto storico perché con un colpo di spugna fu cancellata l’identità storica della Francia. Il 26 agosto fu approvata la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, che fu la magna carta della Rivoluzione francese e che ancora oggi è un testo base degli pseudodiritti contemporanei.
La Rivoluzione Francese: Anticristiana e Persecutoria
Non mancano i cristiani che vorrebbero “battezzare” la Rivoluzione francese, ma la Rivoluzione francese è incompatibile con il cristianesimo, è una rivoluzione anticristiana. Tuttavia, tutte le rivoluzioni anticristiane della storia, per realizzarsi, hanno bisogno del tradimento di una parte dei cristiani. Ci sono molti modi di tradire:
- C’è il passaggio aperto al nemico, la collaborazione aperta con il male, che esige scelte ideologiche e una partecipazione attiva al processo rivoluzionario. Molti la fecero.
- Poi c’è il secondo tradimento, quello dell’omissione dei propri doveri. È l’atteggiamento di chi tace per amore della propria tranquillità e della propria sicurezza. È l’atteggiamento di quei moderati che odiano i difensori della fede più dei loro nemici. Sono coloro che hanno paura della proclamazione della verità e preferiscono la via del negoziato e del compromesso con l’errore.
Il clero di Francia, che in quel momento contava circa 130.000 persone, viveva in questa tiepidezza moderata. Si pensava alla carriera ecclesiastica e alla tranquillità. Gaxotte osserva che “se lo scandalo era raro, molto raro era anche lo zelo. Giornate senza contrasti, studi senza fede, religione senza fiamma.” Questa era la vita di molti ecclesiastici. Soccorrevano i poveri, ma non li cercavano; i più attivi si occupavano della complicata gestione delle fondazioni dell’ordine; i più eruditi redigevano memoriali per le accademie; i più ambiziosi si facevano avanti nelle assemblee locali. Tra tante preoccupazioni terrene, non restava niente per Dio.
E fu proprio un ecclesiastico, il vescovo Talleyrand, a proporre nell’ottobre del 1789 la nazionalizzazione, ossia la confisca da parte dello Stato dei beni del clero, che venne votata il 2 novembre di quell’anno. La Francia era disseminata di chiese, di abbazie, di conventi, di parrocchie, di istituti religiosi che assistevano i poveri, i malati, gli orfani, che assicuravano l’istruzione primaria e secondaria della società. Queste buone opere erano sorte nel corso dei secoli grazie alle donazioni di benefattori. L’esproprio di questi beni, in base al principio secondo cui proprietaria dei beni ecclesiastici è la nazione, fu di fatto un colossale furto. Questo furto, peraltro, lo abbiamo visto ripetersi in Italia all’epoca del Risorgimento.
Dopo la nazionalizzazione dei beni, il 13 febbraio del 1790, l’assemblea decretò il divieto dei voti monastici e la soppressione degli ordini religiosi. La proposta di alcuni del clero di riconoscere la religione cattolica come la sola religione dello Stato, come fino allora era avvenuto, venne respinta. La Rivoluzione francese proclamò il principio della libertà religiosa e di coscienza, mettendo tutte le religioni sullo stesso piano, ma presto iniziò la persecuzione nei confronti del cristianesimo. La prima tappa fu l’emancipazione dalla Chiesa di Roma. Il 12 luglio del 1790 venne approvata la Costituzione Civile del Clero, che dava nuove regole alla vita religiosa della Francia:
- L’Assemblea Costituente decise che vi dovesse essere un vescovo per dipartimento, in tutto dunque 83 vescovi e 10 vescovi metropolitani, quanti erano i dipartimenti.
- Decise che anche il numero delle parrocchie avrebbe dovuto essere ridotto.
- Vescovi e parroci dovevano essere eletti dai cittadini attivi, compresi i non cattolici. Non erano nominati né dal Papa né da assemblee ecclesiastiche, bensì dallo stesso corpo elettorale che nominava i rappresentanti politici e gli amministratori. I parroci sarebbero stati eletti dagli elettori del distretto, i vescovi dagli elettori del dipartimento.
- Tutti i religiosi venivano pagati dallo Stato, divenendo così dei pubblici funzionari che, come tutti gli altri impiegati, dovevano giurare fedeltà alla nazione, alla legge e al re. Il rifiuto di questo giuramento comportava la rinuncia alla carica e la destituzione.
I preti che si rifiutarono di giurare fedeltà alla nuova costituzione civile del clero vennero definiti “preti refrattari.” Vennero banditi dal regno, imprigionati, perseguitati. A partire dal 1793, addirittura chi nascondeva un prete refrattario era considerato complice di questo delitto e quindi era passibile della pena capitale. Bastava ammettere di aver partecipato alla messa di un refrattario per essere condannati a morte.
Una volta abbattuta la vecchia chiesa, bisognava costruire la nuova. I primi due vescovi eletti (non nominati, ma eletti dagli elettori) non trovarono nessuno che volesse consacrarli, poiché tutti gli altri vescovi si rifiutarono. L’unico che accettò fu Talleyrand, che rese questi due vescovi veri vescovi, sia pure illecitamente, cioè senza l’autorizzazione del Papa. Questi due vescovi ne consacrarono a loro volta altri tre, che ne consacrarono altri, finché alla fine di aprile del 1791 erano stati installati ben 60 nuovi vescovi in Francia, 60 vescovi fatti in due mesi contro la volontà del Papa. Nel suo breve del 13 aprile 1791, il Papa denunciò come criminali e sacrileghe le consacrazioni costituzionali, vietò di officiare ai consacratori e ai consacrati e pronunciò la sospensione dei preti che non avessero ritrattato entro 40 giorni.
Tra il novembre del 1789 e il settembre del 1792 si svolse la prima persecuzione religiosa, che culminò con i massacri di settembre del 1792, per poi riprendere in maniera più violenta nei mesi e negli anni successivi.
Il Terrore: Non Solo Sanguinario, ma Intrinseco alla Rivoluzione
Una delle piaghe della società contemporanea è il terrorismo, che poi è l’altra faccia del genocidio. Il terrorismo è sul piano individuale ciò che il genocidio è sul piano collettivo. Ebbene, la pratica del terrorismo, come quella del genocidio, risale alla Rivoluzione francese. Quando si parla di terrorismo o di “Terrore,” in genere gli storici usano questo termine per indicare una fase storica che va dal 1793 al 1794, cioè il periodo della Convenzione giacobina, quando il Terrore viene posto all’ordine del giorno e teorizzato da Robespierre e Saint-Just. Ma in realtà il Terrore non comincia nel 1793 e non finisce nel 1794; il Terrore è intrinseco alla Rivoluzione francese in tutte le sue fasi. Il Terrore nasce con la Rivoluzione e l’accompagnerà fino al suo epilogo, ed è un Terrore che è diretto soprattutto contro il cristianesimo.
Fin qui abbiamo parlato del terrore sanguinario, il terrore cruento, quello che colpisce la sensibilità e l’immaginazione. C’è però un altro terrore, incruento ma non meno brutale: un terrore intellettuale, morale, psicologico, che accompagna il fenomeno rivoluzionario prima del 1789 e continua dopo Napoleone fino ai nostri giorni. Questo ci aiuta a capire l’ideologia del Terrore e le sue radici. Sempre lo scrittore Augustin Cochin ci ricorda che prima del sanguinoso terrore del 1793, ci fu dal 1765 al 1780, nella Repubblica delle Lettere, un terrore incruento del quale l’Enciclopedia fu il Comitato di Salute Pubblica e D’Alembert fu il Robespierre. Un terrore che ghigliottinò le reputazioni come l’altro le teste. La sua ghigliottina è la diffamazione, l’infamia, come allora si diceva. E “écraser l’infâme,” “schiacciate l’infame,” era la parola d’ordine di Voltaire. E i germi ideologici di questo terrore vanno ricercati proprio nella filosofia della storia illuministica teorizzata da Voltaire e dai suoi discepoli, una filosofia della storia che poi nella Rivoluzione francese ha il suo trionfo.
La Scristianizzazione della Francia La scristianizzazione si manifestò in vari modi:
- Secondo il calendario rivoluzionario adottato il 5 ottobre del 1793 (e rimasto in vigore fino al 1806), l’anno cominciava il giorno dell’anniversario della fondazione della Repubblica, il 22 settembre 1792. I nuovi nomi rivoluzionari dei giorni e dei mesi dovevano essere usati obbligatoriamente negli atti pubblici e privati.
- Oltre che nel calendario, la scristianizzazione si manifestò con il cambiamento dei nomi cristiani e dei nomi delle località che contenevano riferimenti religiosi. Per esempio, 1400 strade di Parigi ricevettero nomi nuovi perché i nomi vecchi contenevano qualche riferimento a un santo, a un re o a una regina.
- Place Louis XV, dove venivano eseguite le ghigliottinamenti, divenne Place de la Révolution (oggi Place de la Concorde).
- Notre Dame divenne il Tempio della Ragione.
- Montmartre divenne Montmar.
- Nella liturgia rivoluzionaria, l’albero della libertà rimpiazzava la croce. Solamente nel 1792 furono piantati 60.000 alberi della libertà.
- Non ci si limitava più a proscrivere i preti refrattari; era proprio proibito il culto cristiano. Il cristianesimo divenne fuori legge.
- La Festa della Ragione, celebrata in Notre Dame il 10 novembre del 1792 con una prostituta che impersonava la dea ragione, segnò l’apogeo della scristianizzazione.
La fase successiva fu quella della nuova religione rivoluzionaria. Gli storici distinguono tre fasi del culto rivoluzionario: il culto della Ragione, il culto dell’Essere Supremo e poi, nella fase ultima, la cosiddetta Teofilantropia. Ma si tratta di un’unica religione la cui caratteristica è quella di trasferire all’umanità il carattere divino che spetta a Dio. “Il popolo è Dio,” si afferma esplicitamente alla Convenzione, e del popolo si dice: “la sua sovranità è una, indivisibile, imprescrittibile, immutabile, inalienabile, immortale, illimitata, senza circoscrizione, assoluta e onnipotente”. Tutti gli attributi della divinità sono trasferiti al popolo. Nel 1793, le reliquie di un rivoluzionario appena ucciso, Marat, vennero proposte alla venerazione pubblica. Venne innalzato un altare al cuore di Marat, e il cuore di questo agitatore rivoluzionario, racchiuso in un’urna, venne collocato su un altare, venerato con il canto di litanie: “Cor Sacrum Marat, Cor Jesu, Cor Marat”. Un culto pubblico, quello di Marat, durò ben 14 mesi, e la cerimonia dell’apoteosi ufficiale di questo culto ebbe luogo dopo la morte di Robespierre.
La Convenzione istituì poi comitati di sorveglianza rivoluzionaria; ogni comune doveva averne uno. Era obbligatorio redigere una lista di tutti i cittadini sospetti, una categoria quanto mai indefinita. Il 27 marzo 1793 furono messi fuori legge gli aristocratici e i cittadini vennero armati di picche. Il giorno successivo, gli emigrati, cioè coloro che erano fuggiti dalla Francia, vennero dichiarati civilmente morti e tutti i loro beni confiscati. Il 29 fu decretata la pena di morte contro gli autori presunti di scritti controrivoluzionari. Sempre sotto vari pretesti, come quello dell’emergenza bellica e di complotti controrivoluzionari, fu costituito il 6 aprile del 1793 un Comitato di Salute Pubblica formato da nove membri che concentrava nelle sue mani tutto il potere esecutivo. Il Comitato di Salute Pubblica governò la Francia dal luglio del 1793 fino al 27 luglio del 1794, dunque per un anno, organizzando il Terrore. Il leader di questo Comitato fu Robespierre, che, anche se ufficialmente non era insignito di nessuna carica superiore a quella dei suoi otto colleghi, assunse un’influenza sempre maggiore in questo gruppo e incarnò nella sua persona la fase più sanguinosa della Rivoluzione. Gaxotte definisce Robespierre “la dottrina rivoluzionaria in azione”.
Il 30 agosto 1793, i giacobini di Parigi chiesero che si ponesse il Terrore all’ordine del giorno. Con la Legge dei Sospetti, che includeva tutti i cittadini sospettati di avere qualche legame, anche solo di parentela, con aristocratici o controrivoluzionari, molte persone vennero arrestate, imprigionate o condotte a morte.
Il Regicidio di Luigi XVI: La Decapitazione di un Principio
Infine, il 6 dicembre di quell’anno, 1793, la Convenzione decretò che Luigi XVI, definito come “il cittadino Luigi Capeto,” dovesse essere portato alla sbarra per essere interrogato. Il re era prigioniero da quando aveva cercato la fuga a Varennes. Su proposta di un rivoluzionario, venne deciso che durante il processo tutte le votazioni si dovessero ottenere per appello nominale e palese, in pubblico. Così, il 15 gennaio, cominciò alla Convenzione il voto pro o contro Luigi XVI. Il sovrano venne dichiarato all’unanimità colpevole di cospirazione contro la libertà. Il giorno successivo iniziò l’appello nominale sul problema cruciale: che pena infliggere a Luigi Capeto, di cui all’unanimità si era dichiarata la colpevolezza. Ogni deputato saliva alla tribuna e motivava il suo voto. Dopo due votazioni, il risultato fu di 361 voti per la morte di Luigi e 360 contrari. Quindi, per un solo voto, Luigi XVI fu condannato a morte. Ognuno di coloro che avevano votato la condanna, a cominciare dal cugino del re, Filippo d’Orléans, poteva considerare decisivo il suo voto.
Il 21 gennaio 1793, alle 10 del mattino, Luigi XVI salì il patibolo. Un abate refrattario gli somministrò nascostamente i conforti religiosi, e il sovrano morì con grande dignità e coraggio. Pio VI, il Papa, nel discorso tenuto in Concistoro qualche mese dopo, il 17 giugno, affermò che la morte di Luigi XVI fu votata in odio alla religione cattolica e che sembra difficile potergli contestare la gloria del martirio. La stessa definizione di martire si può applicare alla Regina Maria Antonietta, anch’essa condannata a morte e di nulla colpevole se non di aver rappresentato il principio della legalità cristiana.
Luigi XVI, che lo storico portoghese Ameal definisce “vittima espiatoria,” quale capo legittimo della Francia, re unto, personificazione della sovranità cristiana, venne ghigliottinato in quanto sovrano cattolico. La Rivoluzione francese non volle punire in Luigi XVI il criminale, ma il sovrano. Il suo crimine era proprio quello di essere re. Ciò che venne processato non fu l’uomo, ma l’istituzione monarchica in quanto tale e, dietro quell’istituzione, un principio: la concezione tradizionale della sovranità espressa in Francia dalle parole di Santa Giovanna d’Arco al Delfino: “Voi sarete il luogotenente del re dei cieli che è re della Francia”. Questa idea di una legittimità divina della regalità veniva ora rovesciata dall’affermazione di Saint-Just alla Convenzione che diceva: “Non si può regnare innocente. Questa assurdità è fin troppo evidente. Ogni re è un ribelle e un usurpatore“. E Robespierre diceva: “La sola qualifica di re attira i flagelli della guerra sulla nazione sconvolta. Né la prigione né l’esilio possono rendere la sua esistenza indifferente alla felicità pubblica, appunto perché lo si chiama re. Quest’uomo deve regnare o morire,” esclama Saint-Just. Infatti, la regalità è un crimine contro il quale ogni uomo ha diritto a insorgere e ad armarsi. E dunque, il regicidio di Luigi XVI può essere considerato come il compimento simbolico della Rivoluzione francese. Ciò che la Rivoluzione volle decapitare fu il principio della sacralizzazione dell’ordine temporale. La Rivoluzione leva la sua bandiera: la fonte dell’autorità non sarà più Dio, ma il popolo, cioè l’autorità divinizzata. Non vi è sovranità divina a cui il re terreno deve sottomettersi, né vi sarà sovranità politica a cui il popolo si subordinerà. Sovrano sarà il popolo, cioè la società degli eguali. È il sogno antico degli eretici medievali: dei Catari, dei Valdesi, degli Ussiti e degli Anabattisti, e poi dei cospiratori massonici e carbonari. Lo stesso sogno che affiorerà nei rivoluzionari di professione del XX secolo, perché il progetto non cambia: il progetto è quello di distruggere alla radice la civiltà cristiana, disfare la civiltà cristiana, frutto del preziosissimo sangue di nostro Signore Gesù Cristo, regredire alla barbarie e al tribalismo.
Il Genocidio della Vandea: La Resistenza del “Trono e dell’Altare”
Poche settimane dopo la morte di Luigi XVI, la Convenzione ordinò una leva di 300.000 uomini per rinforzare le armate che combattevano ai confini. Ma gli abitanti di tre province dell’ovest della Francia – la Vandea, la Bretagna, il Poitou – esasperati per la persecuzione contro la Chiesa e per la morte del re, invece di rispondere all’appello, si sollevarono in massa contro la Rivoluzione e presero le armi in difesa del Trono e dell’Altare. Si formò un’armata cattolica e reale, composta da molte decine di migliaia di uomini, guidati da capi che gli insorti sceglievano tra i nobili delle loro terre, come Louis-Marie de Lescure e Henri de La Rochejaquelein, ma anche tra popolani come Jacques Cathelineau, un semplice vetturino che fu l’iniziatore della sollevazione e venne eletto primo generalissimo dell’armata vandeana, o il guardiacaccia Jean-Nicolas Stofflet. Iniziò così una delle più sanguinose guerre civili della storia. Vittorie e sconfitte si alternarono, ma quasi tutti i capi vandeani morirono combattendo in difesa della loro fede.
Di fronte ai successi militari degli insorti, la Convenzione decise lo sterminio dei “briganti della Vandea”. Nel gennaio del 1794 mossero contro la Vandea le spedizioni militari punitive dette “colonne infernali,” il cui scopo era quello di attraversare da un capo all’altro il paese insorto e di fare in modo che nulla sfuggisse alla “vendetta nazionale”. Lo storico bretone Reynald Secher documenta l’autentico genocidio compiuto tra il 1793 e il 1796 dalle truppe repubblicane. Sui documenti storici di parte rivoluzionaria leggiamo istruzioni su come uccidere in massa donne e bambini; e poiché le pallottole costavano, si ordinò di spaccare le teste a colpi di baionetta; e siccome le baionette si rompevano, si ricorse agli annegamenti collettivi.
Il generale Turreau, capo delle colonne infernali, il 24 gennaio 1794, scriveva: “Le mie colonne hanno già fatto meraviglie. Non un solo ribelle è sfuggito alle loro ricerche; se i miei intendimenti sono realizzati entro 15 giorni, in Vandea non esisteranno più né case, né rifornimenti, né armi, né abitanti. Bisogna che tutto quanto esiste in Vandea, di boschi, di alberi di alto fusto, sia abbattuto”. E un altro capo militare rivoluzionario, Westermann, scriveva a sua volta: “Non esiste più la Vandea, è morta sotto le nostre libere sciabole con le sue donne e i suoi bambini. Ho schiacciato i bambini sotto gli zoccoli dei miei cavalli, massacrato le donne che non genereranno più dei banditi. Non ho da rimproverarmi di aver fatto prigionieri. Ho sterminato tutti. Le strade sono disseminate di cadaveri. Ce ne sono tanti che in parecchi luoghi formano una piramide“. Secondo Secher, la Vandea militare perse globalmente quasi il 15% della sua popolazione, 117.000 persone su circa 800.000. I vandeani resistettero però fino all’ultimo, fino alla cattura e alla fucilazione dell’ultimo leggendario capo, Charette, fucilato nel 1796. Con la sua morte si chiuse l’epopea vandeana.
L’Eredità della Rivoluzione e il Suo Continuo Processo
L’avventura della Rivoluzione francese però volgeva al suo termine. Il 4 giugno 1794 Robespierre, eletto all’unanimità presidente della Convenzione, tentò di costituire una nuova religione, il culto dell’Essere Supremo, ispirato alle teorie di Rousseau. Ma Robespierre venne rovesciato da quella che fu definita la Reazione di Termidoro. Gli eccessi della fazione giacobina suscitarono una reazione tra gli stessi rivoluzionari, e la Rivoluzione fu costretta a fare un passo indietro per trasformarsi in borghese durante quello che fu il regime del Direttorio, che si prolungò fino al 1799. Sotto il Direttorio, mentre in Vandea ancora si combatteva, si sviluppò la congiura degli Eguali di Gracco Babeuf, che rappresentò la punta comunistica più avanzata della Rivoluzione. Gli eccessi giunsero a tal punto che nelle elezioni del 1797 i monarchici ottennero una maggioranza e si arrivò a parlare di una possibile restaurazione della monarchia.
A questo punto, vedendo minacciata la Rivoluzione, il generale Napoleone Bonaparte, che si trovava in Italia, inviò le sue truppe a Parigi. E mentre l’esercito era impegnato all’estero su molteplici fronti, si svolse in questi anni in Francia una lotta furibonda per la conquista del potere che vide nel 1799 la vittoria di Napoleone. Napoleone non solo stabilizzò le conquiste rivoluzionarie in Francia, ma le estese in tutta Europa. Nei paesi conquistati, egli abolì l’antico regime e impose i principi di un nuovo codice civile che limitava i diritti della Chiesa, riconosceva il divorzio e introduceva un regime di successione ugualitario. La diffusione di queste nuove dottrine rivoluzionarie da parte di Napoleone provocò una grande trasformazione nella struttura politica e sociale dei popoli europei. Uno dei grandi errori della Rivoluzione era stato quello di attaccare frontalmente la Chiesa. Napoleone cercò di ovviare con il Concordato del 1801, che restituì sì la libertà religiosa alla Chiesa, ma non segnò il ritorno alla situazione precedente.
La Rivoluzione francese sterminò durante il Terrore e nel genocidio vandeano più di 186.000 contadini, 168.000 operai, 120.000 commercianti e 90.000 membri della nobiltà e del clero. A cui bisogna aggiungere 1.400.000 francesi che morirono durante le guerre della Rivoluzione e sotto l’Impero napoleonico. Due milioni di vittime, due milioni di vittime fatte dalla Rivoluzione francese e da Napoleone in nome dei diritti dell’uomo. E lentamente da allora, per tappe successive, l’Occidente ha percorso la strada su cui la Rivoluzione francese aveva voluto portarci. La strada che Voltaire e Rousseau avevano tracciato.
Come non vedere, per esempio, oggi, nella strategia di distruzione della famiglia, della proprietà privata, dei valori morali e religiosi della nostra civiltà, della cristianofobia imperante, la realizzazione lenta ma implacabile del programma rivoluzionario giacobino? L’ideologia del Terrore sembra ancora oggi essere la grande Rivoluzione. E la Rivoluzione francese è il prototipo di tutte le rivoluzioni. Una Rivoluzione che ci consente di parlare di “Rivoluzione” con la R maiuscola per indicare il sovvertimento dell’ordine religioso e metafisico prima ancora che politico e sociale.
Monsignor Gaume ci dà questa immagine terribile ma efficace della Rivoluzione: “Se strappando la sua maschera le domandate: ‘Chi sei?’, vi dirà: ‘Non sono quello che si crede, molti parlano di me, ma ben pochi mi conoscono. Non sono né il carbonarismo che cospira nell’ombra, né il moto che tuona per le strade, né il cambiamento dalla monarchia alla Repubblica, né la sostituzione di una dinastia a un’altra, né la turbativa momentanea dell’ordine pubblico. Non sono né le urla dei giacobini, né il furore della montagna, né il combattimento delle barricate, né il saccheggio, né l’incendio, né la riforma agraria, né la ghigliottina, né gli annegamenti. Non sono né Marat, né Robespierre, né Babeuf, né Mazzini, né Kossuth. Questi uomini sono i miei figli, non sono me. Queste cose sono le mie opere, non sono me. Questi uomini e queste cose sono fatti passeggeri, ma io sono uno stato permanente. Io sono l’odio di ogni ordine religioso e sociale che l’uomo non ha stabilito lui e nel quale non è re e Dio insieme. Io sono la proclamazione di diritti dell’uomo contro i diritti di Dio. Io sono la fondazione di uno stato religioso e sociale sulla volontà dell’uomo al posto della volontà di Dio. Io sono Dio detronizzato e l’uomo al suo posto. Ecco perché mi chiamo Rivoluzione, che significa rovesciamento‘”.
La Meta della Rivoluzione e l’Antitesi della Civiltà Cristiana
Ebbene, la meta della Rivoluzione francese e di ogni rivoluzione è l’anarchia morale e sociale. È una concezione del mondo secondo cui l’umanità può autoredimersi, liberarsi dalla maledizione della morte e del peccato per tornare alla perfezione originaria, realizzare la perfetta società rivoluzionaria senza autorità e senza leggi, una società pura e immacolata, fondata sul comunismo dei beni e dei corpi.
L’antitesi a questo progetto rivoluzionario è la Civiltà Cristiana, che, come afferma San Pio X, è l’unica civiltà possibile. Non si deve inventare la civiltà né si deve costruire la nuova società tra le nuvole, dice San Pio X. Essa è esistita ed esiste. È la Civiltà Cristiana, è la società cattolica. Non si tratta che di instaurarla e restaurarla nelle sue naturali e divine fondamenta contro i rinascenti attacchi della malsana utopia, della rivolta e dell’empietà. Tra la Civiltà Cristiana e l’utopia rivoluzionaria, tra gli ideali del Vangelo e i principi del 1789, non c’è compromesso o convergenza possibile. A chi ci dice che siamo indietro di 200 anni, a chi ci propone di tornare all’89 per realizzare la rivoluzione incompiuta, rispondiamo che due secoli di attuazione rivoluzionaria ci bastano. Non vogliamo tornare all’89, ma alla Civiltà Cristiana e fare di essa, non della Rivoluzione francese e del Terrore, il nostro futuro in questo secolo XXI che si è aperto.
Risposte alle Domande
Cari amici, abbiamo forse ancora cinque minuti per una o due domande che aspetto. Vi ringrazio.
(Un ascoltatore, Luca da Pisa, interviene)
Luca: Sì, buonasera. Mi chiamo Luca, telefono da Pisa. Volevo fare una precisazione quanto ai motivi delle insurrezioni in Vandea e non soltanto lì, anche ricollegandomi a quanto è stato ricordato su San Pio X, la civiltà cristiana. La civiltà cristiana in sostanza è un ordinamento politico conforme alla legge naturale, cioè poi riassunta nel Decalogo. Ora, voglio dire, quella civiltà cristiana che sopravviveva, sia pure con tante scorie, diciamo, dei secoli della modernità, diciamo, però era una un ordinamento politico in cui, per esempio, non c’era il divorzio, perché il divorzio è una cosa che è contraria a questa legge naturale, quindi è qualcosa che è anche, come dire, la legge naturale, insomma, è qualcosa di superiore alle volontà della maggioranza, alla volontà del re o di qualche altro principe, alla volontà anche di qualche capo carismatico, alla volontà di chiunque, no? Allora, una civiltà cristiana è un ordinamento in cui, in particolare, se si considerano le cose rispetto al mondo in cui viviamo oggi, non si accetta, diciamo, si rifiuta il principio della volontà della maggioranza.
Roberto De Mattei: Sì. Pronto? Sì. Quello che lei dice è giusto. Ciò che caratterizza la Civiltà Cristiana è il rispetto della legge divina e naturale e quindi è innanzitutto per questi principi che insorse la popolazione vandeana. Questi principi non sono principi validi solo allora, sono principi ancora oggi assolutamente validi che devono guidare la nostra azione.
(Un’altra ascoltatrice, Cristi, interviene)
Cristi: Buonasera, professore. Volevo chiedere una cosa. Ho letto che Suor Santa Margherita Maria Alacoque, di cui oggi poi si celebra la ricorrenza, aveva avuto una visione esattamente 100 anni prima della Rivoluzione in cui il Signore chiedeva di consacrare la Francia al Sacro Cuore e anche di mettere il Sacro Cuore su tutte le bandiere. Il re non lo fece e ovviamente poi arrivò, come dire, il castigo, se vogliamo, la semplice conseguenza di non lasciare nelle mani di Dio il regno della storia. E vorrei chiedere se c’è qualcosa di simile anche per Fatima, si può pensare, ovvero è vero che noi per Fatima sappiamo che una, diciamo, una consacrazione è stata fatta ora con tutti, insomma, lasciamo stare i dibattiti poi su come, però per la possibilità che… che il fatto che non fu non fu fatto in quei termini, almeno non subito.
Roberto De Mattei: Sì, è vero quello che lei dice. Cioè, nel 1689 il Signore apparve a Margherita Maria, gli disse di consegnare questo messaggio al re di Francia chiedendo di consacrare il suo regno al Sacro Cuore, ed è cosa che non avvenne. Esattamente 100 anni dopo ci fu la Rivoluzione francese. Ebbene, nel 1936 il Signore apparve a Suor Lucia, lamentandosi per la mancata consacrazione della Russia, e disse queste parole che ancora oggi ci devono fare riflettere: “Non hanno voluto ascoltare la mia richiesta. Come il re di Francia se ne pentì, anche a noi la faranno, la faranno la consacrazione alla Russia al Cuore Immacolato, ma sarà troppo tardi. La Russia avrà già sparso i suoi errori nel mondo provocando guerre e persecuzioni alla Chiesa. Il Santo Padre dovrà soffrire molto”. Ecco, fin qui sono le parole ricevute da Suor Lucia, parole che ci devono fare riflettere profondamente, perché certamente Fatima è una profezia ancora incompiuta.
Roberto de Mattei
