Alle origini della protesta: Lutero

Partiamo da un aspetto fondamentale riprendendo in prestito dal libro “Ripensando Lutero” di Padre Roberto Coggi O.P. (del quale raccomandiamo a tutti la lettura) quanto esaustivamente spiega a riguardo proprio dei primi momenti di Lutero e della sua dottrina. (1)

QUI IL TESTO IN VIDEO-CATECHESI

 


articolo-su-lutero_543a8b05173e8“E’ molto importante sottolineare che il lusso e lo sfarzo, come pure anche la corruzione di buona parte della Curia Romana, non scandalizzarono più di tanto Lutero (come oggi si vuol far credere – nota mia), il quale, a quanto ci risulta, non trasse da ciò alcun turbamento nella sua fede cattolica e nella sua fedeltà nel Romano Pontefice. E’ quindi falso attribuire la ribellione di Lutero all’autorità ecclesiastica, quale si verificò pochi anni più tardi, a una sua indignazione contro i costumi corrotti del clero….”

Senza dubbio questa è una interpretazione del tutto rispettabile e pertinente, tuttavia è utile ricordare che altri sostengono l’esatto contrario, ossia che Lutero cominciò a dare in escandescenze proprio dinanzi a questi malcostumi. Noi preferiamo abbracciare la tesi di questa corrente perché in certe cose si può scegliere l’interpretazione che meglio si preferisce e costruire su di essa il discorso soprattutto oggettivo dei fatti. Non vogliamo infatti trattare qui la questione “luterana” ma approfondire la figura di Lutero alle origini dei suoi disagi personali per poi lasciare a voi lettori l’arduo compito di proseguire gli approfondimenti.

I veri motivi, spiega poi nel libro Padre Coggi, furono di natura strettamente teologica e soprattutto legati al dramma interiore che egli viveva….

La “nascita della nuova dottrina” Lutero inizia a svilupparla, o meglio a metterla in embrione, dal momento in cui inizia ad abbandonare, a distanziarsi dall’usuale metodo allegorico-mistico dell’interpretazione, volgendosi di proposito al metodo “letterale-storico” della Scrittura.
La prima testimonianza di questo processo in Lutero, e che lo porterà lentamente e drammaticamente a staccarsi dalla Chiesa, la troviamo nel suo “commento alla Lettera ai Romani” (15, 15-16), il dramma di Lutero è l’intestardirsi, producendo un lungo travaglio interiore, circa il problema della “grazia, della giustificazione, e della predestinazione”.
Ci troviamo così di fronte ad una pretestuosa esperienza personale elevata ad interpretazione comunitaria, ossia, troviamo qui l’impronta personale di Lutero e della sua ansia, della sua disperata ricerca di salvarsi ben lontane dalla Tradizione della Chiesa, dai Padri, lontana o assente anche dalla tradizione dell’ Ordine a cui apparteneva, e assente anche in altri Autori della Scolastica….

In sostanza Lutero impone una nuova visione interpretativa al passo scritturale di Romani 1,17 sulla “Giustizia di Dio”: non una giustizia di Dio che premia il bene e punisce il male, ma un’assolutoria completa da parte di Dio, senza alcun merito in corrispondenza alle azioni dell’uomo…

Siamo alle fondamenta del “Sola Scriptura” del “Sola Fidei” del “Solo Christo”.

Per Lutero l’uomo, corrotto dal Peccato Originale, non ha in verità alcun modo di riscattarsi, nessuna azione che potrà compiere, per quanto egli si sforzi di fare il bene, potrà meritargli la redenzione, siamo di fronte alla filosofia del pessimismo che da questo momento impernierà gran parte della stessa teologia protestante.
Ogni opera che l’uomo compie è, in sostanza, ammalata, è peccato! La concupiscenza è per Lutero il vero tarlo insuperabile, insanabile (motivo per cui non crederà più nella grazia del celibato), invincibile che perdura per sempre allo stato di vero peccato personale anche dopo il Battesimo. Quindi ogni azione dell’uomo è per lui inutile in rapporto alla salvezza.
Di conseguenza la “sola fede” nei meriti della morte in croce di Cristo, è quella che ci salva e ci rende beati, indipendentemente dalle nostre azioni. In sostanza la giustizia di Cristo viene applicata “esteriormente” al peccatore in modo da coprire e nascondere i suoi peccati, mentre in realtà egli rimane tale e quale, ossia peccatore “giusto e peccatore al tempo stesso”, indipendentemente dal suo convertirsi (l’uomo è per lui incapace di convertirsi e la conversione si intende solo in una accettazione del “Sola fidei” passiva).
La giustificazione, perciò, non consiste più come insegna la dottrina cattolica nella purificazione, rigenerazione-conversione e santificazione interiore dell’anima, ma in una “non imputazione” del peccato; l’anima quindi resta passiva perché la grazia non agisce sull’anima, ma solo il “favore di Dio” che non condanna (se proclami la fede in Lui), che “fa grazia”….

Con queste basi Lutero inizia la sua personale, all’inizio, battaglia contro l’insegnamento della Chiesa fino ad allora conosciuto.

Nei vari racconti biografici e storici, si evincono due periodi di Lutero durante la sua permanenza da monaco: la prima parte molto regolare e serena, ma sopraggiunta una certa rilassatezza e a causa di un temperamento eccitabile e nervoso, cominciò a non sopportare più le privazioni soprattutto quelle legate al celibato e dunque alla continenza e piuttosto che ammettere di non essere magari portato alla vita monastica, tentò di trovare nella Scrittura una sorta di “nuova giustificazione” ai suoi tormenti e tentazioni legate sempre alla concupiscenza, alla carne.

Lutero era tormentato dal sentimento di trovarsi sempre in uno stato di peccato e fatte le dovute confessioni, penitenze, digiuni ripetuti con ansia sempre più inquieta, cede davanti al dubbio atroce di non poter resistere davanti all’inesorabile maestà di Dio; di qui inizia l’atroce dubbio di ritrovarsi nel numero dei dannati. Questa tensione crebbe a livelli davvero esasperati da farlo diventare davvero morbosamente angoscioso ed inquieto.
Da qui inizia (ma solo qualche anno più avanti dando il via alla seconda parte della complessa figura di Lutero) la sua critica aspra e amara contro gli abusi veri o presunti degli uomini di Chiesa, da qui la sua autoaffermazione di “riformatore”.

Naturalmente qui, come abbiamo spiegato all’inizio, non ci soffermeremo a quella che era la situazione veramente e straordinariamente grave dei malcostumi ecclesiastici dell’epoca e delle corruttele legate alle cariche ecclesiastiche, ci basti citare il caso del Savonarola che abbiamo approfondito in questa sede (2) per comprendere che la situazione, nella Chiesa, era scandalosa sotto tutti gli aspetti.

Con queste basi dunque, Lutero inizia le sue prediche contro la dottrina cattolica sulla santificazione mediante atti di volontà, contro l’efficacia delle opere buone mettendo da parte, diceva, in secondo piano la fede e la grazia.

Lutero voleva ritornare alla purezza originale di Sant’Agostino, ma di fatto finì con l’esasperare la dottrina antipelagiana di Agostino circa il peccato, la grazia e la predestinazione.

Di fatto la teologia di Lutero fu uno specchio fedele alla sua personale battaglia interiore per la salvezza della sua anima: la sua nuova concezione teologica fu per lui, di fatto, un atto di vera liberazione dai tormenti che viveva dando origine, così, ad una nuova forma di fede.

Seguendo ciò, tre sono i punti fondamentali della nuova dottrina luterana:

1. la giustificazione mediante la sola fede;
2. la negazione del libero arbitrio;
3. la certezza di essere salvati solo per chi crede con fiducia, indipendentemente dalle opere e dalle azioni che si compiono.

Oggi molti onesti studiosi di Lutero concordano nel dire che probabilmente egli non si rese conto, nell’immediato, della portata delle sue affermazioni, come pure non ebbe probabilmente chiaro le conseguenze che questo pensiero avrebbe avuto sul piano soggettivo, così come su altri aspetti.

Le sue tesi comportavano già alla radice il ripudio ai Sacramenti, al Sacerdozio Ordinato, alle indulgenze contenute persino nella Messa, in sostanza a tutto il sistema di un Chiesa, l’unica Chiesa di Cristo della quale egli stesso faceva parte, fondata sul diritto divino, affidata a Pietro e al collegio degli Apostoli.

L’iniziativa, poi, delle famose 95 Tesi di Lutero spostarono la discussione per le strade e nella politica, il successo che egli raccolse non è che avveniva perchè chi le accoglieva volesse abbandonare la Chiesa, ma perchè attraverso queste Tesi la Chiesa si attivasse per una autentica e sospirata Riforma.
Lutero divenne l’eroe del giorno contro gli abusi e l’immoralità interna alla Chiesa.
E se l’iniziativa conquistava consensi, favorita dagli antiromani della nazione germanica e dunque si spostava ad un uso politico, si prestava di fatto poca attenzione alle gravissime conseguenze dottrinali che scaturivano dall’accettare queste Tesi.

Tuttavia non è accettabile per noi, oggi, ignorare il grave soggettivismo contenuto nella dottrina di Lutero

Nel testo firmato oggi in ambito Ecumenico nel giugno 2013 (3) si riporta una rilettura storica atta ad addolcire in un certo senso i rapporti fra luterani e cattolici, cercando di riscrivere la storia, per questo il testo è più addetto agli addetti ai lavori che non come testo di evangelizzazione vera e propria….. e leggiamo un passo:
Le indulgenze furono soltanto un pretesto, una sorta di capro espiatorio dell’inquietudine vissuta da Lutero anche se, è giusto dirlo, in molte parti della Chiesa, si era giunti a veri abusi delle indulgenze. Secondo l’opinione di Lutero, la pratica delle indulgenze nuoceva alla spiritualità cristiana. Egli si chiedeva se le indulgenze potessero liberare i penitenti dalle pene inflitte da Dio; se le pene inflitte dai sacerdoti fossero trasferite in purgatorio; se il fine delle pene, cioè di risanare e purificare l’anima, non comportasse che un penitente sincero preferisse subirle piuttosto che esserne liberato; e se il denaro dato per le indulgenze non dovesse invece essere dato ai poveri. Lutero inoltre si interrogava sulla natura del tesoro della Chiesa, a motivo del quale il papa offriva le indulgenze.
In sostanza si trattava di chiarire meglio la questione, combattere gli abusi, insomma fare un riforma dei costumi e non il mettere in dubbio la materia, l’indulgenza in se stessa.

Infatti, in un primo momento, Lutero rimase stupito dalla reazione che le sue tesi suscitarono, dal momento che non aveva previsto un evento pubblico ma piuttosto una discussione accademica. Egli temeva che le sue tesi potessero essere facilmente fraintese qualora lette da un pubblico più ampio. Così verso la fine di marzo 1518 pubblicò un sermone in lingua volgare, «Sull’indulgenza e la grazia » (Sermo von Ablass und Gnade). Questo pamphlet ebbe uno straordinario successo e procurò rapidamente a Lutero larga fama in tutta la Germania. Egli insisté più e più volte sul fatto che, fatta eccezione per le prime quattro proposizioni, le tesi non erano sue affermazioni definitive, ma piuttosto proposizioni scritte allo scopo di essere discusse.

Tuttavia, riporta Padre Coggi, che la reazione della Curia Romana del tempo si prodigò per ricondurre Lutero sulla retta dottrina intervenendo prima sui superiori del monaco agostiniano, ma il tentativo fallì perché Lutero non volle sentire ragioni. Nel testo sopra ricordato: «Sull’indulgenza e la grazia » Lutero vi accompagnò una lettera indirizzata a Papa Leone X la quale, seppur conteneva toni rispettosi, fu intransigente nella sostanza, in essa Lutero non lasciava intravvedere alcuna possibilità di una ritrattazione del suo pensiero.
Le “discussioni” che Lutero voleva erano quelle che avrebbero dovuto spingere la Chiesa a modificare alcune dottrine, e questo era inaccettabile per la Chiesa.

Riporta il testo ecumenico di giugno 2013:
Roma era preoccupata che le idee espresse da Lutero potessero minare la dottrina della Chiesa e l’autorità del papa. Per questo Lutero venne convocato a Roma per rispondere davanti al tribunale ecclesiastico della sua visione teologica. Tuttavia su richiesta del principe elettore di Sassonia, Federico il Saggio, il processo fu trasferito in Germania, alla Dieta imperiale di Augusta, dove il mandato di interrogare Lutero venne affidato al card. Caietano. Nel mandato papale era scritto che Lutero doveva ritrattare o, nel caso si fosse rifiutato, al cardinale veniva conferita la facoltà di metterlo immediatamente al bando o di arrestarlo e condurlo a Roma.

Dopo l’incontro il legato pontificio stilò la bozza di una dichiarazione per il magistero, e il papa la promulgò immediatamente dopo l’interrogatorio ad Augusta senza dare alcuna risposta agli argomenti di Lutero…

Roma promise a Lutero un processo equo, e ciò avvenne, ma il 13 ottobre 1518, in una solenne protestatio, Lutero dichiarò di essere in accordo con la santa Chiesa di Roma, ma di non potere ritrattare se non fosse stato convinto di essere in errore. Il 22 ottobre di nuovo insistette sul fatto che ciò che pensava e insegnava non era in contrasto con il magistero della Chiesa Cattolica.

Ma, riporta Padre Coggi:
Lutero, dopo essersi rifiutato di ritrattare i suoi errori, riuscì a fuggire da Augusta e, con un atto notarile, richiese che il Papa venisse informato meglio sulle sue Tesi e il 9 novembre del 1518 la Santa Sede pubblicò una Bolla sulle indulgenze per togliere a Lutero il pretesto che la Chiesa non si era ancora pronunciata ufficialmente su questo punto, come sosteneva invece Lutero. E non solo sulle indulgenze, ma anche sul Primato Petrino che Lutero aveva incluso nelle Tesi da discutere e da modificare dottrinalmente.
Sarà Lutero stesso ad appellarsi niente meno che ad un Concilio Ecumenico (al quale poi si rifiutò di andare, anche se poi morì prima dell’inizio dei lavori, parliamo del Concilio di Trento) affinchè si pronunciasse sulle sue Tesi.

-corpus-domini-storia2_543a8d02b5a96La dottrina cattolica, altro esempio, afferma che i Sacramenti sono sette e lo insegna già dal primo secolo, ma Lutero non ci crede e sostiene che la Cresima, l’Unzione degli infermi (che troviamo letteralmente nella Lettera di Giacomo 5, 14-15).

l’Ordine e Matrimonio, non sono “scritturali” nella Scrittura e perciò non sono fondati in essa. Per sostenere la negazione dell’Unzione degli infermi, arriva a mettere in dubbio, in un primo momento, la Lettera stessa di Giacomo, ma non gli riesce.

In particolare Lutero finisce per accanirsi sul Sacramento dell’ Ordine insistendo sull’unica lettura scritturale accettabile, per lui, della Scrittura nella quale si parla del “sacerdozio universale” dei fedeli, ossia, di ogni battezzato. Di conseguenza veniva a minare irrimediabilmente la realtà del sacerdozio stesso, la figura del pastore nella Chiesa, fino ad intaccare la Liturgia e il Culto a Dio, la Messa.
Per Lutero la Messa è una “ripetizione” in cui Cristo è presenza spirituale, mentre la Chiesa insegnava già da 1500 anni che la Messa è una attuazione (incruenta) del sacrificio di Cristo.

Per la Chiesa dunque solo un uomo consacrato (Sacramento dell’Ordine) può compiere il miracolo rituale della transustanziazione, Lutero invece afferma che la messa non è un sacrificio offerto sull’altare, ma la ripetizione di un ricordo che “solo la fede” rende utile e mantiene il comando del Cristo: “fate questo in memoria di me”.
Se dunque il Sacramento è ricevuto solo dalla fede, a questo punto non è più necessario ne il Sacramento e neppure un sacerdote che lo amministri. In realtà per Lutero tutti i fedeli, i credenti sono “sacerdoti” perciò è la loro “sola fede” che attua i sacramenti.
Anche a riguardo della Confessione, in quel rimettere i peccati (Gv.20,23) Lutero dice “Cristo non parla mai di dominio, ma di fede” certo dice Lutero, la confessione è comandata da Dio (è letterale e scritturale, non poteva negarla) e tuttavia egli nega che soltanto i Sacerdoti siano i detentori della confessione e parla di dominio in riferimento all’assoluzione.
In definitiva è di Lutero l’iniziativa, oggi assai in voga, della confessione pubblica dei peccati in sostituzione di quella privata anche, purtroppo, in campo cattolico.

Lutero capovolge di fatto la dottrina e la prassi della Chiesa. Per lui i Sacramenti sono il fondamento del potere sacro.

Attenzione: qui non possiamo dilungarci troppo, ma è importante per una corretta valutazione storica-dottrinale che Lutero non mise mai in dubbio il senso del ministero sacerdotale e della Presenza reale di Cristo nelle specie eucaristiche, usò “solo” un altro termine, quello di consustanziazione (della cui conseguenza dottrinale bene spiegò Paolo VI nella Mysterium Fidei) (4) anziché il termine di impianto metafisico-tomista di transubstantiatione.
A questo scempio dottrinale non giunse Lutero ma Huldrych Zwingli travisando il suo pensiero e Calvino, succedendo a Zwingli, portò a compimento l’eresia protestante sulla Liturgia, sulla Messa, sui Sacramenti.
Così, come a riguardo della Confessione, sembra accertato che Lutero, benché sposato con la ex monaca cistercense Katharina von Bora, ebbe vicino a se per tutta la vita un confessore.

E a buona ragione il testo ecumenico del giugno 2013 riporta:
Così il papa pubblicò la bolla Exsurge Domine (15 giugno 1520), che condannava 41 proposizioni tratte da varie pubblicazioni di Lutero. Anche se si possono trovare tutte negli scritti di Lutero e sono citate correttamente, sono estrapolate dai loro rispettivi contesti. Exsurge Domine definisce questi articoli come «eretici, scandalosi, falsi, offensivi per le orecchie pie, o (…) capaci di sedurre le menti degli uomini semplici o in contraddizione con la fede cattolica »,[xv] senza specificare quale di queste qualificazioni si applichi all’uno o all’altro articolo. Alla fine della bolla, il papa si rammaricò che Lutero avesse evitato di rispondere a tutte le sue offerte di discussione, e dichiarò di conservare la speranza che Lutero facesse esperienza di una conversione del cuore e si ravvedesse dei suoi errori. Papa Leone concesse a Lutero 60 giorni per ritrattare i suoi «errori», o sarebbe incorso nella scomunica.

Quando Lutero non vide un fondamento biblico nelle dichiarazioni di Roma o ritenne che tali dichiarazioni addirittura contraddicessero il messaggio biblico, egli cominciò a pensare al papa come all’Anticristo. Con questa accusa, certamente scioccante, Lutero intendeva che il papa non permetteva a Cristo di dire quanto Cristo voleva dire e che il papa si era posto al di sopra della Bibbia anziché sottomettersi alla sua autorità. Il papa sosteneva che il suo ministero era istituito iure divino («per diritto divino»), mentre Lutero non riusciva a trovare la dimostrazione biblica di questa affermazione.

Su questa evoluzione dei fatti, Padre Coggi riporta:
Nell’ottobre del 1520, cedendo ad alcune istanze, Lutero accettò di indirizzare un’altra Lettera al Papa Leone X, nella quale affermava di non aver voluto offendere la sua persona, anzi, di stimarlo; contemporaneamente però, si abbandonava a violenti oltraggi contro la Chiesa romana, e continuava a rifiutare ogni altra ritrattazione.
Poco dopo, novembre dello stesso anno, sfogò il suo odio antipapale con lo scritto “Contro la Bolla dell’Anticristo”, in cui rinnovava l’appello a un Concilio ecumenico.
Il 10 dicembre 1520 suggellò la sua ribellione all’autorità ecclesiastica con il rogo inscenato nella piazza pubblica di Wittenberg, in cui bruciò come “nemici di Dio” i libri del Diritto Canonico e la Bolla papale con la quale si firmava la sua scomunica, scomunica che divenne formale nel gennaio 1521 dopo aver atteso invano, un ulteriore ritrattazione che non venne mai.

In tutta la sua attività letteraria, da un certo punto in poi, Lutero non ebbe riguardo di trattare in modo brutale e violento il Papa e i “papisti”. Al termine dell’adunata di Smalkalda egli gridava ai predicatori: “Dio vi riempia di odio contro il Papa”. Con l’avanzare degli anni e l’evolversi della situazione quell’odio lungi dal cessare, non farà altro che crescere e dilagare.

Il testo stesso, quello ecumenico del giugno 2013, riporta ancora:
L’interpretazione del Vangelo che Lutero proponeva convinse un numero crescente di preti, monaci e predicatori, che cercavano di introdurla nei loro sermoni. Segni visibili dei cambiamenti che stavano avvenendo furono il fatto che i laici ricevevano la comunione sotto le due specie, che alcuni preti e monaci si sposarono, che certe regole di digiuno non vennero più osservate e che talvolta si manifestò irriverenza nei confronti di immagini sacre e reliquie. Lutero non aveva alcuna intenzione di fondare una nuova Chiesa, ma era espressione di un ampio e sfaccettato desiderio di riforma. Egli ebbe un ruolo sempre più attivo nel tentativo di contribuire a una riforma di pratiche e dottrine che sembravano essere basate sulla sola autorità umana ed essere in tensione o addirittura in contraddizione con le Scritture. (5)

Il Concilio (di Trento), nel desiderio di preservare, «una volta tolti di mezzo gli errori, la stessa purezza del Vangelo », l’8 aprile 1546 approvò il suo decreto sulle fonti della rivelazione. Pur senza nominarlo in maniera esplicita, il Concilio rifiutò il principio della sola Scriptura, dichiarando che era inammissibile scindere la Scrittura dalla tradizione. Decretò che il Vangelo, «quale fonte di ogni verità salvifica e di ogni norma morale», era conservato «nei libri scritti e nelle tradizioni non scritte», senza tuttavia risolvere il rapporto tra Scrittura e tradizione. Inoltre dichiarò che le tradizioni apostoliche riguardanti la fede e la morale erano «conservate nella Chiesa cattolica in forza di una successione mai interrotta». La Scrittura e la tradizione dovevano essere accolte «con uguale pietà e venerazione».

06-agostino-pentecostali-6_543a95a7b5019Conclusione

Siamo partiti dall’identificare il problema luterano da un problema personale di Lutero e finiremo per ribadire lo stesso concetto: Lutero pur partendo da un suo problema esistenziale rivela, senza alcun dubbio alcuno, un punto fondamentale che è l’essenza del Cristianesimo stesso: “Come posso salvarmi? Come posso trovare un Dio propizio? Come posso ottenere il perdono dei peccati? Come posso essere certo di averlo ottenuto?”

Queste erano le grandi domande che angustiavano Lutero, e lui ha creduto di trovarle nella sua dottrina; la Chiesa invece dal canto suo, in questi secoli, ha dimostrato che ciò che insegna non solo è ancora valido, ma è a tutt’oggi fondamentale.
Per Lutero ciò che conta non è tanto conoscere “chi è” Dio o “che cosa” Egli ha fatto per noi, quanto sapere semplicemente “in che modo io posso raggiungere la salvezza”.

La prospettiva luterana è apparentemente la via più pratica, forse anche più facile….. ma anche la più pericolosa perchè in sostanza Lutero dice: “che Gesù sia o non sia il Figlio di Dio non è importante; importa solo che Egli sia il Salvatore”.

E’ una affermazione gravida di conseguenze nocive per l’identità stessa del Cristo, per l’identità stessa del Cristianesimo, per l’affermazione stessa della Santissima Trinità e che segna, al di la delle intenzioni stesse di Lutero, un decisivo distacco dalla Tradizione cristiana dei secoli precedenti: si pensi solo ai cristiani del tempo del Concilio di Nicea, disposti a dare la propria vita pur di difendere la divinità ed insieme l’umanità acquisita di Gesù Cristo, Figlio di Dio, ma anche Dio; si pensi ai Padri della Chiesa quanto hanno lottato contro l’eresia ariana e di altre eresie che mettevano a rischio l’identità del Cristo.

Per Lutero non è importante il dogma, non conta la conoscenza della realtà obiettiva, della realtà in se stessa, e neppure di Dio (o di Gesù Cristo) in se stesso, ma conta solo ciò che Dio (o Gesù Cristo) è “per me”.

Non a caso la Chiesa Cattolica ha messo nel Catechismo le tre virtù teologali di cui una è il famoso Atto di fede:
“Mio Dio, poichè sei Verità infallibile, credo fermamente tutto quello che Tu hai rivelato, e la Santa Chiesa ci propone a credere. Ed espressamente credo in Te, unico vero Dio in tre Persone uguali e distinte…..”

per Lutero invece la fede non è tanto l’adesione a delle “verità rivelate”, ma semplice abbandono fiducioso in Dio.

Intendiamoci: il concetto di fede in se di Lutero non è del tutto sbagliato… il problema suscitato da lui è quello di una fede affettiva contro quella conoscitiva mentre la Chiesa ha sempre insegnato l’equilibrio di entrambe le sfere: affettiva (ti amo mio Dio, ti dono me stesso) e conoscitiva ( ti cerco mio Dio, Dio mio perchè mi hai abbandonato?).

Gesù non ha consegnato a Pietro una esclusiva sull’affettività, sul sentimento, sull’emotività, ma ha consegnato “le chiavi”, ha consegnato agli Apostoli “un mandato”, ha dato loro una autorità da custodire, tramandare ed usare: andare ed ammaestrare presuppone anche la conoscenza delle verità rivelate (catechismo-dogma-dottrine) aspetti questi che alla fine però lo stesso Luterò userà dal momento che sviluppa ben due catechismi uno maggiore ed uno minore ad uso del popolo, ecco perchè avvenne poi la divisione e lo sviluppo di nuove comunità separate: Lutero che non voleva di fatto fondare una nuova Chiesa ma pretendeva che la Chiesa si riformasse con le sue dottrine, di fatto, pur senza pensarlo e volerlo, fece sì che i suoi seguaci, in particolare Huldrych Zwingli (Ulderico Zuinglio) e Jean Cauvin (Giovanni Calvino) dessero origine ad una “chiesa parallela senza Sacramenti, senza la Presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, senza Sacerdozio, senza dogmi e – pensava – senza dottrine, ma di fatto ha dato origine a dottrine nuove; senza Tradizione, ma di fatto dando origine alla sua tradizione che è il mondo variegato del protestantesimo oggi conosciuto come “mondo evangelico”. Insomma più che una chiesa riformata Lutero si trovò a dare inconsapevolmente vita a nuova forma e visione di cristianesimo fondato sul suo specifico soggettivismo.

Nel saggio “Lutero e la salvezza dell’anima” – riporta sempre Padre Coggi nel suo “Ripensando Lutero”, dopo aver ribadito che “Il vero motivo dell’abbandono della Chiesa cattolica da parte di Lutero non sta […] nella grave crisi morale e anche, se vogliamo, dottrinale, che travagliava il cattolicesimo dell’epoca del Rinascimento, e neppure nella scarsa conoscenza che Lutero avrebbe avuto della genuina dottrina cattolica” l’autore sottolinea come molto spesso non sia stato tenuto nella dovuta considerazione l’aspetto del temperamento e della costituzione psichica dell’eretico di Eisleben.

Così, molto opportunamente, riporta questo giudizio del teologo luterano Gerhard Ebeling: “Lutero appare una personalità prevalentemente ciclotimica, di costituzione picnica e di una scala alternante nell’umore fra gli stadi iper e ipotimici, combinata in pari tempo con una costituzione stenica degli impulsi”.
Commenta padre Coggi: “Questo referto medico, per chi sa leggerlo, è notevolmente preoccupante” (p. 66).

e ancora a pag.73:
“Lutero è irremovibile nella sua idea. Egli scrive nel 1522: “Io non ammetto che la mia dottrina possa venire giudicata da alcuno, neanche dagli angeli. Chi non riceve la mia dottrina non può giungere alla salvezza”.
Non crediamo sia necessario ulteriore commento alla frase.

Infine la realtà odierna è assai diversificata poichè con il concetto del Sola Scriptura il mondo Protestante non ha un unica guida, un unico “magistero”, piuttosto esistono attualmente circa 36 mila denominazioni evangeliche ognuna indipendente dall’altra, nelle quali la propria interpretazione delle Scritture garantisce la comunione a seconda di come la si pensa.
Grazie al processo dell’Ecumenismo si è riusciti oggi ad avere almeno dei grandi gruppi più o meno riconosciuti e fra i quali si sono costruiti ottimi rapporti, ma non basta.

Tanto per fare un esempio:
nel 1999 è stato firmato un importante Documento sulla Dichiarazione congiunta sulla Dottrina della giustificazione fra la Chiesa Cattolica e la Federazione Luterana Mondiale. Tuttavia non tutte le comunità luterane lo ritengono vincolante per loro. La sintesi che segue si basa su questa Dichiarazione, che offre un consenso differenziante costituito da enunciazioni comuni accanto ad accentuazioni differenti di ciascuna parte, con la specificazione che queste differenze non invalidano i punti di vista comuni. Si tratta, pertanto, di un consenso che non elimina le differenze, ma piuttosto le include in maniera esplicita.

Sull’Eucaristia e sugli altri Sacramenti non ci sono stati passi ulteriori, la grave divisione resta, al di la di ogni, seppur legittimo, tentativo di dialogo, tenendo bene a mente che il sincretismo religioso non giova a nessuno e non risolve alcun problema.

Ed infine troviamo il serio allarme lanciato a suo tempo dall’allora cardinale Ratzinger e poi  Papa Benedetto XVI, nell’intervista di Messori Rapporto sulla Fede, dove leggiamo:

… dei veri e propri errori che insidiano sia la teologia che l’opinione comune cattolica”.
Spiega (Ratzinger): “La mia impressione è che tacitamente si vada perdendo il senso autenticamente cattolico della realtà “Chiesa” senza che lo si respinga espressamente. Molti non credono più che si tratti di una realtà voluta dal Signore stesso. Anche presso alcuni teologi, la Chiesa appare come una costruzione umana, uno strumento creato da noi e che quindi noi stessi possiamo riorganizzare liberamente a seconda delle esigenze del momento. Si è cioè insinuata in molti modi nel pensiero cattolico, e perfino nella teologia cattolica, una concezione di Chiesa che non si può neppure chiamare protestante, in senso ” classico “. Alcune idee ecclesiologiche correnti vanno collegate piuttosto al modello di certe “chiese libere” del Nord America, dove si rifugiavano i credenti per sfuggire al modello oppressivo di “chiesa di Stato” prodotto in Europa dalla Riforma. Quei profughi, non credendo più nella Chiesa come voluta da Cristo e volendo nello stesso tempo sfuggire alla chiesa di stato, creavano la loro chiesa, un’organizzazione strutturata secondo i loro bisogni”.

e ancora:
Qui diamo conto di quanto ci è stato detto a proposito di un’altra conseguenza della crisi dell’idea di Chiesa: la crisi di fiducia nella Scrittura così come è letta dalla Chiesa stessa.

Dice (Ratzinger): “Il legame tra Bibbia e Chiesa è stato spezzato. Questa separazione è iniziata da secoli in ambiente protestante e si è estesa di recente anche tra gli studiosi cattolici. L’interpretazione storico-critica della Scrittura ha certamente aperto molte e grandiose possibilità nuove di comprendere meglio il testo biblico. Ma essa, per sua stessa natura, – può illuminarlo solo nella sua dimensione storica e non nella sua attuale valenza. Se si dimentica questo limite essa diventa non solo illogica, ma anche, proprio perciò, non-scientifica; si dimentica allora anche che la Bibbia come messaggio per il presente e per il futuro può essere compresa solo nel collegamento vitale con la Chiesa. Si finisce così per leggere la Scrittura non più a partire dalla Tradizione della Chiesa e con la Chiesa, ma a partire dall’ultimo metodo che si presenti come “scientifico”. Questa indipendenza è diventata, in alcuni, addirittura una contrapposizione; tanto che la fede tradizionale della Chiesa a molti non sembra più giustificata dall’esegesi critica ma appare soltanto come un ostacolo alla comprensione autentica, ” moderna ” del cristianesimo”.

Commemorando, nel 1968, il 18° anniversario della proclamazione del dogma dell’assunzione di Maria in corpo e anima alla gloria celeste, l’allora professor Ratzinger già osservava: “L’orientamento, in pochi anni, è talmente mutato che oggi ci riesce difficile capire l’entusiasmo e la gioia che allora regnarono nella Chiesa. Oggi si cerca magari di eludere quel dogma che tanto ci aveva esaltati, ci si domanda se questa verità dell’Assunta – come tutte le altre verità cattoliche su Maria – non procuri difficoltà con i fratelli protestanti. Quasi che la mariologia fosse una pietra che ostacola il cammino verso la riunione. E ci domandiamo anche se, attribuendo il posto tradizionale a Maria, non si minacci addirittura l’orientamento della pietà cristiana, deviandola dal guardare solo a Dio Padre e all’unico mediatore, Gesù Cristo”.

Eppure (spiega ancora Vittorio Messori), mi dirà durante il colloquio, “se sempre il posto occupato dalla Madonna è stato essenziale all’equilibrio della fede, oggi ritrovare quel posto è urgente come in poche altre epoche della storia della Chiesa”.

“Eminenza (chiede Messori), c’è chi dice che sia in atto un processo di “protestantizzazione” del cattolicesimo”.
La risposta, come al solito, accetta in pieno la battuta: “Dipende innanzitutto da come si definisce il contenuto di “protestantesimo”. Chi oggi parla di “protestantizzazione” della Chiesa cattolica, intende in genere con questa espressione un mutamento nella concezione di fondo della Chiesa, un’altra visione del rapporto fra Chiesa e vangelo. Il pericolo di una tale trasformazione sussiste realmente; non è solo uno spauracchio agitato in qualche ambiente integrista”.

Ma perché proprio il protestantesimo – la cui crisi non è certo minore di quella cattolica – dovrebbe oggi attirare teologi e fedeli che sino al Concilio erano restati fedeli alla Chiesa di Roma?

“Non è certamente una cosa facile da chiarire (risponde Ratzinger). Si impone tuttavia la seguente considerazione: il protestantesimo è nato all’inizio dell’epoca moderna ed è pertanto molto più apparentato che non il cattolicesimo con le idee-forza che hanno dato origine al mondo moderno. La sua attuale configurazione l’ha trovata in gran parte proprio nell’incontro con le grandi correnti filosofiche del XIX secolo. È la sua chance ed insieme la sua fragilità questo suo essere molto aperto al pensiero moderno. Così può nascere l’opinione (proprio presso teologi cattolici che non sanno più che fare della teologia tradizionale) che nel “protestantesimo ” si possano trovare già tracciate le vie giuste per l’intesa fra la fede e il mondo moderno”.
(Rapporto sulla fede Vittorio Messori a colloquio con Joseph Ratzinger)

Note

1) libro “Ripensando Lutero” di Padre Roberto Coggi O.P.
2) Il caso del Savonarola e di Papa Alessandro VI (Borgia)
3) Testo firmato oggi in ambito Ecumenico giugno 2013
4) “Ma perché nessuno fraintenda questo modo di presenza, che supera le leggi della natura e costituisce nel suo genere il più grande dei miracoli,(50) è necessario ascoltare docilmente la voce della Chiesa docente e orante. Ora questa voce, che riecheggia continuamente la voce di Cristo, ci assicura che Cristo non si fa presente in questo Sacramento se non per la conversione di tutta la sostanza del pane nel corpo di Cristo e di tutta la sostanza del vino nel suo sangue; conversione singolare e mirabile che la Chiesa Cattolica chiama giustamente e propriamente transustanziazione.”
(Lettera Enciclica Mysterium Fidei di Paolo VI – 3 settembre 1965)
5) si legga il Decreto congiunto sulla Dottrina della Giustificazione 31 ottobre 1999


 

AGGIORNAMENTO AL 2016

La giustificazione, Lutero, il Sinodo sulla famiglia

Con l’approssimarsi delle commemorazioni per il quinto centenario delle 95 tesi affisse da Martin Lutero, è tornato d’attualità il tema della “giustificazione”, centrale per comprendere la divisione tra cattolici e luterani. Il tema è stato toccato dapprima dal papa emerito Benedetto XVI e poi da papa Francesco. Sul tema, abbiamo  intervistato monsignor Antonio Livi, professore emerito di Filosofia della conoscenza nella Pontificia Università Lateranense.

Martin Lutero

 

Con l’approssimarsi delle commemorazioni per il quinto centenario delle 95 tesi affisse da Martin Lutero, è tornato d’attualità il tema della “giustificazione”, centrale per comprendere la divisione tra cattolici e luterani. Il tema è stato toccato dapprima dal papa emerito Benedetto XVI, con una intervista in occasione di un convegno proprio su questo argomento, e poi   da papa Francesco in una risposta durante la tradizionale conferenza stampa in aereo di ritorno dall’Armenia, il 26 giugno scorso. Abbiamo perciò cercato di approfondire i termini esatti della questione, intervistando monsignor Antonio Livi, professore emerito di Filosofia della conoscenza nella Pontificia Università Lateranense, studioso di fama internazionale, autore di numerose pubblicazioni, tra cui Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un ‘equivoca filosofia religiosa”, Casa editrice Leonardo da Vinci, 2012.

Monsignore, la dottrina della giustificazione che rilievo ha in seno alla fede cattolica?

«Si tratta della grazia santificante, l’azione gratuita e misericordiosa di Dio che redime dal peccato originale e consente il progresso della vita cristiana. Il termine “giustificazione” è biblico, perché nella Scrittura “giusto” vuol dire “santo”: l’uomo giusto è colui che si pone nella giusta posizione davanti a Dio, adorandolo per la sua Maestà divina e immensa Bontà, implorando da Lui la salvezza propria e altrui, ringraziandolo per tutti i suoi benefici e obbedendo gioiosamente ai suoi comandamenti, che sono la vera via della felicità. E Dio può e vuole “giustificare” con la sua grazia l’uomo, redimendolo dal peccato originale, restituendogli l’innocenza perduta con il peccato personale (e in tal modo conservandolo nell’amicizia con Dio stesso). La grazia santificante si chiama per questo gratia gratum faciens, nel senso che rende l’uomo giusto e dunque gradito a Dio (perché Dio, come ripete incessantemente la Scrittura, non tollera il peccato: ama l’uomo peccatore, ma proprio perché lo ama lo vuole liberare dal peccato, che è l’unico ostacolo per la sua felicità temporale ed eterna). Secondo la dottrina cattolica, l’anima del peccatore che diventa giusto passa dallo stato di inimicizia con Dio allo stato d’amicizia: la “giustificazione” è dunque un passaggio dallo stato di peccato a quello di grazia. Come definisce il Concilio di Trento, “la giustificazione del peccatore è il passaggio da quello stato in cui l’uomo nasce figlio del primo Adamo allo stato di grazia e di adozione dei figli di Dio [Rm 8, 15] per mezzo del secondo Adamo Gesù Cristo Salvatore nostro” (Decreto sulla giustificazione). L’uomo rinnovato, risanato quindi ed elevato all’ordine soprannaturale, riacquista la realtà dell’amicizia con Dio, è mondato ed elevato anche perché possa in questa vita accedere degnamente al sommo sacramento, l’Eucarestia, ove si unisce con Gesù Cristo stesso, anticipando già in questa vita l’unione perfetta con Dio nella gloria.»

Centrale, infatti, è la consapevolezza, acutamente precisata da sant’Antonio nei suo Sermoni, che il “giusto” è “colui che accusa se stesso”. Tale dottrina coincide con quanto affermano anche i protestanti?

«Che cosa affermino oggi i protestanti non è facile dirlo, perché in quel campo non c’è un vero e proprio magistero, come non c’è una dottrina teologica riconosciuta da tutte le varie comunità “riformate” o “evangeliche”, le quali non si riconoscono nemmeno in un’unica interpretazione del pensiero del Riformatore. Se però ci si riferisce a quelle che sono state le tesi di Martin Lutero, si deve dire che con la sua “riforma” la dottrina cattolica sulla grazia santificante ne è risultata stravolta e rinnegata nella sua verità più profonda ed essenziale. Lutero, innanzitutto, ha creduto di poter dedurre dalla Lettera ai Romani una concezione della fede come fides fiducialis, ossia come mera fiducia nei meriti di Cristo redentore, la cui grazia non renderebbe giusto il peccatore ma si limiterebbe a “coprirne” i peccati, non imputandoglieli e sottraendolo così al giusto castigo divino».

Ma non si tratta di una palese contraddizione?

«Per questo Lutero immagina che il cristiano sia allo stesso tempo peccatore e giustificato («homo simul iustus et peccator»). Insomma, colui al quale sono imputati i meriti di Cristo – e che sarebbe quindi un “giusto” – non per questo è rinnovato dalla grazia santificante, non è un “homo novus”, ma è una “carogna” (il termine è dello stesso Lutero) avvolta dal manto immacolato dei meriti di Cristo; egli quindi, senza abbandonare il suo peccato, può essere un giustificato. In questa prospettiva non c’è più spazio per la dottrina spirituale cattolica che esige da ogni fedele l’impegno ascetico, in modo che, sostenuto dalle “grazie attuali”, egli abbia sempre la disponibilità alle rinunce e ai sacrifici, ossia a quella “lotta interiore” che serve a evitare il peccato o a emendarsene. La concezione di una radicale corruzione dell’uomo dopo il peccato originale ha portato Lutero alla teorizzazione di una salvezza “sola fide”, una “fede” la cui nozione – che ha oggi invaso il mondo cattolico – è falsa, perché non è la fede dogmatica, per cui è essenziale l’adesione ai contenuti della Rivelazione, ma la fede-fiduciale in cui quel che conta è l’aspetto per così dire “sentimentale”.  Quindi, dice Lutero, “pecca fortemente, ma credi ancor più fortemente” (“pecca fortiter, sed crede fortius”), ovvero quanto più l’uomo continua a peccare tanto più dimostra la propria assoluta fiducia nei meriti di Cristo, che hanno il potere divino di salvare indipendentemente dal libero arbitrio del credente. Quel che è peggio è che, in questa concezione luterana della giustificazione, i mezzi stabiliti da Dio per concedere la sua grazia, che sono i Sacramenti di Cristo, vengono privati a uno a uno del loro significato propriamente teologico, e alla fine vengono del tutto aboliti, salvo (apparentemente) il Battesimo. Data la gravità di queste interpretazioni eretiche, disastrose per la salvezza delle anime secondo il progetto misericordioso di Dio, la Chiesa ha dovuto condannare come eretica la dottrina luterana sulla giustificazione, e lo ha fatto con precisi e inequivocabili “canoni” o “anatematismi” nel Concilio di Trento (Sessione VI, 13 gennaio 1547)».

C’è stato un riavvicinamento tra le due posizioni nei tempi recenti?

«Premetto che di “due posizioni” non si può parlare. Infatti, la posizione della Chiesa cattolica – che ha un Magistero e una dottrina ben definita, fissata in formule dogmatiche – non si può in alcun modo confrontare con la miriade di varianti interpretative e di sviluppi teoretici delle idee di Lutero, visto che la proliferazione di denominazioni nell’ambito della Riforma, rendono praticamente impossibile individuare una dottrina comune. Ciò nonostante, c’è stata una serie di tentativi di dialogo interreligioso, nell’ambito della quale una commissione di teologi cattolici (designati dalla Santa Sede) ha discusso con una commissione di teologi luterani (designati dalle diverse autorità religiose di ispirazione luterana) la possibilità di trovare dei punti d’incontro tra il dogma cattolico e quello che tale commissione ritiene possa dirsi oggi la dottrina di Lutero. Ma tale convegno di studio, animato da intenzioni più politiche che scientifiche, ha elaborato un documento finale (pubblicato il 31 ottobre 1997) nel quale, con discorsi estremamente ambigui, i luterani hanno presentato gli sviluppi della loro dottrina sulla giustificazione in modo che non assomigli più a ciò che il Concilio di Trento aveva condannato, e i cattolici hanno fatto finta di credere che così non ci sono più divergenze dottrinali tra la Chiesa e le comunità nate dalla Riforma. La stessa Santa Sede (con un documento congiunto della Congregazione per la dottrina della fede e del Segretariato per l’unità dei cristiani) ha negato che le conclusioni raggiunte nel convegno di studi abbiano risolto alcun problema (cfr la Risposta della Chiesa Cattolica alla dichiarazione congiunta tra la Chiesa Cattolica e la Federazione luterana mondiale circa la dottrina della giustificazione, 25 giugno 1998). Per arrivare a dire che la Chiesa ha finalmente riconosciuto che Lutero aveva ragione e che essa ha sbagliato (perché avrebbe interpretato male le tesi del Riformatore o perché era ancora legata a una teologia tomista che oggi sarebbe superata) bisognerebbe che ciò fosse affermato formalmente, non da una qualsiasi commissione di teologi, ma da un Concilio ecumenico a carattere esplicitamente dogmatico che abolisse gli “anatematismi” del Concilio di Trento. Ma questo è proprio impossibile.  Anche quando c’è una riforma nella Chiesa, essa non riguarda mai il dogma, ossia ciò che è stato “definito” semel pro semper ed è quindi irreformabile: riguarda piuttosto aspetti riformabili (accidentali) della dottrina, della morale e della prassi pastorale, e anche in questi ambiti una riforma promossa dal Magistero va interpretata – lo ha spiegato bene papa Benedetto XV – come “riforma nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa”. E il “soggetto-Chiesa”, aggiungo io, è Gesù in Persona, il quale è l’unico Maestro e non può smentire se stesso, perché la proclamazione della sua verità salvifica ha delle esigenze assolute, infinitamente superiori a ogni esigenza relativa, diplomatica o pastorale, presente nel “dialogo interreligioso”!».

Le correnti teologiche oggi più influenti sono in grado di ben armonizzare tra loro temi come la grazia e la natura, la salvezza e la perdizione, il divino e l’umano?

«Se si guarda al panorama della teologia attuale in termini di sociologia della cultura e di sociologia religiosa, non possiamo non constatare che quella “dittatura del relativismo” che Benedetto XVI tanto deprecava e dalla quale voleva liberare la Chiesa è oggi più opprimente che mai. E parte di questa dittatura è proprio l’egemonia politico-ecclesiastica della teologia di ispirazione luterana, la quale ha tra i suoi rappresentanti più influenti, tra gli accademici, Karl Rahner e Hans Küng, e tra i cardinali di Curia Walter Kasper. Questa teologia ripropone sostanzialmente la tesi fideistica sulla giustificazione, e quindi mette in ombra il ruolo primario dei sacramenti della grazia santificante, a cominciare dalla Penitenza e dall’Eucaristia».

Questa teologia ha influenzato anche il Sinodo sulla famiglia?

«Anche il dibattito nei due Sinodi sulla famiglia a proposito dello “stato di peccato”, in cui versano i battezzati che hanno mancato alla fedeltà coniugale e hanno instaurato una convivenza adulterina, ha messo in evidenza come questa mentalità abbia reso molti padri sinodali insensibili alla necessità della riconciliazione di quelle persone con Dio e con la Chiesa mediante il sacramento della Penitenza, che conferisce la grazia di Cristo a condizione che il penitente eserciti il suo libero arbitrio con gli “atti” che il rito cattolico da sempre prescrive (anche dopo la riforma liturgica di Paolo VI), ossia l’esame di coscienza, il pentimento sincero ed efficace, l’accusa dei peccati con il proponimento di non più commetterli, la “soddisfazione” o riparazione.  Ottenuta dal ministro sacro – che è proprio, per esplicito mandato di Cristo, giudice delle debite disposizioni del penitente – l’assoluzione sacramentale, il fedele è nelle condizioni di poter accedere al sacramento dell’Eucaristia, che è molto più di un mero simbolo della presenza spirituale di Cristo nella comunità orante, ma è, in virtù della transustanziazione,  la possibilità di un incontro personale con Gesù presente fisicamente («in corpo, sangue, anima e divinità») sotto le apparenze del pane e del vino. È il dogma della “presenza reale” – che Lutero disconosce espressamente e i filo-luterani di oggi tendono a sottovalutare o addirittura a relegare tra le inutili astruserie – ciò che deve sollecitare gli operatori della pastorale dei “divorziati risposati” ad adoperarsi, in spirito di autentica misericordia, perché queste persone possano accedere alla Comunione eucaristica con le debite disposizioni, ossia già riconciliati e in “stato di grazia”, evitando di profanare il corpo e il sangue del Signore e di tramutare così in “motivo di condanna” ciò che Dio ha disposto per la loro salvezza e santificazione (si veda Dogma e pastorale. L’ermeneutica del Magistero dal Vaticano II al Sinodo sulla famiglia, a cura di Antonio Livi, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2016)».

 

 


 

 

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