Idolatrando l’uomo. Dalla riforma liturgica alla Dignitas Infinita

Abbiamo tradotto per i nostri lettori un articolo del giornalista americano John A. Monaco, in cui viene magistralmente spiegato che il problema della dichiarazione Dignitas Infinita è quello dell’antropocentrismo, ovvero mettere l’uomo al posto di Dio. Un problema, spiega il giornalista, che non comincia con la suddetta Dichiarazione, nemmeno col pontificato di Francesco, ma con la svolta della “nuova ecclesiologia” voluta dal Concilio Vaticano II. Anche il Novus Ordo Missae è purtroppo frutto di questa “svolta antropologica”.

La Dignitas Infinita e l’idolatria dell’uomo

Con la dichiarazione “Dignitas Infinita” della DDF vediamo il fiore all’occhiello di un antropocentrismo pienamente radicato, che macchia i vetri delle finestre della Chiesa post-conciliare.

di John A. Monaco (Crisis Magazine, 18 aprile 2024)

Nell’era attuale dei mass-media e dell’accesso costante a Internet, il processo di ricezione teologica può spesso essere affrettato e goffo. È in corso, per così dire, la corsa per forgiare e brandire la propria ultima “interpretazione calda” su qualsiasi argomento, documento o intervista papale della Chiesa. Pochi minuti dopo la presentazione della  Dignitas Infinita  da parte del Dicastero per la Dottrina della Fede (DDF), gli ambienti cattolici dei social media si sono infiammati di reazioni istintive, soprattutto alla luce della frase di apertura del documento: «Ogni persona umana possiede una dignità infinita…».

Credo che ci sia una conversazione importante da tenere riguardo al concetto di dignità umana e fino a che punto possiamo dire che gli esseri umani possiedono una dignità “infinita”, anche se in modo molto limitato e analogo. Sono già state effettuate  analisi approfondite  del documento e dei suoi  possibili limiti (per es. qui e qui). Ma fissandoci quasi esclusivamente sul significato della parola “dignità”, potremmo perdere di vista qualcosa di molto più importante, vale a dire che con  la Dignitas Infinita  vediamo il gioiello della corona di un antropocentrismo pienamente radicato, che macchia i vetri delle finestre di la Chiesa post-conciliare.

L’antropocentrismo è la convinzione esplicita o implicita che l’umanità sia l’entità centrale e importante nella creazione. Proprio come l’eliocentrismo e il geocentrismo sostengono che il sole o la terra sono rispettivamente al centro dell’universo, l’antropocentrismo vede l’uomo al centro di tutte le cose.

L’antropocentrismo è una delle accuse spesso mosse dai critici della riforma liturgica post-conciliare: secondo cui, in seguito al Concilio Vaticano II (1962-1965), la liturgia romana è passata dal culto di Dio all’adorazione dell’uomo. Libri che vanno da They Have Uncrowned Him (Gli hanno tolto la Corona) dell’arcivescovo Marcel Lefebvre a Work of Human Hands (Il lavoro delle mani dell’uomo) di P. Anthony Cekeda hanno evidenziato i modi in cui il rito riformato silenzia ciò che è dossologico, numinoso e misterioso. Nel Novus Ordo, la Liturgia della Parola è principalmente didattica: le letture non sono cantate, sono parlate in volgare e possono essere lette da chiunque. Il sacerdote è rivolto al popolo (ad populum), e  i difensori  di questo orientamento liturgico fanno appello alla sua (dubbia) base storica e al suo riflesso della “nuova ecclesiologia” inclusiva insegnata dal Vaticano II.

Ovviamente, l’affermazione che il Novus Ordo riguardi l’“adorazione dell’uomo” è riduttiva e inutile per le critiche più sfumate della riforma liturgica. Ma non si può negare che l’intero pacchetto della riforma liturgica post-conciliare riflette un’ansia generale secondo cui le precedenti forme di culto e di preghiera nella Chiesa cattolica romana non coinvolgevano veramente le persone o non parlavano all’“uomo moderno”.

In altre parole, dovevano essere fatti sacrifici diversi da quello di Cristo sull’altare. Le chiese costruite con grandezza e maestosità dovevano essere “distrutte” per favorire la partecipazione attiva alle cerimonie liturgiche. La divisione tra preti e laici, religiosi e secolari doveva essere abolita. L’antico tesoro di canti liturgici, benedizioni, sacramentali, paramenti e altro ancora, costituiva un ostacolo alla capacità dell’uomo moderno di comprendere il culto cattolico. Indipendentemente dal fatto che il Novus Ordo adori o meno l’uomo o Dio (e credo che adori quest’ultimo), resta il fatto che la preoccupazione principale che ha portato alla sua genesi fosse come avrebbe portato beneficio all’uomo, non come avrebbe potuto offrire una maggiore adorazione a Dio.

Anche se studio ormai da diversi anni i documenti del Vaticano II, sono sempre più sconcertato dalla centralità dell’“uomo” in essi. Forse era l’ingenuo ottimismo del dopoguerra, quando la democrazia moderna e il progresso umano sembravano inevitabili. Forse è stato uno sforzo per affermare la bontà di una natura umana comune, in uno sforzo irenico per colmare il divario tra popoli diversi. Ma qualunque sia la causa, l’effetto si vede nei documenti.

Ad esempio, vediamo l’antropocentrismo all’opera quando leggiamo l’insegnamento della Gaudium et Spes: «Credenti e non credenti sono generalmente d’accordo nel ritenere che tutto quanto esiste sulla terra deve essere riferito all’uomo, come a suo centro e a suo vertice» (§ 12);  la Sacrosanctum Concilium  suggerisce che i riti riformati dovrebbero essere «adattati alla capacità di comprensione dei fedeli né abbiano bisogno, generalmente, di molte spiegazioni» (§34); e  la Dignitatis Humanae sostiene che «il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana» (§2). Nonostante la verità dei documenti, diventa sempre più evidente che la visione globale del Vaticano II sulla persona umana era positiva, ottimista e fiduciosa che l’uomo avrebbe ascoltato la chiamata materna della Chiesa.

A distanza di sessant’anni dalla chiusura del Concilio, troviamo quasi assiomatico che l’umanità sia in gran parte buona. I dibattiti sulla natura e sulla grazia dell’inizio del XX secolo che hanno portato allo stesso Vaticano II si sono in gran parte attenuati. Il magistero post-conciliare, salvo poche eccezioni, ha sottolineato la bontà essenziale dell’umanità e la sua centralità nella creazione di Dio. Si parla del peccato in termini quasi esclusivamente terapeutici (“non essere la migliore versione di te stesso”) che come un’offesa contro la maestà del Dio Uno e Trino.

L’apprezzamento dell’inclusività da parte della Chiesa — “Tutti sono i benvenuti”, chiunque? — minimizza il ruolo della Chiesa come vascello esclusivo di salvezza, le cui vele separano la verità dall’errore. Le messe di “celebrazione della vita” superano in numero le messe di requiem per i morti: sacerdoti vestiti di bianco ed elogianti il ​​defunto durante un funerale invece di pregare per le anime della Chiesa sofferente. I nostri pastori parlano di Nostro Signore Gesù Cristo come della “via privilegiata” verso la salvezza e non in quanto unica vera Via. Una comunità già salvata non ha bisogno di un Divino Salvatore, e un popolo in gran parte buono non ha bisogno di ascesi o di pentimento.

La Dignitatis Infinita riafferma l’insegnamento cattolico tradizionale contro l’aborto, l’eutanasia, la maternità surrogata, il liberalismo sfrenato, lo sfruttamento dei poveri, e così via. La sua strenua difesa delle “questioni della vita” lo ha reso frustrante per i progressisti e i principali mezzi di informazione, che vedevano il documento come retrogrado e resistente allo Zeitgeist (lo spirito del tempo). La sua affermazione iniziale secondo cui l’uomo possiede una “dignità infinita” sarà giustamente discussa per mesi, se non anni, a venire. I cattolici di tutto il mondo ecclesiale difficilmente avranno bisogno di confrontarsi con le affermazioni secondo cui l’aborto, l’eutanasia, l’ideologia di genere, ecc., violano la dignità umana.

La filosofia personalista di papa Giovanni Paolo II ha in gran parte formato la generazione tra gli anni ’80 e gli anni 2000, quindi ci sentiamo a nostro agio nell’inquadrare le “questioni della vita” come violazioni della dignità umana. Considerata la natura sostanzialmente non problematica del documento, i cattolici non dovrebbero rallegrarsi della sua pubblicazione? Non consiglierei mai di disperare o di rifiutare apertamente un esercizio del magistero. Ma consiglio di non esultare di gioia senza riserve.

In ogni epoca, le ansie e le preoccupazioni della Chiesa trasudano attraverso la sua testimonianza. Ciò non è necessariamente una cattiva cosa. Ad esempio, la preoccupazione per la diffusione del protestantesimo portò sicuramente alla Controriforma, riformando gli ordini religiosi e il lucro delle indulgenze. Dopo l’epoca dei martiri, la diffusione del cristianesimo portò i primi monaci nel deserto egiziano alla ricerca della perfezione cristiana. Nel nostro XXI secolo, la Chiesa è giustamente preoccupata per le offese contro la vita e la dignità della persona umana, motivo per cui gran parte della dottrina sociale cattolica si occupa della difesa di tale dignità.

Concentrandosi così tanto sulla dignità umana e sulla prosperità umana, la Chiesa rischia di naturalizzare la vocazione dell’uomo alla vita eterna. Prima di parlare di diritti umani, dobbiamo parlare dei doveri e delle responsabilità umane verso il nostro Creatore. La dignità umana non esiste nel vuoto, bensì come parte della nostra continua chiamata alla santificazione. Pertanto, la Dignitas Infinita si sarebbe rafforzata se avesse posto la storia della salvezza — i misteri dell’azione del Signore nella storia — come punto di partenza della nostra dignità e non semplicemente come sfondo della glorificazione immanente dell’uomo. Si nota quanto poco il documento parli del peccato, del mistero dell’iniquità e della salvezza. La maggior parte dei riferimenti alle “offese” parlano del nostro offendere gli altri e non di offendere Dio stesso.

In breve, potremmo lodare la Dignitas Infinita come una gradita riaffermazione del perenne insegnamento della Chiesa sulle questioni morali che riguardano la persona umana. Mentre molte persone continueranno a cavillare sul significato di “infinito” quando applicato alla dignità umana, penso che una preoccupazione più urgente sia come il documento continui la marcia indiscussa dell’umanesimo attraverso la nostra religione cattolica.

Quanto siamo lontani dall’epoca di Papa Leone XIII, il quale, scrivendo una lettera enciclica all’inizio del XX secolo, scriveva:

«Il mondo ha sentito abbastanza dei cosiddetti “diritti dell’uomo”. Ascolti qualcosa dei diritti di Dio» (Tametsi Futura Prospicientibus).

Dato che il nostro mondo è già così ossessionato dai diritti umani, non sarebbe stato più saggio per il Dicastero per la Dottrina della Fede pubblicare un documento su questi diritti di Dio, spesso dimenticati?

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