La vera storia di chi e come diffuse il Presepe nelle case

Premesso subito che – quanto segue – non intende sminuire l’affettuosa tradizione (ed in parte vera) oramai diffusa su chi ha fatto il primo Presepe e su chi l’ha diffuso, resta però importante scandagliare bene la storia specialmente oggi che di materiale ed opportunità ne abbiamo molte, per sapere come andarono davvero certi fatti. Questa ulteriore conoscenza, approfondimento se volete, dovrà e deve aiutarci maggiormente ad amare questa pia pratica nel costruire – anche se piccolo – un Presepe in casa propria e fare tutto il possibile (specialmente frequentando i Sacramenti e con le opere di carità) per accogliere il Divino Bambino Gesù, il Dio fatto Uomo, venuto per salvarci. Approfondendo questa storia meravigliosa legata al Padre Domenicano Gregorio Maria Rocco, noteremo anche come, il tempo e l’estro, finì per denaturalizzare i racconti dei Vangeli sulla rappresentazione della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo così che, ce lo auguriamo di cuore, questa lettura ci porti piuttosto a meditare e a riscoprire la semplicità del Presepe, semplicità alla quale faremo bene a ritornare arricchendo, insieme alla storia, il cuore e l’anima.

Veniamo al dunque e riportiamo due articoli, il primo da qui:

Percorrendo i vicoli di Pontenuovo, della Sanità o del Cavone capita d’imbattersi, ogni pochi metri, in antiche edicole dedicate alla Madonna e ai vari Santi protettori. Pur conoscendo l’immensa religiosità del popolo napoletano, pensavo fosse improbabile che tanti sacelli fossero stati eretti senza uno scopo che andasse oltre la fede. Incuriosito iniziai un lavoro di ricerca su internet. Il risultato della ricerca mi restituì un nome: Gregorio Maria Rocco, frate domenicano nato a Napoli nel 1700. Personaggio molto influente alla corte di Carlo III e molto amato dal popolo. La creazione delle edicole sacre le dobbiamo ad una sua idea.

Come racconta lo scrittore Alexander Dumas nell’opera “I Borboni di Napoli“, nel 1754 re Carlo III aveva deciso l’istallazione, in alcuni quartieri della città, di pali per l’illuminazione pubblica (allora inesistente). Tale servizio si rendeva necessario a causa delle numerose rapine e aggressioni che si verificavano nelle strade al calare della notte. I ladri, infatti, approfittando del buio, tendevano una fune alle due cantonate della strada facendo cascare i malcapitati passanti per derubarli di ogni avere (la celeberrima “funa ‘e notte”). I primi lampioni di quell’embrionale esperimento di illuminazione stradale venivano sistematicamente distrutti dai malviventi. Vista l’impossibilità di piantonare ogni punto luce con una guardia, re Carlo pensò di rivolgersi a padre Rocco, definito “uomo del popolo presso il re e uomo del re presso il popolo“.

Il frate ebbe una geniale idea: fece acquistare trecento immagini sacre ed altre centinaia di croci di legno. Con l’aiuto dei messi reali piazzò gli oggetti di culto in ogni quartiere, specialmente nei punti preferiti dai grassatori. Finita l’istallazione pose un lume davanti ad ogni immagine sacra ed affidò la cura degli altarini ai popolani che risiedevano sul posto. I lumi erano salvi, nessun ladro avrebbe mai osato distruggerli. Ancora Dumas ci racconta questo particolare frate descrivendolo “d’aspetto alto e nerboruto“, sempre pronto alla carità verso gli ultimi ed alla “redenzione dei tanti sventurati“. Dove non arrivava con la parola e le opere, per convertire non disdegnava di “usare un poderoso bastone che recava sempre con se”; tanti furono infatti i “guappi” convertiti a legnate da padre Rocco.

In una città messa in ginocchio dalle carestie, dalle eruzioni del Vesuvio, dalle epidemie di “febbre putrida”, Gregorio Maria Rocco ebbe il merito di ispirare al re la costruzione di un luogo di accoglienza per i poveri ed i malati: il Real Albergo dei poveri. Amico di sant’ Alfonso Maria de’ Liguori, animato dallo stesso spirito di carità verso gli ultimi, condusse una crociata contro i giochi d’azzardo che tante famiglie aveva ridotto alla disperazione. Vi riuscì convincendo Ferdinando IV a promulgare un editto in cui venivano banditi i giochi “clandestini” dal regno e, con parte dei ricavati delle lotterie lecite, si istituiva e finanziava un “Banco di prestito per i bisognosi“.

Sempre a padre Rocco dobbiamo la diffusione del presepe nelle case dei napoletani. La sacra rappresentazione della Natività ha in sé origini molto antiche, ma il presepe napoletano nacque e visse il suo periodo d’oro nel Settecento. Il frate domenicano aveva la convinzione che, attraverso la costruzione di presepi domestici, il popolo si sarebbe potuto avvicinare con maggiore fede al culto religioso e alle celebrazioni natalizie…

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Leggiamo ora dal sito ufficiale dei Padri Domenicani, Provincia Romana Santa Caterina da Siena, quanto segue:

Alla luce della recente visita di Papa Francesco nello stupendo luogo di Greccio, e della sua Lettera Apostolica sul presepe, è bello ripercorrere un po’ tutti gli eventi legati al presepe che nella storia si sono susseguiti nella nostra Italia e soprattutto scoprire quale fu il contributo che l’Ordine di San Domenico diede a questo “Admirabile signum” (vedi qui la Lettera Apostolica). 

Sappiamo che nei primi secoli della storia cristiana – e precisamente nell’epoca delle catacombe – comparvero delle raffigurazioni della Madonna con il Bambino e forse san Giuseppe (o il profeta Michea). La tradizione ci narra che le reliquie della Culla vennero inviate da San Sofronio di Gerusalemme a papa Teodoro I (642-649), di origine orientale, a seguito delle difficoltà provocate dall’invasione musulmana. Fu proprio in quell’epoca che la Basilica Liberiana, che oggi conosciamo con il nome di Santa Maria Maggiore, prese il nome di Sancta Maria ad Praesepem. A Napoli, secondo un documento ritrovato nel 1025 nella Chiesa di Santa Maria del Presepe, situata lungo la salita di Capodimonte, si parla dell’esistenza di una rappresentazione della Natività già nell’XI sec.

Popolarmente, si ritiene che l’inventore del presepe sia stato San Francesco d’Assisi nel 1223. In realtà, come narra il suo illustre biografo – Tommaso da Celano – Francesco nel Natale del 1222 si trovava a Betlemme dove assisté alle funzioni liturgiche della nascita di Gesù. Ne rimase talmente colpito che, tornato in Italia, chiese a Papa Onorio III di poterle ripetere per il Natale successivo. Ma il Papa, essendo vietati dalla chiesa i drammi sacri, gli permise solo di celebrare la messa in una grotta naturale invece che in chiesa. Quando giunse la notte santa, nel piccolo borgo di Greccio, accorsero dai dintorni contadini ed alcuni Frati. All’interno della grotta fu posta una greppia riempita di paglia ed accanto vennero messi un asino ed un bue. Nella notte di Natale a Greccio quindi non c’erano né statue e neppure raffigurazioni, ma unicamente una celebrazione eucaristica sopra una mangiatoia, tra il bue e l’asinello. Solo più tardi tale avvenimento ispirò la rappresentazione della Natività mediante immagini, ossia il presepio in senso moderno.

La costruzione del primo presepe quindi fu commissionata all’artista di Colle di Val d’Elsa, Arnolfo di Cambio, nel 1283 da parte del papa Niccolò V, che voleva celebrare l’evento ideato da San Francesco a Greccio.
Questo presepe si trova ancora oggi nella Basilica romana di Santa Maria Maggiore. Da questo momento in poi le notizie si fanno molto frammentarie. Si sa che nel 1330 un presepe venne costruito per la chiesa di Santa Chiara a Napoli. A partire dal XV secolo è possibile rintracciare dei veri e propri scultori di figure (“figurarum sculptores”) atti a comporre le sacre rappresentazioni e fra questi, i fratelli Giovanni e Pietro Alemanno che, nel 1470, crearono le prime statuine lignee della NativitàNel 1530 San Gaetano da Thiene realizzò nell’Oratorio di Santa Maria della Stalletta – così chiamata perché era stata ricavata da una stalla – un presepe con figure in legno abbigliate secondo la foggia del tempo dopo che la Madonna, apparsagli in visione nella Basilica di santa Maria Maggiore in Roma, gli aveva concesso il privilegio di tenere il Bambino Gesù tra le sue braccia.

Ma arrivato il ’700 e salito al trono Re Carlo III di Borbone il presepe acquisterà il suo massimo splendore. Re Carlo, unitamente all’interesse per la caccia, le arti e l’amore per il suo popolo ebbe un trasporto commovente per la famiglia e un amore intensissimo per la moglie, la giovane Maria Amalia. Per questo quando Padre Gregorio Maria Rocco – fidato consigliere – propose al Re di interessarsi al Presepe, la Regina non solo ne fu partecipe ma instancabile operatrice. Padre Rocco nacque nel capoluogo campano il 4 ottobre 1700, e fu un uomo ben voluto da tutti. Si dice di lui che fosse “più potente del Sindaco, dell’Arcivescovo, ed anche del Re” (Alexandre Dumas – I Borbone di Napoli). Nel corso dell’anno 1782 morì a Napoli all’età di 82 anni. Fu ispiratore di un ospizio che accoglieva i poveri diseredati e di case di accoglienza e di istruzione, per sottrarre i giovani alla delinquenza. Un’iniziativa notevolmente efficiente fu quella di provvedere all’illuminazione delle strade, fino ad allora inesistente, per impedire ai malviventi di compiere atti di borseggio sui viandanti. Puntando sul cuore dei fedeli, fece apporre sui muri delle case le immagini sacre, sollecitando il popolo religioso ad accendervi davanti ogni sera una lampada. Da quel momento Napoli ebbe la sua prima illuminazione.

A Padre Gregorio Maria Rocco dunque si deve anche la diffusione del presepe nelle case popolari. Questo amore profondo lo portava a prodigare nella costruzione di presepi sia nelle case private sia nelle chiese cittadine. Egli stesso si cimentava nei progetti di realizzazione coinvolgendo il popolo e non solo, perfino Carlo di Borbone, appassionato e provetto costruttore del presepe di Palazzo Reale, si compiaceva nell’aiutare il Padre in questa sua devota missione di voler riavvicinare la popolazione al culto di Dio, alla nascita di Gesù, santificando il Natale. E per intensificare questa passione del re, Padre Rocco pensò bene di far realizzare, lungo la salita che portava al Palazzo di Capodimonte, nel cui bosco il sovrano si inoltrava per la caccia, una grotta nel tufo immettendovi un piccolo presepe; in tal modo, Carlo, passandovi in carrozza, poteva ammirarlo. Il consiglio di Padre Rocco al re tendeva solo alla propaganda religiosa. Se nonché il presepe, invece di sollecitare mistici proponimenti, sollecitò l’estro e la fantasia dei napoletani che iniziarono a realizzare in ogni casa, quasi come una gara, i presepi più belli.

I racconti evangelici vennero stravolti, e degli antichi testi rimase solo l’episodio centrale della Natività. Alle arabesche scene del lontano paesaggio d’oriente si sostituiranno le assolate e vocianti regioni del sud Italia. E le atmosfere che si respireranno propongono colori e calori rubate alle scene della vita di tutti i giorni. Il presepe rappresentò un simbolo di affezione che il frate domenicano predilesse fin da bambino, realizzandone uno nella casa paterna; un’attività che condusse poi anche nei conventi in cui abitò alla Sanità e al Monte di Dio, e soprattutto in quello di S. Spirito a Palazzo, dove vi destinò metà dalla sua cella.

don Ennio Grossi (fr. Luigi Maria, O.P.)
sacerdote diocesano domenicano