1985 quando Giovanni Paolo II raccomandava il magistero di san Pio X

Forse pochi ricordano il vero ed autentico magistero – soprattutto – di alcuni Pontefici, fermandosi troppo spesso alle immagini per esempio, che si ricordano di Giovanni Paolo II con i suoi gesti… ma pochi conoscono il suo magistero, il suo insegnamento, i consigli… E’ il caso della sua visita a Riese, nel ripercorrere il pensiero e l’opera di San Pio X nel 1985. In quell’occasione per il 150° Anniversario della nascita di Giuseppe Sarto (2 giugno 1835), Giovanni Paolo II, riaffermò la “fondamentale importanza” (così la definisce) di quel magistero pontificio “in difesa della dottrina cattolica“… e da qui la sollecitazione ai seminaristi e a tutto il Clero, Vescovi compresi, a riscoprire quel magistero e a farlo proprio…. Vogliamo ripercorrere quella visita attraverso i testi ufficiali di quegli incontri che ci portano a riscoprire l’opera di questo grande Pontefice. Buona meditazione a tutti.

P.S. quanto segue è stato raccolto fedelmente dal sito ufficiale del Vaticano e qui predisposto anche in formato pdf per una facilitata lettura e meditazione dal sito: cooperatores-veritatis.org


VISITA DI GIOVANNI PAOLO II
AL SANTUARIO DELLA MADONNA DELLE CENDRÒLE

Riese Pio X (Treviso)
Sabato, 15 giugno 1985

Cari fratelli e sorelle.

1. Considero un vero dono del Signore iniziare la mia visita nella terra natale del mio grande e santo predecessore Pio X da questo luogo, dove sorge il santuario che custodisce l’antica, veneratissima immagine della Madonna Assunta. Immagine assai cara al cuore di Giuseppe Sarto, il quale, quando era vescovo di Mantova, confidava di averla “innanzi agli occhi fin dagli anni della giovinezza”, e soggiungeva: “Voglia il Signore esaudire i miei voti di vederla anche nella mia vecchiaia, venendo a pregare in quella cara chiesa”.

Saluto tutti i presenti con sincero affetto, rivolgendo un particolare pensiero agli ammalati.

Da sempre questo Santuario è una mistica oasi di richiamo e di pace, centro di culto vigoroso e tenace, come vigorosa e tenace è la fede della popolazione di queste verdi campagne. Esso ha le sue origini nel sacello dedicato alla Madre di Gesù, eretto nel terzo secolo e dal 1500 in poi divenuto meta di incessanti pellegrinaggi.

2. Qui, appunto, il piccolo Bepi Sarto ricevette quell’impronta cristiana, che penetra nell’anima e nel cuore, e non si cancella più. Qui egli, accompagnato da mamma Margherita, veniva da fanciullo e imparava a colloquiare con Dio. Qui tornava da seminarista, ogni qualvolta rientrava per le vacanze. Qui sostò in preghiera prima dell’ordinazione sacerdotale, e qui venne poi a celebrare una delle sue prime Messe. Vi tornò in seguito, in occasione delle visite alla famiglia e al paese. Anche da lontano, a questa sacra immagine, che il popolo chiama “delle Cendròle”, correva spesso il suo pensiero, come si arguisce dalle parole scritte a Roma: “Oh, quanto volentieri volerei da questo luogo alla solitudine delle Cendròle per inginocchiarmi davanti a Maria e udire ancora il gaio squillo di quelle campane”.

Così Giuseppe Sarto, anche quando divenne Pio X, appare figlio affezionato di questo santuario, che ha prediletto, beneficato spiritualmente e materialmente; ne ha scritto da Papa una breve storia, stampata nel 1910 dalla Poliglotta Vaticana; ne ha incoronato l’immagine. A Maria egli si raccomandava, come si legge nella lettera scritta poco prima di morire al Vescovo di Treviso Monsignor Longhin: “Nei momenti dolorosi mi trasporto col pensiero e veggo tutto, come fossi presente, confortandomi col saluto alla Vergine Santissima”.

3. Cari Fratelli e Sorelle, di fronte a simile esempio noi sentiamo il bisogno di riflettere sui contenuti e sulle espressioni della nostra devozione mariana. Essa deve essere rapporto di amore e di confidenza con la Mamma celeste, sentimento di abbandono a lei, soprattutto nell’ora del dolore.

Questo Santuario ha una lunga tradizione in proposito. Già nel XVI secolo fu prescelto dalla Confraternita dei Battuti per le sue devozioni. E nel 1904 Pio X, nel suo amore a Maria e agli infermi, costituì l’UNITALSI, incaricata del trasporto degli ammalati a Lourdes e ai Santuari d’Italia. Per questa ragione io stesso, due anni fa, ho affidato la benemerita associazione alla protezione di San Pio X. Oggi, in veste di pellegrino al Santuario che gli fu caro, mi piace ricordare e confermare quella scelta.

E ora, prima di lasciarvi, nel salutarvi di cuore, voglio ripetere l’invito che già Paolo VI nel 1972 rivolse ai fedeli di Riese che si erano recati a Roma per il millennio di fondazione della parrocchia: “Pregate San Pio X e la Madonna delle Cendròle per noi e per tutta la Chiesa”.

Agli ammalati, che sono tanto cari al cuore di Maria, e a tutti voi la mia particolare Benedizione Apostolica. 

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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
ALLA CITTADINANZA DEL PAESE NATALE DI SAN PIO X

Riese Pio X (Treviso)
Sabato, 15 giugno 1985

Signor Sindaco.

1. La ringrazio sentitamente per le parole di benvenuto, così cordiali, che ha voluto rivolgermi, interpretando i sentimenti dei presenti e di tutti gli abitanti di questa Città.

Il mio grazie va anche alle altre autorità civili del comune e della Provincia di Treviso per la calorosa accoglienza che mi è stata riservata in questo luogo così ricco di significati per me e per voi che vantate l’onore di aver dato alla Chiesa un figlio della vostra terra, divenuto Sommo Pontefice e Santo.

Ho voluto far tappa qui, soffermandomi a pregare in questa “Casetta del santo”, in cui Giuseppe Sarto vide la luce.

Qui mi inchino alla soavissima memoria della sua nascita terrena, avvenuta esattamente 150 anni fa, in questa casa dove tutto parla di fede, di umiltà e di povertà: in questa casa, rimasta inalterata nella sua semplicità, quale il piccolo Giuseppe apprese a vederla e ad amarla, santuario domestico della sua fanciullezza e della sua vocazione.

Molti valori ai quali egli improntò il suo ministero pastorale, così molteplice e fecondo, trovano la prima spiegazione negli elementi che costituirono qui il suo ambiente: la preghiera assidua nella famiglia e nella comunità parrocchiale; il catechismo, da cui apprese l’amore a Dio e alla Chiesa; lo spirito di sacrificio in una vita povera e semplice; l’impegno severo nello studio e nel lavoro. E, soprattutto, la carità, quell’amorosa attenzione ai bisognosi a cui San Pio X rimase fedele per tutta la vita: egli, che ne aveva acutamente sperimentato il bisogno, rammentò sempre, in seguito, il dovere della carità verso ogni povero.

2. Mi sia consentito, oggi, da questa casa, rivolgere un pensiero riverente alla mamma di Papa Sarto, Margherita, una di quelle donne forti e sagge di cui parla la Bibbia e delle quali è particolarmente fertile questa terra veneta e trevigiana. Nelle radici di una vocazione sacerdotale, accanto alla presenza vigile del padre, è insostituibile il cuore di una mamma, e questo luogo ce lo attesta. Sappiamo che San Pio X riconobbe sempre nell’azione educativa della madre il fondamento della sua fede e della vocazione sacerdotale. Egli veniva a visitare la mamma, anche da Patriarca, con devozione, ringraziando Dio per il grande privilegio di essere nato in una famiglia cristiana.

3. A voi, cari fedeli di Riese, il compito di custodire gelosamente, come già fate con giusto orgoglio, queste memorie. Esse non siano solo un ricordo, ma un monito perenne per voi e per i vostri figli.

I genitori, soprattutto, siano i primi responsabili dell’educazione religiosa dei propri figli, attraverso la catechesi assidua, organica, fedele al pensiero della Chiesa, profondamente apprezzata e seriamente testimoniata dallo stile di vita cristiana.

Imparino tutti ad amare la semplicità della vita, resistendo alle molteplici tentazioni del benessere. Ognuno coltivi la preziosa eredità delle tradizioni religiose, che costituiscono l’anima più profonda della vostra cultura veneta.

4. La vicinanza dei luoghi che furono teatro di scontri sanguinosi nel corso della guerra, nella quale l’Italia entrò esattamente settant’anni fa, mi porta col pensiero alle vittime di quell’immane tragedia, che innumerevoli lutti seminò in queste e in molte altre terre d’Europa.

Nel ricordo degli sforzi compiuti da San Pio X per scongiurare lo scoppio del conflitto, il cui inizio ebbe sulla sua fibra ormai provata un contraccolpo fatale, elevo la mia accorata preghiera a Dio perché ispiri all’umanità di oggi pensieri di saggezza e la induca a resistere alle suggestioni nefaste della violenza. Parlino i morti alla coscienza dei vivi e ricordino loro che per comporre le controversie e le difficoltà v’è sempre una strada alternativa alla lotta fratricida della guerra. Il loro sacrificio valga a ottenere alle rispettive famiglie e all’intera Italia giorni di serenità, di operosa concordia e di pace.

Con questo auspicio imparto di cuore a voi e ai vostri Cari la mia Benedizione Apostolica, pegno di abbondanti grazie del Signore.

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INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON IL CLERO DIOCESANO NELLA CHIESA PARROCCHIALE
DEI SANTI MATTEO E SILVESTRO

Riese Pio X (Treviso)
Sabato, 15 giugno 1985

Cari Sacerdoti e Religiosi della Diocesi Trevigiana!

1. So di incontrare oggi, qui, un presbiterio valoroso, che ha alle spalle, e tuttora nel cuore, una tradizione, tra le più illustri, di impegno sacerdotale e pastorale.

Dalla catena sacerdotale alla quale voi appartenete, è venuto Don Giuseppe Sarto, Pontefice grande e santo nella Chiesa di Cristo. Della sua grandezza e della sua santità io sono venuto a rendere testimonianza a Riese, a Treviso, a Venezia. Nessuna lettura parziale e nessuna analisi critica del periodo storico in cui egli visse, o addirittura del suo servizio Pontificale, possono intaccare quello che è stato e rimane il giudizio della Chiesa su quest’uomo che, com’è stato giustamente detto, fu grande perché fu santo.

Commemorando il centenario dell’ordinazione sacerdotale di Pio X, nel Duomo di Castelfranco Veneto il 18 settembre 1958, il patriarca Angelo Giuseppe Roncalli, con profonda acutezza, ebbe a dire: “Avvenimenti di straordinaria portata hanno sconvolto il mondo e più volte rifatto la carta geografica delle nazioni. Ma il punto fermo segnato da Pio X con ardore apostolico, con intrepidezza di pastore universale, ci fa dire che il piccolo Samuele di Riese si lasciò condurre dalla voce e dalla mano di Dio: ed elevato alla dignità altissima di Romano Pontefice emulò i suoi grandi predecessori, e solo per un istante . . . parve che rimanesse schiacciato dal peso immane dell’altissimo ufficio. Poi, con il passo sicuro della gente della campagna, intraprese il suo cammino. E fece una strada lunga, difficile e martoriata, che sbalordì quanti credettero che il figlio del cursore comunale si esaurisse tutto nell’“offerre dona et sacrificia pro peccatis”. Di fatto egli fece questo in modo eminente, e fece tutto il resto, di cui una sola impresa basterebbe alla sua gloria e immortalità” (Angelo Giuseppe Roncalli, Scritti e Discorsi, III [1957-1958] 653).

2. E infatti, come per i grandi Pontefici, noi possiamo dire che non c’è settore o aspetto della vita della Chiesa in cui Pio X non sia entrato per discernere, orientare, determinare, rilanciare. Ricordiamo sommariamente il campo della liturgia, i sacramenti, la catechesi e la predicazione, il canto sacro e l’arte sacra, il diritto ecclesiastico, l’apostolato sociale, i seminari e la formazione sacerdotale, gli studi biblici, l’organizzazione ecclesiastica: in ognuno di questi ambiti egli è intervenuto con mano abile e ferma, con scelte provvidenziali e incisive. Egli ha consacrato orientamenti innovativi e profetici e, nello stesso tempo, ha consolidato e incrementato la fede della Chiesa. Poiché questa è stata la sua massima aspirazione e preoccupazione: la genuinità, la limpidezza, la trasparenza della fede in tutto il popolo di Dio. Ha lottato e sofferto per la libertà della Chiesa, e per questa libertà s’è rivelato pronto a sacrificare privilegi e onori, ad affrontare incomprensione e derisione, in quanto valutava questa libertà come garanzia ultima per l’integrità e la coerenza della fede. Non si lasciò bloccare da alcun rispetto umano, né da calcolato opportunismo, quando si trattò di difendere i diritti di Cristo, della Chiesa e dei più piccoli tra i fratelli. Chi lasciò dietro a sé senza tentennamenti nostalgici, ogni attrattiva per il potere temporale, ogni pur minimo collegamento con la “civitas terrena” che non fosse contrassegnato dalla carità, se non Pio X? Sì, questa è la grandezza di Papa Sarto; qui egli svetta in maniera incomprimibile. Non solo cronologicamente egli chiude un’epoca e ne apre un’altra, e poi è quella che ci avrebbe condotti al Concilio Ecumenico Vaticano II, e alla caratteristica fondamentale e imprescindibile di esso, la pastoralità. Cioè, quel modo singolare e originale di valutare ogni situazione, che è proprio della Chiesa, in continuazione dell’opera del Buon Pastore, secondo la quale nulla dell’uomo le è estraneo o indifferente, ma tutto le interessa sul piano esclusivo del servizio, “usque ad effusionem sanguinis”.

Angelo Giuseppe Roncalli, divenuto Papa Giovanni XXIII, scriveva (21 aprile 1959) in particolare al Clero Veneto in occasione del provvisorio “ritorno” dell’urna di Pio X a Venezia: “La Chiesa dei tempi di Pio X stette al posto suo con finezza e fierezza. Taluni forzarono la porta; altri riuscirono ad imprese clamorose e dolorose. Ma su quel clamore si distesero poi le ombre della notte. Pio X, mite e umile di cuore, non piegò alla violenza dei potenti della terra né alle lusinghe dei dialettici delle varie scuole. E lasciò l’esempio preclaro del suo strenuo amore al Libro Sacro e alle sorgenti della grazia. A chi, definendolo “un povero parroco delle campagne venete”, lo immaginò quasi confuso e sperduto nelle immensità dei compiti pontificali, egli diede la misura altissima della sua chiaroveggenza di Maestro e di Pastore universale” (AAS 51 [1959] 379).

3. Ecco perché vede riduttivamente, quando non erroneamente, chi parla di immobilismo e di restaurazione della Chiesa dei tempi di Pio X: l’“instaurare omnia in Christo”, contrariamente alle apparenze, è quanto di più dinamico e innovativo possa esserci in ordine al tenere il passo coi tempi e al corrispondere con intrepida franchezza alle sempre nuove esigenze del cuore umano e cristiano.

Questo è stato Pio X, il papa vostro e nostro, di tutti noi e di tutta la Chiesa. Ma non stentiamo certo a credere che egli, più che un fiore nel deserto, è il ricamo più luminoso nel tessuto di una Chiesa locale, che oggi è qui egregiamente rappresentata nel suo Episcopato e nel suo presbiterio, cui non da oggi è stato istillato caratteristicamente il valore straordinario e ineffabile della dignità sacerdotale, che plasma e non mortifica la persona del prete, e anzi la vivifica aprendola a relazioni comunitarie inconfondibili perché scaturenti dalla familiarità davvero inenarrabile con i misteri della grazia.

Non solo qui, ma qui certamente s’è forgiato un tipo di prete che, vivendo in comunione continua con Dio, rimane in mezzo ai suoi fratelli e ne diviene padre, consigliere e amico, grazie alla genuinità della fede e di quell’umanesimo popolare, in cui l’incontro tra natura e grazia diventa novità della storia.

Se la terra trevigiana è stata una delle culle del movimento cattolico italiano e se in essa presero vita, nel corso dell’ultimo secolo, esperienze sociali di grande valore propulsivo nel campo della solidarietà e della cooperazione, come in quello dell’apostolato sociale, lo si deve, e non certo nella misura più ridotta, a una certa qualità del clero dalla tempra forte: educatori e pionieri, testimoni e trascinatori sulle virtù dell’essere prima che nello zelo del fare. Preti umili ed eroici, attaccatissimi alle loro comunità, suscitatori generosi e inarrestabili di protagonisti nella vocazione laicale. Voi ne avrete certo conosciute di simili querce, e il loro ricordo non potrà andare disperso, la loro testimonianza non può essere scordata.

4. Ed ecco, allora, quel che ci fa bene e c’interessa, in particolare: oggi più di ieri c’è bisogno di simili educatori che, nella fede, sappiano – come raccomanda il Concilio – “curare, per proprio conto o per mezzo di altri, che ciascuno dei fedeli sia condotto nello Spirito Santo a sviluppare la propria vocazione specifica secondo il Vangelo, a praticare una carità sincera e operosa, ad esercitare quella libertà con cui Cristo ci ha liberati. Di ben poca utilità – continua il testo conciliare – saranno le cerimonie più belle o le associazioni più fiorenti, se non sono volte a educare gli uomini alla maturità cristiana” (Presbyterorum ordinis, 6).

Non si improvvisano cristiani adeguati a questo tempo; né viene automatico soddisfare alle esigenze di una formazione all’altezza delle attese conclamate. Dovranno forse andar deluse tante richieste giovanili, tanti desideri di bene, tanta disponibilità sincera e insistente?

Oh, davvero, guai a noi se dovesse succedere. La gravità dei compiti, la delicatezza delle situazioni, la stanchezza inerente al moltiplicarsi degli impegni potrebbero indurre a qualche scoraggiamento. Ma non si può disertare. Se venissero meno i sacerdoti, o se i sacerdoti attenuassero la loro identità e la loro missione, allora certo si preparerebbero momenti preoccupanti non solo per la Chiesa, ma anche per la società civile.

Tocca a voi non tralasciare, con i necessari aggiornamenti e adattamenti, la direzione di un cammino antico, eppure collaudato e modernissimo. Non ci si può ridurre a esperimenti sporadici o a improvvisazioni estemporanee: il laicato oggi è esigente e i giovani lo sono ancor più. Senza considerare che alcune volte essi stessi non sanno più bene che cosa davvero cercare e sperare. Ma proprio per questo vogliate proporvi insistentemente, umilmente, irrinunciabilmente, di stimolo: “apostolica vivendi forma”.

5. San Pio X in tutto l’arco della sua lunga testimonianza ecclesiale – come Parroco, Vescovo, Papa – si adoperò in ogni modo per vivere e realizzare nella propria esistenza tale “apostolica vivendi forma”, cioè l’autentica identità del proprio Sacerdozio, e per esortare i presbiteri a una vita esemplare, secondo le esigenze della loro altissima missione. Insigne e straordinaria testimonianza di tale ansia e di tale amore per il Sacerdozio e per i Sacerdoti è l’Esortazione, che Egli indirizzò a tutto il Clero del mondo il 4 agosto 1908, in occasione del 50° anniversario della propria ordinazione presbiterale: si tratta di un Documento, che è come lo specchio della sua grande ricchezza soprannaturale, della sua personale esperienza sacerdotale, del suo interiore itinerario nella via della santità. Non si possono leggere senza emozione le parole che, verso la conclusione, Egli rivolge ai Confratelli nel Sacerdozio: “Voi tutti, ovunque siate, vedete quale momento attraversa la Chiesa per un disegno misterioso di Dio. Rendetevi dunque conto che avete il sacro dovere di prestarle assistenza e aiuto nelle sue strettezze, dopo che essa vi ha onorati di una dignità così insigne. Ora più che mai urge che il Clero rifulga di virtù più che mediocre, esemplarmente illibata, viva, operosa, pronta più che mai ad agire e a soffrire con fortezza per Cristo. Questa è la nostra più ardente preghiera e il voto più vivo dell’animo nostro per tutti e per ciascuno” (Pio X, Haerent animo: “Pii X Pont. Max. Acta”, IV, 259).

Questo pressante “invito alla santità sacerdotale” da parte del grande Santo Papa, accogliamolo con piena disponibilità oggi, in questi luoghi che Egli edificò spiritualmente con la sua esemplare vita, tutta dedita alla gloria di Dio e al bene delle anime.

Accoglietelo, con particolare fervore, voi, Sacerdoti e Religiosi della Diocesi di Treviso, che mesi fa vi siete raccolti in preghiera attorno al vostro Pastore, Monsignor Antonio Mistrorigo, in occasione del 50° anniversario della sua Ordinazione sacerdotale e del 30° di Episcopato.

La gioia della fedeltà e della fraternità sacerdotale conforti ogni vostra impresa nell’apostolato, e San Pio X protegga il lavoro che con tanto zelo voi svolgete per l’avvento del Regno di Cristo.

Di cuore imparto la Benedizione Apostolica a voi qui presenti, ai vostri Confratelli che compiono il loro ministero nelle quindici parrocchie, che la diocesi di Treviso sostiene in Europa, in Africa, in America Latina, a Roma; e benedico anche tutti i vostri fedeli e le persone che vi sono particolarmente care!

Amen!

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SANTA MESSA NEL PARCO MUNICIPALE DI RIESE PIO X

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Riese Pio X (Treviso) – Sabato, 15 giugno 1985

“Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?” (Gv 21, 15).

1. Il Vangelo odierno ricorda questa domanda che il Cristo, dopo la risurrezione, ha posto a Pietro. Per tre volte, sempre la stessa domanda.

Leggiamo questo passo del Vangelo secondo Giovanni nella liturgia del santo pontefice Pio X. Vogliamo con questo affermare e ricordare che la stessa domanda, posta a Pietro da Cristo risorto, egli ancora rivolge a ognuno dei suoi successori sulla sede di Pietro. Affinché Simone, figlio di Giovanni, potesse diventare Pietro, era indispensabile quell’“esame sull’amore”. Il servizio, infatti, che egli doveva assumere nella Chiesa, è un particolare “servizio di amore”. Così ha scritto Sant’Agostino, il grande Padre della Chiesa. Quando, dunque, il Cristo risorto, per tre volte chiede a Simon Pietro “mi ami tu?”, Pietro, assistito dalla grazia dello Spirito Santo, e nel contempo pieno di umiltà a motivo della sua infedeltà umana, risponde: “Signore, tu lo sai che ti amo” (Gv 21, 15. 16).

2. Quando a Giuseppe Sarto, vostro conterraneo di Riese, è toccato di udire – come risulta dal conclave del 1903 – la stessa domanda di Cristo, egli poté, sostenuto dalla grazia dello Spirito Santo, e insieme pieno di umiltà, rispondere: “Signore, tu lo sai che ti amo”. Quella risposta determinò una nuova tappa nella storia della Chiesa, dopo la dipartita da questo mondo del grande pontefice Leone XIII. Quella risposta permeò tutto il nuovo pontificato sino all’agosto del 1914, quando, dopo il tragico scoppio della prima guerra mondiale, Pio X, successore di Leone, successore di Pietro, fu chiamato anche lui alla “casa del Padre”. Questa risposta, però: “Signore, tu lo sai che ti amo”, ebbe il suo inizio qui, a Riese, tra i vostri avi. Tra loro viveva a Riese la povera famiglia Sarto, il cui figlio avrebbe dovuto, un giorno, diventare il successore di Pietro nella sede romana col nome di Pio X.

San Pio X: la risposta alla domanda di Cristo “mi ami tu?”, che egli imparò prima qui, nel suo paese natio, l’ha portato non solo sulla sede romana dei successori di Pietro, ma l’ha guidato soprattutto alla santità.

3. È giusto tener presente l’influsso che l’ambiente umano in cui si formò Giuseppe Sarto ebbe sulla sua sensibilità cristiana e poi sulla vocazione al sacerdozio.

Scrive un suo biografo che “fin dai primi anni, fino cioè da quell’età in cui vivissime si ricevono le impressioni di quanto ci sta e ci vive intorno, impressioni che sono poi quelle che maggiormente concorrono nella formazione del nostro carattere e di tutta l’educazione interiore di noi stessi, ebbe la grande fortuna di avere sotto gli occhi modelli di uomini e di sacerdoti . . . colti, pii, caritatevolissimi” (cf. Marchesan, Papa Pio X nella sua opera e nella sua parola, pp. 27.42). Lo stesso Pio X, in un suo discorso, dirà del vecchio parroco, con fedele riconoscenza: “Mi fu sempre largo di consiglio, d’aiuto, così che dopo Dio e i miei genitori tutto a lui devo. A lui, dalle cui mani ricevevo la prima volta il pane eucaristico, a lui che ai piè di quell’altare mi vestiva dell’abito clericale, a lui che mi ricordava frequente alla vocazione del sacerdozio doversi porre fondamento di pietà, di modestia, d’intemerato costume” (cf. Scritti inediti di San Pio X, vol. II, p. 231).

Ci fu, quindi, un ambiente impregnato di cristianesimo che educò il ragazzo alla fedeltà al Signore e all’attenzione verso la chiamata di Cristo.

4. Una grande disponibilità per il Signore Giuseppe Sarto l’apprese dalla famiglia. Povera, come è noto e come egli spesso ricordava ricorrendo volentieri all’amata espressione veneta; ma fiduciosa in Dio. Quando il parroco riferì a Giovanni Battista Sarto l’intenzione del figlio, espressa dopo la prima comunione, di farsi sacerdote, facendogli notare le straordinarie disposizioni del ragazzo, il padre, che forse lo avrebbe voluto a casa per l’utilità della famiglia rispose: “Se Dio lo vuole, se lo prenda! È suo!”. Ecco, il senso della fede: è suo, è del Signore, come ogni figlio che nasce ed è chiamato da Dio per nome, per una vocazione sublime. Pio X ricordò sempre questo episodio, e si considerò come cosa di Dio, votato al suo amore totale.

So che tra di voi si racconta una graziosa battuta della mamma di Giuseppe Sarto. Egli venne a visitarla qui, a Riese e le mostrò l’anello cardinalizio, dicendole: “Vedete, mamma, quanto è bello!”. La madre, facendogli a sua volta notare la fede matrimoniale gli replicò subito: “Sì, figliolo, ma se non ci fosse stato questo . . .”. Se non ci fosse stata una famiglia ricca di fede e di educazione cristiana, se non ci fosse stata quella testimonianza viva di disponibilità alla volontà di Dio, formata alla dottrina fedelmente insegnata nella parrocchia, la figura sacerdotale del futuro pontefice non si spiegherebbe; noi non troveremmo la radice della sua grande personalità di uomo di Dio e di assiduo e infaticabile servitore della Chiesa.

5. Molti punti del suo programma di Pontefice si può dire che hanno avuto proprio nella vita comunitaria della parrocchia un loro primo fondamento. Pensate all’amore dell’Eucaristia, alla liturgia che egli imparò a conoscere da chierichetto, al canto sacro, all’esperienza del catechismo. Sulla testimonianza dei contemporanei e dei compagni di scuola è stato scritto che “egli non mancava mai alla dottrina cristiana, al catechismo e alle altre istruzioni, che in tempi determinati dell’anno s’usavano allora, e s’usano fare ai ragazzi tuttodì nei nostri paesi” (Marchesan, Papa Pio X nella sua opera e nella sua parola, p. 26).

In questo clima maturavano i primi frutti della santità di Giuseppe Sarto e in questo clima maturava la sua vocazione sacerdotale.

6. “Il Signore è il mio pastore” (Sal 23, 1).

Giuseppe Sarto assimilava con tutto il cuore questa verità, che l’autore ispirato ha scritto nel salmo che inneggia a Dio come pastore dell’uomo; il pastore delle vocazioni umane e degli umani destini. Questo salmo trova la sua magnifica corrispondenza nella parabola del Buon Pastore, narrata a suo tempo da Gesù di Nazaret. Ecco, al figlio della famiglia Sarto è stato dato di conoscere che il Signore, Buon Pastore, “su pascoli erbosi lo fa riposare” (cf. Sal 23, 2) quando egli si affida alla paterna Provvidenza di Dio. È il Signore che “lo rinfranca” (cf. Sal 23, 3), concedendogli la grazia della preghiera; che, ancora, “per amore del suo nome lo guida per il giusto cammino” (Sal 23, 3). Quanto importante è questa certezza interiore della strada che si sceglie, della voce della coscienza, alla quale si obbedisce!

Infine, l’importanza della luce interiore, che illumina la strada con i doni dello Spirito Santo. Con questa luce uno può “non temere alcun male”, anche se dovesse “camminare per una valle oscura” (cf. Sal 23, 4).

7. Il salmo dell’odierna liturgia è estremamente appropriato, e giustamente esso delinea le strade della vita e della vocazione di Giuseppe Sarto: “Davanti a me tu prepari una mensa” (Sal 23, 5). Non è questa un’allusione all’Eucaristia, alla quale gli fu dato di accostarsi per la prima volta qui a Riese nell’anno 1847, quando aveva quasi dodici anni? E non si può dire che, in questa data, tale esperienza lo portò a desiderare che tutti i bambini in età ancor più tenera potessero incontrare il Cristo nel sacramento? Non si può pensare che da questa ineffabile e familiarissima esperienza del Signore egli prese lo spunto per invitare tutto il popolo di Dio alla comunione frequente e quotidiana?

“Cospargi di olio il mio capo” (Sal 23, 5): non è questa ancora un’allusione al sacramento della Confermazione, che Giuseppe Sarto ricevette ad Asolo nel 1846 per le mani di monsignor Sartori Canova, fratellastro del celebre scultore Antonio Canova?

Infine, all’orizzonte del giovane animo appare quel “calice . . . traboccante” (cf. Sal 23, 5), segno della vocazione sacerdotale che il giovane Sarto seguì entrando in seminario nel 1850, a Padova.

8. “Mi ami tu?”.

Doveva aver sentito tante volte queste parole di Cristo. Specialmente chiare dovette sentirle il giorno degli ordini sacri, il 18 settembre 1858, nel duomo di Castelfranco; e per opera dello Spirito Santo poté rispondere con tutta umiltà: “Signore, tu sai che ti amo”.

Anche allora, per la prima volta, gli giunse chiara la risposta di Cristo: “Pasci i miei agnelli” (Gv 21, 15). Con il sacerdozio, Giuseppe Sarto infatti iniziò il suo servizio pastorale. La stessa domanda e la stessa risposta si sono ripetute, in maniera sempre nuova, quando egli fu chiamato al servizio episcopale, prima a Mantova, poi a Venezia. Infine, nel 1903, nella Cappella Sistina, Cristo gli chiese per la terza volta: “Mi ami?”. E può anche darsi che il patriarca di Venezia, cardinale Giuseppe Sarto, rimanesse rattristato così come Simon Pietro. E rispose, così come Pietro: “Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo” (Gv 21, 17).

Lo disse e lo pensò tra le lacrime copiose che, come attestarono i presenti al conclave, gli irroravano, il giorno dell’elezione, la prima veste bianca di pontefice, quella che voi conservate ancora con venerazione quale suo speciale dono, nel seminario vescovile. E allora Cristo rispose per la terza volta: “Pasci le mie pecorelle” (Gv 21, 17).

9. Questo dialogo di Cristo – crocifisso e risorto – con Giuseppe Sarto – Pio X, ebbe inizio qui a Riese. Qui fu scritto il primo capitolo – forse, sotto un certo aspetto, il più importante – della sua vita.

Vi invito a considerare tutto questo, perché voi siete eredi di una tradizione e di una cultura cristiana, che ha prodotto un simile dono. Sappiate anche voi dire a Dio un “sì” generoso e confidente per ogni vocazione che egli, “a piene mani” (cf. Missale Romanum, “Missa pro Vocationibus Sacerdotalibus”: Oratio post communionem) effonde nella Chiesa. Sappiate imprimere con l’educazione e con la catechesi il senso di Dio e il desiderio della sua esperienza e del suo servizio, dando valore alla predicazione della parola di Dio, che sempre e con abbondanza si celebra in mezzo a voi.

Così Cristo potrà chiedere con efficacia a ciascuno: “Mi ami tu?”.

Carissimi fratelli e sorelle di Riese, e voi tutti fedeli di Tombolo e di Salzano, di Asolo e di Castelfranco e dell’intera Marca che siete qui convenuti: auspico di cuore che gli uomini delle sempre nuove generazioni di giovani possano a loro volta rispondere a Cristo con gioia, con interiore fiducia e confidenza: “Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo”.

Sì, proprio a Cristo; perché lui solo è “via, verità e vita”. Amen.

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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
ALLE GIOVANI GENERAZIONI IN PIAZZA DEL DUOMO

Treviso – Sabato, 15 giugno 1985

Cari giovani della diocesi di Treviso!

1. Vi saluto cordialmente, lieto di potermi incontrare con voi in questa Piazza che rappresenta il cuore della Chiesa locale e che conserva le memorie vive dei vostri Santi.

La vostra Chiesa cattedrale è dedicata a San Pietro, come la Basilica Vaticana.

Vi ringrazio, amici carissimi, per la vostra accoglienza, maturata in clima di preghiera. Tale atteggiamento non dissolve né attenua i sentimenti della festa, ma li affina e nello stesso tempo crea un ambiente interiore, ideale per un incontro nella verità quale vuol essere il nostro.

2. Voi avete percorso un itinerario spirituale, che vi ha portato a considerare alcuni aspetti caratterizzanti del “ministerium Petri”. Essi vanno dalla domanda: “Mi ami tu più di costoro?”, che Gesù pone a Pietro (Gv 21, 15), alla risposta fidente, quasi sommessa di Pietro: “Signore, tu sai tutto, tu sai che io ti amo” (Gv 21, 17), per concludersi con l’invito suadente e insieme risoluto: “Seguimi” (Gv 21, 19).

Mi consentite così d’inserirmi nella stupenda cornice della Parola di Dio, che avete letto e meditato, e che ci ricorda come la singolare missione del Papa sia essenzialmente “un ministero di amore in tutte le sue manifestazioni ed espressioni” (cf. Insegnamenti di Giovanni Paolo II, I [1978] 16). Asserivo questo, nel momento in cui iniziavo il mio servizio pontificale. Lo ripeto volentieri qui davanti a voi, confidandovi che solo l’amore mi spinge, solo l’amore rende inarrestabile il mio cammino in ogni parte del mondo per incontrare, come questa sera a Treviso, fratelli e sorelle, figli tutti dell’amore di Dio.

Di qui nasce una domanda che attende risposta: “Mi ami tu, mi ami più di costoro?”. La conoscenza di Cristo diventa pressante impegno a decidere del proprio avvenire nella luce di Gesù, conosciuto e divenuto amico.

Ogni vocazione cristiana sta tutta in questo dialogo, che coinvolge personalmente ogni progetto di vita. Per alcuni la consegna specifica del Signore potrebbe essere quella già affidata agli Apostoli: “Vi farò pescatori di uomini . . . Andate e ammaestrate tutte le nazioni” (Mt 4, 19; 28, 19). Per tutti è una risposta a Colui che ci ha amati per primo.

3. Questo appuntamento con voi non poteva mancare: l’ho atteso, l’ho desiderato, in continuazione ideale con il convegno mondiale della Domenica delle Palme, a Roma, al quale partecipò una folta rappresentanza di giovani trevigiani, e in collegamento anche con quello da voi svolto, insieme al vostro Vescovo, nel successivo mese di aprile. Di entrambi ripropone l’occasione di fondo, ossia l’Anno Internazionale dei Giovani; Anno che – lo sapete bene – “riveste un particolare significato anche per la Chiesa, quale custode di fondamentali verità e valori e insieme ministra degli eterni destini che l’uomo e la grande famiglia umana hanno in Dio stesso” (Giovanni Paolo II, Epistula Apostolica ad iuvenes, Internationali vertente Anno Iuventuti dicato, 1, 31 marzo 1985: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VIII/1 [1985] 757).

4. Ma ho desiderato questo momento soprattutto per adempiere presso di voi il mio specifico ministero di amore e per affidarvi a Gesù, nostro Signore.

L’Apostolo Pietro, che aveva visto la mattina di Pasqua nel sepolcro il sudario ripiegato e le bende per terra (cf. Gv 20, 7), poté in seguito gridare alla folla riunita a Gerusalemme per la Pentecoste: “Costui è quel Gesù che Iddio ha risuscitato: noi tutti ne siamo testimoni” (At 2, 32). Io sono venuto per additarvi quel medesimo Gesù. Non c’è, ricordatelo, un nome più grande sotto il cielo (cf. At 4, 12). Non c’è nome più dolce. Non c’è nome più attraente (cf. Gv 12, 32). Egli è colui “in virtù del quale esistono tutte le cose” (1 Cor 8, 6); nel quale sono “tutti i tesori della sapienza e della scienza” (Col 2, 3). Colui che è “la via, la verità . . . la risurrezione e la vita” (Gv 11, 25), il principio e la fine, il segreto della storia, il cuore del mondo, la chiave dei nostri destini, il palpito della creazione, il Salvatore e il Redentore.

Questo annuncio non può arrestarsi, questa novella non può invecchiare; è qui “l’unico orientamento dello spirito, l’unico indirizzo dell’intelletto, della volontà e del cuore” (Giovanni Paolo II, Redemptor hominis, 7).

5. Carissimi, con l’Apostolo vi dico: altro io non so, null’altro fra di voi ritengo di sapere che Cristo (cf. 1 Cor 2, 2): innalzato vergognosamente sulla croce e veramente risorto, è ora vivo presso il Padre. Là ci attende e ci ama; ma in maniera ineffabile è tra noi nell’Eucaristia e per mezzo del suo Spirito. Egli è il grande Presente nella storia e nella vita.

Proviamo a riflettere sulla situazione in cui si vive oggi. Non ritenete voi che una delle cause del distacco dalla fede, da parte dei giovani, sia proprio un’idea inadeguata e riduttiva che essi hanno di Cristo? Non è forse vero che l’indifferenza, quando non addirittura l’opposizione ostentata, deriva dal fatto che circola, nei loro ambienti, l’immagine di un Dio ostile all’uomo? Non è forse vero che nella società consumistica è sceso un certo disinteresse verso il Dio cristiano, perché al Suo Nome santissimo si abbina una rappresentazione molto lontana dell’uomo concreto?

Gesù destina ad ognuno la personale attenzione testimoniata dall’approccio col giovane del Vangelo: “Fissatolo . . . lo amò” (Mc 10, 21). L’abbiamo mai intravisto, sperimentato, gustato, lo “sguardo amorevole” di Cristo (cf. 2 Cor 5, 14)? “Si può dire – ho scritto ai giovani di tutto il mondo – che in questo sguardo amorevole di Cristo sia contenuto quasi il riassunto e la sintesi di tutta la Buona Novella” (Giovanni Paolo II, Epistula Apostolica ad iuvenes, Internationali vertente Anno Iuventuti dicato, 7, 31 marzo 1985: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VIII/1 [1985] 769).

Questo è il vero avvenimento della vita, la svolta centrale, l’inserzione decisiva: dopo un tale incontro, nell’esistenza giovanile, tutto diventa profondamente diverso. Posto questo incontro, tutto il resto viene ridimensionato. Anzi, per dar seguito in maniera totale a questo incontro, ogni altra cosa può essere venduta (cf. Mt 13, 44).

6. Andrea, dopo aver incontrato Gesù e aver passato con lui una giornata, corre dal fratello Simone e gli confida il senso dell’esperienza accadutagli: “Abbiamo incontrato il Messia . . .”. L’evangelista Giovanni con una rapidità che impressiona, aggiunge: “E lo condusse da Gesù” (Gv 1, 41-42).

Non si può trattenere per sé la scoperta: troppo grande, e troppo affascinante è il volto del Signore. L’evento deve manifestarsi; l’esperienza deve diventare comunicazione; l’evento interiore diviene pubblico.

Ecco pertanto una seconda ricognizione relativa al tempo in cui viviamo: per parlare di Gesù ai giovani è necessaria, amici, la presenza di altri giovani. È indispensabile la loro testimonianza. Il Vaticano II è stato esplicito in merito: occorre promuovere l’apostolato “del simile verso il simile” (cf. Apostolicam actuositatem, 13). Siete disponibili a questo passo? No, non temo di essere esigente con voi: Cristo lo è prima di me. Può anche darsi che qualche giovane se ne vada rattristato – scrivevo ai sacerdoti – “quando gli sembrerà di non poter far fronte all’una o all’altra esigenza . . . A volte i giovani debbono farsi strada attraverso tali tristezze salvifiche, per giungere gradualmente alla verità e a quella gioia che essa dà” (Giovanni Paolo II, Epistula ad universos Ecclesiae Sacerdotes, adveniente feria V in cena Domini anno MCMLXXXV, 5, 31 marzo 1985: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VIII/1 [1985] 741s.). Ma non v’è dubbio che l’animo giovanile è propenso ad accogliere l’invito del Signore, con generosità pronta ed effusiva.

Oh, sì: vi è bisogno di giovani in missione nei loro ambiente; giovani lieti e forti, umili e coraggiosi, tenaci e intraprendenti; indicatori convincenti di Cristo, testimoni di Lui in parole e in opere, nella loro vita quotidiana. Guardate al vostro patrono principale, San Liberale: un giovanetto intrepido, un cavaliere convertito alla causa del Vangelo, che in un tempo estremamente difficile e rischioso, diventa discepolo di Cristo, tutto dedito a difendere la Verità, in intima comunione col suo Vescovo Eliodoro. È incoraggiante per voi avere come protettore e intercessore questo santo, lontano nel tempo, ma modernissimo e vicino alle situazioni attuali.

7. Tutto questo vi impegna in un affinamento spirituale tale da farvi vivere in pienezza le più profonde esigenze del Vangelo, quali la semplicità, la mitezza, il distacco e la castità, la sobrietà e l’amor di Dio, fino al sacrificio. Pensate al vostro beato Enrico da Bolzano, povero in maniera impressionante ed esemplare, tanto amato dai trevigiani; e pensate alla sorprendente figura di santa M. Bertilla Boscardin: quale fascino proviene da questa piccola-grande donna, immolatasi nel nascondimento e nel servizio!

Non scordate mai che dal vostro ambiente partirono, nel corso dell’ultimo secolo, iniziative e attività che hanno poi segnato l’Italia nei campi della promozione sociale, dell’istruzione catechistica e religiosa, della stampa militante, dell’Azione Cattolica.

8. Cari giovani, l’avvenire della società e della Chiesa è nelle vostre mani, nella vostra capacità di scoprire la vostra vocazione e di realizzarla; sta nella risposta che darete con forza e con impegno alla chiamata di Dio.

Seguite con gioia gli esempi che vi ha lasciato San Pio X nella sua giovinezza vissuta qui nella vostra terra. Siate sempre pronti “a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1 Pt 3, 15).

Vi sia di conforto in questo vostro impegno la mia Benedizione Apostolica.

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INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON LE RELIGIOSE NELLA CATTEDRALE DI TREVISO

Domenica, 16 giugno 1985

Care Sorelle.

1. Con grande gioia vi incontro in questa cattedrale di Treviso, e ringrazio il Vescovo Monsignor Mistrorigo, il quale ha presentato così bene l’intenso lavoro che voi svolgete in questa diocesi in cui è nato alla luce del sole e della grazia il mio Predecessore, Papa Pio X.

Un mio primo saluto va alle sorelle dei due monasteri di clausura. La Chiesa infatti vive interamente il suo carisma di comunione con Cristo grazie innanzitutto a questa porzione eletta del Popolo di Dio che, nei monasteri, persevera nella preghiera in nome e a favore di tutto il Corpo mistico di Cristo.

Il mio saluto, unito a vivo compiacimento, va poi a voi che operate nelle istituzioni di apostolato della dinamica diocesi di Treviso.

Nonostante la dolorosa diminuzione di forze a causa del calo delle vocazioni, voi gestite ancora la quasi totalità delle scuole materne parrocchiali, continuate ad assistere gli infermi nelle case di cura o di riposo per anziani, negli ospedali, negli istituti dove si raccolgono i nostri fratelli sofferenti, e continuate a dare una preziosa testimonianza con la vostra assistenza rispettosa, amorosa, materna. Sono lieto anche per la vostra intensa presenza nelle scuole medie e superiori, la quale vi consente di dedicarvi alla formazione cristiana dei giovani.

Uno speciale pensiero desidero rivolgere a coloro tra di voi che cooperano con i sacerdoti nell’apostolato parrocchiale, condividendo quella missione evangelizzatrice che a voi spetta, in maniera peculiare, per la consacrazione religiosa.

Questa grande varietà di situazioni e di servizi vi mette a contatto, quotidianamente, con un’imprevedibile e complessa varietà di esperienze e di problemi.

L’incontro con i genitori dei vostri alunni vi fa toccare quasi con mano i problemi vivi e talvolta drammatici vissuti dalle famiglie, le preoccupazioni educative che sorgono nel rapido evolversi delle culture e i disagi di situazioni di emergenza.

2. A volte, specialmente negli ospedali, vivete voi stesse con apprensione certe situazioni che interpellano, quasi con atteggiamento di sfida, la vostra disponibilità e richiedono una coraggiosa testimonianza di fede. Voi oggi più che mai sentite il peso gravoso delle crisi di coscienza che mettono alla prova il cristiano per il contrasto che avverte tra la morale del mondo e le severe linee di condotta che il Vangelo vi propone in forza della vostra consacrazione al Signore.

Vivendo e svolgendo il vostro specifico apostolato nel crogiolo delle odierne situazioni in continuo e imprevedibile mutamento, potrebbe accadervi di sentire talvolta un certo disagio nei confronti della regolarità della vostra “vita comune”, che può apparirvi quasi troppo rigida, distante, anacronistica nei confronti di certe esigenze della mentalità e sensibilità contemporanea, e di giudicare, per conseguenza, legittima e valida l’opportunità di condividere concezioni, stile di vita e modi di comportamento, che invece si oppongono a quel regime austero ma sapiente, che i voti emessi e la vostra consacrazione a Dio con cuore indiviso “per il Regno dei cieli” (cf. Mt 19, 12) richiedono da voi in ogni circostanza. La vostra deve essere una costante, gioiosa e generosa testimonianza del primato della vita spirituale! (cf. Perfectae caritatis, 6).

Desidero ricordarvi un saggio principio che San Pio X dettò a dei religiosi, un giorno, con fine senso pastorale: “I vincoli con Dio mediante i voti e con la comunità religiosa non debbono essere posposti a nessun altro servizio, per quanto legittimo, a vantaggio del prossimo” (cf. “Pii X Pont. Max. Acta”, vol. II, pp. 87-88).

Tale criterio di comportamento vale anche oggi. Il sincero desiderio di servire il Vangelo e la promozione integrale dell’uomo richiedono da voi, con urgente istanza, che coltiviate nella viva fraternità delle vostre comunità il carisma che vi è proprio, vivendo intensamente e con chiara testimonianza lo spirito dei vostri voti. In questo modo sarete, insieme, voce e segno efficace dell’opera della Chiesa che, in nome di Cristo, sa chinarsi sulle necessità dell’uomo per portarlo a Dio in qualsiasi condizione si trovi.

3. La religiosa – sull’esempio di Cristo e dei santi – non deve temere di essere, nei confronti di questo mondo, un “segno di contraddizione”, secondo l’insegnamento di San Paolo: “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12, 2).

Occorre fare attenzione a non confondere l’“adattamento” del carisma del proprio istituto alle esigenze del mondo d’oggi – un’istanza proveniente dal recente Concilio – con quella specie di “imborghesimento” della vita religiosa, per il quale ci si lascia allettare da ideologie e comportamenti che hanno in realtà ben poco a che vedere con l’austera dedizione a Cristo voluta dal Vangelo e dallo spirito delle vostre regole di vita.

Anziché allora assumere – mediante un vaglio giudizioso – quanto di valido offre il mondo d’oggi, si finisce con il lasciarsi invischiare negli aspetti deteriori di una certa mentalità mondana e terrena, perdendo quella dirittura di vita e quel vigore profetico, che rendono la persona consacrata un autentico testimone dell’assoluto divino e promotore della dignità dell’uomo.

4. Se spesso vi accorgete di essere immerse in un mondo che tende ad emarginare i valori dello spirito o ad offuscare la voce della Chiesa, sappiate che proprio in queste situazioni si richiede da voi una più profonda adesione a Cristo e alla sua Chiesa, mediante una testimonianza chiara e inconfondibile, con amore sponsale fedele al Cristo, e grande generosità. Come ebbe a dire papa Paolo VI: “Bisogna che impariate a trovare Dio anche in queste condizioni di esistenza, segnate da ritmi sempre più accelerati, dal frastuono e dalle sollecitazioni delle realtà effimere” (cf. Evangelica testificatio, 33).

La Diocesi di Treviso attende molto da voi, perché vi ha affidato molte delle sue opere di apostolato. Sappiate accogliere con generosità e intelligenza le grandi iniziative che vi sono proposte. La vostra vita sia trasparenza della presenza di Dio, che cammina a fianco degli uomini e delle donne nel mondo di oggi.

Vi conforti e vi sostenga Maria Santissima e vi accompagni la Benedizione Apostolica che volentieri imparto a voi, ai vostri Cari, e a tutti coloro che voi assistite e servite con zelo e carità.

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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AGLI INFERMI RICOVERATI NELL’OSPEDALE CITTADINO

Treviso – Domenica, 16 giugno 1985

Cari Ammalati, Egregi Signori della Direzione, Illustri Medici, e Voi addetti al servizio dell’Ospedale di Treviso.

1. Rivolgo il mio affettuoso saluto a tutti e a ciascuno in particolare, mentre vi ringrazio per la vostra calorosa accoglienza. Trovandomi in pellegrinaggio nella terra natale di Pio X, non poteva mancare, nel programma delle visite, una sosta, sia pur breve, a questo Ospedale, per incontrarmi con voi, avere l’occasione di ribadire l’importanza che il mio santo Predecessore attribuiva al servizio verso gli ammalati, e sottolineare il valore della sofferenza nella storia divina della salvezza.

Il vostro Ospedale, fondato oltre settecento anni fa, è conosciuto in tutta la Regione, oltre che per l’antichità della sua storia, anche per alcune grandi figure che vi hanno operato. Basti ricordare il nome di Suor M. Bertilla Boscardin, che qui fu infermiera per 15 anni, e che ora noi veneriamo col titolo di Santa. Sono, perciò, particolarmente lieto di trovarmi qui.

2. La predilezione di San Pio X per gli infermi, più che dalle parole, si rileva dai fatti. Basti pensare a un’iniziativa concreta, e oggi ancora tanto valida, da considerare la manifestazione più alta e significativa del suo zelo pastorale in questo campo: la creazione, avvenuta ottant’anni fa, dell’associazione UNITALSI, allo scopo di coordinare le forze nazionali per il trasporto degli ammalati a Lourdes e ai Santuari d’Italia. Con quell’istituzione, il Santo Pontefice intendeva offrire a una cerchia sempre più ampia d’infermi la possibilità di attingere forza e consolazione direttamente alle sorgenti vive dei grandi centri mariani, là dove la Madre di Dio si manifesta più da vicino come Madre degli uomini e soprattutto dei sofferenti. Da allora, centinaia di migliaia di persone hanno potuto godere ogni anno il conforto della rassegnazione, la pace del cuore; alcuni anche il beneficio della guarigione fisica.

È per tale ragione che io, due anni fa, ho voluto rendere omaggio a San Pio X, proclamandolo Protettore dell’UNITALSI.

3. Cari Fratelli e Sorelle, la Chiesa non ha mai perduto di vista, nel corso dei secoli, l’insistente raccomandazione del Signore a visitare gli infermi, motivata sul principio fondamentale d’identità: la visita all’ammalato equivale a un omaggio reso al Signore stesso.

Gesù, che personalmente ha conosciuto la sofferenza, anzi per sé ne ha scelto liberamente il genere più atroce, per amor nostro, ha avuto sempre un occhio di particolare predilezione per gli ammalati: a loro si avvicinava per guarirli nel corpo e nello spirito, ed essi, come d’istinto, gli andavano incontro appena vedevano Lui. Da allora, sull’esempio del Signore, hanno così pure agito i santi e i veri cristiani, e la Chiesa, senza mai stancarsi di sollecitare i fedeli a camminare in tale direzione, è stata in duemila anni ispiratrice di opere e di Congregazioni religiose dedicate esclusivamente al servizio degli infermi.

La Chiesa, illuminata dalla parola divina di Gesù, sa che è la sofferenza, insieme con la preghiera, a salvare il mondo. E, mentre incoraggia la scienza medica a trovare nuove e più efficaci terapie per guarire i mali di ordine fisico, essa invita gli ammalati a non perdere l’occasione del dolore, offrendolo a Dio come sacrificio di purificazione e dono di salvezza.

4. Cari Fratelli e Sorelle, nel portarvi la mia parola umana e cristiana di solidarietà e d’incoraggiamento, permettetemi di aggiungere che anch’io, essendo stato in ospedale come paziente, conosco di persona le condizioni della vostra particolare situazione, aggravata spesso da un senso di abbandono e di solitudine.

Ebbene, sappiate che voi non siete soli. Dio non è mai lontano da chi soffre. Basta saperlo scoprire, per viverlo. Il valore più grande di una vita umana è la vicinanza con Dio. Ora la sofferenza, anche se molto dolorosa, mette nelle migliori condizioni di valutare la povertà dei beni della terra e di scoprire la ricchezza ineffabile di Dio. E allora essa si trasforma in elemento di forza e in fonte di gioia.

Sicché, chi impara a soffrire nell’amore di Dio, non è un emarginato dalla vita, ma contribuisce ad arricchire il mondo.

Ecco: io sono venuto tra voi a ricordarvi questo, e vorrei ridirlo a tutti gli ammalati del Veneto e del mondo. Sono venuto a chiedere la collaborazione delle vostre preghiere e l’offerta preziosa della vostra croce quotidiana, per aiutare il mondo degli uomini a divenire più umano e cristiano.

Sono venuto a dire anche a quanti si prendono così amorevolmente cura di voi, ai vari livelli, che anche la loro opera, spesso ignorata, è scritta indelebilmente nel libro di Dio. Nulla resterà senza larga ricompensa.

Con questi sentimenti, imparto a tutti la mia speciale Benedizione Apostolica.

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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI SEMINARISTI DELLA DIOCESI DI TREVISO

Domenica, 16 giugno 1985

Carissimi studenti di teologia del Seminario Diocesano
e degli Istituti Religiosi della diocesi di Treviso.

PREMESSA AL DISCORSO

Vorrei esprimervi la mia gioia per questo incontro breve, ma ricco di significato, di cordialità e di affetto. Grazie per la vostra accoglienza e per il vostro entusiasmo. Avevo preparato un discorso, che intendo lasciarvi. Invece di leggerlo voglio dirvi quello che mi è venuto in mente entrando in questo ambiente, il quale, come si vede, da una parte è sportivo e dall’altra è religioso. Sono due dimensioni, quella dello sport e quella della vocazione sacerdotale, che stanno bene insieme, soprattutto se sono inquadrate nel ritratto di san Pio X.

Sono venuto in pellegrinaggio sulle sue orme; e compio questo pellegrinaggio a partire dalla casa in cui egli è nato a Riese, dove sono stato ieri. Oggi sono a Treviso, dove Papa Sarto ha lavorato come sacerdote in diversi posti, prima di essere chiamato a diventare Vescovo di Mantova. Questo pomeriggio mi recherò a Venezia dove egli è stato chiamato come Patriarca e come Cardinale. Si è aperta così la strada per giungere una volta a Roma; una strada che forse non voleva percorrere, ma che doveva percorrere. Io compio questo pellegrinaggio sulle sue orme in questa terra. Ma non lo compio da solo; lo facciamo insieme; tutti noi compiamo questo pellegrinaggio sulle orme di Papa Sarto, san Pio X.

Che cosa vuol dire compiere questo pellegrinaggio? Penso che significhi ritrovare se stessi, in un momento determinato del suo cammino. Lui camminava in questa terra, in questa Chiesa di Treviso, e certamente ha camminato anche lungo questo sentiero che conduce i giovani al sacerdozio. Allora dobbiamo ripercorrere questo momento, questa tappa del suo pellegrinaggio. Io come Sommo Pontefice, ripercorro l’ultima tappa del suo pellegrinaggio, quella che seguì la sua chiama ad essere successore di san Pietro. Ma ciascuno di Voi, carissimi, si trova in una particolare tappa del suo pellegrinaggio spirituale, iniziato da Riese e passato da Treviso. E posso dirvi che trovarsi sulle orme di un Santo significa anche ritrovare se stesso in un momento particolare simile a quello passato dal Santo. Non vorrei aggiungere altro. Vorrei solo augurare a ciascuno di voi di trovare questo momento, di ritrovare se stesso in questa tappa del cammino di Papa Sarto, con l’aiuto della sua preghiera, della sua intercessione. Cercate di compiere la stessa tappa in modo almeno parzialmente simile a quello, in cui l’ha compiuto.

Ai più giovani di questo Seminario minore auguro di compiere il cammino fatto da Papa Sarto, quando anche lui era un piccolo seminarista, benché egli lo abbia fatto in modo diverso da voi. E lo auguro anche a quelli che si trovano nel seminario maggiore e che stanno preparandosi in modo più prossimo al sacerdozio. E faccio un augurio pure ai vostri superiori, ai professori, ai direttori spirituali perché anche questo è stato un compito, una tappa del cammino spirituale di Papa Sarto verso la Santità. Voglio offrire queste considerazioni a tutti e a ciascuno di voi in nome di san Pio X per unirvi al suo cammino. Un cammino che lo ha guidato sino al compimento decisivo che si trova in Dio: la santità.

Voglio lasciarvi questa meditazione sul paragone tra ciascuno di voi e Giuseppe Sarto, san Pio X, e voglio augurare a ciascuno di voi di ritrovare se stesso nel suo cammino personale verso la santità, che è la maturità dell’uomo in Dio attraverso Gesù Cristo e la forza dello Spirito Santo. E sotto la materna protezione di Maria Santissima.

1. Vi saluto tutti, e desidero esprimervi la mia gioia per questo incontro, breve ma ricco di significato, di cordialità e di affetto. Grazie per la vostra accoglienza e per il vostro entusiasmo.

Voi costituite per ogni Vescovo e Pastore della Chiesa una parte eletta della sua speranza. Il futuro della vostra diocesi e delle vostre comunità dipende molto da voi e dal generoso impegno, che vi siete assunti, di prepararvi al ministero della cura d’anime, disposti a servire la Chiesa nel luogo e nel modo da essa richiesto.

Sappiate apprezzare questa responsabilità, e preparatevi a rispondere con coscienza fedele alla speranza che la Chiesa ripone in voi.

2. Uno dei punti sui quali sarete maggiormente chiamati a testimoniare nella cura d’anime sarà la vostra fede ecclesiale. Ciò richiederà da voi l’allenamento a un intenso dialogo col mondo al fine di costruire e rafforzare nelle menti e nelle coscienze la fede cattolica; tale dialogo dovrà diventare l’assillo quotidiano del vostro ministero. Dovete, perciò, prepararvi con grande serietà e diligenza a tale compito, esercitandovi fin d’ora in questa attitudine umana di fondamentale importanza.

Ciò domanda a voi di conoscere bene il mondo e l’ambiente nel quale operate; ma ancor più, e più profondamente, esige che voi conosciate con competenza la dottrina che dovrete predicare. L’assimilazione fedele del deposito di verità affidato da Cristo alla sua Chiesa costituisce, perciò, una delle principali responsabilità nell’itinerario di preparazione al sacerdozio. Tale dono di verità dovrà essere sempre integralmente custodito e fedelmente trasmesso alle generazioni che vi attendono.

Attingete, quindi, la conoscenza della fede dalle sorgenti autentiche, in spirito di unità con il Magistero, per un servizio pastorale profondo, ricco, pertinente, ispirato con affetto alla Parola di Dio e alla predicazione della Chiesa.

3. Il Popolo di Dio ha bisogno dell’integrità della fede. Nel dialogo con gli uomini si può essere tentati, non di rado, di ridurre il messaggio evangelico ad alcuni temi che, in forza di un’analisi superficiale, pare rispondano meglio alle esigenze di un’epoca o di una cultura. Poiché ciò condurrebbe a diminuire il senso del messaggio della fede, si defrauderebbero le anime di un loro supremo diritto: quello di ricevere dalla Chiesa il dono della verità intera su Dio, sull’uomo e sulla presenza di Dio, operatore di un mistero di salvezza nella storia umana. Sappiate assimilare l’insegnamento della teologia dalla Chiesa e nella Chiesa evitando alterazioni prodotte dalle ideologie non conformi allo Spirito di Cristo. Impegnatevi nella scienza teologica con uno spirito di leale e tenace ricerca della verità, senza permettervi rischiose lacune, e senza distrarvi in esperienze che impoveriscano in voi la ricchezza del messaggio.

Fedeli alla dottrina, mirate soprattutto a una sincera esperienza di Dio e diverrete così efficaci nella testimonianza della vita e della parola; potrete essere guide sicure nella fede per chiunque domanderà a voi di conoscere la via di Dio.

4. Voglia il Signore Gesù Cristo confortare ogni vostro buon proposito, egli che, come gli Apostoli, vi ha chiamati per nome perché voi lo seguiate più da vicino nella sua stessa missione. Maria Santissima, che qui invochiamo come “Auxilium Christianorum”, sostenga il vostro giovanile entusiasmo e guidi maternamente i vostri passi verso l’Altare.

Con questi voti desidero impartire a voi tutti, ai vostri Superiori e Insegnanti, ai vostri familiari e a tutti i vostri Cari un’affettuosa e larga benedizione, propiziatrice di celesti favori.

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SOLENNE CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA A TREVISO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 16 giugno 1985

1. “. . . Dio ci ha trovati degni di affidarci il Vangelo” (1 Ts 2, 4).

Ecco, si presenta oggi davanti a noi la beata figura di un figlio di questa terra: Giuseppe Sarto-San Pio X Ieri lo abbiamo venerato nel suo luogo natale: Riese. Oggi, qui a Treviso, ascoltiamo nel Vangelo lo stesso dialogo di Cristo risorto con Simon Pietro: “Mi ami?” (Gv 21, 15). “Signore, tu lo sai che ti amo” (Gv 21, 15. 16).

Quando, nelle diverse tappe della sua vita, Giuseppe Sarto, come Pietro, rispose alla domanda di Cristo, udì anche – in un grado e con un contenuto sempre nuovo – la stessa risposta del Maestro: “Pasci i miei agnelli” (Gv 21, 15).

Poteva anche, quel figlio beato della vostra terra, l’uomo scelto dal Signore per il suo esclusivo servizio, applicare a se stesso le parole dell’apostolo Paolo dell’odierna liturgia: “. . . Dio ci ha trovati degni di affidarci il Vangelo” (1 Ts 2, 4).

2. “Degni”!?: questa parola nasconde in sé tutto il senso della propria indegnità, così essenziale per ogni cristiano. “Signore, io non sono degno” dice ognuno di noi al momento della santa Comunione eucaristica.

Certamente anche Pietro si sentiva indegno, quando Cristo parlò con lui dopo la risurrezione – dopo il triplice rinnegamento – e si sentiva indegno Paolo, mentre scriveva le parole dette sopra, nella Lettera ai tessalonicesi; Paolo, che in passato era stato persecutore dei cristiani.

Indegno si sentiva anche Giuseppe Sarto, quando Cristo lo chiamò,
prima, al sacerdozio;
in seguito, all’episcopato;
e infine – nella Cappella Sistina, nell’elezione del conclave – come successore di San Pietro in Roma.

Si sentiva indegno. E, nello stesso tempo, per la grazia dello Spirito Santo ebbe questa consapevolezza, che Dio, che sin dall’inizio affidava il suo Vangelo a “uomini indegni”, voleva, attraverso le diverse tappe, affidarlo proprio a lui: a Giuseppe Sarto, figlio di questa terra, nella quale oggi si trova in pellegrinaggio un altro indegno successore di San Pietro, per rendere grazie a Dio per tutto il servizio del Vangelo che la Chiesa deve a Pio X, Giuseppe Sarto.

3. Il Vangelo fu affidato a lui, Giuseppe Sarto, perché “ha sofferto”, cioè ha sperimentato il sacrificio nella sua vita, nella povertà delle sue origini, nell’assidua applicazione allo studio, nel bisogno della carità degli altri, per raggiungere la meta desiderata del sacerdozio.

Ha avuto il coraggio di annunciare il Vangelo di Dio in mezzo a molte lotte. Fin da giovane sacerdote – come attestano i laboriosi quaderni del catechismo compilato a Salzano – lottò contro l’ignoranza religiosa, si prodigò verso i poveri contribuendo alacremente per la loro promozione sociale. Da vescovo a Mantova si dedicò a portare il clero a una conveniente pratica della vita pastorale. Ma soprattutto da sommo pontefice visse “in mezzo a molte lotte” il suo pontificato, operando con coraggio, talvolta nell’incomprensione e nel pianto, ma con decisa volontà di salvare la Chiesa dal rischio di dottrine alienanti per l’integrità del Vangelo. Egli lavorò con grande sincerità, per mettere in luce le pieghe subdole del sistema teologico del modernismo, con grande coraggio, mosso nel suo impegno solo dal desiderio di verità, affinché la rivelazione non venisse sfigurata nel suo contenuto essenziale.

Questo grande disegno costrinse Pio X a un continuo lavoro interiore per non cercare “di piacere agli uomini”. Sappiamo bene quante avversità egli dovette soffrire proprio per l’impopolarità a cui si sottopose con le sue scelte. Egli volle essere gradito “a Dio, che prova i nostri cuori”, come discepolo fedele del maestro Gesù. “L’ufficio divinamente affidatoci – egli diceva – di pascere il gregge del Signore . . . comporta anche quello di custodire con ogni vigilanza il deposito della fede trasmesso ai santi, ripudiando le profane novità di parole e le opposizioni di una scienza di falso nome” (cf. Pio X, Pascendi: “Pii X Pont. Max. Acta”, vol. IV, p. 47).

Egli diede alla Chiesa un esempio, cercando sempre tutte le occasioni possibili per “spezzare il pane” della parola di Dio ai piccoli, alla gente semplice, mediante la catechesi, avendo cura delle sue creature come una madre che nutre, educa e difende. Uomo di senso pratico, egli si sentì in dovere di tracciare dettagliatamente i programmi della sua azione pastorale anche per gli altri pastori della Chiesa, affinché nessuno rimanesse escluso dall’impresa apostolica che occorreva per il bene del popolo di Dio.

Davvero, in questo modo egli amò con tutto se stesso la comunità cristiana e diede la propria vita, il suo impegno totale, per fungere autenticamente da guida del gregge.

4. Per tutto il gregge! perché l’annuncio dell’autentica fede nella catechesi è compito che Dio affida a tutti i battezzati, come afferma il Vaticano II.

Il laico cristiano è inserito a pieno titolo nell’opera dell’evangelizzazione, perché è chiaro che tutta la Chiesa, che riceve coesione e unità da Cristo, capo e pastore e maestro, compie “l’opera del ministero, per l’edificazione del corpo di Cristo” (Ef 4, 17).

Tale partecipazione all’apostolato, lungi dall’essere un momento sostitutivo del ministero dei sacerdoti e dei vescovi, costituisce un’essenziale qualità di ogni battezzato, inviato da Cristo nel mondo per essere testimone della fede tra i fratelli e annunciatore delle meraviglie di Dio.

La catechesi e la testimonianza sono gli urgenti impegni di questo apostolato; ma ciò comporta anche autentiche e impegnative responsabilità. Ogni laico, per essere autentico apostolo, deve conoscere il suo maestro, Cristo, deve amare la sua Chiesa con amore filiale. Al catechista e al testimone occorre la fedeltà all’intera dottrina, condizione indiscutibile per la comunione nella verità con tutto il popolo di Dio.

Il laico, consapevole della vocazione all’apostolato, non cercherà mai di agire in dissonanza, di esaltare una sua autonomia dal magistero, non assumerà come fonte del suo annuncio la propria soggettiva esperienza di fede; ma cercherà dalla dottrina annunciata dalla Chiesa la forza della verità rivelata, assimilata e vissuta con integra fedeltà.

5. Con grande fiducia e con profondo spirito di fraternità mi rivolgo a voi, cari sacerdoti della Chiesa di Treviso, perché teniate sempre viva la memoria e l’esempio di San Pio X nella vostra missione per realizzare il suo programma di apostolato: è programma valido per ogni presbitero che vive con responsabilità i segni dei suoi tempi.

I laici saranno apostoli, saranno con voi catechisti e annunciatori del Vangelo, saranno con voi pedagoghi dell’esperienza del Signore se voi seguirete la via giusta per suscitare attorno a voi vocazioni ferventi all’apostolato.

Come ieri a Riese ho ricordato che dalla famiglia e dalla parrocchia nacque la vocazione di Giuseppe Sarto, così ora vorrei dirvi con forza che l’apostolato nasce da voi, da voi prende l’esempio. Dalla vostra dedizione alla catechesi scopriranno di essere chiamati per nome da Gesù Cristo i ragazzi e i giovani che frequentano le vostre parrocchie e i vostri oratori. Suscitate nei giovani la consapevolezza della loro chiamata. Insegnate ad ogni cristiano ad essere a servizio del Vangelo in virtù del Battesimo, e troverete aperta la porta anche alla vocazione più sublime e più grande, che è quella del sacerdozio ministeriale. Così è avvenuto per Giuseppe Sarto; ma così è successo per ciascuno di noi, che abbiamo trovato lungo il nostro cammino sacerdoti “affezionati a noi”, desiderosi di donarci “non solo il Vangelo di Dio”, ma disposti a “dare la vita” per l’apostolato al quale erano stati chiamati. Questi apostoli ci hanno affascinato e ci hanno aperto gli occhi sulla parola di Cristo che ci chiamava.

6. Desidero ora rivolgere il mio saluto a voi tutti che partecipate a questa celebrazione eucaristica.

Ringrazio il vostro vescovo, monsignor Antonio Mistrorigo, rinnovandogli l’espressione della mia partecipazione al ricordo del suo 50°, di sacerdozio e 30° di episcopato; e ringrazio tutto il presbiterio trevigiano per il suo zelo, per il generoso donarsi all’apostolato e al ministero, per la fedeltà alla Chiesa di Roma e per la fedeltà al servizio delle anime.

Mi sono ben note le molteplici attività per la catechesi, promosse in diocesi, per l’apostolato tra i giovani, per la preparazione al matrimonio dei vostri fedeli e l’apostolato familiare. Ho ben presente quanto viene fatto perché in tutte le scuole sia vivo l’annuncio della dottrina cattolica. Apprezzo inoltre l’opera svolta dalla scuola di teologia per laici, per preparare un laicato cosciente della propria fede ed esperto nel proclamarla. Questo è motivo di grande conforto. Altrettanto è motivo di gioia sapere che state celebrando con grande impegno il vostro Sinodo diocesano.

Conosco anche le difficoltà e le tensioni che la vostra diocesi deve affrontare, ma confido che, tenendo fisso lo sguardo all’amore di San Pio X a Dio e alle anime, saranno superate.

7. Da questi luoghi che hanno visto l’opera pastorale di Giuseppe Sarto, sacerdote, parroco e direttore spirituale del seminario, mi e caro rivolgere, con le sue stesse parole, un caldo appello ai sacerdoti d’Italia: “Voi tutti vedete, ovunque siate, quale momento attraversa la Chiesa per un disegno misterioso di Dio. Rendetevi dunque conto che avete il sacro dovere di prestarle assistenza e aiuto nelle sue strettezze . . . ora più che mai urge che il clero rifulga di virtù non comune, esemplarmente illibata, viva, operosa, pronta più che mai ad agire e a soffrire con fortezza per Cristo” (Pio X, Haerent animo: “Pii X Pont. Max. Acta”, vol. IV, p. 259).

San Pio X ci ha insegnato ad amare la vocazione, e noi dobbiamo testimoniare il nostro amore e la nostra gioia per questo dono di Dio, Preoccupandoci di suscitare vocazioni intorno a noi, attenti ad orientare verso Gesù Cristo giovani capaci di assumersi il coraggio di “annunziare il Vangelo anche in mezzo a molte lotte”. Il Signore non cessa di suscitare anime sincere e generose, “degne della sua fiducia”, che sapranno comportarsi con il vivo “desiderio di piacere a Dio e non agli uomini”.

Questa terra ha dato alla Chiesa numerose vocazioni anche perché ha trovato in Giuseppe Sarto un solerte maestro di spirito.

Fate rivivere la missione dei seminari. Mentre cresce felicemente il numero di coloro che accettano la divina chiamata, deve farsi più attenta la sollecitudine per la loro formazione spirituale, morale, culturale, senza la quale l’urgenza di comunicare Cristo verrebbe vanificata. Il momento del seminario, tempo in cui Dio “prova i nostri cuori” per plasmarli su una “pietà sincera” (cf. Ivi, p. 242) è validissimo e non facilmente sostituibile per la preparazione al ministero ecclesiale.

Sappiate, sacerdoti di tutta la Chiesa, percorrere la strada sacerdotale di Giuseppe Sarto. Egli ci illumina sul valore di un servizio pastorale generoso, che non cerca la “gloria umana”, ma di piacere a Dio, per essere trovati da lui degni dell’affidamento del Vangelo.

8. Il 150° anniversario della nascita di Giuseppe Sarto e il centenario della sua consacrazione episcopale hanno indotto il Vescovo di Roma a venire in questi luoghi, dai quali egli fu chiamato all’inizio di questo secolo.

A distanza di anni e di decine di anni ci si manifesta nuovamente come importante e piena di attrattiva la figura del figlio di questa terra, il quale sembra tuttora dire

– prima come sacerdote e parroco,

– in seguito come vescovo, patriarca di Venezia e cardinale,

– infine come Pontefice -: siamo “così affezionati a voi che avremmo desiderato di darvi non solo il Vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari” (1 Ts 2, 8).

Questa la confessione di Paolo nella Lettera ai Tessalonicesi. Così la confessione di Pietro, al quale Cristo ha detto: “Pasci le mie pecorelle!” (Gv 21, 16. 17).

Altrettanto dice la confessione di Giuseppe Sarto-Pio X, all’inizio del nostro secolo.

Nonostante l’indegnità umana ognuno di essi ripete: “. . . Dio ci ha trovati degni di affidarci il Vangelo”.

Che queste parole diventino per noi tutti fonte di ispirazione e di sostegno, alla fine di questo secolo, che al suo inizio vide sulla sede di Pietro il santo papa Pio X – Giuseppe Sarto, figlio della vostra terra.

Amen.

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ANGELUS

Treviso – Domenica, 16 giugno 1985

1. L’ora dell’Angelus ci invita a rivolgere lo sguardo a Maria. Ci invita oggi anche il luogo presso il quale ci troviamo, cioè il tempio di Maria Ausiliatrice, voluto dal vescovo, che papa Pio X diede in dono a Treviso, il servo di Dio Andrea Giacinto Longhin. Egli, insieme con tutta la città, ne aveva fatto voto alla beata Vergine il 27 aprile 1917. Il popolo cristiano, dopo l’inumana distruzione provocata dall’inesorabile quanto assurdo bombardamento del 7 aprile 1944, volle che questo santuario dell’Ausiliatrice risorgesse più bello di prima e con accanto la cappella votiva che raccoglie le salme dei caduti di guerra e, in eloquente fraternità, le salme delle vittime civili dei bombardamenti aerei.

Ci impegna a volgere lo sguardo a Maria anche la storia tutta di Treviso, quella civile e quella religiosa, snodatasi per gran parte attorno al sacello edificato più di dodici secoli fa sulla riva del Cagnan e dedicato a Maria santissima, Madre di Dio.

Mediante il cuore immacolato di Maria vogliamo rivolgerci al cuore divino del suo figlio, al cuore di Gesù, di maestà infinita!

Ecco: l’infinita maestà di Dio è nascosta nel cuore umano del Figlio di Maria.

Questo cuore è la nostra alleanza.

Questo cuore è la massima vicinanza di Dio nei riguardi dei cuori umani e della storia umana.

Questo cuore è la meravigliosa “condiscendenza” di Dio: il cuore umano che pulsa con la vita divina: la vita divina che pulsa nel cuore umano.

2. Nella santissima Eucaristia scopriamo col “senso della fede” lo stesso cuore

– il cuore di maestà infinita, che continua a pulsare con l’amore umano di Cristo, Dio-uomo.

Quanto profondamente ha sentito quest’amore il santo papa Pio X, già patriarca di Venezia;

– quanto ha desiderato che tutti i cristiani, sin dagli anni della fanciullezza, s’avvicinassero all’Eucaristia, facendo la santa Comunione: perché si unissero a questo cuore che, ad un tempo, è per ogni uomo “casa di Dio e porta del cielo”.

“Casa”: ecco, mediante la Comunione eucaristica il cuore di Gesù estende la sua dimora ad ogni cuore umano.

“Porta”: ecco, in ciascuno di questi cuori umani egli apre la prospettiva dell’eterna unione con la santissima Trinità.

3. Madre di Dio! Mentre meditiamo il mistero della tua annunciazione, avvicinaci questo cuore divino

– il cuore di maestà infinita

– casa di Dio e porta del cielo

questo cuore che, dal momento dell’annunciazione dell’angelo, ha cominciato a battere presso il tuo cuore verginale e materno.

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