La Santa Madre Chiesa insegna l’importanza di pronunciare giudizi morali sulle azioni, non sulle persone. La tendenza moderna a evitare tali giudizi nel popolo cristiano è un “dogma” falso, che contraddice gli insegnamenti di Gesù Cristo, il quale ha reso più severa la legge morale e non l’ha annullata. L’omissione di giudizi chiari su azioni peccaminose, come l’aborto o il suicidio, porta alla distruzione della sacralità dei Comandamenti. La morale cristiana è “a misura di Dio”, non dell’uomo, ed è resa possibile dalla grazia santificante ricevuta nel Battesimo, che permette all’anima di partecipare alla natura divina, rendendo i fedeli capaci di comprendere e vivere una morale esigente.
Santa Messa V Domenica dopo Pentecoste in rito tradizionale a Vocogno in Val Vigezzo (VB).
Trascrizione dell’Omelia di don Alberto Secci.
Domenica 13 Luglio 2025.
Cari fratelli e sorelle,
È con una certa trepidazione che mi accingo a predicare su un terreno così minato: quello della morale, dei comandamenti e, in particolare, del giudizio morale. Se volete farvi dei nemici al giorno d’oggi, vi assicuro che parlare di queste cose è il modo più efficace. Viviamo in un’epoca in cui si è diffusa, quasi misteriosamente da certi circoli di potere, un’idea che è diventata una mentalità comune, un vero e proprio dogma: “È vietato pronunciare giudizi morali”. Questo è particolarmente vero, purtroppo, non tanto nel mondo in generale, quanto piuttosto all’interno del popolo cristiano stesso.
Si sente dire che “tu non puoi giudicare fino in fondo la situazione di una persona, perché c’è il mistero della coscienza e della volontà”. Su questo, posso in parte concordare riguardo alla persona, ma sul fatto, sull’azione, altro che se la puoi giudicare: la devi giudicare! Oggi, abbiamo quasi buttato via dogmi fondamentali come quelli sulla Trinità o sull’unione ipostatica, ma abbiamo abbracciato questo nuovo “dogma”: “vietato giudicare,” o meglio, “vietato pronunciare giudizi morali”. Dopo secoli in cui la Chiesa è stata maestra di insegnamento morale, assistiamo a un popolo cristiano che sembra muto, che non osa dire alcunché.
Ma, mi chiedo, è questo ciò che Gesù Cristo ha fatto? È questo ciò che il Signore ha insegnato? Assolutamente tutt’altro! Il Signore, che è venuto a portare compimento, ha addirittura, perdonatemi il verbo, “rincarato” e reso più severa la legge morale. Pensate al Quinto Comandamento: “Non uccidere. Chi infatti avrà ucciso sarà condannato in giudizio”. Ma Gesù aggiunge: “Ma io vi dico: chiunque si adirerà senza motivo con il fratello sarà condannato in giudizio”. E non solo: chi dirà al fratello “Raka” (che può significare “strano” o “imbecille”) sarà condannato nel sinedrio, e chi gli dirà “pazzo” (o lo calunnierà facendo circolare la voce che è matto, annullandolo) sarà condannato al fuoco della Geenna, cioè all’inferno!
So bene che ci saranno esegeti che diranno che “fuoco della Geenna” è solo un modo di dire dell’ambiente culturale di Gesù. Ma per un ebreo, era una cosa ben precisa. E permettetemi di ricordarvi che Gesù stesso parla di inferno. Pensate all’apparizione di Fatima del 13 luglio, dove la Madonna ha mostrato l’inferno ai bambini, una visione così terrificante che, come raccontò Lucia, se fosse durata un minuto di più, sarebbero morti di paura. Quante madri oggi si lamenterebbero se il catechismo fosse così “severo”? Eppure, la Chiesa ha accettato Fatima, dedicandole addirittura una visione.
Questo ci mostra che Gesù non solo non proibisce i giudizi morali, ma porta a compimento la legge morale, la fa diventare più profonda, più vera. E qui sta l’inganno per noi: siccome è “più vera”, diciamo “bisogna guardare la sostanza” e finiamo per annullare il comandamento. Ma chi approfondisce la legge morale seguendo Gesù Cristo non annulla il comandamento. Egli ci dice: “Guarda che non basta non uccidere. Se tu dici ‘pazzo’, finirai all’inferno”. Questo non toglie il “non uccidere”, ma lo rende più severo, lo porta a compimento.
Invece, tra noi, nel nome di una presunta “sincerità morale”, si annullano i comandamenti. Non penso di dire niente di male dicendo che molti di voi sono giunti alla riscoperta della fede con un desiderio interiore, ma anche con un “pasticcio” alle spalle, abituati a “tagliare” i comandamenti. Il Signore ci chiede una serietà morale che è fatta anche di azione, non solo di intenzione.
Pensate al caso dell’aborto: in nome di una “maternità responsabile, consapevole, libera”, abbiamo un fiume di sangue che pesa sul nostro mondo e che attira il castigo di Dio, un fiume di sangue più grande della Seconda Guerra Mondiale. E il suicidio? Chi pronuncia ancora un giudizio chiaro sul suicidio? La Chiesa, come madre, poneva gesti severi, sospendendoli solo in caso di malattia mentale, perché il suicidio è una disgrazia che lascia un veleno che ci vogliono secoli per tirar via. Vi confesso che mi giocai l’affetto dei miei parrocchiani 30 anni fa su questo, ma il pericolo c’era e c’è tuttora.
Il pericolo c’è se lasciamo andare avanti tutto, se non poniamo un giudizio sull’azione, non sulla persona, ma sull’azione. In questo modo, diamo in pasto i più deboli al demonio, che vuole la disperazione. Occorre un giudizio, occorre fare l’azione di un giudizio morale, senza il quale noi pastori siamo “cani muti”, e anche voi, nella vostra responsabilità di padri, madri, nonni, nonne, diventate “cani muti”.
Pensate anche al “Non commettere adulterio”: in nome di un falso approfondimento, che non è quello di Gesù, diciamo “ma sì, si vogliono bene”. E questo ha portato alla distruzione totale della sacralità del matrimonio nelle nostre case. Questa non è una cosa normale; si capisce che è demonico, ma passa sotto il velo di questo falso approfondimento della morale. Sant’Agostino lo dice chiaramente: “Colui che ci insegna di non adirarci non distrugge la legge di non uccidere; anzi, piuttosto la completa”.
La morale cristiana è la più difficile. Quanti cattolici, ormai “naturalizzati”, si faranno di fatto musulmani perché la loro morale fa ridere in confronto. La nostra è una morale difficile, con la morale cristiana sei sempre peccatore. Ed è per questo che c’è il confessionale sempre aperto, per amore, perché è così difficile, così severo il Signore.
E sapete perché? Perché la morale non è a misura dell’uomo, ma è a misura di Dio. Uno potrebbe dire: “Ma come si fa? Non siamo mica Dio!”. E qui rispondo: “Come no? E allora dov’è l’opera della grazia?”. Un popolo cristiano che non ricorda concretamente, quotidianamente, l’opera della grazia, riduce la morale a una cosa umana e fa un approfondimento falso della morale, che si traduce nella liberazione dal comandamento, nell’annullamento del comandamento.
Permettetemi di ricordarvi cosa succede con il Battesimo. Noi abbiamo ricevuto la grazia nel Battesimo. Quando noi abbiamo ricevuto il Battesimo, Dio stesso è sceso nella nostra anima e ha stabilito la sua dimora. Come dice la Lettera ai Romani nel capitolo 5: “L’amore di Dio è stato sparso nei nostri cuori dallo Spirito Santo che ci è stato donato”. Questo amore di Dio che viene in noi, immesso dallo Spirito Santo, non resta sterile, ma produce. Eleva l’anima, la arricchisce, le dona, con la grazia del Battesimo e di tutti i sacramenti, una sorgente di vita soprannaturale. Non è solo un aiuto, ma immette in noi una sorgente di vita soprannaturale e apre in noi un nuovo principio di vita. Dunque, noi viviamo abitualmente nella grazia santificante. Se manca questa coscienza del Battesimo, salta tutto.
Il pericolo del naturalismo è proprio dimenticare questa qualità che Dio conferisce all’anima nel Battesimo, e che la conferisce in modo duraturo. È qualcosa di più grande di un “aiutino”. Che cosa fa in noi questa grazia? Ci rende capaci di raggiungere le più alte vette dell’attività della vita, cioè ci rende capaci di ciò che prima non eravamo capaci. Questo è il principio morale, è il principio della grazia.
Noi preti siamo nella Chiesa proprio per ricordare e amministrare questa grazia. E cosa significa “raggiungere le più alte vette dell’attività vitale”? Significa che la grazia abituale fa partecipare l’anima alla natura divina. La mia anima, la tua anima, partecipano alla natura divina. E che cos’è questa partecipazione? È partecipare a quella conoscenza e a quell’amore per il quale le tre persone divine – Padre, Figlio e Spirito Santo – si riconoscono e si amano, e per le quali sono eternamente felici. Questa si chiama vita, vera vita.
Ecco perché la morale è a misura di Dio: perché l’uomo, per il sacrificio di Cristo sulla croce, partecipa alla natura divina, e questa partecipazione si chiama grazia. Capite che qualcosa di meno di questo è una bestemmia. Non si può fare un cristianesimo che metta tra parentesi tutto questo.
È in forza di questa chiarezza che la Chiesa, e anche voi, dovete pronunciare giudizi morali chiari sulle azioni. Non dobbiamo partecipare a questo mostruoso “gioco al massacro” dove, scusando tutto, non si giudica mai il peccato come peccato e, di conseguenza, nemmeno il bene come bene.
Il Signore non è venuto ad abolire, ma a portare a compimento.
