«Soffro molto, ma per la conversione dei peccatori e per il Santo Padre. Mi piace tanto soffrire per amore di Gesù e di Maria. Essi sono molto contenti di chi soffre per la conversione dei peccatori» (santa Giacinta Marto di Fatima).
Certamente, oggi, sentire parole quali “mi piace tanto soffrire per amore di Gesù e di Maria” fanno scattare l’animo in subbuglio, spaventano, per altri si ridicolizza, si tende a sbriciolare il contenuto di queste parole pronunciate da una piccola fanciulla, canonizzata, pronunciate con senso di responsabilità e vissute sulla propria pelle quale RIPARAZIONE delle offese a Dio da parte di noi “miseri peccatori” in particolare degli impenitenti, dei recidivi, di coloro che non vogliono convertirsi e perciò, come spiegò la Vergine a Fatima, finiscono all’inferno anche perchè: “non c’è chi preghi e si sacrifichi per loro“….
Piccola parentesi: Valgono più le penitenze volontarie o quelle involontarie?
Parlare oggi di queste cose appare un estremismo, un attentato alla propria libertà o peggio, alla libertà di essere felici su questa terra – vedi qui sull’Apparizione a Lourdes- … pensando che – soffrire per amore di Gesù e di Maria – non possa produrre o condurre ad alcuna felicità.. Oggi è sempre più evidente e palese che il solo concetto di “sofferenza” o penitenza non è più accettabile neppure – e questo spiace e duole dirlo – in campo cattolico! Soffrire poi oggi per “il santo Padre, il Papa” è per alcuni insostenibile… per “sedevacantisti”, per quelli che delegittimano i Pastori che “non piacciono”, appare inaudito e persino non cristiano… bisogna invece seminare l’odio contro il papa che non piace, contro i pastori, contro i sacerdoti… e così non si vuole soffrire per LA CHIESA, non si vuole fare alcuna penitenza per il suo trionfo ma si attende questo contando sulle proprie forze, sulle personali battaglie…
- Nelle memorie di Padre Giovanni da Baggio, frate cappuccino della provincia toscana, che ebbe diversi incontri con Padre Pio in diversi periodi della sua vita, il 20 novembre 1946 troviamo una frase di Padre Pio che spesso campeggia su immaginette o che viene postata nei nostri social network: “Tutti vengono qua per farsi togliere la croce, nessuno per imparare a portarla.”
- Questa frase Padre Pio la confidò a Padre Giovanni. Dal 12 al 25 novembre 1946 il cappuccino toscano tenne gli esercizi spirituali alla fraternità di San Giovanni Rotondo. In questa giornata Padre Pio gli confidò che il momento di maggior sofferenza “era quello in cui non aveva sofferenze da offrire al Signore”. Però poi aggiunse che quello che lo faceva davvero patire nell’anima era la scarsa comprensione del mistero del dolore da parte di quella folla di pellegrini che ogni giorno invocavano aiuto, guarigione, conforto per le loro sofferenze fisiche e morali
- Padre Pio, rattristato, mormorava: “Tutti vengono qua per farsi togliere la croce, nessuno per imparare a portarla” e aggiungeva “se gli uomini conoscessero la proficuità spirituale del dolore vorrebbero essere messi tutti in croce”. (qui la fonte)
E’ una tra le frasi più diffuse di Padre Pio eppure c’è ancora chi si scandalizza delle parole di santa Giacinta di Fatima per aver detto: “mi piace tanto soffrire per amore di Gesù e di Maria“, e dispiace che certo dubbio e certo scandalo viene dal mondo cattolico o che tal voglia definirsi, senza la croce… ma ricordiamo anche le parole di Gesù: “E beato chi non si scandalizza di me” (Mt 11,6) – si legga anche qui sullo scandalo – il mistero della Croce è Lui, Lui ha trasformato la sofferenza in grazia e chi la rifiuta finisce per rifiutare Gesù stesso!
Ricordiamo bene che Giacinta, così come la Vergine a Fatima o Gesù stesso, nessuno ha mai affermato che sono contenti perchè l’uomo soffra… purtroppo abbiamo dovuto leggere anche di queste corbellerie in campo cattolico… ma che la gioia e la vera felicità sta nel DONARSI nella sofferenza, rendere la propria croce, la propria sofferenza un dono per altri, per il prossimo, per amore a Dio… Non possiamo dirci “cattolico, DISCEPOLO” del Cristo se rifiutiamo le sofferenze come penitenze per i nostri peccati, così come per la conversione dei peccatori!
Si legga anche qui: Le “Catechesi” di Santa Giacinta di Fatima
Quanto ora segue lo prendiamo dall’Osservatorio Domenicano, vedi qui… da meditare
L’attualità del messaggio penitenziale di Fatima
Suor Lucia racconta che, al termine delle rivelazioni della Madonna, il 13 luglio 1917, i tre pastorelli videro «al lato sinistro di Nostra Signora un poco più in alto un Angelo con una spada di fuoco nella mano sinistra; scintillando emetteva grandi fiamme che sembrava dovessero incendiare il mondo intero; ma si spegnevano al contatto dello splendore che Nostra Signora emanava dalla sua mano destra verso di lui; l’Angelo, indicando la terra con la mano destra, con voce forte disse: “Penitenza, Penitenza, Penitenza!”». Nella medesima apparizione la Madonna è perentoria: «Per salvare le anime Dio vuole stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato». Ma non basta: la Vergine ha una richiesta per i tre bambini: «Volete offrirvi a Dio per sopportare tutti i dolori che Egli vorrà mandarvi, in atto di riparazione per i peccati con cui è offeso e di supplica per la conversione dei peccatori?». Lucia rispose a nome di tutti: «Si, vogliamo!».
Resta solo da capire l’attualità di tale messaggio. E noi lo vogliamo? Nel 2010 Papa Benedetto XVI durante il volo che lo avrebbe condotto pellegrino a Fatima disse a chiare lettere che la missione di Fatima è tutt’altro che conclusa ed evidenziò il cuore ancora attuale del messaggio: «[…] La Chiesa quindi ha profondo bisogno di ri-imparare la penitenza, di accettare la purificazione, di imparare da una parte il perdono, ma anche la necessità della giustizia. Il perdono non sostituisce la giustizia. Con una parola, dobbiamo ri-imparare proprio questo essenziale: la conversione, la preghiera, la penitenza e le virtù teologali»1.
Giacinta prima delle apparizioni
Giacinta nacque l’11 Marzo del 1910. In una famiglia poverissima, senza istruzione ma educata alla retta dottrina dalla madre. Somigliava molto a suo fratello Francesco anche se solo fisicamente perché di temperamento erano molto diversi. Francesco era più timido e solitario mentre Giacinta era più socievole, intraprendente, aperta e diretta. Era legatissima alla cugina Lucia la più grande dei pastorelli di Fatima. Le due cuginette erano molto affiatate. Tra loro vi erano tre anni di differenza e Giacinta ebbe in Lucia sempre un punto di riferimento; dapprima per i giochi, poi come riservata confidente durante il tempo delle apparizioni, fino a divenire, dopo il 1917, la vera compagna del cammino di perfezione. Giacinta era una bambina normale con pregi e difetti. Tra i pregi una virtù fondamentale ovvero l’amore per la sincerità. Non sopportava la più piccola bugia. Tra i difetti, sappiamo da ciò che riporta Lucia che Giacinta fosse particolarmente permalosa oltre che essere anche molto ostinata.
La visione dell’inferno e la “battaglia” di Giacinta
La visione dell’inferno terrorizzò Giacinta a tal punto che non riusciva a pensare ad altro. La piccola si chiedeva come fosse possibile vivere come se niente fosse! In ogni istante della giornata vi erano persone che andavano all’inferno, o che correvano il rischio di andarci! Cosa fare?
La Madonna il 19 agosto del 1917 dice ai pastorelli che «molti vanno all’Inferno perché non c’è nessuno che preghi e si sacrifichi per loro». Queste parole della Vergine sconvolgono la vita dei tre bambini ma particolarmente Giacinta avverte tutto il dramma di quelle parole e se ne fa carico. Giacinta non sapeva nemmeno cosa fosse l’Inferno e non coglieva nemmeno la categoria di eternità. Tuttavia chiese alla cugina Lucia che le rispose che l’Inferno è un luogo di tormenti dal quale una volta entrati non vi si esce più. Inizia così la battaglia dei tre bimbi per strappare più anime possibili al demonio e guadagnarle a Cristo: Giacinta non si risparmierà in questa battaglia senza esclusione di colpi a suon di digiuni, penitenze, piccole e grandi mortificazioni.
Il digiuno e le mortificazioni come potente arma spirituale
I bambini iniziarono un vero e proprio programma di penitenza. È Francesco il primo a proporre di rinunciare alla propria merenda e di darla alle pecore del pascolo. Oltre alla rinuncia al cibo, presto pensarono che si poteva rinunciare anche all’acqua da bere. Così versavano le loro fiaschette d’acqua nei recinti delle pecore e stavano tutto il giorno senza bere e con un caldo tremendo! Giacinta era une vera e propria “guerriera” perché il suo pensiero fisso fu quello di studiare tutti i sacrifici possibili pur di vivere in costante penitenza. C’è da rimanere basiti davanti a tale eroismo! A partire da chi vi scrive, siamo davvero poco allenati a vivere penitenze e mortificazioni mentre la piccola Giacinta desidera piacere a Cristo e a Sua Madre e si comporta di conseguenza, offrendo tutto se stessa per la salvezza dei peccatori. Pare che tutto fosse motivo di fare il contrario, si trattava di cose piacevoli, per poter riparare i peccati.
La malattia di Giacinta: un ponte per il cielo
Nell’estate 1919 Giacinta si ammala gravemente. Soffriva molto, sempre di più. Oltre ad avere l’influenza spagnola, fu colpita da una broncopolmonite e le si formò nella pleura un ascesso purulento che la faceva penare moltissimo. Ma la piccola dice alla cugina Lucia: «Soffro molto, ma per la conversione dei peccatori e per il Santo Padre. Mi piace tanto soffrire per amore di Gesù e di Maria. Essi sono molto contenti di chi soffre per la conversione dei peccatori». È incredibile come Giacinta trasformi anche dei piccoli atti in sacrifici e mortificazioni: «Stanotte provavo molti dolori e volli offrire a Gesù il sacrificio di non girarmi nel letto; per questo non potei dormire».
Possiamo dire che la sofferenza della piccola Giacinta divenne un ponte per il cielo che molte anime poterono attraversare grazie alla sua costante offerta. Chissà quante anime hanno attraversato quel ponte verso la salvezza eterna! La piccola subì un intervento chirurgico nel febbraio del 1920 ma dopo sole tre settimane arrivò la morte già comunque anticipata dalla Madonna stessa.
Una bambina dai messaggi scomodi
Ella diceva che la Madonna le aveva comunicato che il peccato che trascina più anime all’Inferno era il peccato della carne e poi ancora soleva dire che i sacerdoti devono occuparsi solo delle cose della Chiesa e che devono essere puri, molto puri! E poi ancora diceva che senza confessione non c’è salvezza! I temi della “predicazione” di Giacinta sono la povertà, la carità, la purezza, la confessione dei peccati. Si tratta di un programma che potrebbe seguire qualsiasi noviziato per la preparazione e la formazione dei religiosi, ma di fatto è valido anche per chi vive nel mondo come semplice battezzato.
Il mistero contenuto nella sofferenza
Giacinta ha il desiderio di offrire la propria vita, di soffrire per i peccatori: in lei “rivive” la Passione del Cristo e tuttavia dobbiamo anche dire con Papa Giovanni Paolo II che nessuno uomo può aggiungere qualcosa al piano redentivo del Cristo. Continua il Papa: «Allo stesso tempo, però, nel mistero della Chiesa come suo corpo, Cristo in un certo senso ha aperto la propria sofferenza redentiva ad ogni sofferenza dell’uomo. In quanto l’uomo diventa partecipe delle sofferenze di Cristo – in qualsiasi luogo del mondo e tempo della storia -, in tanto egli completa a suo modo quella sofferenza, mediante la quale Cristo ha operato la redenzione del mondo»2.
Quanti oggi anche nella nostra Chiesa sanno cogliere l’urgenza e il valore del mistero contenuto nella sofferenza? «Per far si che avvenga il trapasso dalla valle della morte al trionfo del Cuore Immacolato, ci viene insegnato che il metodo non è il dialogo o le varie marce della pace, ma la sofferenza, la croce, il sacrificio. Linguaggio duro e inaccettabile? Se il fine è il vero Bene, nulla è troppo poco. Nell’amore infatti si soffre»3.
Allora prendiamo esempio dalla piccola Giacinta e dimostriamo di avere fede, non solo quando tutto sembra andar bene ma anche quando la sofferenza, di qualsiasi tipo, entra nella nostra storia così da poter asserire con san Paolo: «Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, in favore del suo corpo che è la Chiesa»4.
1 Papa Benedetto XVI, intervista ai giornalisti in volo verso Fatima, reperibile al link: https://www.vatican.va/content/benedict-
xvi/it/speeches/2010/may/documents/hf_ben-xvi_spe_20100511_portogallo-interview.html, consultato il 17.03.23.
2 S. Giovanni Paolo II, lettera apostolica Salvifici doloris n. 24.
3 Tognetti S., Giacinta, Etabeta, Lesmo 2020, pp. 15-16 ss., anche ove non esplicitamente indicato nel prosieguo dell’articolo.
4 Col 2,24.
si legga anche qui: Le “Catechesi” di Santa Giacinta di Fatima
Che dire ad un ragazzo che afferma che l’esistenza dell’inferno è come una specie di ricatto fatto ad una persona per cui se non ci si sottomette ai capricci di Dio…
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Quesito
Salve Padre Angelo,
le riporto le affermazioni di mio figlio che vorrebbe sapere un suo parere in merito. Ecco ciò che mi ha dettato.
Secondo il mio pensiero non capisco perché Dio permetta l’esistenza dell’inferno: in un suo ricatto l’essere umano è costretto a sottomettersi al volere e ai capricci del Dio Padre cristiano in una maniera simile al terrore propagato in una maniera simile a come è rappresentato dalla scommessa di Pascal (una cosa in sé riduttiva ma non è questo il punto).
Dà la libertà all’uomo di scegliere nella vita, ma anche nella più grande ignoranza dell’uomo non dà possibilità di scelta dopo la morte.
E dunque la concezione di libertà cristiana è pressoché la stessa di quella di un sistema giudiziario, solo che non si sa a priori dell’esistenza di questi “poliziotti”.
È permessa la sofferenza perpetua ai dannati analogamente a lasciare ad una sua creatura la libertà di buttarsi (metaforicamente) in una pozza di lava, ma lascia che questi si brucino per sempre senza possibilità di espiazione le proprie colpe.
Se una persona afferma/crede di non meritare l’inferno per aver aderito a dei principi personali che siano deplorevoli o meno. Bisognerebbe dare la libertà a quest’individuo di non scegliere l’inferno anche dopo la morte.
Se non vi è questa possibilità non esiste libertà incondizionata e quindi non esiste libertà.
Se Dio è vero amore non permetterebbe l’esistenza dell’inferno, poiché se esistono esseri umani che non condannerebbero nessuno e darebbero misericordia a tutti, dovremmo affermare che questi specifici individui (o, se vogliamo, un altro Dio) sono più misericordiosi di Dio e dunque Dio non sarebbe amore assoluto? Sarebbe una contraddizione clamorosa.
Sarei curioso di sentire la sua.
Cordialmente.
A. G.
Risposta del sacerdote
Cara Irene,
solo oggi sono giunto alla mail che mi hai inviato il 17 ottobre 2021.
Mi spiace e te ne domando scusa.
1. Leggendo la mail mi sono detto: “Ma questo non è il Dio che io da sempre ho conosciuto, che ho amato e che posseggo nel mio cuore.
Non è il Dio predicato nel Vangelo. Questo non è il Dio che amo e che cerco”.
Questa è una caricatura di Dio.
E in virtù di questa caricatura, come se corrispondesse a verità, viene espressa una condanna in maniera così aspra, per non dire blasfema.
Questo non è corretto.
Si tratta di una caricatura che tuo figlio si è costruita con la sua fantasia che non ha alcun riscontro nel Vangelo.
Se l’avesse letto, documenterebbe con tanto di versetti le affermazioni che contesta.
Qui invece non ce n’è un’affermazione di Gesù che pretenderebbe di contraddire.
2. Questo ragazzo certamente da un pezzo ha abbandonato la pratica religiosa. Perché se andasse in Chiesa, non ne verrebbe fuori con l’idea di un Dio poliziotto.
Penso che non lo si senta a predicare da nessuno altare di questo mondo.
Chiunque se leggesse la mail che mi hai inviato direbbe: “È questo il Dio che tanti amano fino a spendere la propria vita per lui?”.
3. Bisognerebbe che tuo figlio leggesse il Vangelo. Allora ne verrebbe fuori con un’altra visione.
Ad esempio, ha mai sentito dire che Dio è amore (cfr. 1 Gv 4,8)?
Come conciliare le sue affermazioni con l’affermazione che Dio ha dato di se stesso: “Dio è amore e chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio in lui” (1 Gv 4,16).
Sa che cosa significa rimanere in Dio?
Sa che cosa significa che Dio rimane in lui?
4. C’è da augurarsi che si sia allontanato da Dio solo fantasticando a tavolino.
Il più delle volte ci si allontana senza accorgersene.
Ci si allontana con il peccato perché il peccato è proprio questo: un allontanarsi da Dio.
Se tuo figlio vivesse in Dio e Dio vivesse in lui comincerebbe a sperimentare qualcosa che non è di questo mondo e che giustamente i teologi definiscono come “soprannaturale”.
Si tratta di un certo assaporamento o prelibazione della beatitudine futura.
Tale assaporamento non può essere attuato se non si vive in grazia perché Dio non entra in un’anima inquinata dal peccato (cfr. Sap 1,4).
5. Alcuni peccati poi, senza far diventare delinquenti e pur facendo rimanere “bravi ragazzi, solari”, come si dice oggi, spengono il gusto delle cose di Dio e annebbiano la mente nei confronti della realtà spirituali. Fanno diventare spiritualmente ciechi.
Si tratta essenzialmente dei peccati di impurità.
Secondo San Tommaso è “a motivo del peccato di lussuria che l’uomo massimamente si allontana da Dio” (Commento in Giobbe, lez. 31, inizio) e “dalla lussuria deriva la cecità della mente, che elimina quasi del tutto la conoscenza dei beni spirituali, mentre dalla gola deriva l’ottusità del senso, che rende l’uomo debole nella considerazione di questi beni.
Al contrario le virtù opposte dell’astinenza e della castità dispongono l’uomo alla perfezione della vita spirituale. Per cui in Daniele si legge che ‘a questi giovani’, casti e astinenti, ‘Dio conferì scienza e cognizione in ogni specie di libro e di sapienza’ (Dan 1,17)” (Somma teologica, II-II, 15, 3).
6. Infine, credere in Dio ed essere cristiani non significa semplicemente aderire ad alcuni principi, come se si trattasse di una ideologia.
Il cristianesimo non è un’ideologia.
Essere cristiani significa incontrare una Persona, anzi, incontrare il Creatore che si rivela e si comunica a noi come ad amici per renderci partecipi della sua comunione di vita.
Con l’augurio di un sereno e Santo Natale assicuro volentieri la mia preghiera perché tuo figlio possa incontrare il Signore e vivere insieme con Colui che ha detto disse: “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12).
Vi benedico.
Padre Angelo
SOSTA – L’esempio di Giacinta di Fatima, dedicato a tutti quei cattolici che negano il valore della “sofferenza vicaria”
Ormai da tempo tra i cattolici, influenzati da una teologia che ormai nulla ha più di cattolico, si sta facendo strada la convinzione che non possa esistere una sofferenza vicaria, ovvero il soffrire volontariamente o involontariamente (accettando le prove che il Signore permette nella vita) per purificare se stessi e compensare i peccati altrui.
E’ evidente che la sofferenza vicaria poggi sulla convinzione che Dio è Sommo Amore, ma anche Somma Giustizia e, come Somma Giustizia, richiede il compenso del peccato.
La teologia neomodernista, che tra tante cose nega anche questo, non può non attaccare anche il principio della sofferenza vicaria.
Ciò, però, non solo è un’offesa al sacrificio di Cristo, è un’offesa anche all’eroismo di tanti santi e perfino di santi bambini, come è il caso di Giacinta di Fatima.
Ella, infatti, volle essere vittima innocente. Il soffrire per i peccatori fu la sua dolorosa passione fino alla morte.
Colpita dalla spagnola e dalla pleurite purulenta, fu trasportata in ospedale e sottoposta ad intervento chirurgico per l’asportazione di due costole, senza essere addormentata.
In quella situazione sfruttò ogni occasione per offrire sacrifici per i peccatori.
Il suo conforto era l’assistenza della Madonna.
Morì consumata dai dolori e in solitudine, a soli 10 anni!
Dio è Verità, Bontà e Bellezza – Il Cammino dei Tre Sentieri
