A quando le dimissioni di Maria Santissima?

E’ di questi giorni lo scontro aperto tra la “Santa Sede” attraverso il portavoce mons. Becciu e le parole espresse, attraverso Radio Maria, da Padre Giovanni Cavalcoli, teologo domenicano, a riguardo di quanto è accaduto nel recente terremoto. Il tutto, per evitare di ripeterci, lo troverete ben spiegato nell’articolo della Bussola quotidiana, qui, dove per altro si legge il passaggio che vogliamo approfondire con voi:

Prima ancora che monsignor Becciu scagliasse i suoi fulmini, nel tentativo di prevenire la tempesta Radio Maria si era affrettata a smentire il coinvolgimento di padre Livio e a prendere le distanze da padre Cavalcoli, di cui però – sul sito dell’emittente – veniva correttamente riportato audio e trascrizione completa dell’intervento: «Le espressioni riportate – si legge nel comunicato – sono di un conduttore esterno, fatte a titolo personale, e non rispecchiano assolutamente il pensiero di Radio Maria al riguardo». Evidente l’imbarazzo per un “incidente” che rischia di far saltare delicati equilibri ecclesiali a danno dell’emittente. Imbarazzo tale da non tentare neanche di chiarire cosa ha effettivamente detto padre Cavalcoli, abbandonato così al suo destino...”

Le motivazioni che spingono la Nuova Bussola a questa difesa sono leggermente diverse da quelle che spingono noi, ma operiamo tutti per la stessa causa, la Veritas. Chi conosce Radio Maria da sempre sa perfettamente come il suo conduttore, Padre Livio Fanzaga, si sia sempre espresso in termini molto forti contro i peccatori incalliti, recidivi, tanto da scrivere anche diversi libri nei quali parla, senza mezzi termini, dei castighi di Dio a causa dei peccati – impenitenti – quale punizione per gli uomini. Una punizione a sfondo pedagogico, ovviamente, il cui Libro di Giobbe ci fa da battistrada.

Padre Giovanni Cavalcoli diventa così l’ennesimo “capro espiatorio” della nuova linea intrapresa da Padre Livio che da tre anni non fa altro che congedare, e piuttosto con assenza di carità, tutti coloro che non rispondono più ai nuovi requisiti  del nuovo corso, intrapreso dalla Radio. Il primo capro espiatorio, ossia il primo ad essere sacrificato, se ricordate bene, furono  i due indomiti della Veritas: Mario Palmaro e Alessandro Gnocchi… Poi fu la volta dell’epurazione del professore Roberto De Mattei. Riportiamo un passaggio significativo, di Mario e Alessandro dopo i fatti e dopo che Papa Francesco aveva telefonato personalmente a Mario, sapendolo per altro in estrema lotta contro un tumore che poi lo ha portato alla morte.

«Ci avevamo pensato, ma non era possibile tacere oltre. Eravamo amici di padre Livio Fanzaga prima di questa vicenda e lo siamo anche adesso. Lui è il direttore della radio e lui stabilisce la linea editoriale. Se questa linea prevede che il papa non si possa criticare neanche se parla di calcio, evidentemente due come noi sono fuori posto. Ma ci permettiamo anche di dire che questa linea proprio non la condividiamo. Non si può soffocare l’intelligenza e non si possono censurare a priori domande più che legittime. Questo non fa bene al mondo cattolico e non fa bene alla Chiesa. Se c’è qualche cosa che lascia l’amaro in bocca è che, dopo dieci anni di collaborazione, la telefonata sia arrivata due ore dopo l’uscita dell’articolo, senza neanche un momento per pensarci. Dieci anni in cui abbiamo avuto la libertà di dire tutto quello che ritenevamo opportuno anche su temi scottanti…». (qui il testo integrale)

Dunque per ben “dieci anni” da Radio Maria si poteva dire “tutta la verità, nient’altro che la verità”, poi all’improvviso, da tre anni, la Veritas subisce una censura giustificandola con affermazioni che, per altro, non corrispondono poi alle vere motivazioni di chi ufficialmente si ritiene indignato. Vediamo appunto l’ultimo caso in cui  l’accetta del boia è ricaduta fra capo e collo su Padre Giovanni Cavalcoli. Basta ascoltare l’audio integrale, o quei passaggi, per comprendere che è stata mistificata e storpiata l’intenzione dottrinale sui castighi di Dio, espressa dal noto teologo, così come venivano storpiate le parole di Mario Palmaro. Il teologo domenicano non dice affatto ciò di cui è stato accusato, ma ha espresso semplicemente ciò che dice il Catechismo della Chiesa sui “castighi” di Dio.

_026-castighi-di-dio-3E del resto mai la Chiesa ha insegnato, nel proprio magistero, di un Dio che sta lì affacciato dal cielo a fare gavettoni torrenziali sulla povera gente, o come Zeus che dall’Olimpo lancia saette contro gli uomini, o che sta lì ad ordinare ai terremoti di ammazzare la gente. Che un mons. Becciu possa cadere in una trappola simile è inaccettabile, che andassero a zappare questi monsignori anziché mettere in ridicolo la Sacra Scrittura, il Catechismo e chi lo riporta fedelmente. Certo è che non si comprende come mai, Becciu, non si sia scandalizzato sulla revisione fatta da mons. Galantino, segretario della CEI, a riguardo della distruzione di Sodoma e Gomorra, vedi qui, silenzio assoluto da parte della Santa Sede e della stessa Radio Maria.

Sembra accertato così che l’errore può e deve essere propagato, anche con le malevoli intenzioni di chi storpia volutamente la correttezza di certi interventi, mentre viene censurata la Veritas, il Catechismo, la sana dottrina. E’ triste che Radio Maria di Padre Fanzaga si sia prestata a questa china diabolica, perversa e pervertitrice. Eppure… eccome si esprimeva in passato Padre Livio nel tentativo di spiegare i presunti dieci segreti di Medjugorje che dovranno accadere, leggete questo passaggio:

«Le coppe dell’ira divina che Dio sparge sul mondo (cfr. Apocalisse 16, 1) sono certamente delle piaghe con le quali, direttamente o indirettamente, punisce l’umanità a causa dei suoi peccati. Ma esse sono finalizzate alla conversione e alla salvezza eterna delle anime. Inoltre la divina misericordia le mitiga a causa delle preghiere dei giusti. Infatti le coppe d’oro sono anche il simbolo della preghiera dei santi (cfr. Apocalisse 5, 8) che sollecitano l’intervento divino e gli effetti che ne scaturiscono: la vittoria del bene e la punizione delle potenze del male. Infatti nessun flagello, per quanto provocato dall’odio satanico, può raggiungere il suo fine di portare l’umanità alla rovina totale. Neppure l’attuale passaggio critico della storia, che vede le potenze del male «sciolte dalle catene », può essere considerato senza speranza….» (vedi qui)

Padre Giovanni Cavalcoli non ha detto nulla di diverso, eppure non solo viene censurato, ma destituito. E’ il termine castigo a far paura e ad essere rigettato. Più paura, invece, dovrebbe fare il peccato, la vera causa di tutti i mali, che quei castighi può provocare. Il male, sia quello morale che quello fisico, scaturisce, per il cristiano, dal peccato originale, ed è quindi un castigo. Voluto dall’uomo, e permesso da Dio. Castigo non nel senso antico, pagano, ma in un senso nuovo, cristologico. Infatti il cristianesimo dà ad ogni uomo la fiducia dei figli di Dio, con la quale si può sopportare, con “cristiana rassegnazione”, ogni prova anche dolorosa che ci venga mandata, in vista del fine ultimo della nostra salvezza eterna, e, nello stesso tempo, la libertà e l’intraprendenza dei figli di Dio. Il profeta Sofonia parla di castighi e lo fa in maniera esplicita, lo fa non per spaventare, ma per avvertire dei pericoli a cui l’iniquità umana può condurre se dimentica il timore di Dio, uno dei sette doni dello Spirito Santo, che pare sia, a partire dalla pastorale modernista oggi in voga, andato “fuori moda” e passato nel cosiddetto «dimenticatoio»:

«Giorno d’ira quel giorno, giorno di angoscia e di afflizione, giorno di rovina e di sterminio, giorno di tenebre e di caligine, giorno di nubi e di oscurità, giorno di quelli di tromba e d’allarme sulle fortezze e sulle torri d’angolo. Metterò gli uomini in angoscia e cammineranno come ciechi, perché han peccato contro il Signore […]. Neppure il loro argento, neppure il loro oro potranno salvarli».

Come non riconoscere, in queste parole, il Dies irae che la Tradizione attribuisce a Tommaso da Celano (1200–1265), il biografo di san Francesco d’Assisi? Si tratta di una sequenza in lingua latina. È sicuramente fra le più belle composizioni poetiche dell’età medievale. Il Dies irae è una delle parti più note del requiem e quindi del rito per la messa esequiale, che il Novus Ordo ha eliminato… Nel Messale Romano, nella sezione dedicata alle orazioni e precisamente «in tempo di terremoto» leggiamo testualmente:

Orazione «O Dio onnipotente ed eterno il cui sguardo fa tremare la terra, perdona chi è nel timore, sii benigno con chi supplica; affinché, avendo paventato il tuo sdegno che scuote i cardini della terra, continuamente sperimentiamo la tua clemenza che ne ripara le rovine. Per nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figliuolo».

Secreta «O Dio che hai formato e reso consistente la terra, accetta le offerte e le preghiere del tuo popolo; rimuovi completamente la minaccia del terremoto, muta la tua terrificante collera in rimedio per la salvezza degli uomini, affinché coloro che dalla terra vennero e ad essa ritorneranno, gioiscano al pensiero di poter divenire cittadini del cielo con una vita santa. Per nostro Signore».

Dopo comunione «Difendi, o Signore, noi che abbiamo ricevuto il santo sacramento e per celeste grazia rassoda la terra che, a motivo dei nostri peccati, abbiamo visto sussultare, affinché i cuori degli uomini comprendano che tali flagelli vengono dal tuo sdegno e cessano per la tua misericordia. Per nostro Signore Gesù Cristo».

Vogliamo davvero prenderci in giro? Ma mons. Becciu e seguito, credono ancora nella comune Fede della Chiesa bimillenaria? Hanno forse dimenticato cosa accadde ai discepoli? Rileggiamo il brano: Nel frattempo si sollevò una gran tempesta di vento e gettava le onde nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che moriamo?». Destatosi, sgridò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e vi fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?». E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?» (Mc.4,35-41)

_026-castighi-di-dio-2Dì ai peccatori che li attendo sempre, sto in ascolto del battito del loro cuore per sapere quando batterà per Me. Scrivi che parlo loro con i rimorsi di coscienza, con gli insuccessi e le sofferenze, con le tempeste ed i fulmini; parlo con la voce della Chiesa, e, se rendono vane tutte le Mie grazie, comincio ad adirarMi contro di essi, abbandonandoli a se stessi e do loro quello che desiderano» ( Diario Santa Faustina Kowalska – maggio 1938 – Q.VI, n.1728)”

Qui è Gesù che parla a Santa Faustina Kowalska, e la Chiesa non solo ha approvato quelle apparizioni riportate nel famoso Diario, ma ha OBBEDITO ad esse nella richiesta di una giornata della Divina Misericordia…

San Tommaso d’Aquino (1225-1274) lo spiega nella Summa theologica (Suppl., q.15, a. 2, con il titolo «Se le sofferenze con le quali Dio ci punisce nella vita presente possono essere satisfattorie»). La logica – spiega la Cristina Siccardi che facciamo nostra – inconfutabile e non contraddittoria, a noi trasmessa dal Dottore Angelico, logica che ha una sua intrinseca capacità di placare la nostra inquietudine, proiettandoci ad orizzonti ben più ampi e splendenti. Abbeverarsi a queste fonti, tornare a leggere e introiettare queste certezze di Fede è l’antidoto migliore per interrompere quella pandemia di incertezza, di dubbio e di confusione che permea la cultura cristiana. I fedeli hanno bisogno di recarsi al pozzo della città di Sicàr, dove c’è ancora e sempre Gesù, pronto ad offrire l’acqua della vera vita. Un’acqua che al primo impatto sembra amara, mai poi si rivela dolcissima e santificante, come insegna il dottrinale Concilio di Trento.

Leggiamo, infatti, alla voce «Le opere di santificazione»:

«Il concilio insegna che la magnificenza divina è così grande che non solamente le pene che noi stessi ci infliggiamo spontaneamente in esconto del peccato o che il sacerdote decide di imporci in proporzione agli errori commessi, ma ancora – e questa è la più grande prova d’amore! – le prove temporali inflitte da Dio, se noi le sopportiamo pazientemente, ci permettono di santificarci davanti al Padre per i meriti di Gesù Cristo».

Così si esprime a riguardo san Giovanni Paolo II:

“Il punto di riferimento è in questo caso la dottrina espressa in altri scritti dell’Antico Testamento, che ci mostrano la sofferenza come pena inflitta da Dio per i peccati degli uomini. Il Dio della Rivelazione è Legislatore e Giudice in una tale misura, quale nessuna autorità temporale può avere. Il Dio della Rivelazione, infatti, è prima di tutto il Creatore, dal quale, insieme con l’esistenza, proviene il bene essenziale della creazione. Pertanto, anche la consapevole e libera violazione di questo bene da parte dell’uomo è non solo una trasgressione della legge, ma al tempo stesso un’offesa al Creatore, che è il primo Legislatore. Tale trasgressione ha carattere di peccato, secondo il significato esatto, cioè biblico e teologico, di questa parola. Al male morale del peccato corrisponde la punizione, che garantisce l’ordine morale nello stesso senso trascendente, nel quale quest’ordine è stabilito dalla volontà del Creatore e supremo Legislatore. Di qui deriva anche una delle fondamentali verità della fede religiosa, basata del pari sulla Rivelazione: che cioè Dio è giudice giusto, il quale premia il bene e punisce il male: « Tu, Signore, sei giusto in tutto ciò che hai fatto; tutte le tue opere sono vere, rette le tue vie e giusti tutti i tuoi giudizi. Giusto è stato il tuo giudizio per quanto hai fatto ricadere su di noi … Con verità e giustizia tu ci hai inflitto tutto questo a causa dei nostri peccati » (Salvifici doloris n.10).

Certo è strano, tutti gli epurati da Radio Maria non solo sono eccellenti predicatori della Veritas, ma hanno in comune l’aver esposto dei richiami magistrali sui “castighi di Dio”, una coincidenza? In conclusione vi lasciamo con questo pensiero (profetico?) di Giampaolo Barra da Il Timone di maggio 2011

Dio può certamente punire, senza venir meno al suo amore per l’uomo, ma noi non siamo in grado di stabilire se quella determinata sofferenza, quella specifica tragedia, quella croce particolare sulle spalle di un nostro fratello sia da considerarsi una punizione divina. A meno che ciò non sia esplicitamente rivelato ed insegnato dalla Chiesa.

Non solo. Anche se non costituiscono oggetto di fede, meritano attenzione anche gli avvertimenti di castighi che più d’una volta sono stati minacciati durante apparizioni mariane, riconosciute dalla Chiesa. A Fatima, per esempio, la Regina del Rosario preannunciò nel 1917 imminenti castighi, se l’uomo non si fosse convertito: dalla seconda Guerra Mondiale alla diffusione del comunismo.

Temo che se qualcuno venisse a conoscenza di queste “minacce” celesti, forse reclamerebbe anche le dimissioni di Maria.

Ma infatti, aggiungiamo noi, non fu Giovanni XXIII a rifiutarsi di dare ascolto a Suor Lucia sul terzo Segreto tacciandola di “profeta di sventura”? E non fu la Chiesa stessa a mitigare e nascondere l’integralità del Messaggio apocalittico di La Salette (apparizioni riconosciute e approvate), come quelle di Akita, anch’esse approvate e riconosciute, e del terzo Segreto di Fatima? Di fatto Maria è stata censurata e continua ad esserlo, magari sotto altre forme più subdole come quelle sopra esposte e da una radio che di Maria porta solo un nome comune di persona, ma poco della Sua regale e maestosa identità e missione salvifica comune al Figlio Divino.

Siano lodati i Cuori di Gesù e Maria


Aggiorniamo l’argomento con una bellissima pagina di Padre Giorgio Carbone, domenicano e responsabile della editoria domenicana ESD

MAGISTERO
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«Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati, perché peccando ho meritato i tuoi castighi» così inizia l’Atto di dolore secondo la prima delle dieci formule presenti nel Rito del sacramento della penitenza o confessione. Lo diciamo più chiaramente: i nostri peccati hanno meritato i castighi di Dio. Ma quali sono questi castighi? E perché sono detti “di Dio”? Ecco cosa insegna la Chiesa.

di padre Giorgio Carbone O.P.

Il caso Cavalcoli-Radio Maria ha fatto emergere il tema del castigo divino, non soltanto relativo alle catastrofi naturali ma anche in rapporto alla Misericordia. Come si scriveva ieri, per certi ecclesiastici ormai è la stessa parola castigo che va cancellata, ma è un concetto biblico che non è lecito censurare. Cogliamo perciò l’occasione di questa polemica per riproporre l’insegnamento della Chiesa su questo tema.

«Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati, perché peccando ho meritato i tuoi castighi» così inizia l’Atto di dolore secondo la prima delle dieci formule presenti nel Rito del sacramento della penitenza o confessione. Lo diciamo più chiaramente: i nostri peccati hanno meritato i castighi di Dio. Ma quali sono questi castighi? E perché sono detti “di Dio”?

Il castigo per antonomasia è l’inferno. Ora quando parliamo di queste realtà dobbiamo tenere a bada la nostra immaginazione e la tentazione di trasferire a Dio quanto di più umano c’è. In particolare dovrò fare attenzione a non immaginarmi l’inferno come lo ha descritto Dante, cioè come un luogo. L’inferno è primariamente una condizione che consiste nella separazione eterna da Dio. È una diretta «conseguenza di una avversione volontaria a Dio, cioè di un peccato mortale, in cui si persiste fino alla fine» (Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1037). Il peccato grave, cioè l’omissione o l’atto deliberatamente voluti sapendo che sono contrari alla volontà divina che è segnalata dal Vangelo e dai comandamenti, esclude dal regno di Cristo, dalla sua eredità di amore e di gioia.

Il Cardinal Biffi, in Linee di escatologia cristiana notava che: «Ogni vera colpa è sempre rinuncia totale e definitiva alla legge di Dio e perciò a Dio stesso. Rinuncia totale, perché accettare la sua volontà parzialmente significa non accettarla come una volontà divina, che per forza deve essere la norma incondizionata di tutto. Rinuncia in se stessa definitiva, perché accettarla temporaneamente, sospendendone l’efficacia anche solo per un istante, significa rifiutarla come norma eterna, cui non ci si può mai sottrarre. Ma l’inferno nella sua vera essenza non è che un distacco totale e definitivo da Dio. Il che significa che il peccatore ottiene nell’inferno ciò che col peccato ha voluto ottenere. Il mistero della condanna si risolve quindi nel mistero della colpa. E se talvolta l’inferno ci potrà apparire come un assurdo psicologico, la cui considerazione ci è insopportabile, è perché il peccato stesso, che pure è una realtà della nostra vita, è un assurdo psicologico e una inspiegabile mostruosità. In fondo tutto ciò ci dice che non è Dio che tiene gli uomini lontano da sé nell’inferno, ma sono gli uomini a ostinarsi nel voler stare lontani da lui» (p. 58). 

Difatti Dio è sempre alla porta della nostra anima, bussa in ogni istante e non si stanca di andare alla “ricerca della pecora perduta” e il peccatore, finché è in questa vita, può sempre pentirsi, cambiare vita e chiedere il perdono e la riconciliazione a Dio.

L’uomo, in quanto è creatura, è radicalmente dipendente da Dio. È Dio che crea, creare significa dare l’essere, e esser creato significa ricevere attualmente l’essere. Poi, ognuno di noi è creato in Cristo e in vista di Cristo (Colossesi 1,16-17). Questa relazione con Dio creatore e con Cristo è irrinunciabile, è per sempre. Quindi, è anche nel peccatore che la contraddice con la colpa personale ed è anche nel dannato. Per di più il dannato si trova in una condizione peggiore, perché di là sa senza alcun dubbio e senza alcun velo che Dio è misericordia che salva, il dannato vede Dio nella sua identità. Ma la volontà del dannato è ostinatamente chiusa nel rifiuto, nell’odio e nell’oblio di Dio. Quindi il dannato soffre una profonda divisione interiore: con la sua intelligenza sa che Dio è misericordia, con la sua volontà è fisso nel rifiuto di Lui. Questa è la pena più atroce.

Come si vede è un castigo che il dannato si infligge da se stesso e a causa dei suoi peccati. Avrebbe avuto la possibilità di pentirsi, di cambiar vita e di chiedere il perdono e la misericordia a Gesù Cristo, invece si è chiuso in se stesso rifiutando la grazia e l’amore di Gesù.

Quindi, è un castigo che il peccatore si auto-infligge. Allude a questo il profeta Geremia che avverte così il popolo ribelle: «La tua stessa malvagità ti castiga e le tue ribellioni ti puniscono. Renditi conto e prova quanto è triste e amaro abbandonare il Signore, tuo Dio» (Geremia 2,19). Ce lo dice anche il Catechismo della Chiesa Cattolica n. 679: «Il Figlio non è venuto per giudicare, ma per salvare e per donare la vita che è in lui. È per il rifiuto della grazia nella vita presente che ognuno si giudica da se stesso, riceve secondo le sue opere e può anche condannarsi per l’eternità rifiutando lo Spirito d’amore». «Morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l’amore misericordioso di Dio significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta. Ed è questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola “inferno”» (n. 1033).

Accanto al castigo eterno ci sono dei castighi non eterni, cioè dei danni temporali, che sono sempre conseguenza diretta di una colpa volontaria. Sempre il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1861) ricorda la perdita dell’amore di carità e della grazia santificante. Questa è la vera disgrazia, perdere la grazia in senso proprio. La grazia santificante è quella condizione di cui parla Gesù in questi termini: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Giovanni 14,23). Essere in grazia significa abitare, vivere e agire in Dio, in piena comunione di amore con lui, e significa anche che Dio ci ispira, ci muove, ci trasforma, ci divinizza, ci configura a Cristo. Perdendo la grazia perdiamo questa comunione, da capolavoro divino diventiamo mostruosi, da deiformi diventiamo deformi.

Altri castighi, danni temporali possono essere degli effetti negativi della colpa che lo stesso peccatore sperimenta. Pensa ad esempio alla menzogna o alla falsità: la persona bugiarda o falsa subisce un danno certo, la perdita della fiducia nelle relazioni sociali di alcune colpe personali. Pensa all’odio volontario, la cui prima vittima è proprio colui che nutre odio. Oppure pensa che un peccato può trascinare ad altri peccati e può generare il vizio.

Non abbiamo poi elementi per dire che gli accadimenti della vita siano dei castighi. Anzi il Vangelo ci suggerisce il contrario. Luca 13,1-5: «Si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: “Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Siloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo». 

Questo insegnamento di Gesù è rivoluzionario per la mentalità ebraica del tempo secondo la quale le disgrazie, anche accidentali, della vita sarebbero state una conseguenza del peccato personale. Gesù nega per ben due volte che ci sia un legame tra quelle due tragedie e la condotta delle vittime, e invita a leggere negli eventi, anche accidentali, degli inviti alla conversione, cioè ad ascoltare, amare lui e servire i fratelli. Un insegnamento analogo lo dà davanti al cieco nato dicendo: Né lui ha peccato, né i suoi genitori, ma è perché in lui [cioè nel cieco nato] siano manifestate le opere di Dio (Giovanni 9,3).

Perché, infine, diciamo “ho meritato i tuoi castighi”? Perché li riferiamo a Dio? Abbiamo visto che il dannato si auto-esclude dalla misericordia salvifica di Dio e il peccatore si auto-esclude dalla grazia santificante. Abbiamo perciò purificato le nostre considerazioni da immagini antropomorfiche di Dio, come se Dio attivamente infliggesse castighi. Questo non è il volto di Dio, Misericordia che salva e ama. Ma perché allora sono “castighi di Dio”? Perché Dio è implicato in essi in quanto è negato in essi. Il peccatore sceglie deliberatamente di agire voltando le spalle a Dio, contraddicendo la sua volontà di amore. Il dannato è irrimediabilmente chiuso nel rifiuto di Dio.

«Chi è causa del suo male pianga se stesso» e «Finché c’è vita c’è speranza» sono due espressioni proverbiali che sintetizzano il tragico mistero delle nostre colpe e la tensione esistenziale alla conversione dei pensieri e del cuore.

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