Il Dio di Gesù Cristo. Dio Creatore

Il Dio creatore (*)

In uno dei suoi racconti cassidici, Martin Buber narra del primo viaggio intrapreso dal futuro rabbi Levi Jizchak per far visita a rabbi Schmelke di Nikolsburg, spinto dal forte desiderio di conoscere meglio la realtà ultima e contro la volontà del patrigno. Al ritorno costui l’avrebbe così apostrofato: «Ebbene, che cosa ti ha insegnato?!». Levi Jizchak rispose: «Ho imparato che esiste un Creatore del mondo». Il vecchio chiamò allora un servitore e gli chiese: «Ti è noto che esista un Creatore del mondo?». «Certo», rispose il servitore. E Levi Jizchak: «Naturalmente tutti lo dicono, ma lo imparano anche?»

Cerchiamo, in questa meditazione, di ‘imparare’ in modo più profondo che cosa significhi che Dio è Creatore.

Che cosa significa una simile affermazione? Innanzitutto che la fede cristiana ha a che fare con la realtà nel suo complesso. Ha a che fare con la ragione. Essa pone una domanda che riguarda tutti gli uomini. Oggi non si parla più nemmeno in teologia delle ‘prove dell’esistenza di Dio’. Del resto è vero che troppo spesso si è data un’importanza esagerata a simili ragionamenti e che non si è riflettuto abbastanza sulle questioni di fondo che abbiamo sollevato nelle due prime meditazioni. Vero è anche che il discorso non è stato sempre chiaro sul piano concettuale, come pure che il termine ‘prova’ nell’ambito delle scienze naturali ha assunto ormai un significato che non può certamente avere nel nostro contesto. Erano dunque necessarie alcune correzioni.

Ma se si abbandona anche la sostanza di questa problematica, si determinano delle conseguenze piuttosto gravi: la fede perde ormai ogni aggancio con la ragione umana. E quando ciò si verifica, essa finisce col ritirarsi nel campo del particolare, dove la fede è una delle tante tradizioni del genere umano: gli uni hanno questa, gli altri ne hanno delle altre. La verità si tramuta in folklore e così un’obbligazione interiormente fondata si trasforma in merce che si cerca di vendere a buon mercato, ma nella quale nessuno può più provare gioia. La gioia della fede dipende decisamente dalla consapevolezza che essa non è ‘qualcosa’, bensì la perla preziosa della verità.

A questo riguardo, proprio oggi il mondo dovrebbe lasciar trasparire più che mai la sua origine dal Creatore: ciò che un tempo appariva materia inerte, oggi la comprendiamo come un’opera ripiena di spirito. Ciò che è solido, la ‘massa’, oggi ci è diventata, nella sua struttura profonda, più trasparente, più permeabile che in passato: la ‘massa’ ci sfugge sempre di più, ma sempre più trionfale emerge lo spirito che, nell’intreccio delle strutture nascoste, confonde e allo stesso tempo esalta il nostro povero spirito.

Nei suoi colloqui con gli amici Heisenberg ha mostrato efficacemente come il processo di strutturazione della fisica moderna sia stato accompagnato da un altro processo parallelo: l’abbandono della ritrosia positivistica che proibiva al fisico di affrontare la questione di Dio. Egli mostra come la conoscenza del reale, fin nelle sue radici più profonde, abbia costretto a interrogarsi anche sull’ordine che lo sorregge. Ciò che un tempo si diceva con la parola ‘Dio’, in questi colloqui viene per il momento indicato col termine-cifra di ‘ordine centrale’.

Il contenuto vero, che si nasconde dietro questo concetto che denota un’estrema cautela, traspare non appena ci si pone la domanda se questo ordine possa affermarsi al di là della sua pura esistenza, se esso possieda dunque una qualità che sia pensabile come simile a quella della persona umana: «Puoi tu, oppure si può entrare immediatamente in contatto con questo ordine centrale delle cose o di quanto accade, del quale non si può assolutamente dubitare, così com’è possibile nei confronti dell’anima di un’altra persona? […] A tale domanda io rispondo di sì».

A partire da qui Heisenberg non ha esitato neppure a porre poi in relazione il problema dell”ordine centrale’ con quello della ‘bussola’ che ci serve per orientarci lungo il cammino della nostra vita. Ed effettivamente un simile discorso sull”ordine centrale’ richiama l’idea della ‘bussola’, quindi di un’esigenza e di una norma. Coerentemente Heisenberg non rifugge dalla conseguenza del tutto concreta che va ben oltre il punto di partenza nell’osservazione dell’ordine del mondo: cioè che la fede cristiana assicurerebbe quésto ordine centrale. «Se dovesse estinguersi la forza magnetica che orienta questa bussola – e la forza può derivare soltanto da questo ordine centrale – allora temo proprio che dovremo prepararci al peggio, a delle atrocità ben peggiori dei campi di concentramento e delle bombe atomiche».

_03 Dio di Gesù Cristo 4Abbiamo già anticipato: la fede cristiana non si pone contro la ragione, ma la protegge, e difende il suo interrogarsi circa il tutto.

Fino a non molto tempo fa era usuale il rimprovero che la fede sarebbe nemica del progresso e alimenterebbe un insano risentimento nei confronti della tecnica. Oggi, quando ormai è di moda nutrire dei dubbi sul fatto che la tecnica sia una benedizione, ascoltiamo invece un’obiezione esattamente opposta: con la sua massima ‘assoggettate la terra!’ e la sua sdivinizzazione del mondo, la fede cristiana avrebbe favorito il dominio e lo sfruttamento della terra più sfrenati, generando così la maledizione della tecnica.

Prescindiamo qui dal problema delle effettive colpe di cui i cristiani possono essersi macchiati in questa o in quella direzione specifica: in tal caso la fede stessa è stata mal interpretata. È vero che la fede cristiana affida il mondo all’uomo, e in questo senso ha reso pure possibile il sorgere dell’età moderna. Essa, però, collega sempre il problema del dominio del mondo a quello della creazione di Dio e del senso della creazione. La fede rende possibile la ricerca e la problematica tecnica poiché interpreta la razionalità del mondo e il suo ordine in vista dell’uomo. Non ammette assolutamente, però, la possibilità di restringere il campo della nostra riflessione al problema del funzionamento e dell’utilità. Essa stimola l’uomo a rinunciare ai vantaggi momentanei, per interrogarsi sul fondamento del tutto. Difende la ragione osservativa e percipiente da ogni attacco sferrato da una ragione puramente strumentale.

Appare chiaro allora che la fede nella creazione di Dio non ha per oggetto soltanto una pura teoria, non tocca solo il problema di un passato remoto nel quale il mondo si venne a formare. Ciò che a essa importa è il presente, il modo corretto di porsi di fronte alla realtà. Per la fede cristiana nella creazione è decisivo che il Creatore e Redentore, il Dio dell’origine e il Dio della fine siano l’unico e il medesimo Dio. Quando questa unità viene compromessa, sorge l’eresia, va in frantumi la struttura fondamentale della fede stessa. La tentazione è molto vecchia, anche se le forme che assume potrebbero farcela sembrare una novità assoluta. All’inizio della storia ecclesiastica il primo a darle forma fu Marcione, nell’Asia Minore.

Contro la convinzione della chiesa, fondata sull’unità tra Gesù e Antico Testamento, egli sosteneva che il Nuovo Testamento attesta chiaramente che gli ebrei non conobbero il Padre di Gesù Cristo, non conobbero il suo Dio. Per cui il Dio dell’Antico Testamento non può essere quello di Gesù Cristo. Gesù avrebbe introdotto un Dio veramente nuovo, fino ad allora sconosciuto, un Dio che non ha nulla a che vedere con il Dio geloso, adirato e vendicativo dell’antica alleanza. Il suo Dio sarebbe soltanto amore, perdono, gioia; non costituirebbe più una minaccia, ma sarebbe totalmente speranza e perdono. Lui soltanto sarebbe il ‘Dio buono’. Gesù sarebbe venuto a liberare l’uomo dalla legge del vecchio Dio, anzi da quel Dio, per comunicargli il Dio della grazia che in lui appare. Questo disprezzo per l’antico Dio, che Marcione dimostra, significa anche disprezzo per la sua ‘malriuscita’ creazione: è ribellione contro il creato, per un mondo nuovo.

Chi analizza attentamente gli sviluppi spirituali dei nostri giorni, potrà constatare un ritorno – per diversi aspetti – alle posizioni di Marcione. Ovviamente si notano anche delle differenze, e sono proprio queste che richiamano l’attenzione dell’osservatore superficiale. Si dirà allora che il rifiuto della creazione, da parte di Marcione, condusse questo pensatore a una ripulsa quasi nevrotica del corpo, a un atteggiamento, dunque, che è ben alieno dal nostro modo di pensare; tipico forse di un ‘buio Medioevo’ ed ereditato anche dalla chiesa, ma ormai superato. Ci si può naturalmente chiedere, però, da dove vengano allora le cattedrali e la musica di quei secoli, se non da un amore profondo per la creazione, la materia e il corpo. Ma una simile disputa non tocca ancora il nocciolo della questione.

In realtà, da quel rifiuto del Creatore e della creazione – inserito da Marcione nella più ampia corrente della gnosi – scaturisce sia un disprezzo ascetico del corpo come pure un libertinismo cinico, e di fatto esso esprime anche un odio per il corpo, l’uomo e il mondo. Posizioni soltanto apparentemente estreme, che trovano il loro punto di convergenza in certi atteggiamenti di fondo. Come in un’ascetica fondata su premesse scorrette, su valutazioni negative della creazione, il corpo assume l’aspetto di un sudicio rivestimento che merita soltanto disprezzo e maltrattamenti, così anche il libertinismo radicale si fonda sul presupposto che il corpo non sia altro che un oggetto, una cosa: la sua esclusione dalla sfera morale, dalla responsabilità spirituale, è al tempo stesso anche un’esclusione dalla dimensione umana dell’uomo, dalla dignità dello spirito. Diventa puro oggetto, cosa, e in tal modo risulta banalizzata e svalutata anche la vita dell’uomo.

Non sono forse gli stessi risultati cui giungeva Marcione? E non dovremo ammettere, nella teologia stessa, la presenza di forme raffinate di una simile esclusione del corpo dall’umano, una reificazione e un conseguente disprezzo del corporeo? Non è vero che anche qui Dio non ha più nulla a che fare con il corpo, che nel problema della nascita dalla Vergine e nella confessione di fede nella risurrezione del Signore la sottolineatura del corporeo è bollata d’ingenuità, mentre l’idea che Dio possa rendersi così concreto, così materiale, viene respinta con fastidio?

Ma non abbiamo ancora esaurito tutta la ricchezza contenuta in questa idea. Quando l’uomo disprezza il proprio corpo – o tramite l’ascesi o con il libertinismo – disprezza anche se stesso. Un’ascesi e un libertinismo fondati sul disprezzo della creazione sfociano inevitabilmente nell’odio dell’uomo per la propria vita, per se stesso e per la realtà nel suo complesso. Sta appunto qui la forza dirompente di questi due atteggiamenti.

L’uomo che si sente oltraggiato vorrebbe rompere le catene di questa vergogna, strapparsi di dosso il corpo e il mondo, per trionfare su queste umiliazioni. La sua brama di un mondo diverso poggia sull’odio nei confronti della creazione e di quel Dio che ne porta la responsabilità. Per tale motivo, dunque, la gnosi è stata il primo movimento nella storia dello spirito a tramutarsi nell’ideologia della rivoluzione totale.

Qui non ci troviamo di fronte a una lotta per il potere, di tipo politico o sociale, come è sempre stato. Qui l’oggetto della contesa è ben più importante e la battaglia è alimentata dalla rabbia che si prova di fronte a una realtà che l’uomo ha ormai imparato a odiare a livello d’esistenza. Disprezzando il proprio corpo, l’uomo perde anche l’ultimo aggancio con il proprio essere, che ora non viene osservato alla luce della creazione, ma considerato un ‘oggetto’ che va eliminato.

Sul piano dell’ideologia rivoluzionaria notiamo parecchie affinità tra Marx e Marcione. La rivoluzione, da strumento politico, diventa un idolo religioso, dove non si tratta più di stabilire un confronto con questa o quella realtà politica, ma di scegliere fra due specie di dio, di ribellarsi alla stessa realtà, che deve essere calpe-stata e rifiutata in quanto esistente, per fare spazio a un totalmente-altro. Perciò, quando qui si discute sulle valutazioni morali, ciò cui si mira non è mai qualcosa di semplicemente morale, ma è sempre l’essere stesso: la discussione ora assume un carattere metafisico.

_03 Dio di Gesù Cristo 5Quando si contesta l’esistenza della famiglia, quando la paternità e maternità umane vengono diffamate come un ostacolo per l’affermarsi della libertà, quando il rispetto, l’obbedienza, la fedeltà, la pazienza, la bontà, la fiducia sono considerate invenzioni della classe dominante, mentre le vere virtù di un uomo libero sono l’odio, la diffidenza e la disubbidienza, e sono proprio questi gli ideali che si propongono ai nostri bambini, allora viene posto in gioco anche il Creatore e la sua creazione.

Questa creazione deve cedere il posto a un mondo nuovo, che l’uomo stesso si costruirà. Seguendo la logica di una simile impostazione, di fatto soltanto l’odio sarà la via che conduce all’amore, dove però questa logica poggia sull’antilogica dell’autodistruzione.

E, infatti, quando si diffama la realtà intera, quando si offende il Creatore, si sradica l’uomo stesso dalla sua realtà. Lo intravediamo, anzi lo tocchiamo con mano nel modo stesso in cui si affronta il problema dell’ambiente. Qui si osserva che l’uomo non può vivere contro la terra, in quanto è proprio di essa che deve vivere. Ma ciò vale anche per l’intera sfera della realtà, benché non siamo ancora disposti ad ammetterlo.

Sì è così chiarito, passo dopo passo, quel che si diceva, senza addurre ulteriori precisazioni, a proposito di Heisenberg: la creazione non è un tema che possa venir affrontato soltanto dalla ragion teoretica, non è soltanto un oggetto d’osservazione né suscita solo sensazioni di stupore: è una ‘bussola’. Gli antichi parlavano di diritto naturale. Una tematica, questa, che oggi suona piuttosto ridicola e che certo ha favorito parecchi abusi. La sostanza, però, rimane del tutto valida: esiste un diritto che deriva dalla ‘natura’, da una creazione-bussola, e che allo stesso tempo rende possibile un ‘diritto delle genti’, al di là e al di sopra di ogni limite fissato dalle diverse legislazioni nazionali.

Esiste un diritto di natura che precede ogni nostra legislazione, per cui non si può considerare ‘diritto’ tutto ciò che passa nella mente degli uomini.

Possono esserci delle leggi che, pur essendo tali, non sono affatto ‘diritto’, bensì ingiustizia. La natura stessa, in quanto creazione, è una fonte del diritto. Essa ci indica i limiti invalicabili.

L’attualità di una simile questione è evidente: quando si proclama diritto l’uccisione di una vita innocente, si trasforma l’ingiustizia in un diritto. Quando il diritto non difende più la vita umana, esso stesso, in quanto diritto, è messo in questione.

Dire questo non significa voler imporre, in una società pluralistica, la specifica morale cristiana a tutti gli altri. Qui si tratta dell’umanità, dell’umanità dell’uomo, il quale non può dichiarare la distruzione della creazione come via per la sua liberazione, senza ingannare profondamente se stesso. La foga della disputa che viene condotta in questo campo si spiega con l’importanza della questione sul tappeto: l’uomo è davvero libero quando si sgancia dalla creazione, lasciandosela alle spalle come situazione di schiavitù? O non è proprio allora che egli nega se stesso? In ultima analisi, qui la disputa riguarda l’uomo in quanto tale. Il cristiano, quindi, non potrà esimersi dall’affrontare una simile questione, dicendo che la propria morale non viene affatto condivisa dagli altri. Questo significherebbe misconoscere l’ampiezza della questione e anche la portata dell’essere cristiano, ben superiore a un ethos di gruppo: responsabilità per tutto l’uomo; proprio questo consegue dal fatto che il suo Redentore è anche il Creatore.

Qui si evidenzia, però, anche un altro aspetto, davvero significativo per la situazione dell’uomo d’oggi. Nella preoccupazione di sbarrare – nel modo meno appariscente e più sicuro possibile – la strada a una nuova vita umana, non si cela forse anche una profonda angoscia di fronte al futuro? Due cose essa sembra nascondere.

Per un verso, essa scaturisce dal fatto che non si riesce a cogliere il vero significato del dono della vita, poiché ci è venuto a mancare il dono del senso: non si ha il coraggio di affrontare la propria vita, e quindi non si vorrebbe che altri percorrano la via oscura dell’essere uomo. D’altro canto, c’è qui chiaramente anche la paura della concorrenza, il timore che l’altro diventi per me un limite. L’altro, il nascituro, diventa così una minaccia. Il vero amore comporta un morire, un ritrarsi di fronte all’altro e per l’altro. Ed è appunto questo morire che noi rifiutiamo. Vogliamo rimanere noi stessi, conservare la nostra vita indivisa, e sfruttarla indisturbati in tutte le sue possibilità. Non ci accorgiamo né vogliamo accorgerci che proprio questa avidità di vita distrugge il nostro stesso futuro, pone in gioco la nostra stessa esistenza.

Un’ultima osservazione. La fede nel Dio Creatore è al tempo stesso anche fede nel Dio della coscienza.

Poiché Dio è Creatore, è vicino a ciascuno di noi nella coscienza. Nella fede nella coscienza si manifesta il contenuto interamente personale della professione di fede nella creazione. La coscienza è al di sopra della legge: essa distingue fra legge che è diritto e legge che è ingiustizia. Coscienza significa il primato della verità. Questo, però, vuol dire: non legittimazione dell’arbitrio, bensì espressione della fede nella partecipazione consapevole e misteriosa dell’uomo alla verità. Nella coscienza noi siamo coscienti della verità, dove è la coscienza stessa che ci stimola a una continua ricerca della verità.

Credo in Dio Creatore: supplichiamolo di poter ‘imparare’ ciò che questo significa.

– continua –

qui troverete la prima parte

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(*) NOTE

* Titolo originale:

Der Gott]esu Christi. (Il Dio di Gesù Cristo) Betrachlungen uber den Dreieinigen Gali

© 1976,2005 by Kòsel-Verlag GmbH & Co, Munchen © 1978,2005 2 by Editrice Queriniana, Brescia

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