«È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all’uomo attraverso il quale avvengono tali scandali»
Il Vangelo, infatti, parla dello scandalo, non ce lo inventiamo noi!
Nel vangelo si trova 26 volte il verbo scandalizzare.
Il significato è una istruzione da parte di Gesù: significa causare la caduta di qualcuno, al punto da fargli perdere la fiducia in Dio.
I vangeli che parlano dello scandalo sono: Marco 9,42; Luca 17,1-2; Matteo 18,6-7.
In questi testi si sostengono principalmente tre cose:
1) «È inevitabile che avvengano scandali»
2) «ma guai all’uomo attraverso il quale avvengono tali scandali»
3) «Questo merita che gli sia messa una macina al collo e che sia gettato in fondo al mare».
La violenza di questi enunciati mostra fino a che punto Gesù e tutta la santa Tradizione che segue potessero essere indignati, di fronte a questo genere di male.
Dopo questa presa di posizione nei confronti di chi scandalizza gli altri, seguono dei detti che descrivono le misure da prendere nel caso di caduta.
Gesù dice infatti: se la tua mano, se il tuo piede, se il tuo occhio sono per te occasione di caduta, poi viene la misura da prendere, taglialo, tagliala, strappalo.
Il rimedio proposto è radicale e certamente non è che dobbiamo mutilarci fisicamente o letteralmente… ma capire che la posta in gioco finale è o la geenna, cioè la morte ossia l’inferno eterno, o il Regno, il Paradiso eterno, la beatitudine (Marco 9, 43-48).
Tagliare un arto, o cavare un occhio sono indicazioni, infatti, di una lotta che ogni discepolo deve compiere, pur rinunciando alla propria vita, per guadagnare quella eterna. Sono parole da non prendere alla lettera attraverso atti di mutilazione fisica, ma devono essere presi come seri ammonimenti.
Scandalizzare significa sempre mettere ostacoli sul cammino degli altri… si tratta, perciò, di vigilare su se stessi anzittutto, di rinunciare a ciò che ostacola l’ingresso nel Regno, ossia praticare una dura lotta contro tutto ciò che spinge l’uomo a cadere nel peccato, a seguire quelle inclinazioni che contraddicono l’esistenza cristiana con tutta la dottrina proposta dal vangelo.
L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri … o se ascolta i maestri, lo fa perché sono dei testimoni …
È dunque mediante la sua condotta, mediante la sua vita, che la Chiesa evangelizzerà innanzitutto il mondo, vale a dire mediante la sua testimonianza vissuta di fedeltà al Signore attraverso e dentro la Sua unica Chiesa Cattolica, apostolica, una e santa, Romana…
Buona riflessione….
Domenica 11 ottobre 2015 – Santa Messa VO
I tempi sono cattivi perché il peccato viene esaltato
Letture: Léctio Epístolæ B. Pauli Ap. ad Ephésios, 5, 15-21
Vangelo: Sequéntia S. Evangélii secundum Ioánnem, 4, 46-53
San Paolo, ai cristiani di Efeso, dice: i tempi sono cattivi, i giorni sono cattivi!
Allora verrebbe da dire: “Ma allora, caro San Paolo, se tu vivessi adesso, in questi giorni, che cosa diresti?”.
Sono cattivi e difficili anche i nostri giorni. Sono giorni in cui la Chiesa stessa è attraversata, è scossa dallo scandalo, dal dramma di peccati sconcertanti.
Peccati che, ricordiamolo, se venissero riconosciuti come tali, affidati alla Misericordia di Dio, nel riconoscimento sincero dell’errore, dello sbaglio, nello gettarsi in ginocchio davanti a Dio, chiedendone pietà e perdono, andando nel confessionale e aprendo il cuore alla grazia sacramentale, sarebbero perdonati.
Ma i tempi sono cattivi perché molte volte il peccato è esaltato, protetto, difeso, sbandierato, ostentato.
Allora la crisi diventa grave e profonda. Ed è una crisi che rende vana, talvolta, la testimonianza di noi pastori che dovremmo essere guide per i nostri fratelli e le nostre sorelle.
Diceva il grande Giovanni Battista Vianney, il Santo curato d’Ars, che “un prete che va in paradiso porta con sé molte anime, e un prete che va all’inferno ne porta con sé altrettante”.
Sono tempi difficili… Penso che San Paolo oggi potrebbe ripetere le stesse parole che disse ai cristiani di Efeso: “I giorni sono cattivi”. Riconosciamolo, perché qualche volta facciamo finta che non lo siano.
Se io non riconosco di essere malato – di una malattia mortale – non andrò mai a farmi curare.
Non posso essere guarito da Gesù, il medico delle nostre anime, non posso aver speranze di guarigione, finché non mi getto alle sue ginocchia, implorando: “Signore, abbi pietà di me, peccatore!”.
Dio è misericordia infinita, Dio perdona qualsiasi peccato, ma ha bisogno di ginocchia piegate che chiedano il suo perdono. Non si tratta di una misericordia “tanto al chilo”, o distribuita a pioggia; non esiste misericordia gratuita.
È gratuita la generosità con cui il Signore offre la sua misericordia, ma dobbiamo, comunque, “acquistarla” con il pentimento, con la penitenza, con la vergogna che sfigura il nostro volto. Dobbiamo dire: “Signore, siamo nei guai, abbiamo bisogno di Te”.
Stiamo affondando…
Umanamente – se ci pensate – la Chiesa sarebbe affondata da un pezzo, da tanto tempo. Addirittura potremmo dire che la Chiesa cattolica ha le ore contate.
E’ giunto il tempo, se vogliamo usare questa immagine, di portare i libri in tribunale e dichiarare fallimento. Oppure potremmo dire che la crisi è così grande che non sappiamo come fare a pagare i creditori, né come farci pagare dai debitori. La Ditta è fallita.
Signore Gesù, i tempi sono cattivi, e lo sono per colpa nostra, non per colpa tua. I tempi sono oscuri, ma non perché Tu sei oscurità, ma perché noi abbiamo scelto l’oscurità.
“Vigilate attentamente”, dice San Paolo agli Efesini, “e non comportatevi da stolti, ma da uomini saggi. Edificatevi a vicenda con inni, salmi, canti spirituali; non distruggetevi a vicenda con scandali e peccati, soprattutto con l’esaltazione di voi stessi”. Sono giorni difficili, ma non dobbiamo cedere all’oscurità. Il Battesimo ci ha reso figli del Dio della luce, figli del Dio della verità e della vita. Non possiamo rassegnarci alla mediocrità.
Pensando ai guai che noi pastori combiniamo, ho notato quanto il popolo di Dio, il popolo cristiano, venga più scandalizzato – se dico un’idiozia ditemelo pure – dalla mediocrità dei consacrati, che dalla loro debolezza, poiché tutti, più o meno, siamo deboli. Il fatto che non siamo né carne né pesce, che non siamo né freddi né caldi, come dice il libro dell’Apocalisse. “Non sei né freddo né caldo: sei tiepido. Per questo ti vomiterò dalla mia bocca” (cfr. Ap 3). Sì, è la mediocrità, la tiepidezza che scandalizza e ci rende odiosi.
Da noi, suoi ministri e consacrati, Gesù si aspetta la passione, un cuore ardente, bruciante del fuoco dell’innamoramento, un cuore pieno di Lui. Un cuore dilatato dalla presenza del Signore che accoglie tutti, non per impadronirsene, ma per esserne a servizio.
Credo che sia questa la ragione dello scandalo di molti: il fatto che siamo delle “mezze cartucce”, non siamo né da una parte, né dall’altra.
L’uomo che è andato da Gesù ci credeva profondamente, aveva la fede. Credeva che Gesù gli avrebbe guarito il figlio, infatti così è avvenuto. Credeva in Gesù, in Lui aveva riposto tutta la sua speranza: su quella fede è stato compiuto il miracolo.
Fratelli e sorelle, non possiamo cedere alla violenza della disperazione (perché la disperazione è violenza). Noi siamo i figli del Dio della verità, della luce, della bellezza, dunque dobbiamo aiutarci a vicenda, come ci dice San Paolo ai cristiani di Efeso, con la preghiera, con una bella testimonianza, nel nostro piccolo, di vita cristiana.
Ognuno di noi ha una missione in questo mondo: compiamola in pienezza con passione, con amore, con puntualità, ad maiorem Dei gloriam, e ad edificazione dei nostri fratelli.
Non credo che faremo grandi miracoli: Dio non ci chiede di resuscitare i morti, a questo ci pensa Lui, ma di non lasciar morire la speranza, di aver cura dei fratelli e delle sorelle che Egli ci ha affidato.
È un compito che riguarda tutti: la santificazione. Anche noi sacerdoti abbiamo bisogno di un popolo di Dio che sia santo e che ci dia un esempio bello, luminoso, che ci faccia vergognare ed esclamare: “Le mie pecorelle sono più brave di me, il loro pastore!”. Un popolo santo che susciti in noi una vergogna salutare, che ci faccia convertire pienamente.
L’edificazione spirituale di cui parla San Paolo – portarci, sopportarci, sostenerci, gli uni gli altri – è fondamentale, perché abbiamo incontrato Gesù, il Dio della vita, della verità, della pace, della gioia. Il Dio che ci promette vita, verità, pace e gioia nell’altro mondo, se in questo mondo noi saremo fedeli a Lui.
Ribadisco: nel nostro piccolo. Non dobbiamo fare cose straordinarie, ma piccole cose fatte bene, compiute per amore. Piccoli cuori, ma riempiti di Lui; appassionati per Lui, innamorati di Lui, che siano sempre suoi, mai di qualcun altro.
Questa è la bellezza della vocazione cristiana. Vale per tutti, consacrati e laici. È una via bellissima, esaltante, carica di promesse, di gioia, anche nella mediocrità e nella palude nella vita di tutti i giorni. Anche, se volete, nella mediocrità e nella palude della vita della Chiesa di questi giorni.
Anche in questi giorni bui e cattivi, di cui parla San Paolo, manteniamo la speranza – il Signore – a cui ci possiamo aggrappare con certezza; non è un auspicio, un augurio: è una certezza.
È la certezza della Croce di Gesù che sta ferma, mentre tutto ciò che sta intorno gira vorticosamente senza sapere dove andare. Noi, invece, sappiamo dove andare.
Affidiamoci a Lui e non saremo delusi.
Sia lodato Gesù Cristo.
Sempre sia lodato.
PER MEDITARE ULTERIORMENTE
L’ANTITESTIMONIANZA E LO SCANDALO
Nella Lettera apostolica Tertio Millennio adveniente (n. 33), la Chiesa è inviata «a farsi carico con più viva consapevolezza del peccato dei suoi figli nel ricordo di tutte quelle circostanze in cui, nell’arco della storia, essi si sono allontanati dallo spirito di Cristo e del suo Vangelo, offrendo al mondo, anziché la testimonianza di una vita ispirata ai valori della fede, lo spettacolo di modi di pensare e di agire che erano vere forme di antitestimonianza e di scandalo».
Già nel 1975, l’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi di Paolo VI, raccogliendo i frutti della III Assemblea generale del Sinodo dei vescovi, consacrata alla evangelizzazione, aveva sottolineato l’importanza centrale della testimonianza. Queste parole hanno trovato una vasta risonanza, sono state riprese dall’attuale Magistero. Conservano tutta la loro pertinenza in vista della nuova evangelizzazione: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri … o se ascolta i maestri, lo fa perché sono dei testimoni …
È dunque mediante la sua condotta, mediante la sua vita, che la Chiesa evangelizzerà innanzitutto il mondo, vale a dire mediante la sua testimonianza vissuta di fedeltà al Signore Gesù, di povertà e di distacco, di libertà di fronte ai poteri di questo mondo, in una parola, di santità» (n. 41). Si rileverà che il soggetto della testimonianza, al di là dei cristiani presi singolarmente, è la Chiesa.
In vista del Grande Giubileo, il tema della testimonianza deve in modo del tutto particolare fare l’oggetto di un nostro esame di coscienza e di meditazione. Le poche considerazioni che seguono su quello che ne è il rovescio: l’antitestimonianza e lo scandalo.
Lo scandalo della Croce
Nel linguaggio della Scrittura lo scandalo significa un tranello, tutto quello che fa soccombere e, quindi, che mette alla prova la fede. Ma facciamo notare che, a seconda della provenienza, e a seconda delle capacità e delle disposizioni di chi è scandalizzato, il significato dello scandalo differisce completamente. Per il credente lo scandalo della Croce è adorabile. Questo scandalo non è un’antitestimonianza. È al contrario fonte della più grande testimonianza.
Dopo che Gesù, nella sinagoga di Cafarnao, ebbe annunciato il mistero dell’Eucaristia, una crisi profonda si produsse tra i discepoli. « Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo? ». Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro. Disse allora Gesù ai Dodici: Volete andarvene anche voi? Si conosce la risposta di Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna». Queste sono le parole della fede.
Di fronte allo smarrimento provocato dalle sue parole, Gesù non fece niente per attenuarle: «Questo vi scandalizza?». Egli precisa che in seguito capiranno e che questa comprensione è un dono dello Spirito, ch’essa s’identifica con il dono della fede: «Ma vi sono alcuni tra voi che non credono» (cf. Gv 6, 60-69).
La profondità e la sublimità del messaggio di Gesù, quindi, scandalizza, nel senso che è occasione di caduta per chi non crede o prova superata per colui che crede. Il tema dello scandalo, nel Nuovo Testamento, è dunque legato alla fede, come libera accoglienza del mistero di Cristo. Dinanzi al Vangelo non si può restare indifferente, tiepido, o sottrarsi: il Signore ci interpella personalmente e ci chiede di dichiararsi per lui (cf. Mt 10, 32-33).
Agli invitati di Giovanni che era in carcere, sconcertato per quello che sente dire dello svolgimento del ministero di Gesù, questo risponde evocando i segni messianici che l’accompagnano. E aggiunge: « beato colui che non si scandalizza di me» o: che non cadrà per causa mia (cf. Mt 11, 6).
La prima lettera di Pietro, 1, 7-8, riferendosi ad un brano d’Isaia (8, 14), afferma dal canto suo: «Onore dunque a voi che credete; ma per gli increduli la pietra che i costruttori hanno scartato è divenuta la pietra angolare, sasso d’inciampo e pietra di scandalo». E vi è data la ragione: «loro v’inciampano perché non credono alla parola».
A questo scandalo, a questa prova della fede, Gesù preparerà i suoi discepoli, annunciando loro l’odio del mondo, le persecuzioni ma anche le consolazioni dello Spirito (cf. Gv 6, 14-16): «Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi (o affinché non soccombiate alla prova») (cf. Gv 16, 1).
È lo stesso paradosso di cui ci parla san Paolo nella prima lettera ai Corinzi, 1, 18-31. Il mondo peccatore non ha saputo riconoscere la Sapienza di Dio, che salverà i credenti per la stoltezza della predicazione del Messia crocifisso, stoltezza e scandalo. Il piano divino della salvezza rivela le profondità del mistero dell’agapè divina e ci invita a prendere coscienza dei nostri limiti, poiché il rifiuto ad aprirsi al mistero ha per motivo l’autosufficienza colpevole: «Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini».
Capire questo, alla luce della fede, è accogliere ciò che possiamo chiamare lo scandalo benedetto delle vie di Dio, è accogliere il mistero della Croce, fonte di salvezza. L’esigenza posta così è l’esigenza della purezza della fede, di un’adesione alla infinita trascendenza della sapienza salvifica di Dio.
L’accoglienza del mistero della salvezza con la fede suppone da parte nostra la purezza di cuore, e di conseguenza un impegno sul cammino della conversione. Ci si ricorderà della bellissima pagina del Vangelo: «In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: “Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto, queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Si, Padre, perché così a te è piaciuto. Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare”» (cf. Lc. 10, 21-22).
Se il tuo occhio ti è occasione di scandalo
C’è una profonda corrispondenza tra le anawime di cui parlano le righe precedenti e l’accoglienza del mistero, che risulta uno scandalo per colui che resta chiuso nella sua sufficienza. I discepoli fanno così notare a Gesù dopo il suo insegnamento sul puro e l’impuro: «Sai che i farisei si sono scandalizzati nel sentire queste parole?» (cf. Mt. 15, 12). Qui l’accento si sposta: lo scandalo non è più, se si può dire, sulle profondità del disegno di Dio, è nella cecità del cuore.
Esistono degli scandali che provengono da noi o dei quali siamo più o meno direttamente responsabili ed che è nostro dovere togliere dalla nostra strada.
La parola di Gesù è categorica: «Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna. E se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te…» (Mt. 5, 29-30, cf. anche 18, 8-9).
Il vigilare e il coraggio delle rinunce fa anche esso parte del cammino della conversione. Qui lo scandalo è l’ostacolo che occorre scartare totalmente. Per questo sappiamo di poter contare sull’aiuto di Dio, al quale lo chiediamo tutti i giorni: «non ci indurre in tentazione».
Lo scandalo dei piccoli
È dopo aver invitato i discepoli a farsi piccoli e ad accogliere i bambini, che Gesù parla, con grande severità dello scandalo arrecato ad altri: «Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!» (cf. Mt. 18, 6-7).
Necessità non vuol dire evidentemente fatalità. Significa che lo scandalo è inevitabile essendo il mondo segnato dal peccato. Ma questo non deve portare alla passività e alla rassegnazione. L’animazione evangelica della vita sociale è un dovere dei cristiani. Quindi devono alzare la voce ed impegnarsi in favore dei «piccoli» senza difesa e prendere delle iniziative per correggere i costumi il cui degrado offende la dignità dell’essere umano creato ad immagine di Dio.
La legge della carità
L’infanzia evoca dipendenza e debolezza. Su quest’ultimo punto, san Paolo enuncia il principio che ci deve sempre guidare: «Noi che siamo i forti abbiamo il dovere di sopportare l’infermità dei deboli, senza compiacere noi stessi. Ciascuno di noi cerchi di compiacere il prossimo nel bene, per edificarlo. Cristo infatti non cercò di piacere a se stesso, ma come sta scritto: gli insulti di coloro che ti insultano sono caduti sopra di me» (cf. Rm. 15, 1-3).
Quel che non è scandalo per l’uno può esserlo per l’altro. San Paolo detta a questo proposito ai cristiani di Roma la condotta che devono assumere. Alcuni di loro si credono in coscienza ancora sostenuti dall’osservanza delle prescrizioni legali del giudaismo, altri hanno capito di essersene liberati, ed erano portati a disprezzare i primi: «Cessiamo dunque dal giudicarci gli uni gli altri; pensate invece a non esser causa di inciampo o di scandalo al fratello…. Tutto è mondo, d’accordo; ma è male per un uomo mangiare dando scandalo» (cf. Mt. 14, 13. 20).
La regola è la ricerca della pace e della reciproca edificazione. L’apostolo aveva incontrato un’analoga situazione a Corinto, ma si trattava probabilmente di cristiani provenienti dal paganesimo, la cui coscienza era turbata quando consumavano della carne precedentemente sacrificata agli idoli. A quelli che hanno capito che l’idolo est nulla, Paolo scrive: «Badate però che questa vostra libertà non divenga occasione di caduta per i deboli … Ed ecco, per la tua scienza, va in rovina il debole, un fratello per il quale Cristo è morto! Peccando così contro i fratelli e ferendo la loro coscienza debole, voi peccate contro Cristo. Per questo, se un cibo scandalizza il mio fratello, non mangerò mai più carne, per non dare scandalo al mio fratello» (cf. 1 Co, 8, 9. 1113). La debolezza può essere quella di una coscienza poco illuminata, come nei casi esaminati direttamente da Paolo. Può essere ancora la presenza di tenaci pregiudizi, di malintesi o la difficoltà a capire alcuni segni.
Così lo scandalo investe un campo vasto di situazioni diverse e contrastate. La testimonianza più alta, quella del martirio, è perfetta comunione allo scandalo della Croce. Al contrario, lo scandalo del peccato, incitazione o cattivo esempio, porta con sè la caduta del prossimo. È una tentazione colpevole. Ci sono, in fine, dei comportamenti che, senza essere riprovevoli in se stessi, offendono la carità perché il prossimo non è atto a capirli. Allora, l’amore fraterno che è la regola suprema, richiede dei sacrifici e delle rinunce. Per un esame di coscienza che abbraccia il passato, il presente, e i progetti futuri, è giusto ricordarsi di questo triplice parametro.