Anche gli animali vanno in Paradiso?
Cara Catechista,
in rete gira questa notizia un pò datata, del 2014, ma io l’ho letta in questi giorni:
Papa Francesco: “Andremo in paradiso come gli animali”. Così il Pontefice in un’udienza sul tema della vita e della morte
Papa Francesco apre alla prospettiva del paradiso anche per gli animali e lo fa in un’udienza generale dedicata al tema della vita e della morte. In proposito il Pontefice ha citato l’apostolo Paolo che ad un bambino in lacrime per la morte del suo cane aveva risposto: “Un giorno rivedremo i nostri animali nell’eternità di Cristo”.
Anche Giovanni Paolo II in passato aveva adottato una linea simile, affermando che non solo gli uomini e le donne, ma anche gli animali hanno un “soffio divino”. Al contrario Benedetto XVI aveva tenuto una linea più tradizionale, ribadendo la posizione più classica della Chiesa, per la quale “mentre nelle altre creature, che non sono chiamate all’eternità, la morte significa soltanto la fine dell’esistenza sulla terra, in noi il peccato crea una voragine che rischia di inghiottirci per sempre, se il Padre che è nei cieli non ci tende la sua mano”.
Questa la notizia che gira in internet e però mi lascia perplesso, come regolarmi? Gianni
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Per chi preferisse, abbiamo dato risposta anche in video-audio qui:
confesso che non comprendo bene i termini della tua domanda: vuoi sapere se gli animali andranno in paradiso? se il Papa ha detto il vero? se c’è confusione sull’argomento? Proverò a rispondere sperando di chiarire i tuoi dubbi anche perchè ho provato a scriverti in privato ma la posta è tornata indietro con un errore, spero dunque che potrai leggere da qui.
Innanzi tutto, come spesso consiglio, andate alla fonte dei testi originali perchè quel che gira in rete, se non porta la fonte, è spesso un copia-incolla senza controllo e spesso sono dei clamorosi falsi.
Facendo un paio di ricerche ho individuato a quale Udienza si riferisce la notizia, quella del 26 novembre 2014 – vedi qui il testo integrale ed ufficiale – e, leggendo il testo, il Papa Francesco non solo non ha mai pronunciato quelle parole “virgolettate”, ma neppure “l’apostolo Paolo” ha mai discusso con un bambino a cui era morto un cane, che è frase attribuita invece a Paolo VI ma anche qui non esiste alcuna fonte ufficiale.
Che vi sia confusione è certo a cominciare dalla fantasia (contorta o non, distorta o perversa che sia) di chi sparpaglia certe notizie, come nel contenuto della frase che è davvero stonata: “in paradiso come gli animali”, semmai la frase corretta sarebbe “anche gli animali andranno in paradiso come noi”, ma ad ogni modo è tutto il concetto che non quadra.
Di recente Padre Angelo O.P. di Amici Domenicani – un sacerdote risponde, vedi qui – ad un quesito simile:
6) gli animali hanno un’anima vegetativa e sensitiva, mancano di quella intellettiva e spirituale, quindi la loro vita si esaurisce con la morte;
ha risposto: Questa è l’unica affermazione perfettamente esatta e che non necessita di distinzioni o precisazioni.
Noi ora qui la distinzione la faremo ma non per correggere la frase o addirittura Padre Angelo, al contrario, approfondiremo perchè la frase ” quindi la loro vita si esaurisce con la morte” è corretta.
Giusta è la frase attribuita a Papa Benedetto XVI che disse in una Omelia:
“Sfortunatamente l’uomo è capace di spegnere questa nuova vita con il suo peccato, riducendosi ad una situazione che la Sacra Scrittura chiama “morte seconda”. Mentre nelle altre creature, che non sono chiamate all’eternità, la morte significa soltanto la fine dell’esistenza sulla terra, in noi il peccato crea una voragine che rischia di inghiottirci per sempre, se il Padre che è nei cieli non ci tende la sua mano…” (Omelia 13 gennaio 2008)
Anche Giovanni Paolo II non ha mai affermato, testualmente parlando, che “gli animali andranno in paradiso come noi” o che abbiano “il soffio divino”, in una Udienza del 10 gennaio 1990 – vedi qui – egli fece un discorso ben diverso, disse:
“Quando il Libro della Genesi, al capitolo 2, parla della creazione degli animali (Gen 2, 19), non accenna a una relazione così stretta col soffio di Dio. Dal capitolo precedente sappiamo che l’uomo è stato creato “a immagine e somiglianza di Dio” (Gen 1, 26-27).
Altri testi, tuttavia, ammettono che anche gli animali hanno un alito o soffio vitale e che l’hanno ricevuto da Dio. Sotto questo aspetto l’uomo, uscito dalle mani di Dio, appare solidale con tutti gli esseri viventi. Così il Salmo 104 non pone distinzione tra gli uomini e gli animali quando dice, rivolgendosi a Dio creatore: “Tutti da te aspettano che tu dia loro il cibo in tempo opportuno. Tu lo provvedi, essi lo raccolgono” (Sal 104, 27-28). Poi il Salmista aggiunge: “Se togli loro il soffio, muoiono e ritornano nella polvere. Mandi il tuo soffio, sono creati e rinnovati la faccia della terra” (Sal 104, 29-30). L’esistenza delle creature dipende dunque dall’azione del soffio-spirito di Dio, che non solo crea, ma anche conserva e rinnova continuamente la faccia della terra…”
Non si parla di Paradiso nè si parla si “soffio divino” nel senso che viene dato all’uomo, ed è certo invece che tutto ciò che ha vita nel nostro pianeta e nell’universo intero, lo stesso atomo, la stessa cellula che si riproduce, così come il mondo vegetale, tutto ha ricevuto da Dio ciò che chiamiamo “vita”, ma il “soffio divino” è ben altra cosa dal “soffio vitale”. La cellula, l’atomo, la pianta, anche un moscerino, perfino quelli che chiamiamo con giusto disgusto i “parassiti”, tutti hanno ricevuto “il soffio vitale” per iniziare ad esistere e ad evolversi, ma solo nell’uomo il “soffio divino” gli ha dato quello che la Scrittura definisce “immagine e somiglianza di Dio” e che comprendiamo bene dall’Incarnazione di Dio, quando Dio si fece Uomo e venne ad abitare in mezzo a noi: Gesù il Cristo.
Dio si è fatto “Uomo” e non una pianta, un animale, o altro.
Può deludere e farci soffrire il solo pensare che gli animali che amiamo sulla terra, che ci hanno dato il loro “affetto”, non possano condividere con noi quella specifica eternità promessa… in verità la Scrittura non dice molto a proposito degli animali e della loro sorte, però ci da delle indicazioni molto interessanti:
nel libro della Sapienza, per esempio, leggiamo che Dio ama tutto quello che ha creato. Nel salmo 103, la Bibbia dice: “tutto sarà ricreato”, il punto è che non sarà come una sorta di paradiso terrestre. Diversi profeti annunciano “l’agnello e il lupo pascoleranno insieme e anche l’orsa e il leone”, ma non è come ci immaginiamo.
San Paolo dice (Rm. 8,18-23) “io ritengo che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà esser rivelata in noi. La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità — non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa — e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo.”
Un conto allora è discutere sul concetto di quell’andare in Paradiso, ossia quel “santificarci” dal momento che il “peccato originale” ci aveva chiuse quelle porte beate e Gesù ce le ha riaperte, ma per andarci dovremo convertirci, santificarci, atto volontario che non spetta agli animali (i quali – semmai – subiscono questa situazione come vedremo), nè alla creazione intera la quale, come spiega San Paolo, appunto, “è stata sottomessa” e quindi attende anch’essa il riscatto, attende “la rivelazione dei figli di Dio”. Questa beatitudine del Paradiso pertanto, attende solo gli uomini e non gli animali.
Diverso è sperare e credere che “tutta la creazione” di Dio, e quindi è corretto pensare anche al mondo animale, sarà “liberata” da questa schiavitù introdotta dal peccato.
Noi attendiamo “la redenzione del nostro corpo” spiega San Paolo, ma noi che abbiamo “le primizie dello Spirito”, la creazione invece ” attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio “….
E’ plausibile dunque che in qualche modo (che noi non comprendiamo) anche gli animali che abbiamo amato riceveranno ( o potrebbero ricevere) questa “liberazione” a cui allude Paolo, ma non si parla nè di Paradiso, neppure di una medesima sorte, questo è da chiarire serenamente. Ma restiamo appunto nel teorico.
Laddove invece questo pensiero può intristirci (e che è una tentazione a mettere in dubbio le capacità di Dio o addirittura la Sua bontà pianificata sui nostri pensieri), deve essere subito cancellato dalla nostra mente con la verità sulla nostra esistenza, sul chi siamo (quella immagine di Dio), perchè Dio si è fatto uomo, perchè è morto sulla Croce per noi, perchè ci ha preparato un regno santo (la Gerusalemme beata), gli animali (come le piante) ci sono state donate da Dio per la nostra vita terrena ed è certo che Dio, di tutto ciò che ha creato, nulla distruggerà, ma al momento non ci deve interessare la “loro” sorte, dobbiamo davvero pensare a salvare le nostre anime perchè al resto ci pensa Dio nella misura e forma data ad ogni creatura nella creazione.
Il problema vero è che ha preso piede un certo pietismo, sentimentalismo, e non si accetta l’idea di essere “sorte diversa” da ciò che abbiamo imparato ad amare imponendo a Dio però la nostra visione di salvezza e di eternità e rifiutando il Suo Progetto su di noi e su tutta la Creazione, animali compresi. Abbiamo assolutizzato anche questo possesso “i nostri animali, il mio cane, il mio gatto” tutto “mio, nostro” con un possesso che devia, alla fine, in una visione distorta dell’eternità dove tutto si ricreerebbe non come vuole Dio, ma come vogliamo noi: “io”.
In poche parole non ci fidiamo di Dio, non Gli crediamo affatto, temiamo di perdere ciò che amiamo e tendiamo a dare volti e immagini, perfino sentimenti ad una eternità fatta così a “nostra immagine”.
Lo vediamo con un esempio pratico: non battezziamo più i bambini che nascono perchè non si accetta l’idea del peccato originale e non si riconosce che quel Battesimo toglie il peccato e rigenera quella creatura appena nata a vita nuova e questo perchè riteniamo che un bambino appena nato è “innocente” a prescindere da ciò che dice la Bibbia, non ha peccato ed è un anima pulita, dimenticando così che cosa è davvero il peccato originale e cosa toglie quel Battesimo e soprattutto che cosa ci dona.
Ma stranamente (e questo purtroppo anche tra molti cattolici) si uccidono i bambini prima che nascono e, paradossalmente, quelli che spesso vorrebbero vedere i propri animali beati con loro in paradiso, sono di quelli che sono favorevoli all’aborto, magari difendono gli animali in via di estinzione, trattano gli animali come esseri umani, pretendono che ci si converta non a Cristo ma all’ecologia, e il concepito umano viene tranquillamente gettato nella spazzatura o attraverso gli scarichi dei lavandini quando si tratta di embrioni che non hanno “attecchito”…
Papa Francesco non ha mai espresso quella frase, ma ha fatto un discorso diverso ad ampio respiro e che abbiamo sintetizzato qui riferendoci al brano paolino. Giovanni Paolo II idem, e per la verità non esiste una definizione dogmatica della Chiesa su questa materia, anche il Catechismo della Chiesa resta sui generis perchè ovviamente pone il problema sull’uomo e non sugli animali ai quali, come spiega Gesù nel Vangelo, è il Padre che provvede loro: “Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro?” (Mt.6,26) e così anche per le piante: “Ora – continua Gesù nel brano – se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede?” (Mt.6,30). Dice il profeta Geremia: “Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato” (1,5)
Quindi non dobbiamo stare lì a preoccuparci di cosa accadrà ai nostri animali domestici che abbiamo amato, fidiamoci di Dio e preoccupiamoci di più per le nostre anime, in questo consiste anche il vero amore e il vero rispetto per tutta la Creazione, per la terra che Dio ci ha consegnato perchè la usassimo per vivere e non per devastarla, preoccupiamoci del fatto che Dio ci chiederà conto di tutto, fino all’ultimo spicciolo, fino all’ultima parola pronunciata, fino all’ultimo pensiero espresso, fino anche di come avremo usato del tempo, anche questo un dono di Dio.
La vita degli animali “si esaurisce con la morte” per il semplice fatto che essi non sono stati creati “ad immagine di Dio” e per vivere in Dio, ma sono stati creati per noi, per dimostrarci fin anche la verità su Dio tanto è vero che sono migliaia i racconti di Santi sugli animali, sui loro rapporti con essi e sulla bellezza del mondo animale creato da Dio per noi. Gli animali non devono lottare contro il peccato, non devono ragionare sul loro essere e divenire, a loro, come dice Gesù, pensa a tutto il Padre che è nei Cieli.
Vediamo per esempio Sant’Antonio abate è uno dei più illustri eremiti della storia della Chiesa. Nato a Coma, nel cuore dell’Egitto, intorno al 250 è il primo santo “ecologista” (se così possiamo dire visto che oggi va di moda il termine) della Chiesa, in cui l’armonia tra uomo e natura è un dono della grazia di Dio. Riconciliazione e rispetto che non nega però, ed anzi presuppone, la scala gerarchica ontologica di importanza delle creature, di cui l’uomo, fatto ad immagine e somiglianza di Dio, è il vertice, il custode ed il corretto fruitore. Per proteggere gli animali domestici e di allevamento spesso si esponeva un’immagine del Santo in prossimità delle cucce o delle stalle.
Abbiamo anche l’altro grande Santo Antonio da Padova nato in Portogallo e che visse in Italia nel 1250. Cosa bisogna fare per far capire alla gente le cose di Dio? Per spiegare l’importanza di Dio e dei suoi sacramenti Antonio ricorse anche agli animali, almeno in due occasioni: con i pesci e poi con un asino.
Con i pesci andò così… Antonio era a Rimini per predicare il vangelo di Gesù, ma la gente non era interessata e non lo ascoltava, non volendo convertirsi. Allora il santo andò sulla riva del mare e cominciò a parlare all’universo, predicando quelle parole di vita e di salvezza che gli uomini non volevano ascoltare. Ma Dio ascoltava … Dio sente tutto e vede tutto e lo Spirito Santo che era in Antonio parlò ai pesci, che iniziarono ad avvicinarsi alla riva: dieci, cento, mille pesci, di ogni specie e dimensione. Le acque iniziarono a ribollire per quell’assembramento di pesci e qualcuno vedendo questo miracolo chiamò la gente del paese, che si radunò tutta intorno ad Antonio. Finalmente iniziarono a credere e Antonio poté benedire e salutare i pesci per dedicarsi alle anime degli uomini.
Con l’asino andò così. C’era un uomo, padrone di un asino, che non ne voleva sapere di confessarsi, né di fare la comunione. –Sono cose da bambini e da donne!- diceva. Antonio provò a spiegargli l’importanza dei sacramenti, ma niente da fare. Allora ebbe una idea ed indicò l’asino. L’uomo guardò il suo asino e disse: -Va bene, facciamo così: io tengo il mio asino tre giorni senza mangiare, poi te lo porto qua in piazza. Gli mettiamo davanti un mucchio di fieno e tu gli metti davanti l’Ostia consacrata e vediamo che succede -.
Antonio capì che era un’occasione d’oro per convertire lui e molti altri e pregò Dio che tutto andasse bene. Tre giorni dopo si ritrovarono in piazza: Antonio con il suo Ostensorio, l’uomo con il suo asino e un folla enorme.
Antonio si mise da una parte e dall’altra posarono il fieno, l’asino nel mezzo tenuto alla corda dal suo padrone. Quando il padrone lasciò la corda l’asino restò fermo per un po’. Poi anziché andare a mangiare il fieno, si diresse ai piedi di Antonio. Si prostrò davanti a Gesù Eucarestia e poi si rialzò e andò a mangiare il suo cibo. Tutti cedettero e si convertirono, anche il padrone dell’animale.
Troviamo anche San Macario che visse in Egitto nel 350 ed era un eremita e viveva nel deserto, lavorando e pregando Dio. Un giorno si presentò alla sua grotta una iena, uno degli animali più pericolosi che vivono in Africa. Teneva tra i denti un cucciolo e forse cercava un riparo. Il santo vide che il cucciolo era cieco e ne ebbe compassione. Pregò Dio, lo benedisse e il cucciolo ci vide di nuovo. Subito andò a prendere il latte da sua madre, che felice e in qualche modo riconoscente, salutò il santo e se ne andò per la sua strada.
Come non ricordare la storia di San Corbiniano e l’orso? La storia la ritroviamo niente meno che nello stemma che l’allora Ratzinger appena eletto Vescovo, scelse insieme al motto “Cooperatores Veritatis” – vedi qui – e che così racconta: ” …. dalla leggenda di Corbiniano, fondatore della diocesi di Frisinga, ho preso l’immagine dell’orso. Un orso – così racconta questa storia – aveva sbranato il cavallo del santo, che stava recandosi a Roma.
Corbiniano lo rimproverò aspramente per quel misfatto e, come punizione, gli caricò sulle spalle il fardello che fino a quel momento era stato portato dal cavallo. L’orso dovette trasportare quel fardello fino a Roma e solo qui il santo lo lasciò libero di andarsene…”
Concludiamo la serie di esempi – ma lasciando a voi il gusto di andare a fare molte altre ricerche su queste vite e storie – con una donna, Santa Hildegarde di Bingen, Dottore della Chiesa e che visse in Germania nel 1100. Una grande mistica, chiamata la profetessa del Reno, che ebbe visioni, rivelazioni e profezie. Fu ascoltata e stimata da molti. Fin da bambina ebbe il dono di vedere le cose come le vede Dio. Un giorno stava con sua madre. Camminavano nei prati e raccoglievano fiori. C’erano delle mucche al pascolo, come è normale in molti posti in Europa. Hildegarde guardò una mucca più grossa delle altre. La fissò e poi disse alla mamma: -Mamma! Guarda che bel vitellino!-. Sua madre si girò intorno, ma non vide nessun vitellino e gli rispose: -Hilde, non c’è nessun vitellino qui… solo mucche-. La bimba ripeté : -Ma sì, mamma, guarda lì, nella pancia di quella mucca. Non lo vedi il vitellino, come si muove?-. La donna osservò attentamente l’animale, ma non riuscì proprio a cogliere niente, se non una pancia piena dalla gravidanza. Intanto Hilde continuava a descrivergli il piccolo. E come era fatto. E come era il cordone ombelicale. E come teneva gli occhi chiusi e le zampe ripiegate… mentre parlava, sua madre iniziò a capire… Sua figlia, la sua bambina vedeva realmente il vitellino. Lo vedeva attraverso la pelle e la carne della pancia della mucca. Lei aveva sentito raccontare di santi e di sante che avevano dei poteri straordinari e da quel giorno iniziò a guardare la sua Hilde considerandola una anima prediletta, scelta e consacrata a Dio. E fu così. Hildegarde divenne una monaca e una badessa. La più famosa della Germania. E per tutta la vita ebbe il dono di vedere attraverso le cose, come lo Spirito Santo le permetteva di vedere. Scrisse anche dei libri sulle cose che vedeva dove si descrivono i corpi degli esseri viventi, i pianeti , le stelle e i misteri di Dio.
Ricorda che: “La bellezza dell’universo. L’ordine e l’armonia del mondo creato risulta dalla varietà degli esseri e dalle relazioni che esistono tra loro. L’uomo le scopre progressivamente come leggi di natura. La bellezza della creazione riflette l’infinita bellezza del Creatore e ispira il rispetto e la devozione dell’intelligenza e della volontà dell’uomo” (Catechismo Chiesa Cattolica n.341)
Così si esprimeva San Gregorio Magno: ” Infatti Dio onnipotente ha creato tre spiriti vitali: uno che non è rivestito di carne, un altro che ne è rivestito ma non muore con essa, il terzo che è rivestito di carne e muore con essa. Lo spirito che non è rivestito della carne è quello degli angeli, lo spirito che è rivestito di carne ma non muore con la carne è quello degli uomini, lo spirito che è rivestito di carne e muore con essa è quello di tutti gli animali, domestici e selvatici” (Dialoghi – Vol. III Lib. IV)
e ancora dice San Gregorio Magno: “
“La questione posta da Salomone con le parole: una sola è la morte degli uomini e degli animali. (…) Con tali parole dimostra in primo luogo che questa degli uomini non è vita, dato che essa è altrove. Perciò l’uomo ha questo in più delle bestie: esse dopo la morte non vivono, mentre egli comincia a vivere quando termina con la morte della carne questa vita visibile”. (Dialoghi – Vol. III Lib.IV)
Or dunque, non vediamo gli animali, per quanto addomesticati e amati da noi, come proprietà insindacabile nostra, come nostro possesso, essi sono un dono per l’Uomo, di tutto è Padrone Dio, fidiamoci di Lui che tutto ciò che ha fatto e fa e farà, è fatto bene ed è santo ed è amore. Noi piuttosto cerchiamo di prendere a cuore la cura e la sorte della nostra anima alla quale sarà associata alla fine anche la sorte del corpo, perchè di questo saremo responsabili noi direttamente. Infine possiamo concludere con la storia del domenicano san Martino de Porres che postiamo a fondo pagina e la serie di “Patronati” qui.
Sia lodato Gesù Cristo +
Per un riassunto che ci hanno chiesto…. possiamo dire quanto segue:
NON è vero che il CCC dice che “non vanno in paradiso”, PIUTTOSTO DICE: La Scrittura, nel libro della Genesi, ci rivela che Dio è il Creatore di tutto ciò che esiste, ma, ripetendo per ognuna delle opere dei sei giorni «e Dio vide che era cosa buona», ci dice anche che «le varie creature riflettono, ognuna a suo modo, un raggio dell’infinita sapienza e bontà di Dio» (Catechismo della Chiesa Cattolica 339).
Il punto è un altro: Dio NON uccide e non distrugge nulla di ciò che ha creato (anche gli animali sono sue creature), men che meno l’anima… ma la nostra anima NON è come LO SPIRITO CHE ANIMA GLI ANIMALI (noi siamo stati creati a Sua immagine e somiglianza: intelletto e libero arbitrio, gli animali, no) L’animale ha un’anima vegetativa e sensitiva: quindi non ha la sopravvivenza come per gli uomini ma, ugualmente, continuerà a vivere nel Cuore di Dio e quindi potremo continuare a vederlo.
Il racconto della Genesi esprime questo distinguendo nettamente la creazione dell’uomo da quella delle altre creature; e Gesù stesso dirà: quanto più degli uccelli voi valete! (Luca 12,24). quindi la nostra sorte è diversa da quella degli animali, per l’Uomo c’è il Paradiso, per gli animali non c’è “quel” Paradiso, ma la Sacra Scrittura NON ci dice nulla sulla loro sorte, ma neppure che non saranno più…. Gesù stesso ci ricorda che per loro è Dio stesso a provvedere in vita: “guardate i corvi: non seminano e non mietono e Dio li nutre” (Luca 12,24) e, a loro volta, le creature, con la loro semplice esistenza, rendono lode e gloria al suo Nome.
Dunque lo farà anche alla loro morte, ma non sappiamo come perché la Scrittura non ne parla… anche se… sappiamo per fede che anche la creazione sarà trasformata all’avvento definitivo del regno di Dio. Scrive l’apostolo Paolo che “la creazione attende con ansia la manifestazione dei figli di Dio… La creazione stessa sarà un giorno liberata dalla servitù della corruzione (causata dal PECCATO ORIGINALE) … Fino a ora la creazione tutta geme e soffre le doglie del parto” (Romani 8,19.22). Gli animali, perciò, hanno un’anima (anima-li, è sempre data dall’alito di vita, spirito, di Dio) ma non sono attesi da Dio per rivedere la loro vita e non hanno coscienza di esistere…..
Tuttavia esisteranno per sempre nella mente di Dio e tale esistenza (e qui ci rifacciamo a san Tommaso d’Aquino) sarà migliore di quella che hanno avuto nella loro vita terrena.
“Tutto” quel che è nella mente di Dio, è “vita”, e lo sarà per l’eternità… E quel “tutto” (che è vita!) si distingue a seconda della consapevolezza degli esseri viventi: l’intelletto, la volontà, il libero arbitrio. Per questo in Dio vedremo tutti gli animali che sono esistiti sulla faccia della terra.
Li vedremo soprattutto in rapporto a Dio e al suo piano salvifico perché anche per mezzo loro si è manifestata la Provvidenza di Dio nei nostri confronti ed essendo Dio, somma giustizia, risponderemo anche a come li avremo trattati….
3 novembre San Martino de Porres, il santo domenicano che fece risuscitare un cane, perchè soppresso dal padrone a causa della vecchiaia…

Dolcissimo e simpaticissimo santo, in realtà lo conosciamo tutti senza saperlo, è lui, infatti, il celebre Fra Martino campanaro. Contemporaneo e concittadino di santa Rosa da Lima, altra splendida figura domenicana, Martino è uomo di straordinaria e disarmante umiltà e semplicità. Esempio perfetto di amore e tenerezza sia per gli uomini che per gli animali. Quando si pensa a Martino de Porres spesso s’immagina un giovane di colore che nell’Ordine di san Domenico fu destinato a servizi umili per sfregio o umiliazione, ciò non corrisponde al vero. In realtà, le sue origini erano umili solo da parte di madre, una serva panamense di origine africana, che era stata liberata ed aveva preso il nome di Anna Vasquez. Il padre, invece, era un nobile spagnolo, che si chiamava Giovanni de Porres, il quale per qualche tempo non volle riconoscere il figlio perché mulatto.
Martino nacque a Lima, nel Perù, il 9 dicembre 1579 e fu battezzato nella parrocchia di S. Sebastiano. Benché alcuni anni dopo il piccolo venisse accolto dal padre, dovette vivere fra gli stenti con la madre e la sorellina Giovanna. Finalmente, quando aveva circa otto anni, il padre se ne fece una ragione e si decise ad occuparsi dell’educazione dei figli. Li portò con sé a Guayaquil in Ecuador, dove i due bambini poterono vivere con maggior serenità e agiatezza.
Dovendo partire per il Panama, di cui era stato nominato governatore, il padre riportò Martino a Lima, lasciando alla madre il necessario per il vitto e l’educazione. Frequentando due vicini di casa, Matteo Pastor e Francesca Velez Michel, che esercitavano come farmacisti, Martino cominciò ad appassionarsi alla medicina. Quando i Domenicani avvertono la sua energia interiore lo tolgono dalla condizione subalterna, accogliendolo nell’Ordine come fratello cooperatore. Una storia dei domenicani, perciò, che non parli di Martino de Porres, sarebbe una storia monca, in quanto ometterebbe un aspetto delle attività domenicane assolutamente prioritario, quello dell’aiuto ai poveri attraverso tante modalità, prima fra tutte l’istituzione delle farmacie (spezierie) conventuali. E’ difficile trovare in età moderna un convento senza un’infermeria o farmacia per la preparazione dei medicinali per i malati. Ma se Martino era umile, non vuol dire che fosse ignorante. Vi sono, infatti, alcuni episodi che lo rivelano non del tutto ignaro della filosofia e teologia tomista.
Tutte le sue brevi e piccole catechesi sono un tesoro prezioso di sapienza e dottrina.
Tuttavia, Martino, non poteva tollerare che un animale fosse maltrattato e chiese alla sorella di ospitare in una stanza della sua casa quelli che avevano bisogno di qualche giorno di riposo per guarire bene, e in questa, che possiamo definire la prima “clinica veterinaria”, un gatto, a Martino molto affezionato, iniziò a portare altri felini feriti.
Un giorno i domenicani si ritrovarono l’infermeria invasa dai topi, Martino vedendo che i padri mettevano trappole dappertutto, prese in mano un topino e gli disse “Fratello mio, dica a questi suoi compagni che sono ormai dannosi alla comunità. Io li compatisco perché li manca il sostento e però non ho voluto che li ammazzino; horsù dica loro che vadano alla tal parte del nostro giardino, che ivi li porterò il quotidiano sostento.” I topi fecero proprio così e ogni giorno uscivano dai loro nascondigli e prendevano il cibo dalle mani del Santo. Un’altra volta invece, dopo una notte di preghiera, fece risuscitare un cane di proprietà del Procuratore del convento, che lo aveva fatto uccidere da due schiavi perché era diventato troppo vecchio.
Martino, con umiltà, rimproverò il procuratore, perché aveva ripagato in quel modo terribile la creatura che lo aveva servito e accompagnato fedelmente per tanti anni. E questi sono solo pochi esempi dei prodigi che Martino fece, dimostrandoci che nell’amore non ci sono limiti, che chi ama alla maniera del Cristo non può che donarsi totalmente tanto agli uomini quanto agli animali dal Buon Dio creati. Martino de Porres, figlio di un “conquistatore”, offre così in Perù un esempio di vita esemplare. Vengono da lui per consiglio il viceré del Perù e l’arcivescovo di Lima, trovandolo perlopiù circondato da poveri e da malati. Quando a Lima arriva la peste, cura da solo i 60 confratelli. Per tutti è l’uomo dei miracoli: fonda a Lima un collegio per istruire i bambini poveri: il primo del Nuovo Mondo. Guarisce l’arcivescovo del Messico, che vorrebbe condurlo con sé. Ma Martino muore a Lima.
Proclamato patrono delle opere di giustizia sociale del Perù dal papa Pio XII (10.1.1945), Martino fu proclamato Santo da Giovanni XXIII il 6 maggio 1962, quindi designato patrono dei barbieri da Paolo VI (luglio 1966).
+ Umilissimo San Martino de Porres, la tua ardente carità ha abbracciato tutto il creato, dai fratelli bisognosi agli animali del campo. Tutti hanno ubbidito alla voce del tuo cuore, perché l’Amore vero sa toccare il cuore di tutti.
Ti preghiamo, insegnaci ad amare! Libera il nostro cuore dalle chiusure e dalle paure,
perché si apra a Dio e ai fratelli. Fa’ che possiamo rispettare ed amare ciò che Dio ha creato per noi e le Sue creature come dono prezioso del Suo amore.
Noi ti lodiamo e ti invochiamo san Martino: degnati di ascoltare le nostre suppliche e fa’ che, come te, possiamo vivere contenti là dove Dio ci ha posto, servendo con semplicità e con gioia il nostro prossimo e la natura tutta che il Buon Dio ha messo a nostra disposizione, perché ne avessimo cura.
Insegnaci a portare con coraggio e profonda umiltà la nostra croce, per giungere alla gioia della Risurrezione in Cristo Gesù, premio della beatitudine eterna. Amen.
1Pater, Ave e Gloria…
San Martino de Porres, prega per noi! Facci degni delle promesse di Cristo.