Albino Luciani nasce a Forno di Canale (Belluno), attualmente Canale d’Agordo, il 17 ottobre 1912, da Giovanni Luciani e Bortola Tancon; viene battezzato lo stesso giorno, in casa, dalla levatrice Maria Fiocco «per imminente pericolo di vita». Per tutte le altre tappe della sua vita, rimandiamo al sito ufficiale del Vaticano, vedi qui.
Un viaggio attraverso la vita di Albino Luciani, divenuto Giovanni Paolo I, ci viene offerto dalla penna attenta e professionale della dottoressa Cristina Siccardi, vedi qui per acquistare il libro: “l’infanzia a Canale d’Agordo (BL), con i ricordi di prima mano della nipote Pia Luciani; ma anche con le testimonianze rimaste dei fratelli Edoardo ed Antonia. Infanzia umile e semplice come fu sempre, formazione sacerdotale robusta e profonda che lo condurrà all’ordinazione il 7 luglio 1935.
I primi anni di sacerdozio nella terra agordina, i più belli della sua vita. Per dieci anni vicerettore del seminario di Belluno, a stretto contatto con gli amati chierici. Temperamento versatile: intelligente, sereno, memoria prodigiosa; divenne professore di filosofia, di diritto canonico, di arte sacra, di storia, patristica, sacra eloquenza, catechetica. Fu uomo di profonda cultura, attraverso la quale trasmetteva la Verità. Poi il difficile periodo da patriarca di Venezia (1969-1978), durante le contestazioni studentesche e operaie, periodo nel quale si avvide del nefasto influsso massonico sia nella finanza sia anche dentro le maglie della Chiesa. Umile e amabile, Papa Luciani era comunque dotato di fermezza e di coraggio, come ricordano i testimoni. Morì, in circostanze ancor oggi non accertate, lasciando un grande vuoto, nonostante i soli trentatré giorni del suo indimenticabile pontificato.”
Il 4 settembre 2022 è stato beatificato da Papa Francesco e la cui Memoria sarà il 26 agosto.
Intervento del cardinale Beniamino Stella, Postulatore della Causa di Beatificazione
“Permettetemi ora di spendere una parola sul cuore di questa Causa, cioè sulla santità di Albino Luciani, che ho conosciuto personalmente da seminarista e poi da sacerdote. Era il mio vescovo e di lui conservo il migliore ricordo: uomo di preghiera assidua e profonda, di attento ascolto e capace di sostegno umano e spirituale, come pastore di sacerdoti e di popolo di Dio, dotto e preparato come maestro della fede e buon comunicatore della Parola di Dio, amico e fratello dei sacerdoti, visitatore dei malati e catechista impareggiabile. Di Luciani metterei in evidenza tre caratteristiche: sacerdote che pregava, che viveva poveramente e che si sentiva bene con la gente. In relazione alla povertà mia madre soleva citare, talvolta, monsignor Luciani, per dire che il sacerdote non doveva avere conti in banca e libretto di assegni. Penso che lo avesse sentito da lui stesso nelle periodiche visite ed incontri dei genitori in seminario.
La santità di vita cristiana di Giovanni Paolo I è quella che si vive nella umiltà e nella dedizione quotidiana alla Chiesa e al prossimo, ispirate dalle virtù teologali, praticate con fervore interiore, e dove la croce e il sacrificio, e talvolta l’umiliazione, hanno da contribuire a rendere il discepolo di Gesù più vicino al suo Signore. Una fede che va all’essenziale del Vangelo, che è annuncio e pratica della carità. Da prete, vescovo e Papa è stato capace di manifestare attraverso la sua vita la tenerezza di un Dio misericordioso e materno.
La santità di Papa Luciani è importante per la Chiesa e per il mondo di oggi perché attraverso il suo esempio siamo richiamati al cuore della vita cristiana: all’umiltà e alla bontà di chi sa riconoscersi peccatore bisognoso di misericordia, di chi vuole servire con dedizione generosa e con opere di bene gli altri, annunciando la gioia del Vangelo. Luciani ci testimonia il volto di una Chiesa umile, laboriosa e serena, preoccupata della sequela del suo Signore, lontana dalla frequente tentazione di misurare l’incidenza e il valore del Vangelo dallo stato di opinione della gente, o della società, nei propri confronti.
Ma c’è un ultimo elemento che vorrei segnalare: Albino Luciani ci ha insegnato attraverso la sua testimonianza di vescovo, che ha a cuore la dimensione universale della Chiesa, l’importanza dell’amore generoso e dell’obbedienza incondizionata al Successore di Pietro, così come il grande valore dell’unità e della comunione episcopale. Diversi episodi della sua biografia ci parlano di questo suo atteggiamento, frutto della sua fede profonda, che riconosce l’importanza della comunione ecclesiale, vissuta talvolta nel sacrificio e nella rinuncia a posizioni e percezioni personali, per il bene della Chiesa e della sua vocazione innata all’unità, tanto desiderata da Gesù nell’Ultima Cena.
Nella prefazione al volume sul Magistero di Giovanni Paolo I – che presenta per la prima volta ora il corpus completo e integrale dei testi e documenti di Giovanni Paolo I nel corso del suo pontificato, un servizio fondamentale che è stato realizzato per la cura della Fondazione Vaticana Giovanni Paolo I – papa Francesco, riprendendo le parole del santo vescovo Oscar Romero, afferma che: «il Successore di Pietro è la pietra di consistenza sulla quale prende unità la Chiesa che Cristo stesso edifica, col dono della sua grazia. E se le porte dell’inferno e la morte non prevarranno, questo non accade per le “spalle fragili” del Papa, ma perché il Papa “è sostenuto da Colui che è la vita eterna, l’immortale, il santo, il divino: Gesù Cristo, nostro Signore. E questo è il mistero che risplende anche nella vicenda e negli insegnamenti di Giovanni Paolo I» (Giovanni Paolo I – Il Magistero, Testi e documenti del Pontificato, a cura della Fondazione Vaticana Giovanni Paolo I, con Prefazione di Papa Francesco, ed LEV-San Paolo, Città del Vaticano-Cinisello Balsamo 2022, p.7.)
Testi ufficiali ed integrali della Conferenza Stampa, in Vaticano, per la Beatificazione di Giovanni Paolo I.
Intervento di Don Davide Fiocco della Fondazione Vaticana Giovanni Paolo I, in rappresentanza della Diocesi di Belluno-Feltre.
Giunge alla meta un percorso iniziato parecchi anni fa, grazie all’intuizione e alla lungimiranza di mons. Vincenzo Savio, vescovo dal 2001 al 2004. Aprendo il sinodo diocesano nel 2003, egli invitò la sua diocesi a riscoprire la santità fiorita tra le sue vallate, in modo particolare il cammino di “don Albino” – come ancora è chiamato – che era la più evidente testimonianza. Il vescovo vi intravedeva «la possibilità di approfondire il contesto di fede familiare e locale in cui Albino Luciani era cresciuto»; e ancora evidenziava «la particolarità della formazione dei seminari di Feltre e di Belluno, da cui uscirono in quegli anni figure di spicco, in particolare il gesuita padre Felice Cappello e padre Romano Bottegal». Da quest’impulso è nato il processo di canonizzazione, che eccezionalmente venne avviato nella diocesi natia, anziché in quella della morte.
La reliquia
La reliquia proviene dall’Archivio Privato Albino Luciani, oggi patrimonio della Fondazione Vaticana Giovanni Paolo, che verrà portata al Papa nel corso della cerimonia di Beatificazione. È lo schema di una riflessione che Luciani dettò nel 1956 sulle tre virtù teologali, che significativamente saranno riprese nelle udienze del settembre 1978.
Il reliquiario è stato ideato e realizzato dallo scultore Franco Murer, un artista di Falcade, conterraneo di Albino Luciani. Egli ha fatto una scelta di materiali altamente simbolica: per basamento ha scelto una pietra raccolta nel fondovalle di Canale d’Agordo, simbolo di quel fondamento familiare e parrocchiale, su cui il giovane Albino ha fondato le sue scelte di vita. Il basamento è sormontato dalla rappresentazione di una croce scolpita in un ciocco di legno, ricavato dagli schianti della tempesta Vaia (ottobre 2018): rappresenta le traversie dell’esistenza di Luciani, su cui la Provvidenza ha saputo tracciare un cammino di santità.
La semplicità della realizzazione dà il dovuto risalto allo scritto autografo del futuro Beato, incastonato nel simbolo cristiano per eccellenza, la Croce.
Dopo la beatificazione la reliquia con il reliquiario saranno conservati nella Cattedrale di Belluno, nella quale Albino Luciani prestò il suo ministero dal 1943 al 1958 e dove, il 23 novembre 2003, venne solennemente aperta la Causa di Beatificazione e Canonizzazione.
Un ritorno a casa, un ritorno alle origini della sua predicazione, un ritorno alle radici.
Testimonianza di Suor Margherita Marin Religiosa della Congregazione delle Suore di Maria Bambina, assistente presso l’appartamento papale durante il mese di pontificato di Giovanni Paolo I
Vidi per la prima volta Giovanni Paolo I due giorni dopo l’elezione, insieme alle altre suore della nostra comunità chiamate a svolgere il servizio di assistenza presso l’appartamento pontificio. Fino a quel momento non avevo avuto mai occasione di incontrarlo personalmente. Anche se Luciani era conosciuto da noi, perché fin dai tempi del suo episcopato a Vittorio Veneto aveva presso di sé le suore di Maria Bambina.
Ci accolse con semplicità, senza metterci in soggezione. Ci disse di pregare, che il Signore gli aveva dato un peso, ma che con il Suo aiuto e le nostre preghiere lo avrebbe portato avanti. Sapendo che ero la più giovane delle suore, avevo 37 anni, disse: «Mi spiace di aver portato via qualche suora giovane». Ci trattò da subito con familiarità. Ricordo che il giorno seguente al nostro arrivo mi mandarono insieme al segretario p. Magee a ritirare i paramenti e a chiudere la cappella privata del Papa, quella dove Paolo VI usava celebrare la messa al mattino con i suoi segretari, perché Giovanni Paolo I volle invece che la santa messa del mattino fosse celebrata nella cappellina privata all’interno dell’appartamento e fossimo presenti anche noi suore insieme ai segretari: «Noi siamo una famiglia e celebriamo assieme» disse.
Il giorno della messa solenne per l’inizio di pontificato accolse a pranzo anche le suore che erano state con lui in patriarcato a Venezia. Mostrò sempre molto riguardo verso noi suore. Io mi occupavo in particolare del guardaroba e della sacrestia, ma sbrigavo anche altri servizi quando c’era bisogno.
Suor Cecilia era la cuoca, suor Vincenza era infermiera, mentre suor Elena coordinava il nostro lavoro. Suor Vincenza era la più anziana, conosceva il Santo Padre da molti anni, lo aveva conosciuto a Belluno al tempo in cui, giovane prete, ebbe problemi di salute e gli prestò assistenza come infermiera; quando poi divenne vescovo, egli richiese una piccola comunità di suore di Maria Bambina per l’appartamento episcopale e desiderò che ci fosse anche lei ad assisterlo.
Suor Vincenza lo seguì anche a Venezia e fu l’unica delle suore che erano con lui a Venezia a venire in Vaticano. Suor Vincenza ci disse che non tanto volentieri aveva accettato di venire, perché si sentiva già anziana, ma che poi si trovava bene. Aveva avuto problemi di salute e il Santo Padre, ricordo, ci disse: «Sapete, suor Vincenza è sofferente di cuore e le ho detto di non camminare tanto e di prendere anche l’ascensore personale se ha bisogno».
Nel corso di quel mese io l’ho veduto sempre tranquillo, sereno, sicuro. Sembrava che avesse fatto da sempre il Papa. Anche nella preghiera si vedeva che era unito al Signore. Sapeva trattare con i suoi collaboratori con molto rispetto, scusandosi per recare disturbo. Non l’ho mai visto avere gesti di impazienza con qualcuno, mai. Infondeva coraggio. Era affabile con tutti.
Si alzava presto al mattino, intorno alle 5.00.
Poi andava in cappella a pregare per un’ora e mezza. Stando sempre lì nelle vicinanze, noi suore da fuori lo vedevamo. Pregava sempre da solo, i segretari scendevano più tardi per la messa. La messa si celebrava alle 7.00. Mentre il Santo Padre era nella cappella noi suore recitavamo le lodi nel salottino accanto alla cucina, poi andavamo anche noi in cappella per la messa. Durante la celebrazione non faceva omelie.
Ricordo invece che alcune volte, quando in quella giornata doveva celebrare la messa da qualche parte, lasciava il padre Magee celebrare al suo posto, e lui assisteva come semplice chierichetto. Rispettava il digiuno eucaristico, quindi solo dopo la messa faceva colazione. Terminata la colazione s’intratteneva nel suo studio per la lettura dei quotidiani e verso le ore 9.00 scendeva per le udienze. Il pranzo era intorno alle 12.30, poi si ritirava per il riposo pomeridiano. Nel pomeriggio solitamente si fermava in appartamento; studiava, leggeva e passeggiava leggendo. Qualche volta andava anche di sopra nel giardino pensile, poche volte è sceso nei giardini vaticani.
Il cardinale Villot una volta gli aveva detto: «Santità, se lei scende nei giardini noi dobbiamo chiudere e non lasciar passare nessuno». «Allora», rispose il Santo Padre, «se dovete chiudere… io rimango qua». E così la maggior parte delle volte rimaneva in casa. Riceveva su sua richiesta alcune persone. Prima della cena recitava i Vespri con i segretari, spesso li recitava in inglese. La cena era verso le 19.30. Noi suore non servivamo a tavola, c’era per questo l’aiutante di camera Angelo Gugel. Diceva poi compieta con loro, e mentre noi eravamo ancora a riordinare il refettorio, veniva a salutarci. Tutte le sere. Ricordo che ci raccomandava sempre le preghiere per i tanti bisogni nel mondo, a me chiedeva sempre qualcosa riguardo alla preparazione della liturgia del giorno seguente; poi ci augurava la buona notte, salutandoci sempre con queste parole: «A domani, suore, se il Signore vuole celebriamo la messa assieme». Si ritirava presto.
L’ultimo giorno fu come gli altri.
Al mattino entrò in cappella a pregare alla solita ora ed ha celebrato con noi la santa messa alle sette. Ha fatto normalmente colazione, poi si è fermato un po’ a leggere i quotidiani, quindi è andato giù per le udienze del mattino. Verso le 11.30 è ritornato su in appartamento e ricordo che è venuto in cucina, come spesso faceva, chiedendoci un caffè: «Suore, avete un caffè? Potreste prepararmi un caffè?». Si sedette prese il caffè e andò poi nel suo studio. Pranzò con i segretari e poi si ritirò per il solito riposo pomeridiano. Quel pomeriggio lì rimase sempre in casa, non si mosse mai dall’appartamento e non ricevette nessuno perché ci disse che stava preparando un documento ai vescovi.
Io non so però a quali vescovi fosse indirizzato. Lo ricordo bene perché quel pomeriggio io ero a stirare nel guardaroba con la porta aperta e lo vedevo passare avanti e indietro. Camminava nell’appartamento con i fogli in mano che stava leggendo, ogni tanto si fermava per qualche appunto e poi riprendeva a camminare leggendo e, camminando, passava davanti dove mi trovavo io. Ricordo che vedendomi stirare mi disse anche: «Suora, vi faccio lavorare tanto… ma non stia a stirare tanto ben la camicia perché è caldo, sudo e bisogna che le cambi spesso… stiri solo il colletto e i polsi che il resto non si vede mica sa…». Me lo aveva detto in dialetto veneto, come spesso usava con noi.
Dopo cena ricevette la chiamata del cardinale di Milano Giovanni Colombo. Già al mattino avevo sentito il Santo Padre parlare con il padre Magee riguardo a questa telefonata. E dopo cena, il Santo Padre, andò a rispondere al telefono e parlò con il cardinale. Non ricordo esattamente quanto tempo rimase in quella conversazione, forse una mezza ora.
Dopo venne da noi, come faceva sempre, per salutarci prima di ritirarsi nel suo studio. Ricordo che mi chiese quale messa gli avessi preparato per il giorno seguente e gli risposi: «Quella degli Angeli». Ci augurò la buona notte con le parole che ogni sera ci ripeteva: «A domani, suore, se il Signore vuole, celebriamo la messa insieme».
Ho impresso ancora nella memoria un particolare di quel momento lì: eravamo tutte assieme nel salottino con la porta aperta, la porta era proprio davanti a quella dello studio privato, e quando, dopo averci già salutato, il Santo Padre è stato sulla porta dello studio, si è girato ancora una volta e ci ha salutato di nuovo, con un gesto della mano, sorridendo… mi sembra di vederlo ancora lì sulla porta. Sereno come sempre. È l’ultima immagine che mi porto di lui.
Testimonianza di Padre Juan José Dabusti – Sacerdote dell’Arcidiocesi di Buenos Aires.
Una domanda mi è stata rivolta spesso – a cominciare dalla vicepostulatrice della Causa prima ancora che venisse a Buenos Aires per aprire il processo canonico per l’accertamento del miracolo – e poi da tanti giornalisti che l’hanno ripetuta anche a Roxana Sosa e a sua figlia Candela dal 13 ottobre 2021, da quando cioè la Chiesa ha riconosciuto il miracolo di guarigione compiuto per intercessione di Giovanni Paolo I. La domanda è questa: perché proprio Giovanni Paolo I? E altre che hanno accompagnato questa “sana curiosità”:
Perché hai pregato proprio Giovanni Paolo I quando ci sono tanti santi in Argentina?
Perché quel giorno ti venne in mente di invocarlo?
Cosa ti ha ispirato, cosa ti ha spinto a pregarlo?
Certamente le domande non sono solo queste. Molte altre ne sono nate. E sono domande che mi hanno aiutato. In questi mesi, dall’approvazione del miracolo e dall’annuncio della beatificazione di Giovanni Paolo I, ho potuto approfondire nella mia preghiera personale, nei colloqui con tante persone, nelle testimonianze rese quanto accaduto in quel 22 luglio 2011.
Posso dirvi che tre linee si intersecano per tessere questo miracolo di Dio che ha avuto papa Luciani come intercessore. Mi piace chiamare queste tre linee in questo modo: una linea storica; una linea spirituale; una linea ecclesiale.
Queste tre linee che si incontrano sono incluse in questa semplice testimonianza per raccontare quella sera del 22 luglio del 2011 quando venni chiamato da una madre, Roxana, per recarmi al capezzale della figlia morente, e guardandola in quelle condizioni ebbi l’ispirazione di rivolgermi a Giovanni Paolo I per chiedere la guarigione della sua bambina, e insieme a lei, e ad alcune infermiere presenti, lo pregai.
Io fino a quel momento non avevo mai pregato Giovanni Paolo I per una guarigione. Ma la sua figura ha avuto a che fare con la mia vocazione. Nell’agosto del 1978, a soli 13 anni e all’inizio della mia adolescenza, rimasi veramente colpito dall’elezione e dalla persona di papa Luciani: vidi che era molto semplice e molto felice. Questi due tratti avevano catturato la mia attenzione e suscitato la mia ammirazione, soprattutto, il mio spontaneo affetto per lui.
Ricordo che, in quei primi giorni del suo pontificato, i media mandavano notizie, filmati e foto di Giovanni Paolo I. Fu così che, su un’anta di un armadio della mia stanza, collocai, insieme ad altre stampe, il suo ritratto. E a volte, guardando questo ritratto, ho pregato per lui.
Conservo anche nella mia memoria l’impatto che la sua morte improvvisa mi ha causato.
Crescendo l’ho pregato di aiutarmi a discernere la vocazione da seguire. Essere prete o cosa?… E sono certo che Albino Luciani fu un misterioso padre spirituale e un silenzioso ma efficace intercessore per me nel decidere di abbracciare la vocazione sacerdotale.
Passati gli anni, diventato sacerdote nel 1991, la presenza di Giovanni Paolo I ha sempre avuto il suo posto nella mia spiritualità, più o meno forte.
Il 22 luglio verso mezzogiorno, mentre ero in parrocchia, Roxana è venuta a dirmi che i medici le avevano appena detto che Candela aveva contratto un virus in ospedale. Aveva la polmonite, uno shock settico e non pensavano che sarebbe sopravvissuta alla notte. Roxana mi ha chiesto di andare… a pregare ancora una volta… a benedirla…
Insieme siamo andati all’ospedale e siamo entrati nel reparto di terapia intensiva. Non ricordo, in quel momento, quanto personale medico fosse vicino al letto di Candela. Ci siamo avvicinati al corpo di Candela, che era in posizione fetale, non pesava più di 19 chili. E qui mi fermo. Devo fermarmi perché queste tre linee che si sono intersecate si perdono in… come dirlo con parole? In pochi punti. E in un’altra linea che è il mistero.
Perché ho proposto a Roxana di pregare lì Giovanni Paolo I affinché intercedesse per la vita e la guarigione di Candela? Non lo so. È stato lo Spirito Santo.
Per noi sacerdoti è frequente trovarci in queste situazioni terminali nella vita delle persone. Quando visitiamo ospedali, case di cura siamo continuamente di fronte alla realtà della morte. Per questo affermo che è stata certamente una mozione dello Spirito a spingermi a proporre in quel momento lì questa preghiera a Giovanni Paolo I.
Roxana non sapeva nulla di papa Luciani. Dato che eravamo in terapia intensiva, la spiegazione che le ho dato per chiedere la sua intercessione per salvare la vita di Candela è stata molto breve. Così insieme, io e lei e due infermiere presenti abbiamo messo le mani sul corpo di Candela e io ho pregato spontaneamente. Non ricordo esattamente le parole che ho detto. Chiesi al Signore, per intercessione di Giovanni Paolo I, di guarire Candela.
Il giorno dopo, Roxana venne in parrocchia e mi disse che sua figlia non solo aveva passato la notte, ma che c’erano segni evidenti di miglioramento. Passarono i giorni e le settimane e Candela continuò la sua guarigione. Fino a quando ho perso i contatti con loro perché è stata dimessa ed è tornata nel Paraná. Voglio condividere con voi che ho sempre tenuto vivo questo fatto. Internamente ero certo di un intervento speciale di Giovanni Paolo I.
Le cose sono rimaste in un previdente silenzio fino alla fine del 2014, quando ho ritrovato Roxana e Candela nella parrocchia di La Rábida. È stata per me una grande gioia vedere una ragazza di quasi 15 anni piena di vita che non riconoscevo e sua madre. Sono venute a salutarmi.
Roxana voleva che Candela mi incontrasse e anche che vedessi come si fosse ripresa, guarita.
Quel pomeriggio chiesi a Roxana se si ricordava per chi avevamo pregato.
E poi ho aggiunto: «Mi sembra che un giorno dovremo denunciare questo fatto meraviglioso».
RICORDIAMO che qui potrete scaricare la: Raccolta integrale delle 4 Udienze del beato Giovanni Paolo I
Nelle uniche 4 Udienze Generali che il neo Beato Pontefice Giovanni Paolo I (al secolo Albino Luciani, Patriarca di Venezia) è riuscito a pronunciare, troviamo una raccolta eccezionale e, diremo, quasi fosse un tesoro, la perla nel campo, il suo testamento catechetico che faremo bene a leggere e meditare. Giovanni Paolo I iniziando DALL’UMILTA’, voleva approfondire, appunto, i cardini del Catechismo. Egli fece – in quel tempo che Dio gli aveva concesso – quattro Catechesi dedicate così all’Umiltà citando il dovere e l’obbedienza ai Comandamenti; affrontò poi le Virtù teologali La Fede; la Speranza e la Carità.
Potete scaricare tutto in questo comodo pdf. Buona meditazione a tutti.
CLICCA QUI: Testo Messale liturgico per la Beatificazione di Giovanni Paolo I

Benedetto XVI: un misterioso monaco mi annunciò la morte di Papa Luciani

Questo episodio accadde di notte in Ecuador. Per il Papa emerito non sono credibili le voci di una morte violenta di Giovanni Paolo I
ABenedetto XVI fu annunciata mentre dormiva, in piena notte, la morte di Papa Luciani. A comunicargliela fu un misterioso monaco, che entrò nella sua stanza e sparì nell’arco di pochi secondi.
Albino Luciani, che restò al vertice della Chiesa mondiale per soli 33 giorni, morì all’improvviso nel suo appartamento a Città del Vaticano il 28 settembre 1978.
La testimonianza di Benedetto XVI
Nel processo di canonizzazione (Luciani sarà beatificato il 4 settembre 2022), c’è una importante testimonianza dell’interrogatorio di Benedetto XVI, svelata nel libro “Il postino di Dio” (edizioni Ares) di Nicola Scopelliti.
La conversazione con Luciani
Il Papa emerito sostiene di aver avuto un ultimo colloquio con Albino Luciani nel settembre 1978, quando «su incarico del Papa, andai al Congresso mariano nazionale in Ecuador. Poco prima ebbi una breve conversazione con il Santo Padre che mi incoraggiò e mi impartì la sua benedizione».
La costituzione fisica era “simile alla mia”
La salute di Papa Luciani sembrava buona. «Era chiaro che non era un gigante dal punto di vista della salute fisica – afferma l’allora cardinale Joseph Ratzinger – e tuttavia trovavo che il suo stato di salute rientrasse nella normalità. Avevo l’impressione che in questo senso la sua costituzione fisica fosse simile alla mia».
Il viaggio in Ecuador
La notizia della morte del Servo di Dio, invece, raggiunse il cardinale Ratzinger mentre si trovava in Ecuador. «Il giorno della morte del Papa ero a dormire nella residenza arcivescovile di Quito. A un certo punto, in piena notte mi svegliai e sentii aprirsi la porta ed entrare qualcuno».
Il monaco notturno
Quando accese la luce, l’attuale Papa emerito vide un monaco con un abito marrone. «Sembrava un misterioso messaggero dell’aldilà, cosicché dubitai di essere realmente sveglio. Entrò e mi disse che aveva appena ricevuto la notizia che il Papa era morto. Inizialmente non potevo crederci, ma poi non dubitai della veridicità dell’informazione. Curiosamente, mi riaddormentai subito, ma poi la mattina seguente appresi definitivamente l’impensabile notizia».
Il mistero di quella “apparizione” notturna è stato svelato nelle ore successive. «Quel monaco era un vescovo ausiliare di Quito che per comunicare di notte quella notizia aveva indossato il suo abito da religioso».
Lo choc durante la preghiera dei fedeli
«Quando, nella preghiera dei fedeli durante la messa, un concelebrante pregò per il defunto papa Giovanni Paolo I – aggiunge Ratzinger – il mio segretario laico lì presente trasalì, chiedendosi come fosse possibile confondersi in quel modo. Ci si poteva riferire solo a Paolo VI. Alla fine, siamo rimasti davvero tutti sotto shock per quella notizia, della cui veridicità non c’era più da dubitare».
Morte naturale?
Papa Benedetto XVI non ha mai avuti dubbi sulla morte naturale di Albino Luciani. «Sin da principio ritenni insensate le voci che cominciarono a circolare su una morte violenta del Servo di Dio. Le informazioni ufficiali per me erano e sono pienamente credibili e convincenti».

Leggi anche:“Ti ho sentito bestemmiare”. Così Albino Luciani rimproverava i compagni di scuola
Il giorno dei funerali
Il Papa emerito, nell’interrogatorio, ricorda anche il giorno dei funerali di Giovanni Paolo I, avvenuti il 4 ottobre 1978, giorno della festa liturgica di San Francesco d’Assisi. «I giorni delle esequie del Papa furono per me giorni di grande tristezza. La pioggia battente si accordava con quello stato d’animo. Anche la natura sembrava rattristarsi insieme a noi».
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LA TESTIMONIANZA DI GIOVANNI PAOLO II
