Dal Convegno internazionale “La Babele sinodale”, organizzato dalla NBQ a Roma

«Il Sinodo che apre oggi cela un’agenda più politica che ecclesiale e divina. La volontà di modificare la costituzione gerarchica della Chiesa è chiara, con un conseguente indebolimento dell’insegnamento in materia morale. Lo stesso processo usato in Germania».  (intervento del cardinale Burke)

Sul tema siamo intervenuti con questi articoli: Cinque Cardinali su nuovi Dubia al sinodo della… discordia (con la prima risposta del Papa); Mons. Schneider ammonisce ai sedevacantisti: Francesco è il Papa; Mons. Schneider spiega sul “papa eretico”; ed anche su: Se il Sinodo o sinodalità non porta la Verità tradisce la propria missione…. si legga anche qui:

DISCONTINUITÀ – professor Stefano Fontana
Ai Dubia di Duka risponde un non-magistero che fa magistero

BURKE A FERNANDEZ «Grave accusarci di scisma, molti cardinali sostengono i Dubia»

Quanto segue è riportato dalla Nuova Bussola Quotidiana – vedi qui – che ringraziamo per tutto il lavoro svolto…. e che continuerà a svolgersi per aiutarci a comprendere questo “cammino” e fino a qual punto si può farlo davvero INSIEME e da dove esso non ci permette di proseguire “insieme”, come spiegheranno gli interventi a seguire.

SCARICA QUI IN PDF La Preghiera ufficiale che mons. Schneider ci ha donato per seguire il Sinodo in comunione con tutta la Chiesa


IL CONVEGNO DELLA BUSSOLA

Burke: «La sinodalità contraddice la vera identità della Chiesa»

«Il Sinodo che apre oggi cela un’agenda più politica che ecclesiale e divina. La volontà di modificare la costituzione gerarchica della Chiesa è chiara, con un conseguente indebolimento dell’insegnamento in materia morale. Lo stesso processo usato in Germania». 
– La photogallery del convegno

Pubblichiamo di seguito l’intervento integrale (titolo originale: “La sinodalità contro la vera identità della Chiesa quale comunione gerarchica”) tenuto ieri dal cardinale Raymond Leo Burke al Convegno internazionale “La Babele sinodale”, organizzato dalla Nuova Bussola Quotidiana a Roma, presso il Teatro Ghione.

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Prima di tutto, vorrei ringraziare gli organizzatori di questo convegno, in particolare Riccardo Cascioli, e tutti i collaboratori della Nuova Bussola Quotidiana per averci dato oggi la possibilità di trattare di temi massimamente importanti per tutti noi, perché toccano il Bene più fondamentale della nostra comune Santa Madre, la Chiesa Cattolica, il Corpo Mistico di Cristo che è il solo Salvatore del Mondo. Vorrei ringraziare specialmente padre Gerald Murray e il professore Stefano Fontana per le considerazioni essenziali che ci hanno presentato oggi. Hanno esposto in una maniera molto convincente, smascherato dovrei dire, gli errori filosofici, canonici e teologici molto diffusi oggi riguardo al Sinodo dei Vescovi e la sua imminente sessione intitolata “Per una Chiesa sinodale: Comunione | partecipazione | missione”.

Vorrei subito raccomandare alla vostra lettura il libro di Julio Loredo e José Antonio Ureta, Processo sinodale: Un Vaso di Pandora. 100 domande e 100 risposte (Associazione Tradizione Famiglia Proprietà, Roma, 2023), disponibile in italiano e in molte altre lingue. Lo studio sereno e profondo che sta sotto questo libro è un aiuto preziosissimo nell’affrontare la pervasiva confusione intorno alla sessione del Sinodo dei Vescovi che inizierà domani (oggi 4 ottobre 2023, ndr).

Il professore Fontana ha detto che: «La nuova sinodalità, considerata nelle categorie sue proprie di tempo, prassi e procedura, è il momento conclusivo di un lungo percorso che ha attraversato tutta la modernità». Attirando la nostra attenzione sulle fonti filosofiche della cosiddetta sinodalità, egli smaschera la sua mondanità. Ecco perché nostro Signore Gesù Cristo, che è il solo nostro Salvatore, non sta alla radice e al centro della sinodalità. Ecco perché la natura divina della Chiesa nella sua fondazione e nella sua vita organica e duratura è trascurata e, in verità, dimenticata.

Lo Spirito Santo è molto spesso invocato nella prospettiva del Sinodo. Tutto il processo sinodale si presenta come un’opera dello Spirito Santo che guiderà tutti i membri del Sinodo, ma non c’è neanche una parola sull’obbedienza dovuta alle ispirazioni dello Spirito Santo che sono sempre coerenti con la verità della dottrina perenne e la bontà della disciplina perenne che Egli ha ispirato lungo i secoli. È purtroppo molto chiaro che l’invocazione dello Spirito Santo da parte di alcuni ha per scopo il far andare avanti un’agenda più politica e umana che ecclesiale e divina. L’agenda della Chiesa è unica, cioè la ricerca del Bene comune della Chiesa, cioè la salvezza delle anime, la salus animarum che «in Ecclesia suprema semper lex esse debet»[1].

Il Sinodo sulla “sinodalità” prosegue alcune prospettive diffuse nella Chiesa oggi ed evidenziate pure dalla recente riforma della Curia Romana tracciata dalla Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium. Essa insiste principalmente nell’indicare la missionarietà e sinodalità della Chiesa come gli «attributi», i «tratti essenziali»[2] della vita ecclesiale e sembra far derivare da questa impostazione la struttura della Curia Romana. Ma, come professiamo nel Simbolo della Fede e come è stato insegnato dal Concilio ecumenico Vaticano II nella Costituzione Dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium, la Santa Madre Chiesa è nei suoi attributi, nei suoi tratti essenziali, «una, santa, cattolica e apostolica»[3].

La confusione sulla teologia, sulla morale e persino sulla filosofia elementare in cui viviamo è alimentata da una grande mancanza di chiarezza nel vocabolario utilizzato, e questo probabilmente è intenzionale da parte di alcuni. Assistiamo a uno slittamento semantico di alcune parole o espressioni, che rende incomprensibile l’insegnamento della Chiesa su alcuni punti. Potrei citare l’espressione “misericordia di Dio”, per esempio. Ma a volte si introducono o si estremizzano nuove parole senza una chiara definizione, come nel caso della parola sinodalità. In questo caso, con la confusione sui tratti essenziali della Chiesa, c’è il rischio di perdere l’identità della Chiesa, la nostra identità di membri del Corpo Mistico di Cristo, di tralci nella «vite vera» che è Cristo e della quale il Padre eterno «è l’agricoltore»[4].

Nel momento in cui questi concetti diventano centrali e non sono chiaramente definiti, si apre la porta a chiunque voglia interpretarli in modo da rompere con il costante insegnamento della Chiesa su questi temi. Infatti, la storia della Chiesa ci insegna che la risoluzione delle peggiori crisi, come quella ariana, inizia sempre con una grande precisione nel vocabolario e nei concetti utilizzati.

Torniamo ai tratti essenziali della Chiesa proposti nella Praedicate Evangelium per capire meglio in che direzione il Sinodo tende: missionarietà e sinodalità. Si tratta di due attributi in qualche senso conosciuti, ma la loro elevazione a tratti essenziali della Chiesa e, perciò, criteri fondamentali della ristrutturazione della Curia Romana – e ora con questo Sinodo a tutta la Chiesa Universale – si presta ad ambiguità e a equivoci che devono essere riconosciuti e dissipati.

È giusto affermare che tutta la Chiesa è missionaria. Tutti i fedeli sono chiamati, secondo la loro vocazione e le loro doti personali, a dare testimonianza a Cristo nel mondo. Ma nel dare testimonianza a Cristo, i fedeli necessitano dell’incontro con Lui vivo nella Chiesa attraverso la Sacra Tradizione, che è dottrinale, liturgica e disciplinare. Necessitano buoni Pastori – il Romano Pontefice e i Vescovi in comunione con Lui, insieme con i sacerdoti, i principali cooperatori dei Vescovi – che li guidino a Cristo e salvaguardino per loro la vita in Cristo, specialmente per l’insegnamento della sana dottrina e dei buoni costumi, e, in modo più perfetto e completo, per la Sacra Liturgia quale adorazione di Dio «in spirito e verità»[5]. È infatti l’insegnamento della verità e il Culto Divino «in spirito e verità» che fanno crescere la vita in Cristo di ogni fedele e di tutta la Chiesa. Come ci insegna San Paolo, nella Chiesa non siamo più «fanciulli in balìa delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, ingannati dagli uomini con quella astuzia che trascina all’errore», ma «agendo secondo verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa tendendo a lui, che è il capo, Cristo»[6].

Secondo il costante insegnamento della Chiesa, Cristo istituì l’Ufficio Petrino perché tutti i Vescovi e, così, tutti i fedeli siano uniti nella fede[7]. Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa, dichiarò: «Affinché lo stesso episcopato fosse uno e indiviso, [Gesù Cristo] prepose agli altri apostoli il beato Pietro e in lui stabilì il principio e il fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione»[8]. Così il Concilio definisce l’Ufficio Petrino: «Il Romano Pontefice, quale successore di Pietro, è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli»[9].

La Curia Romana è lo strumento principale del Romano Pontefice nel suo servizio insostituibile alla Chiesa universale. Secondo le parole dei Padri conciliari: «Nell’esercizio del suo supremo, pieno e immediato potere sopra tutta la Chiesa, il Romano Pontefice si avvale dei dicasteri della Curia Romana, che perciò compiono il loro incarico nel nome e nell’autorità di lui, a vantaggio delle chiese e al servizio dei sacri pastori»[10]. Il Successore di San Pietro, tramite la Curia Romana, aiuta i singoli Vescovi a compiere il loro fondamentale servizio che il Concilio descrive con queste parole: «Tutti i Vescovi, infatti, devono promuovere e difendere l’unità della fede e la disciplina comune a tutta la Chiesa, istruire i fedeli nell’amore di tutto il corpo mistico di Cristo, specialmente delle membra povere, sofferenti e di quelle che sono perseguitate a causa della giustizia (cf. Mt 5, 10) e, infine, promuovere ogni attività comune a tutta la Chiesa, specialmente nel procurare che la fede cresca e sorga per tutti gli uomini la luce della piena verità»[11].

La missionarietà della Chiesa è il frutto di questa unità di dottrina, liturgia, e disciplina, è frutto del Cristo vivo nella Chiesa, nei membri del Suo Corpo Mistico di cui egli è il Capo. È Cristo solo che è annunziato e predicato a tutte le nazioni perché molti siano battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Ecco la missione della Chiesa affidata a lei dal Signore:

«A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo»[12].

La missione di Cristo è anteriore ad ogni attività missionaria, al tratto di missionarietà. Infatti, la missionarietà è soltanto una manifestazione della presenza viva di Cristo nella Chiesa per fare «discepoli tutti i popoli», Cristo che rimane sempre vivo nella Chiesa «fino alla fine del mondo».

Sinodalità, in quanto termine astratto, è un neologismo nella dottrina sulla Chiesa. È risaputo che il Concilio Vaticano II ha voluto evitare i termini astratti di conciliarità e collegialità, che non si trovano nei testi conciliari. È da presumere che lo stesso Concilio avrebbe voluto evitare un termine astratto come sinodalità, se l’avesse conosciuto.

La tradizione canonica conosce l’istituto del Sinodo quale strumento per dare consigli ai sacri Pastori; non si descrive la Chiesa quale sinodale ma, invece, quale comunione gerarchica[13]. Sono i pastori nella comunione salvaguardata e promossa dall’Ufficio Petrino, cioè la gerarchia, che ha la responsabilità della guida dottrinale, liturgica e morale della Chiesa. Il Sinodo è un aiuto offerto ai pastori affinché loro possano compiere il loro servizio. Esso non può mai sostituire l’ufficio pastorale voluto e istituito da Cristo stesso.

Il Sinodo dei Vescovi si descrive quale «un’assemblea di Vescovi i quali (…) si riuniscono in tempi determinati per favorire una stretta unione fra il Romano Pontefice e i Vescovi, e per prestare aiuto con i loro consigli al Romano Pontefice stesso nella salvaguardia e nell’incremento della fede e dei costumi, nell’osservanza e nel consolidamento della disciplina ecclesiastica e inoltre per studiare i problemi riguardanti l’attività della Chiesa nel mondo»[14]. Padre Murray ci ha ricordato la natura del Sinodo dei Vescovi, secondo il citato canone 342 del Codice di Diritto Canonico.

Aggiungerei solo che, in modo simile, il Sinodo Diocesano si descrive quale «l’assemblea di sacerdoti e altri fedeli della Chiesa particolare, scelti per prestare aiuto al Vescovo diocesano in ordine al bene di tutta la comunità diocesana (…)»[15].

Il sinodo come istituto canonico si riferisce ad un modo solenne dei diversi modi attraverso i quali tutti i fedeli, per la loro vocazione e con le loro doti, assistono i loro sacri Pastori ad adempire le loro responsabilità come veri maestri della fede. Il can. 212 del Codice di Diritto Canonico, avendo la sua fonte originale nell’insegnamento domenicale sulla correzione fraterna[16] provvede le norme che disciplinano il rapporto tra i sacri Pastori e i fedeli nella comunione gerarchica della Chiesa. L’istituto del sinodo, tra questi modi, è straordinario, richiedendo una preparazione lunga e adeguata e una celebrazione ben disciplinata per evitare i malintesi che possano facilmente, specialmente in una cultura del tutto secolarizzata e mondana, rendere il processo sinodale nocivo alla Chiesa.

Vorrei adesso condividere con voi alcune riflessioni che ho esposto ad altri venerabili confratelli del Collegio Cardinalizio, in occasione dell’incontro dei Cardinali, poco più di un anno fa. Riguardano più direttamente la struttura della Curia Romana, ma sono collegate in maniera molto stretta al nostro argomento.

La missionarietà e la sinodalità come qualità, non «attributi» o «tratti essenziali», della vita ecclesiale non cambiano la natura dell’Ufficio Petrino o del servizio prestato dalla Curia Romana al Successore di Pietro quale «principio e (il) fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione». Infatti, presuppongono l’Ufficio Petrino assistito dalla Curia Romana. Alla luce di questo, seguono delle osservazioni.

Primo. La Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium insiste che la Curia Romana «è al servizio del Papa, successore di Pietro, e dei Vescovi, successori degli Apostoli»[17]. Ma il servizio della Curia Romana è al Successore di Pietro. Servendo il Romano Pontefice, la Curia Romana serve anche i Vescovi nel loro rapporto con il Papa. Non è realistico domandare che la Curia Romana serva tutti i Vescovi. Infatti, essi hanno le loro proprie Curie per aiutarli nel compimento delle loro responsabilità di veri pastori. In questo, si deve mantenere chiaro il servizio distinto del Successore di Pietro.

Allo stesso tempo, definire la Curia Romana al servizio dei singoli Vescovi rischierebbe di trasmettere una visione mondana della Chiesa nella quale le Chiese particolari sarebbero filiali o sussidiarie della Chiesa a Roma, tutti serviti dalla stessa Curia Romana. Sarebbe una distorsione del rapporto del Successore di Pietro con i Vescovi.

Secondo. Il termine dicastero, quale termine generico secolare, tratto dal Diritto Romano, per i vari uffici di diversa natura della Curia Romana non esprime sufficientemente l’aspetto della comunione gerarchica coinvolta nel trattamento di questioni dottrinali, liturgiche, educative, missionarie, ecc., e non esprime la reale differenza non di dignità (tutti i dicasteri sono giuridicamente pari), ma di materia e di competenza.

Terzo. Sembra giusto restaurare in qualche forma, almeno nella prossima fase attuativa della Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium, la Congregazione per la Dottrina della Fede al primo posto fra tutte le Congregazioni della Curia Romana in virtù del suo compito di «aiutare il Romano Pontefice e i Vescovi nell’annuncio del Vangelo in tutto il mondo, promuovendo e tutelando l’integrità della dottrina cattolica sulla fede e la morale, attingendo al deposito della fede e ricercandone anche una sempre più profonda intelligenza di fronte alle nuove questioni»[18].

Quarto. Sarebbe importante, nell’elenco delle qualità richieste agli Officiali e Consultori, mettere in primo luogo la sana dottrina e la coerenza con la sana disciplina della Chiesa[19].

Non mi sembra necessario entrare nel dettaglio per capire che il Sinodo che si aprirà domani (oggi, ndr) non è altro che un prolungamento diretto di ciò che è stato già evidenziato dalla Costituzione Apostolica Predicate Evangelium. È quindi per lo meno singolare dire che non si sa in che direzione andrà il Sinodo, quando è così chiaro che la volontà è quella di modificare profondamente la costituzione gerarchica della Chiesa. Un processo simile è stato adoperato nella Chiesa in Germania per raggiungere lo stesso tanto nocivo scopo.

Viene frequentemente detto che l’insistenza sulla sinodalità della Chiesa non è altro che recuperare una caratteristica ecclesiale sempre osservata dalla Chiesa orientale. Ho contatti regolari con vescovi e sacerdoti orientali, sia cattolici che ortodossi: tutti mi hanno detto che il modo in cui è organizzato il Sinodo non ha nulla a che vedere con i sinodi orientali. Questo vale non solo per il posto dei laici in queste assemblee, ma anche più in generale per il modo in cui operano e persino per le questioni che affrontano. C’è confusione intorno al termine sinodalità, che si cerca artificiosamente di collegare a una pratica orientale, ma che in realtà ha tutte le caratteristiche di un’invenzione recente, soprattutto per quanto riguarda i laici.

Una tale modifica nell’autocomprensione della Chiesa ha per ulteriore conseguenza un indebolimento dell’insegnamento in materia di morale, nonché di disciplina nella Chiesa. Non mi soffermo molto su questi punti, drammaticamente noti a tutti: la teologia morale ha perso tutti i suoi punti di riferimento. È urgente considerare l’atto morale nella sua totalità, e non solo nel suo aspetto soggettivo. Il trentesimo anniversario della pubblicazione di Veritatis Splendor può aiutarci in questo. Accolgo con favore e incoraggio le iniziative che ho visto su questo tema. I comandamenti del Decalogo sono validi e rimarranno validi come lo sono sempre stati in ogni epoca, semplicemente perché sono inerenti alla natura umana.

Visto tutto quello che ho osservato e che stiamo approfondendo nel nostro Convegno di oggi (ieri 3 ottobre, ndr), io, insieme ad quattro altri cardinali, le Loro Eminenze Card. Walter Brandmüller, Card. Juan Sandoval Íñiguez, Card. Robert Sarah e Card. Joseph Zen, ciascuno proveniente da un diverso continente, abbiamo presentato al Sovrano Pontefice, durante l’estate, dei dubia per chiarire un certo numero di punti fondamentali appartenenti al deposito della Fede che oggi vengono messi in discussione, specialmente nel proseguimento della cosiddetta sinodalità. Molti fratelli dell’episcopato e anche del Collegio cardinalizio sostengono questa iniziativa, anche se non sono nella lista ufficiale dei firmatari.

Oggi (ieri, ndr) è apparso un articolo su Il Giornale del vaticanista Fabio Marchese Ragona sui dubia sottoposti a Papa Francesco. Alla fine dell’articolo, egli cita i commenti sui dubia di «due padri sinodali» che ha intervistato. Cito il commento:

«Siamo molto dispiaciuti, i tempi della Chiesa non sono quelli di questi confratelli! Non possono dettare loro l’agenda al Papa, causando peraltro ferite e minando l’unità nella Chiesa. Ma ormai ci siamo abituati: vogliono soltanto colpire Francesco»[20].

Questi commenti rivelano lo stato di confusione, errore, e divisione che permea la sessione del Sinodo dei Vescovi che comincerà domani (oggi, ndr). I cinque dubia trattano esclusivamente la perenne dottrina e disciplina della Chiesa, non un’agenda del Papa. Non trattano dei “tempi” passati. Il linguaggio è molto rivelatore della mondanità della visione. Poi, non trattano della persona del Santo Padre. Infatti, per la loro natura sono un’espressione della dovuta venerazione per l’Ufficio Petrino e il Successore di San Pietro.

Questi commenti sembrano riflettere un errore fondamentale recentemente espresso dal nuovo Prefetto (card. Víctor Manuel Fernández, ndr) del Dicastero per la Dottrina della Fede in una intervista che egli ha dato a Edward Pentin del National Catholic Register. Durante l’intervista egli ha dichiarato che, oltre al deposito della Fede, il Romano Pontefice ha un «vivo e attivo dono» che risulta in quello che egli definisce «la dottrina del Santo Padre»[21]. In più, egli accusa di eresia e scisma[22] quelli che criticano questa «dottrina del Santo Padre».

Ma la Chiesa non ha mai insegnato che il Romano Pontefice ha un dono speciale per costituire una propria dottrina. Il Santo Padre è il primo maestro del deposito della fede che è in sé stesso sempre vivo e dinamico. Così insegna la Costituzione Dogmatica sulla Divina Rivelazione, Dei verbum, del Concilio ecumenico Vaticano II:

«La Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della parola di Dio affidato alla Chiesa. Aderendo ad esso tutto il popolo santo, unito ai suoi Pastori, persevera costantemente nell’insegnamento degli Apostoli e nella comunione, nella frazione del pane e nelle orazioni (cf. Atti 2, 42 gr.), in modo che nel ritenere, praticare e professare la fede trasmessa, si crei una singolare unità di spirito tra Vescovi e fedeli»[23].

Si deve riflettere sulla gravità della situazione ecclesiale quando il Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede accusa di eresia e scisma quelli che chiedono al Santo Padre di esercitare l’Ufficio Petrino per salvaguardare e promuovere il depositum fidei.

Ci viene detto che la Chiesa che professiamo – in comunione con i nostri antenati nella fede fin dai tempi degli Apostoli – essere una, santa, cattolica e apostolica, deve ora essere definita dalla sinodalità, un termine che non ha storia nella dottrina della Chiesa e per il quale non esiste una definizione ragionevole. Si tratta ovviamente di una costruzione artificiale, più simile a una costruzione umana che alla Chiesa costruita sulla roccia che è Cristo (cfr. 1 Cor 10,4). L’Instrumentum laboris della prossima sessione del Sinodo dei Vescovi contiene certamente affermazioni che si discostano in modo impressionante e grave dall’insegnamento perenne della Chiesa. Prima di tutto, dobbiamo riaffermare pubblicamente la nostra fede. In questo, i vescovi hanno il dovere di confermare i loro fratelli. I vescovi e i cardinali di oggi hanno bisogno di molto coraggio per affrontare i gravi errori che provengono dall’interno della Chiesa stessa. Le pecore dipendono dal coraggio dei pastori che devono proteggerle dal veleno della confusione, dell’errore e della divisione.

Ma vorrei concludere esortandovi alla preghiera per implorare l’aiuto del Cielo contro tutte le potenze, umane e preternaturali, che sognano la distruzione della Chiesa. Non praevalebunt![24] Sappiamo che il bene è sempre tenuto in considerazione agli occhi di Dio e sarà giustamente ricompensato, così come il male sarà punito. Molti giovani ne sono consapevoli e cercano di vivere, con il sostegno dei Sacramenti, un’autentica vita di Fede, Speranza e Carità, cioè una vita sempre più pienamente in Cristo con un cuore sempre più dato, insieme con il Cuore Immacolato di Maria, al Suo Sacratissimo Cuore. Questo è chiaramente il vero futuro della Chiesa, l’unico che porterà veramente frutto (cfr. Mt 7,15-17).

Oggi i buoni cristiani devono essere pronti a subire il martirio bianco dell’incomprensione, del rifiuto e della persecuzione, e talvolta il martirio rosso dello spargimento di sangue, per essere testimoni fedeli di Cristo e Suoi «collaboratori della verità»[25]. Sebbene la confusione attuale sia particolarmente grande, persino storicamente significativa per non dire inedita, non possiamo credere che la situazione sia irreversibile. Come ho appena ricordato, le porte dell’Inferno non prevarranno contro la Chiesa. Il Signore ha promesso di rimanere con noi nella Chiesa «fino alla fine del mondo»[26]. Egli non mente. Egli è sempre fedele alle Sue promesse. Possiamo sempre confidare nel Signore vivo per noi nella Chiesa. E certamente non dobbiamo mai abbandonare il Signore ma rimanere con Lui nella Chiesa che è il Suo Corpo Mistico. Dobbiamo sempre rimanere tralci sicuramente inseriti nella Vite che è Lui. Tuttavia, siamo costretti a constatare che molte anime prendono la strada della perdizione a causa di questa confusione, per cui dobbiamo pregare molto e agire per dissiparla al più presto possibile.

Invochiamo la Beata Vergine Maria, in particolare nel suo Cuore Immacolato, San Giuseppe Protettore della Santa Chiesa, i Santi Apostoli Pietro e Paolo, e tutti i santi, affinché ciascuno di noi rimanga fedele a Cristo e alla Sua Chiesa, Una, Santa, Cattolica e Apostolica, la Santa Romana Chiesa; e affinché la Chiesa stessa, senza macchia né ruga, possa uscire al più presto dall’attuale stato di confusione e divisione per abbreviare questi tempi in cui il rischio di perdizione delle anime è grande. Salus animarum «in Ecclesia suprema semper lex esse debet».

Grazie per la Vostra attenzione. Che Dio benedica Voi e le Vostre case sempre, e che la Vergine Madre di Dio, San Giuseppe, i Santi Pietro e Paolo, e tutti i Santi Vi guidino e Vi salvaguardino la via.

* Cardinale


[1] Can. 1752.

[2] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 811.

[3] «(…) unam, sanctam, catholicam et apostolicam». Sacrosanctum Concilium Oecumenicum Vaticanum II, Constitutio Dogmatica Lumen gentium de Ecclesia, 21 Novembris 1964, Acta Apostolicae Sedis 57 (1965) 11, n. 8. [LG]. Traduzione italiana: Enchiridion Vaticanum, Vol. 1, Documenti del Concilio Vaticano II (Bologna: Edizioni Dehoniane Bologna, 1981), p. 135, n. 305. [EV1].

[4] Gv 15, 1.

[5] Gv 4, 24.

[6] Ef 4, 14-15.

[7] Cf. Mt 16, 18-19; Lc 22, 31-32; Gv 21, 15-19.

[8] «Ut vero Episcopatus ipse unus et indivisus esset, beatum Petrum ceteris Apostolis praeposuit in ipsoque instituit perpetuum ac visibile unitatis fidei et communionis principium et fundamentum». LG 22, n. 18b. Traduzione italiana: EV1, p. 159, n. 329.

[9] «Romanus Pontifex, ut successor Petri, est unitatis, tum Episcoporum tum fidelium multitudinis, perpetuum ac visibile principium et fundamentum». LG, 27, n. 23a. Traduzione italiana: EV1, p. 169, n. 338.

[10] «In exercenda suprema, plena et immediata potestate in universam Ecclesiam, Romanus Pontifex utitur Romanae Curiae Dicasteriis, quae proinde nomine et auctoritate illius munus suum explent in bonum Ecclesiarum et in servitium Sacrorum Pastorum». Sacrosanctum Concilium Oecumenicum Vaticanum II, Decretum Christus Dominus de pastorali Episcoporum munere in Ecclesia, 28 Octobris 1965, Acta Apostolicae Sedis 58 (1966) 676, n. 9a. Traduzione italiana: EV1, p. 337, n. 588.

[11] «Debent enim omnes Episcopi promovere et tueri unitatem fidei et disciplinam cunctae Ecclesiae communem, fideles edocere ad amorem totius Corporis mystici Christi, praesertim membrorum pauperum, dolentium et eorum qui persecutionem patiuntur propter iustitiam (cfr. Matth. 5, 10), tandem promovere omnem actuositatem quae toti Ecclesiae communis est, praesertim ut fides incrementum capiat et lux plenae veritatis omnibus hominibus oriatur». LG 27-28, n. 23b. Traduzione italiana: EV1, p. 169, n. 339.

[12] Mt 28, 18-20.

[13] Cf. LG 25, n. 21b. Traduzione italiana: EV1, p. 165, n. 335.

[14] «(…) coetus est Episcoporum qui (…) statutis temporibus una conveniunt ut arctam coniunctionem inter Romanum Pontificem et Episcopos foveant, utque eidem Romano Pontifici ad incolumitatem incrementumque fidei et morum, ad disciplinam ecclesiasticam servandam et firmandam consiliis adiutricem operam praestent, necnon quaestiones ad actionem Ecclesiae in mundo spectantes perpendant». CIC-1983, can. 342.

[15] «(…) coetus delectorum sacerdotum aliorumque christifidelium Ecclesiae particularis, qui in bonum totius communitatis diocecesanae Episcopo dioecesano adiutricem operam praestant (…)». CIC-1983, can. 460.

[16] Cf. Mt 18, 15-18.

[17] PE, p. 31, Art. 1.

[18] PE, p. 75, Art. 69.

[19] PE, pp. 38-39, Art. 14, § 3, e Art. 16.

[20] Fabio Marchese Ragona, «Cinque “dubia” sul Sinodo di Francesco. Dalla benedizione ai gay alle donne sacerdote: i cardinali conservatori scuotono il Vaticano», Il Giornale, 3 ottobre 2023, 17.

[21] «living and active gift (…) the doctrine of the Holy Father». Edward Pentin, “Exclusive: Archbishop Fernandez Warns Against Bishops Who Think They Can Judge ‘Doctrine of the Holy Father’”, National Catholic Register, September 11, 2023.

[22] Cfr. ibidem.

[23] «Sacra Traditio et Sacra Scriptura unum verbi Dei sacrum depositum constituunt Ecclesiae commissum, cui adhaerens tota plebs sancta Pastoribus suis adunata in doctrina Apostolorum et communione, fractione panis et orationibus iugiter perseverat (cfr. Act. 2, 42 gr.), ita ut in tradita fide tenenda, exercenda profitendaque singularis fiat Antistitum et fidelium conspiratio». Sacrosanctum Concilium Oecumenicum Vaticanum II, Constitutio Dogmatica Dei verbum de Divina Revelatione, 28 Novembris 1965, Acta Apostolicae Sedis 58 (1966), 822, n. 10.

[24] Mt 16, 18.

[25] 3 Gv 8.

[26] Mt 28, 20.


IL CONVEGNO DELLA BUSSOLA

Le pecore al posto dei pastori, il Sinodo sovverte la Chiesa

Il Sinodo è stato snaturato con l’apertura a membri non-vescovi. Nella nuova Chiesa sinodale è il popolo che istruisce i vescovi sul significato della Fede. È il progetto liberale denunciato da Newman, con grave pericolo per le anime.

Pubblichiamo di seguito l’intervento integrale (titolo originale: Considerazioni canoniche e teologiche sul Sinodo dei Vescovi dell’Ottobre 2023) tenuto lunedì 3 ottobre dal canonista padre Gerald Murray, al Convegno internazionale “La Babele sinodale”, organizzato dalla Nuova Bussola Quotidiana a Roma, presso il Teatro Ghione.

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Sono grato per l’opportunità di condividere con voi le mie serie preoccupazioni riguardo all’Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi (apertasi ieri in Vaticano, ndr).

Le mie osservazioni includeranno anzitutto un’analisi delle modifiche apportate da Papa Francesco alla natura del Sinodo dei Vescovi. Esaminerò quindi l’Instrumentum Laboris (documento di lavoro). E concluderò con una riflessione su quelli che ritengo essere i princìpi animatori che hanno ispirato gli sforzi attualmente in corso per trasformare la Chiesa cattolica in una chiesa sinodale, nella quale la gerarchia sottomette se stessa e l’intero corpo dei fedeli ad un processo continuo, volto a determinare una nuova comprensione del significato della dottrina e della pratica cattolica. Questa nuova comprensione si presuppone emerga dall’ascolto dello Spirito Santo che parla attraverso un gruppo selezionato di fedeli, riuniti a Roma a tale scopo, ora e nell’ottobre 2024.


1. Il Sinodo dei Vescovi e le novità apportate da Papa Francesco

Il Sinodo dei Vescovi è stato istituito da Papa San Paolo VI il 15 settembre 1965, con il Motu Proprio Apostolica Sollicitudo.

Il Sinodo dei Vescovi si fonda sulla comune missione di governare la Chiesa di Dio, che lo Spirito Santo ha conferito sia al Romano Pontefice che ai vescovi in comunione con lui. Il Sinodo dei Vescovi è un mezzo per promuovere la missione di governo della gerarchia, divinamente conferita.

Paolo VI definì la creazione di questa nuova assemblea gerarchica di vescovi rappresentativi scelti, come motivata dalla «Nostra stima ed il Nostro rispetto nei riguardi di tutti i Vescovi cattolici, e per dare ai medesimi la possibilità di prendere parte in maniera più evidente e più efficace alla Nostra sollecitudine per la Chiesa universale».

Il canone 342 del Codice di Diritto Canonico riassume la natura del sinodo. Questo canone identifica i compiti eminentemente episcopali che riguardano le riunioni sinodali: favorire l’unione gerarchica con il Papa, promuovere la fede e la morale, rafforzare la disciplina ecclesiastica e riflettere sulle attività della Chiesa nella situazione attuale. Tutto questo fa parte delle preoccupazioni ordinarie dei pastori della Chiesa.

Il canone 346 §1 è chiaro sui soggetti che appartengono a questa istituzione ecclesiale: «Il Sinodo dei Vescovi che si riunisce in assemblea generale ordinaria è composto di membri, la maggioranza dei quali vescovi che vengono eletti per le singole assemblee delle Conferenze Episcopali, secondo le modalità determinate dal diritto peculiare del sinodo; altri vengono deputati in forza del medesimo diritto, altri sono nominati direttamente dal Romano Pontefice; ad essi si aggiungono alcuni membri di istituti religiosi clericali, eletti a norma del medesimo diritto peculiare». [Nota: “altri” significa “altri vescovi”]. Gli unici non vescovi che possono diventare membri del sinodo sono i chierici membri di ordini religiosi. Questa eccezione si basa sullo stretto rapporto tra episcopato e sacerdozio e sull’esercizio dell’autorità di governo da parte dei superiori religiosi sacerdoti.

Papa Francesco, nella Lettera del 2014 al cardinale Lorenzo Baldisseri, ha descritto l’importanza del Sinodo dei Vescovi: «Il Successore di Pietro deve sì proclamare a tutti chi è “il Cristo, il Figlio del Dio vivente” ma, in pari tempo, deve prestare attenzione a ciò che lo Spirito Santo suscita sulle labbra di quanti, accogliendo la parola di Gesù che dichiara: “Tu sei Pietro…” (cfr Mt 16,16-18), partecipano a pieno titolo al Collegio Apostolico». È questa «comunione affettiva ed effettiva che costituisce lo scopo precipuo del Sinodo dei Vescovi».

Così, la «comunione affettiva ed effettiva» dei vescovi delle diverse regioni del mondo con il Romano Pontefice, il Pastore Capo, si rafforza e trova nuova espressione in un’istituzione che consente al Papa di «prestare attenzione a ciò che lo Spirito Santo suscita sulle labbra di quanti (…) partecipano a pieno titolo al Collegio Apostolico». Si tratta di un incontro episcopale che promuove la sollecitudine comune di tutti i vescovi di insegnare, governare e santificare il Popolo di Dio, in mezzo alle sfide pastorali presentate dall’attuale situazione del mondo.

La natura episcopale e gerarchica del Sinodo dei Vescovi è di fatto terminata con la pubblicazione, il 26 aprile 2023, di un documento non firmato della Sala Stampa della Segreteria Generale del Sinodo, che annunciava l’estensione della partecipazione all’Assemblea sinodale anche ai membri non-vescovi.

Nel documento si legge che «il Santo Padre ha approvato, il 17 aprile 2023, l’estensione della partecipazione all’Assemblea sinodale a “non vescovi”». Non si fa menzione di un decreto pontificio del 17 aprile 2023 che attua tale modifica di legge, e non mi risulta che tale decreto sia stato pubblicato. Il canone 51 recita: «il decreto si dia per iscritto». Il riferimento nel documento ad un’approvazione papale di una modifica delle disposizioni canoniche esistenti non è sufficiente per stabilire certezza giuridica in materia.

Faccio anche notare che l’Ufficio Stampa della Segreteria Generale del Sinodo non possiede l’autorità canonica per derogare né ai canoni del Codice di Diritto Canonico né alla Costituzione Apostolica Episcopalis Communio, che regola il Sinodo dei Vescovi. Nel documento non si legge da nessuna parte che Papa Francesco abbia approvato il contenuto del documento della Sala Stampa e ne abbia ordinato la pubblicazione.

Perciò non si può dire che il documento sia uscito dalle mani di Papa Francesco. Pertanto, l’Assemblea Generale del Sinodo e tutti i suoi atti, in assenza della pubblicazione di un decreto papale che dia valore giuridico all’estensione dell’appartenenza all’Assemblea sinodale dei non vescovi, saranno soggetti alla denuncia tecnica di nullità canonica.

Incredibilmente, il documento afferma che «le modifiche e novità, (…) che si giustificano nel contesto del processo sinodale», non cambiano «la natura episcopale dell’Assemblea». Ciò sarebbe vero solo a condizione che anche i cattolici battezzati che non sono vescovi fossero posti dallo Spirito Santo… «a governare la Chiesa di Dio» (Atti 20, 28). Naturalmente non è così. Ciò che abbiamo ora è un Sinodo di vescovi e non vescovi; non abbiamo più il Sinodo dei Vescovi.

Il documento assicura inoltre che «la specificità episcopale dell’Assemblea sinodale non risulta intaccata, ma addirittura confermata» perché i non-vescovi saranno «meno del 25% del totale dei Membri dell’Assemblea». (Mi chiedo quale percentuale di non-vescovi il Segretariato ritiene sarebbe necessaria per viziare la natura episcopale dell’Assemblea sinodale).

Quando membri non-vescovi aventi diritto di voto vengono introdotti in un’assemblea dei vescovi con diritto di voto, l’assemblea cessa di avere natura episcopale. A coloro che non sono pastori nella Chiesa viene assegnato un ruolo che spetta per natura solo ai pastori. L’Assemblea non è più un Sinodo dei Vescovi. Per analogia, potremmo dire che l’elezione di un papa in un conclave composto da cardinali e da non cardinali sarebbe comunque un atto del Collegio cardinalizio? Chiaramente non potremmo affermarlo.

Il documento descrive il motivo di questo cambiamento rivoluzionario: «Questa decisione rinforza la solidità del processo nel suo insieme, incorporando nell’Assemblea la memoria viva della fase preparatoria, attraverso la presenza di alcuni di coloro che ne sono stati protagonisti, restituendo così l’immagine di una Chiesa-Popolo di Dio, fondata sulla relazione costitutiva tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale, e dando visibilità alla relazione di circolarità tra la funzione di profezia del Popolo di Dio e quella di discernimento dei Pastori».

Faccio notare che l’attribuzione di un ruolo profetico al Popolo di Dio in contrapposizione alla funzione «di discernimento dei Pastori» ignora il fatto che i vescovi esercitano il triplice ufficio (munera) di Cristo – sacerdote, profeta e re – nell’esercizio della cura pastorale per il gregge. Limitare il loro ruolo al semplice discernimento di ciò che il popolo profetico di Dio nel suo insieme potrebbe in qualche modo decidere essere conforme alla volontà di Dio, è un errore di valutazione della natura dell’episcopato.

Il documento afferma inoltre: «È dunque nel registro della memoria che si iscrive la presenza dei non vescovi, e non in quello della rappresentanza. In questo modo la specificità episcopale dell’Assemblea sinodale non risulta intaccata, ma addirittura confermata».

La negazione di una funzione “rappresentativa” ai 70 membri non vescovi è contraddetta dal documento stesso, visto che poco prima si era affermato che sono stati aggiunti i 70 membri non-vescovi «che rappresentano altri fedeli del popolo di Dio».

Il Sinodo dei Vescovi era stato un incontro in cui pastori della Chiesa selezionati si riunivano insieme al Pastore Capo, per discutere ed esaminare ciò che è meglio fare per compiere la missione divinamente conferita loro di insegnare, santificare e governare il gregge di Cristo. Ora invece, abbiamo un’assemblea totalmente diversa, nella quale i laici, che non sono sacramentalmente conformati a Cristo Sommo Sacerdote, mediante l’ordine sacro, saranno trattati giuridicamente alla pari dei vescovi.

I cambiamenti attuati nel Sinodo dei Vescovi ignorano la distinzione essenziale tra ordinati e non-ordinati nella Chiesa. L’istituzione di una Chiesa gerarchica da parte di Cristo significa che certi ruoli spettano ai pastori e non alle pecore.

Creare confusione in questa materia, rendendo i non-vescovi uguali giuridicamente ai vescovi nell’Assemblea Generale del Sinodo, danneggia la Chiesa, occultando i diversi ruoli dei pastori e delle pecore, creando la falsa impressione che l’autorità gerarchica dei vescovi possa essere legittimamente esercitata dai non-ordinati. Una tale comprensione violerebbe la natura della Chiesa divinamente stabilita.


2. Il documento di lavoro

L’Instrumentum Laboris per il Sinodo di ottobre sulla Sinodalità, pubblicato il 20 giugno, incarna lo schema ormai familiare visto nelle varie fasi del processo sinodale. Si pongono alcune domande, altre si ignorano, si danno risposte prevedibili e si fanno crescere aspettative che possa emergere una nuova chiesa, la chiesa sinodale ispirata dallo Spirito Santo, in cui tutti si sentiranno considerati, riconosciuti, accolti, accettati, accompagnati, accuditi, ascoltati, valorizzati, non giudicati, e così via.

Questo focus centrato sulle emozioni è il modello dell’auspicata rivoluzione “soft” nella Chiesa, in cui le dottrine cattoliche che contraddicono i decadenti costumi sessuali occidentali e le affermazioni delle femministe radicali circa l’oppressione nella Chiesa, sono inquadrate come obsolete, deplorevoli e inutili fonti di discordia e alienazione, come residui di un passato crudele. Queste dottrine, ovviamente, devono essere abbandonate, affinché nessuno si senta indesiderato.

Nella conferenza stampa di presentazione dell’Instrumentum Laboris, il cardinale Jean-Claude Hollerich, Relatore Generale per l’Assemblea Generale di ottobre, ha risposto alla seguente domanda di Diane Montagna: «[Nell’Instrumentum Laboris] si pongono due domande: come possiamo creare spazi in cui chi si sente ferito e non accolto dalla comunità, possa sentirsi riconosciuto, accolto, libero di porre domande e non giudicato? Alla luce dell’Esortazione Apostolica Post-sinodale Amoris Laetitia, […] l’unica risposta possibile a queste domande non è quella che, affinché queste persone si sentano accettate, la Chiesa debba modificare il suo insegnamento sull’immoralità intrinseca di qualsiasi uso della sessualità al di fuori di un’unione monogama esclusiva e permanente di un uomo e una donna?».

La risposta di Hollerich rivela perché questo processo sinodale è un disastro che sta portando grandi danni e dolore alla Chiesa: «Non parliamo dell’insegnamento della Chiesa. Questo non è il nostro compito e non è la nostra missione. Parliamo solo per accogliere tutti coloro che vogliono camminare con noi. Questo è qualcosa di diverso».

Davvero diversoProclamare la dottrina cattolica non è compito o missione del Sinodo? Qual è allora la sua missione? L’Instrumentum Laboris afferma che il Sinodo costituisce «una opportunità di camminare insieme come Chiesa capace di accogliere e accompagnare, accettando i necessari cambiamenti di regole, strutture e procedure. Lo stesso vale per molte altre tematiche che emergono nelle tracce».

Tra queste «tematiche che emergono», le dottrine cattoliche contestate saranno senza dubbio esaminate sfavorevolmente e giudicate carenti da coloro che sono favorevoli ad «accettare i necessari cambiamenti».

Il vescovo di San Francisco de Macoris, nella Repubblica Dominicana, Alfredo de la Cruz, il 18 settembre scorso ha anticipato cosa potrebbe significare l’espressione “cambiamenti necessari” nell’Assemblea sinodale: «Dobbiamo anzitutto prendere le distanze da tutto ciò che significa fondamentalismo, dal credere che la dottrina non può essere toccata. Questa sarebbe la prima tentazione che potremmo avere, credere che la dottrina non possa essere toccata. La dottrina è lì per riflettere, per guardare».

L’Instrumentum Laboris osserva che: «Alcuni interrogativi emersi dalla consultazione del Popolo di Dio riguardano questioni su cui già esiste uno sviluppo magisteriale e teologico a cui fare riferimento (…). Il fatto che su punti di questo tipo continuino a emergere domande non può essere liquidato sbrigativamente, ma deve essere oggetto di discernimento e l’Assemblea sinodale è un ambito privilegiato per farlo. In particolare, andranno indagati gli ostacoli, reali o percepiti, che hanno impedito di compiere i passi indicati e identificare che cosa occorre per rimuoverli (…). Se invece è dovuto alla difficoltà di cogliere le implicazioni dei documenti per le situazioni concrete o a riconoscersi in quanto da essi proposto, un cammino sinodale di effettiva appropriazione dei contenuti da parte del Popolo di Dio potrebbe essere la risposta appropriata. Altro caso ancora sarebbe quello in cui il ripresentarsi di una domanda fosse il segnale di un cambiamento della realtà o della necessità di un “traboccamento” della Grazia, che richiede di tornare a interrogare il Deposito della fede e la Tradizione viva della Chiesa».

Il giudizio sulla verità dell’insegnamento cattolico dipende dalla capacità di ciascuno di «riconoscersi in quanto da esso proposto»? Cosa significa il concetto di «effettiva appropriazione da parte del Popolo di Dio»? Chi decide che c’è un «cambiamento della realtà o della necessità» che richiederebbe, con espressione eufemistica, «di tornare a interrogare il Deposito della fede e la Tradizione viva della Chiesa»?

Nella nuova Chiesa sinodale è il popolo che istruisce i vescovi sul significato della Fede: «Poiché la consultazione nelle Chiese locali è ascolto effettivo del Popolo di Dio, il discernimento dei Pastori assume il carattere di atto collegiale che conferma autorevolmente ciò che lo Spirito ha detto alla Chiesa mediante il senso della fede del Popolo di Dio».

Compito dell’Assemblea sinodale, infatti, sarà quello di «aprire la Chiesa tutta all’accoglienza della voce dello Spirito Santo». Cosa succede se un vescovo non accetta una presunta manifestazione della volontà dello Spirito Santo, espressa attraverso la voce del popolo?

L’Instrumentum Laboris non vuole che si verifichi un comportamento così poco collaborativo da parte dei vescovi: «per non restare sulla carta o essere affidata solo alla buona volontà dei singoli, la corresponsabilità nella missione derivante dal Battesimo ha bisogno di concretizzarsi in forme strutturate. Servono perciò ambiti istituzionali adeguati, così come spazi in cui il discernimento comunitario possa essere praticato in modo regolare. Non si tratta di una richiesta di ridistribuzione del potere, ma dell’esigenza che sia possibile l’esercizio fattivo della corresponsabilità derivante dal Battesimo».

Davvero? Una richiesta del genere è decisamente sfacciata.

L’Instrumentum Laboris elenca i temi emersi nelle varie fasi delle consultazioni sinodali: guerra, cambiamenti climatici, «un sistema economico che produce sfruttamento, disuguaglianza e “scarto”», colonialismo culturale, persecuzione religiosa, «secolarizzazione aggressiva», abuso sessuale e «abuso finanziario, spirituale e di potere».

È sorprendente e preoccupante che l’aborto, l’eutanasia, il suicidio medicalmente assistito, la diffusione dell’ateismo, del relativismo, del soggettivismo, dell’indifferenza religiosa, dell’ideologia di genere, della ridefinizione del matrimonio nelle leggi di molti Stati occidentali, dei programmi coercitivi per imporre la contraccezione nel Sud del mondo non siano neanche presi in considerazione. Né lo sono le crisi riguardanti la pratica sacramentale nella Chiesa oggi: il forte calo della frequenza alla Messa, la scomparsa di fatto della confessione sacramentale in molti luoghi, il calo dei battesimi, delle cresime e dei matrimoni, e il drastico calo nel numero delle ordinazioni sacerdotali nel mondo occidentale.

Da nessuna parte troviamo alcuna menzione della missione fondamentale della Chiesa: la salvezza delle anime. Non vi è alcun accenno al fatto che ciò che è più importante nella vita della Chiesa è la predicazione del dono di Dio della vita eterna, la chiamata di Cristo alla conversione e al pentimento.

L’Instrumentum Laboris chiede: «Come possiamo creare spazi in cui coloro che si sentono feriti dalla Chiesa e sgraditi dalla comunità possano sentirsi riconosciuti, accolti, non giudicati e liberi di fare domande? Alla luce dell’Esortazione Apostolica Post-Sinodale Amoris laetitia, quali passi concreti sono necessari per andare incontro alle persone che si sentono escluse dalla Chiesa in ragione della loro affettività e sessualità (ad esempio divorziati risposati, persone in matrimonio poligamico, persone LGBTQ+, ecc.)?».

L’utilizzo dell’acronimo LGBTQ+ è sbagliato; dà l’errata impressione che la Chiesa insegni che Dio avrebbe creato categorie distinte di esseri umani con l’intenzione che fossero coinvolti in atti sessuali non procreativi, o che potessero rimanere prigionieri di un corpo sbagliato, o qualunque cosa significhi +.

L’idea moderna di «creare spazi» per le persone che rifiutano vari insegnamenti della Chiesa dà l’impressione che essi non siano «al sicuro» ogni volta che viene ricordato che il loro comportamento è immorale, secondo la legge di Dio. Essere feriti dalla verità è un problema? Tale dolore non è forse un momento purificatore, una grazia di Dio, che ci sfida ad esaminare noi stessi secondo le esigenze della Sua legge, e non secondo le nostre scelte, spesso sbagliate? Le persone che rifiutano l’insegnamento della Chiesa potrebbero ritenere di non essere accolte dai fedeli credenti. Non sono loro ad essere respinti, ma è il loro comportamento immorale ad essere giustamente stigmatizzato.

Perché la Chiesa dovrebbe creare uno «spazio» in cui i poligami possano sentirsi «non giudicati»? Il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna questo sulla poligamia: «La poligamia è in contrasto con la legge morale. Contraddice radicalmente la comunione coniugale; essa, “infatti, nega in modo diretto il disegno di Dio”» (§ 2387). Che altro c’è da discutere?

L’Instrumentum Laboris appoggia il malcontento di quelle donne che vogliono essere ordinate diaconesse. La Chiesa ha già studiato questa proposta e l’ha respinta in quanto non possibile.

Si chiede una discussione per porre fine al celibato obbligatorio per i sacerdoti nella Chiesa latina. Questa persistente agitazione per i preti sposati cerca un esito che danneggerebbe gravemente la missione della Chiesa, come hanno dimostrato il Papa emerito Benedetto e il cardinale Robert Sarah nel loro libro Dal profondo del nostro cuore.

L’Instrumentum Laboris pone questa importante domanda: «Come possono le Chiese rimanere in dialogo con il mondo senza diventare mondane?». La risposta chiara è: rimanendo fedeli a Cristo e alla sua dottrina, soprattutto quando essa è osteggiata da coloro che vogliono cambiare vari insegnamenti della Chiesa per far sentire le persone accolte e accettate.

La Chiesa del “Me, io stesso e io”, dove ogni persona riconosce se stessa nel suo insieme di credenze che stabilisce da sé, può promettere soddisfazione. In realtà, si tratta di una religione finta e illusoria di auto-adorazione, in cui Dio è relegato al ruolo di “divino Notaio” di qualunque cosa ciascuno decida di credere. Dio ci risparmi un simile esito.

3. Radici dell’attuale crisi della Chiesa

Senza attendere che l’Assemblea sinodale discuta su come adottare «passi concreti (…) per andare incontro alle persone che si sentono escluse dalla Chiesa in ragione della loro affettività e sessualità», l’arcivescovo di Berlino, Heiner Koch, ha recentemente autorizzato i sacerdoti nella sua arcidiocesi a impartire benedizioni solenni alle coppie omosessuali.

Curiosamente, ha anche annunciato che egli non avrebbe impartito tali benedizioni finché non avesse ricevuto il permesso esplicito da Papa Francesco. Sembra fiducioso che un giorno tale permesso verrà concesso, ma di certo non ignora che Papa Francesco ha approvato personalmente nel 2021 la pubblicazione di un documento magisteriale della Congregazione per la Dottrina della Fede che vieta tali benedizioni.

Koch sa che questa pratica contraddice chiaramente la dottrina della Chiesa, e per questo non è mai stata autorizzata; tuttavia ritiene che il governo pastorale includa il diritto di ignorare il suo giuramento di difendere gli insegnamenti della Fede e di obbedire alla legge della Chiesa. Vuole invece che i suoi sacerdoti si impegnino nella pratica blasfema di condurre una cerimonia religiosa in cui chiedono a Dio di effondere la Sua grazia su unioni gravemente peccaminose, sottoscritte pubblicamente allo scopo di impegnarsi in atti sessuali contronatura, inequivocabilmente condannati nella Parola rivelata di Dio.

Come siamo arrivati a questo punto nella Chiesa? Koch e coloro che applaudono alla sua infedeltà evidentemente non credono più all’insegnamento della Chiesa sul corretto esercizio della sessualità, ma neanche alla pretesa della Chiesa di insegnare la verità salvifica di Dio senza errori. Essi affermano che la Chiesa, in realtà, si è sempre sbagliata e che i cambiamenti a 180 gradi nella dottrina sono normali e non c’è nulla di cui preoccuparsi.

Finora, Papa Francesco non ha dato istruzioni all’arcivescovo Koch di invertire la rotta, né ha riaffermato, nonostante il pubblico rifiuto dell’insegnamento cattolico da parte di vari ecclesiastici, l’immoralità intrinseca degli atti omosessuali e la conseguente impossibilità di benedire le unioni omosessuali. Al contrario, diversi ecclesiastici, colpevoli di tale infedeltà, sono stati promossi da Papa Francesco in posizioni di autorità e influenza.

Il fenomeno del dissenso dall’insegnamento della Chiesa è giustamente descritto come il progetto cattolico liberale, nel senso proposto da John Henry Newman, nel suo Biglietto Speech del 1879: «Il liberalismo in campo religioso è la dottrina secondo cui non c’è alcuna verità positiva nella religione, ma un credo vale quanto un altro, e questa è una convinzione che ogni giorno acquista più credito e forza. È contro qualunque riconoscimento di una religione come vera. Insegna che tutte devono essere tollerate, perché per tutte si tratta di una questione di opinioni. La religione rivelata non è una verità, ma un sentimento e una preferenza personale; non un fatto oggettivo o miracoloso; ed è un diritto di ciascun individuo farle dire tutto ciò che più colpisce la sua fantasia».

Il progetto liberale consiste inoltre nello sforzo di eliminare il cattolicesimo come religione dogmatica rivelata, incentrata sulla salvezza eterna delle anime, e di trasformarlo in una religione di benevolenza umana, che promuove la realizzazione personale, l’armonia sociale e il benessere materiale.

La salvezza eterna di tutti è ormai data per scontata. Dio è troppo buono e amorevole per condannare qualcuno all’Inferno. Gesù non va preso alla lettera quando parla di anime punite in eterno. Questo è ovviamente un tipo di iperbole rinforzante, anche se sconcertante, per attirare l’attenzione della gente, non qualcosa che dovremmo prendere alla lettera.

La fede in dottrine immutabili a cui bisogna credere per essere salvati è un artefatto di un passato da dimenticare, in cui i credenti erano ingenuamente ossessionati dall’idea errata che l’insegnamento di Cristo sia l’unico modo divinamente rivelato, e quindi normativo, di vivere in unione con Dio. Dio non sarebbe mai stato così esclusivo. Egli è il Dio inclusivo, che ama tutti così come sono. Qualsiasi dottrina o legge della Chiesa che crei barriere e separi le persone le une dalle altre deve essere accantonata.

L’attuale crisi della Chiesa è il risultato del fatto che questo progetto liberale ha preso il sopravvento a causa della decisione di Papa Francesco di non considerarlo come quella minaccia mortale che esso è. Piuttosto, garantisce ai sostenitori del progetto liberale grande libertà di seminare dubbi e confusione tra i fedeli, condannando nel contempo coloro che resistono a questo progetto come “reazionari”, stigmatizzandoli come nostalgici, quando non squilibrati, “indietristi” che soffrono dell’attaccamento malsano a un’ideologia.

Il Sinodo sulla Sinodalità promette di essere l’occasione tanto attesa per tentare una volta per tutte di seppellire il cattolicesimo centrato sulla salvezza eterna delle anime in Cristo, per sostituirlo con il nuovo e perfezionato cattolicesimo di una convivenza umana libera da giudizi, in cui il principale obiettivo è far sentire tutti inclusi, apprezzati e confermati in qualunque scelta personale facciano nella vita, a meno che non si scelga di abbracciare il Cattolicesimo fondato sulla salvezza eterna delle anime in Cristo.

In conclusione, l’Assemblea Sinodale ha tutto il potenziale per causare un danno immenso alla vita e alla missione della Chiesa. È nostro dovere, in obbedienza alla rivelazione di Dio e nella carità per le anime, resistere fermamente a qualsiasi tentativo che possa emergere da questa Assemblea Sinodale di cambiare l’insegnamento della Chiesa.

* Sacerdote e canonista


La babele sinodale: la conferenza di Stefano Fontana al Convegno romano

dall’Osservatorio – https://vanthuanobservatory.com/2023/10/05/il-modernismo-filosofico-della-nuova-sinodalita/

[Breve nota redazionale. Pubblichiamo il testo integrale della relazione tenuta martedì scorso 3 ottobre 2023 da Stefano Fontana, direttore del nostro Osservatorio, al convegno “La babele sinodale”, organizzato da La Nuova Bussola Quotidiana. Fontana ha parlato dopo l’introduzione di Riccardo Cascioli e l’intervento di Padre Gerald Murray e prima di quello del cardinale Raymond Leo Burke, che ha concluso i lavori.

Fontana ritiene che il nuovo concetto di sinodalità sia l’esito finale del modernismo filosofico e del suo principio di immanenza. Non c’è una dottrina della sinodalità, essa è definita un “processo”, quindi fatta coincidere con il tempo e la storia. A dirci cosa essa sia sarà il vitalismo degli eventi, la storia della sinodalità mostrerà la sinodalità come storia. Il processo sinodale non produrrà contenuti ma prassi che nel tempo cambieranno la dottrina senza però dichiararlo mai espressamente. Siccome oggi si ritiene che la sinodalità sia espressione essenziale della Chiesa, la Chiesa sarà sottoposta ad una sinodalità permanente, sinodo dopo sinodo, che la trasformerà lungo il tempo. Si vede qui l’eredità dell’esistenzialismo, dello storicismo e di una ermeneutica separata dalla metafisica. Si vedono le conseguenze del modernismo filosofico penetrato dentro la teologia cattolica per fare in modo che sia essa stessa a cambiarsi dall’interno, più che essere cambiata dall’esterno].

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In questo intervento cercherò di esaminare le principali categorie di pensiero che caratterizzano la nuova nozione di sinodalità. Utilizzerò tre fonti: 1) i documenti ufficiali sul prossimo sinodo, compreso il discorso di Francesco del 2015 in occasione del 50mo anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi; 2) la prassi sinodale in questo pontificato, soprattutto il sinodo sulla famiglia degli anni 2014-2015; 3) la principale letteratura teologica di appoggio alla nuova sinodalità[1].

Come è stato scritto, “il sinodo cambia, la sinodalità resta”[2], è quindi sul concetto di sinodalità che bisogna concentrarsi, dato che da essa dipenderà questo sinodo e i prossimi sinodi. Anzi, da essa deriverà la stabilizzazione della prassi sinodale come permanente, come un processo continuo. È importante allora considerare quali categorie di pensiero alimentino questa nozione. Tratterò in particolare tre argomenti: la nuova sinodalità come “tempo”, la nuova sinodalità come “prassi”, la nuova sinodalità come “procedura”.

La nuova sinodalità come “tempo”

La nuova sinodalità viene ampiamente definita un “processo”. Quando la Commissione teologica internazionale ha cercato di descriverla[3], ha utilizzato espressioni che indicano appunto un processo: “stile” di vita, “modo di vivere e operare”, “processi e strutture”, “eventi”. La stessa cosa avviene da parte dei teologi: “camminare insieme”, “riunirsi in assemblea”, “ascolto reciproco”, “dialogo”, “discernimento comunitario”, “creazione del consenso”, “assunzione di una decisione”[4].

Alla sinodalità come processo viene anche assegnato il compito di precisare la nozione stessa di sinodalità[5]. La sinodalità sarebbe un processo che alimenta una progressiva presa di coscienza nella Chiesa di cosa sia la sinodalità. Filosoficamente si dovrebbe dire che si tratta di un processo storico-dialettico, tipicamente hegeliano: la sinodalità non come qualcosa che ha una storia, ma come qualcosa che si fa nella storia. Sarà la storia della sinodalità o, meglio, la sinodalità come storia, a dirci cosa sia la sinodalità. Cosa essa sia lo diranno gli eventi. Molti stanno cercando nella Scrittura, nella storia della Chiesa e in quella delle altre confessioni cristiane, spunti che possano costituire dei “precedenti” di nuova sinodalità[6], ma si tratta appunto di spunti, spesso equivoci e impropri, non di definizioni. Una dottrina sulla sinodalità non esiste. Del resto, ad essere più precisi, al sinodo sulla sinodalità non viene nemmeno chiesto di definire questa dottrina, ma di vivere un processo nei cui eventi la sinodalità si mostrerà come qualcosa che “si edifica strada facendo, ma a partire dalla base”.[7] Sta qui il carattere sovversivo della nuova sinodalità, il suo essere “senza forma”[8] o, come è stato scritto, un Vaso di Pandora.  

Queste osservazioni ci dicono che una prima categoria di pensiero presente nella visione della nuova sinodalità è quella del tempo: la storicità. Manca un accostamento al tema di tipo metafisico. La sinodalità è detta un camminare, un mettersi in moto, un attraversare il tempo, un vitalismo … e gli eventi di questo camminare sono sia materiali che di coscienza ecclesiale nello stesso tempo, dato che, modernisticamente, la novità degli eventi fa tutt’uno con la novità delle acquisizioni della coscienza ecclesiale[9] sicché la Chiesa non sa cosa è. Il senso del camminare insieme non è dato fin dall’inizio e non è segnato dal fine da raggiungere, ma emerge nel tempo e dal tempo. Cosa la sinodalità sia non lo si saprà mai definitivamente, perché essa è costitutivamente processo vitale. Garrigou-Lagrange negli anni Quaranta del secolo scorso diceva che per la Nouvelle Tehéologie una teologia che non sia più attuale è da considerarsi una teologia falsa. Lo stesso possiamo dire per la nuova sinodalità: la vera sinodalità sarà quella di volta in volta attuale.

La sinodalità come “prassi”

Gli eventi di un processo nel tempo sono prassi. Alcune parole-chiave della nuova sinodalità, come ascoltare, integrare, condividere, non indicano contenuti ma atteggiamenti, azioni, ossia prassi. In questa prassi, l’agire delle singole persone convocate e l’agire della collettività convocata si congiungono in sintesi dialettica, il particolare e l’universale coincidono nel globale: un centinaio di persone, supposte cattoliche, costituiranno la nuova sinodalità. Il con-venire e il con-cordare sono di per se stessi prassi producenti un significato. Sono evidenti, in questa gamma di concetti che ruotano attorno alla nozione di sinodalità, gli influssi dell’esistenzialismo, del marxismo, dell’hegelismo e, in generale, dello storicismo prassistico, soprattutto di una ermeneutica separata dalla metafisica. Tantopiù la cosa risulta evidente (e preoccupante) se si considera che in questa sintesi di opinioni coagulatesi nel tempo si indica con sicumera la voce dello Spirito Santo, proprio come accade nel sistema hegeliano. Mons. Mario Grech, segretario dell’incipiente sinodo, ha scritto che il sinodo ha l’obiettivo “di coinvolgere il più possibile tutte le battezzate e tutti i battezzati, così da ascoltare la loro voce e da riconoscere in essa e attraverso di essa la voce dello Spirito Santo”.[10] Poiché stiamo parlando di prassi non possiamo non notare il grande scontro tra due pretese: che nella prassi si manifesti la voce dello Spirito Santo e che tale prassi sia stata messa strumentalmente nelle mani “di un piccolo gruppo organizzatore”[11] dalle idee omogenee e prestabilite.

Che la nuova sinodalità sia prassi risulta anche da due altre considerazioni. La prima riguarda lo stretto rapporto nel processo sinodale tra il metodo e il contenuto. Come ho già evidenziato sopra, si è deciso di cominciare a camminare anche se non si sa ancora bene, sul piano concettuale e dottrinale, cosa la sinodalità sia, quindi dove andare. Ecco, quindi, che il metodo e il contenuto coincidono. Il ritrovarsi, il parlarsi, il decidere insieme in una specie di brainstorming elitario sono già sinodalità in atto. Il metodo non è solo applicativo, ma è costitutivo della sinodalità. Il contenuto è immanente al metodo. Questo spiega anche perché la partecipazione al processo sinodale non possa avere limiti: tutti devono poter partecipare, anche gli atei o i nemici di Cristo. Se metodo e contenuto coincidono, l’atto del partecipare porta già con sé il suo senso contenutistico. La sinodalità non sarà più dei vescovi o di altre categorie interne alla Chiesa precisate di volta in volta dall’autorità ecclesiastica, ma sarà di chi vi partecipa, ciò avviene già secondo un metodo sinodale e quindi secondo un contenuto sinodale. La nuova sinodalità non sarà nemmeno più dei cristiani e, meno che meno, dei cattolici. Si tratterebbe di confinamenti che ancora pretendono che il contenuto stabilisca dei limiti al metodo, ma il modernismo filosofico e teologico pensa di aver stabilito da molto tempo e definitivamente che è vero il contrario, cioè che il metodo precede il contenuto. Per la modernità filosofica e teologica è il metodo – la prassi – a limitare il contenuto e non il contrario.

Vediamo ora la seconda considerazione sulla nuova sinodalità come prassi. Se osserviamo l’andamento dei recenti sinodi e, soprattutto, di quello sulla famiglia, dobbiamo prendere atto che i suoi effetti hanno soprattutto riguardato la prassi. Strettamente parlando, Amoris laetitia, non ha stabilito: ha alluso, non ha escluso, ma non ha stabilito. Il cambiamento della dottrina tramite la nuova sinodalità non è affidato alla dottrina, ma alla prassi. A decidere è la prassi, quello che si fa. I vescovi della regione di Buenos Aires hanno fatto, e questo ha veramente contato, nel senso di stabilire cosa si deve fare. Quello che si fa coincide con quello che si deve fare, storicisticamente (e prassisticamente) l’essere e il dover essere sono la stessa cosa. Come non vedere in tutto ciò l’influenza dei filoni più classici del modernismo filosofico e teologico che la nuova nozione di sinodalità recepisce con grande fedeltà? Veramente la nuova sinodalità “viene da molto lontano”.[12]

La nuova sinodalità come “procedura”

Le categorie di “tempo” e di “prassi” immergono la nuova sinodalità nella storia. Diventa quindi obbligato assumere dalla storia e dal tempo presente alcune forme di prassi mondana. Se si tratta di tempo e di prassi, la Chiesa non può dimenticare di vivere in un certo tempo e di dover imparare da quel tempo forme di prassi ritenute utili anche per sé[13]. Alcune forme di queste prassi finalizzate a prendere decisioni rimandano al metodo democratico e, più precisamente, alla democrazia liberale procedurale. La letteratura sulla nuova sinodalità insiste molto nel sostenere che il modo di procedere della sinodalità non può venire equiparato a quello di un’assemblea parlamentare[14]. Però, qualcuno – fa notare come si debba mettere in conto ”almeno qualche analogia con quelli in atto nella società civile”[15]; “immaginare che la verifica del consesum fidelium non apra le porte a forme di democratizzazione della chiesa significa cadere in una forma di spiritualizzazione della vita ecclesiale e quindi impedire qualsiasi riforma che promuova la corresponsabilità”[16]. Se si vorrà decidere “non si potranno mettere da parte procedure mutuabili dall’esperienza delle società democratiche”[17]. Se poi le decisioni dovessero ancora essere poste nelle mani del papa e dovesse essere ancora lui a decidere, allora il riformismo della nuova sinodalità verrebbe compromesso, perché si metterebbe un tappo riparatore su quanto il tempo e la prassi avranno fatto emergere nella coscienza ecclesiale[18]. Una significativa apertura in questo senso è già stata realizzata riguardo al sinodo sulla famiglia: nel documento finale sono stati inseriti anche posizioni rigettate a maggioranza dai sinodali e in Amoris Laetitia Francesco ha dichiarato di non voler dire altro di diverso dalle conclusioni del sinodo[19]. È stato anche detto che, come nel passato la Chiesa aveva assunto al proprio interno lo schema politico monarchico, nulla vieterebbe ora di assumere quello democratico[20], non tenendo conto che l’assunzione dello schema monarchico non era una semplice presa a prestito dalle istituzioni del tempo, ma rimandava al concetto teologico di “regalità”. Non c’è dubbio, quindi, che forme di prassi democratica di tipo mondano entreranno nelle procedure sinodali, vi entreranno obbligatoriamente data la dipendenza della procedura sinodale dalle prassi vigenti nel tempo attuale. Sempre a questo riguardo, è di particolare interesse notare che la forma di democrazia che viene presa in esame per confrontarla con le procedure decisionali della nuova sinodalità, anche per evidenziare la reciproca irriducibilità, è solo e sempre la democrazia liberale moderna procedurale. Il confronto non viene fatto con la democrazia secondo Leone XIII, ma con la democrazia di Locke e Rousseau. Quando si sostiene la possibilità e la necessità di adottare procedure democratiche ci si riferisce senza ombra di dubbio alla democrazia procedurale, che la Dottrina sociale della Chiesa ha sempre condannato. Sarà questa e non altre forme democratiche ad entrare stabilmente nelle procedure di formazione di una opinione pubblica ecclesiale fatta coincidere con la voce dello Spirito Santo.

Cenno conclusivo

La nuova sinodalità, considerata nelle categorie sue proprie di tempoprassi e procedura, è il momento conclusivo di un lungo percorso che ha attraversato tutta la modernità. Il modernismo è stato un fenomeno eminentemente filosofico. L’idea di trasformare la Chiesa non dall’esterno ma dall’interno aveva anche questo significato: introdurre nella teologia categorie filosofiche che l’avrebbero rivoluzionata, in modo che fosse la teologia cattolica stessa a deformare se stessa. Non c’è dubbio che questo sia ampiamente accaduto e che la nozione di nuova sinodalità sia un coerente punto di arrivo di questo tentativo. A farla da padrona sarà l’ermeneutica esistenzialista e storicista, separata dalla metafisica: i contenuti della fede saranno quanto l’interpretazione avrà sedimentato nel tempo, un susseguirsi di interpretazioni condivise e sedimentate, frutto di una opinione pubblica ecclesiale nata nel dibattito sinodale, ma pur sempre solo interpretazioni.

Stefano Fontana

Teatro Ghione, Roma, 3 ottobre 2023


[1] Per una completa informazione di base sulla nuova sinodalità si veda: J. Loredo – José Antonio Ureta, Processo sinodale: un vaso di Pandora – 100 domante e 100 risposte, prefazione del cardinale Raymond Leo Burke, Associazione Tradizione Famiglia Proprietà, Roma 2023.

[2] G. Canobbio, Sulla sinodalità, “Teologia” 41 (2016) 2, p. 270.

[3] Commissione Teologia Internazionale, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, 2 marzo 2018.

[4] R. Repole, Sinodalità. Il contributo della teologia, “Teologia”, 46 (2021), p. 519.

[5] È abbastanza generalizzata l’idea che il concetto di sinodalità non sia ancora definito e abbia bisogno di approfondimenti. Questo viene detto sia da posizioni teologiche che potremmo definire “caute” (cfr. M. de Salis, La sinodalità della Chiesa. Sensi e contorni di una espressione, in “Annales Theologici” 36 (2022) 2, pp. 283-316) e che intendono frenare derive eccessivamente progressiste, sia da posizioni invece più nuoviste allo scopo di accelerare il processo in atto. 

[6] Cfr. G. Canobbio, Sulla Sinodalità cit.pp. 249-273; Id., Tradizione e pratiche sinodali in Occidente, “Teologia”, 48 (2023) 1, pp. 15-62; U. Sartorio, Sinodalità. Per una chiesa in riforma, “Studia patavina”, 66 (2019) 2, pp. 279-292; A. Barbi, Discernere e deliberare insieme. Percorsi negli Atti degli Apostoli, “Studia Patavina”, LXVI (2019) 2, pp. 239-250. AA.VV., Riforma sinodale della Chiesa cattolica e dialogo ecumenico: una possibile e feconda convergenza, “Studia patavina”, 69 (2022) 2, pp. 207-242; AA.VV., La sinodalità della Chiesa, “Annales Theologici”, 36 (2022) 2.

[7] S. M. Lanzetta, Un Sinodo che viene da molto lontano, “Fides Catholica”, 18 (2022) 1, p. 5.

[8] P. De Marco, La démocratie dans l’Église. Réflexions sur le “chemin synodal” allemand, “Catholica”, n. 149, automne 2020.

[9] – Le nuove formule vitalistiche“devono essere e mantenersi adatte tanto alla fede quanto al credente” (S.S. Pio X, Pascendi dominici gregis. Sugli errori del modernismo, Cantagalli, Siena 2007, p. 58.

[10] M. Grech, Il popolo di Dio soggetto del percorso sinodale, “Teologia”, 48 (2023) 1, p. 4.

[11] S. M. Lanzetta, Un sinodo che viene da molto lontano cit., p. 6.

[12] Come suona il titolo del già ricordato lavoro di Serafino M. Lanzetta cit.

[13] Cfr. G. Canobbio, Dal Sinodo alla sinodalità, “Studia Patavina”, LXIX (2022) 2, pp. 243-259, in specie le pp. 2562-259.

[14] M. A. Ferrari, Sinodalità e democrazia: punti di contatto e differenze, “Annales Theologici”, 36 (2022) 2, pp. 475-494.

[15] G. Canobbio, Dal Sinodo alla sinodalità cit., p. 255.

[16] Ivi, p. 256.

[17] Ivi, p. 257.

[18] “Ma alla fine, se tocca ancora a lui dire l’ultima parola, si rischia di preparare la strada a nuovi verticismi” (Ivi, p. 258).

[19] Cfr. S. Fontana, Esortazione o rivoluzione? Tutti i problemi di Amoris laetitia, Fede & Cultura, Verona 2019.

[20] “Le proposte di assimilare la Chiesa ad una democrazia sono speculari a quelle che la descrivevano come monarchia” (G. Canobbio, Sulla Sinodalità cit., p. 258; “In ogni caso i cristiani – che ne siano consapevoli o no – portano la mens democratica, di cui è permeata la società occidentale, al di dentro della Chiesa” (R. Repole, Sinodalità. Il contributo della teologia cit., p. 525.


Documenti. Il testo integrale della lettera pre-Sinodo del cardinale Zen

 Ampiamente citata dal sito statunitense “The Pillar”, la lettera inviata a fine settembre dal cardinale Giuseppe Zen-zekiun a diversi cardinali e vescovi sulle questioni aperte dalla convocazione del Sinodo in corso dal 4 ottobre, è ormai uscita dal recinto del “confidenziale” ed è bene che sia letta per intero.

È lo stesso Zen a presagire questo esito, quando verso la fine della lettera scrive: “Io la intendo come confidenziale, ma sarà difficile che non arrivi in mano ai mass media. Vecchio come sono, non ho niente da guadagnare, niente da perdere. Sarò contento di aver fatto quello che credo di essere in dovere di fare”.

Dall’alto dei suoi 91 anni, ma soprattutto di una vita spesa nell’eroica difesa della “libertas ecclesiae” in una terra ostile come la Cina, già vescovo di Hong Kong e recentemente condannato per aver sostenuto la resistenza della città al prepotere del regime di Pechino, Zen si rivela in questa lettera anche un combattente appassionato e franco per preservare il Sinodo e la Chiesa da quella che ritiene una deriva disastrosa.

Ecco dunque la lettera, nella versione italiana predisposta dallo stesso cardinale Zen.

*

Cara Eminenza, Cara Eccellenza,

sono il suo confratello Giuseppe Zen dalla lontana isola di Hong Kong, un vecchio infermo di 91 anni, ordinato vescovo più di 26 anni fa. Scrivo questa lettera perché, conscio di essere ancora in possesso delle mie facoltà mentali, sento il dovere di salvaguardare, come un membro del Collegio dei Successori degli Apostoli, la sacrosanta tradizione della fede cattolica.

Indirizzo questa lettera a voi, membri del prossimo Sinodo sulla sinodalità, perché suppongo che siate preoccupati, come sono io, di come andrà a finire il suddetto Sinodo.

Sinodalità è una parola piuttosto nuova, dall’etimologia si può capire che si tratta di uno spirito, di “parlare insieme e camminare insieme”; per la Chiesa cattolica vorrà dire “comunione e partecipazione di tutti j membri della Chiesa nella missione evangelizzatrice”. Capito così, il tema di questo Sinodo sembra utile e sempre attuale, e sarà un’occasione conveniente per chiarire come nella Chiesa si debba vivere questa sinodalità.

Ora c’è un documento recentissimo “La Sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa”, frutto del lavoro (negli anni 2014-2017) di una sotto-commissione della Commissione Teologica Internazionale, il cui presidente ex-officio è il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. La sotto-commissione ha concluso il suo lavoro nel 2017, il testo è stato approvato dai membri della Commissione nel corso della sessione plenaria di quell’anno, e finalmente approvato dal Prefetto della Congregazione nel 2018, dopo aver ricevuto il parere favorevole da Papa Francesco.

Il documento comincia nella sua prima parte con i fatti storici dei Sinodi e dei Concili (il significato dei due termini è convergente), specialmente il Concilio Apostolico di Gerusalemme (Atti 15), che è la figura paradigmatica dei Sinodi celebrati dalla Chiesa.

La descrizione di quel Sinodo, nei paragrafi 20-21 del documento, può riassumersi così. Nella diffusione del Vangelo, emerge un problema: se i non-Ebrei per farsi membri della Chiesa di Gesù debbano passare per la circoncisione e l’accettazione della legge mosaica. Il problema, acutamente sentito in Antiochia, viene deferito alla Chiesa di Gerusalemme, la quale tutta prende parte nello svolgimento per sciogliere il problema. “L’iniziale diversità di opinioni e la vivacità del dibattito, alla luce della parola profetica (vedi Amos 9,11-12), nel reciproco ascolto dello Spirito Santo attraverso la testimonianza della sua azione (vedi Atti 15,14-18), approdarono a quel consenso e unanimità che è il frutto del discernimento comunitario”. Gli Apostoli e gli Anziani comunicarono il risultato del Concilio alle Chiese con una lettera in cui si dice: “Abbiamo deciso lo Spirito Santo e noi”.

Nel paragrafo 5 del testo della Commissione si dice: “La novità della parola sinodalità chiede un’attenta messa a punto teologica”. Nel paragrafo 7 dice:”Mentre il concetto di sinodalità richiama la partecipazione di tutto il popolo di Dio, […] il concetto di collegialità precisa il significato teologico e la forma di esercizio del ministero dei vescovi […] mediante la comunione gerarchica del collegio episcopale con il vescovo di Roma”. E più avanti dice: “Ogni autentica manifestazione di sinodalità esige per sua natura l’esercizio del ministero collegiale dei vescovi”.

Nella seconda parte, il documento propone i fondamenti teologici di questa dottrina, che si trovano specialmente nella “Lumen gentium”, dove specifica che al servizio del popolo, tutto sacerdotale e profetico, c’è un sacerdozio ministeriale, ordinato, che serve questo popolo, guidandolo con il servizio dell’autorità.

Mi ha sorpreso non poco quando, leggendo i tanti prolissi documenti emanati dalla Segretaria del Sinodo, trovo così pochi riferimenti al documento summenzionato.

Per di più:

1. Mi confonde il fatto che, da una parte, mi dicono che la sinodalità è un elemento costitutivo della Chiesa, ma, dall’altra, mi dicono che è ciò che Dio aspetta da noi per questo secolo (come una novità?). Come può Dio aver dimenticato di far vivere questo elemento costitutivo della Chiesa per i venti secoli della sua storia? Non confessiamo che la Chiesa è una, santa, cattolica, apostolica, intendendo con ciò che è stata sempre anche sinodale?
2. Ancora maggiore confusione e preoccupazione sento, quando vedo suggerito che finalmente è venuto il momento di rovesciare la piramide, cioè con la gerarchia sormontata dal popolo laico. Nel documento preparatorio, fin dall’inizio, si dice chiaramente che, per una Chiesa sinodale, occorre ricostituire la “democrazia”.

3. Ma ancora più preoccupazione sento, quando si nota che, mentre veniva convocato questo Sinodo {che viene presentato come una cosa senza precedenti) c’era già in corso in Germania un “sentiero sinodale” dove, con uno stranamente compiaciuto “mea culpa” per gli abusi sessuali, la gerarchia ed un gruppo di laici (Comitato Centrale dei Cattolici Tedeschi ZdK, non si sa quanto rappresentativo, ma si viene a sapere che sono quasi tutti impiegati della Chiesa) propongono un cambio rivoluzionario della costituzione della Chiesa e dell’insegnamento morale riguardo alla sessualità. Più di un centinaio tra Cardinali e Vescovi da diverse parti del mondo hanno scritto una lettera di ammonizione all’episcopato in Germania, ma essi non riconoscono di essere in errore.

Il Papa non ha mai ordinato che questo processo della Chiesa in Germania si fermasse. In occasione della loro visita “ad limina”, si sa che il Papa ha conversato per due ore con i vescovi tedeschi, ma non si è pubblicato un discorso del Papa su “L’Osservatore Romano” come si è solito fare in queste visite. Invece viene pubblicato un discorso del Prefetto della Congregazione per i Vescovi, Cardinale Marc Ouellet, in cui li prega di non procedere, ma di aspettare le conclusioni del Sinodo. Come risposta, un chiaro diniego perché, dicono, “c’è l’urgenza pastorale di procedere”(!?).

Un sintomo allarmante è il continuo calo numerico dei fedeli in Germania; secondo dati ufficiali il calo ha superato il mezzo milione nel 2022. La Chiesa lì sta morendo.

Questo ci ricorda la penosa sventura della Chiesa in Olanda, la quale, dalla cima di quando aveva il 40% della popolazione nazionale, è caduta fino alla sua quasi totale scomparsa oggi. Non è difficile vederne la causa: un movimento, quasi uguale a quello attuale in Germania, che lì è cominciato quasi subito dopo il Concilio Vaticano ll.

Non mi sembra fuori posto menzionare il grande scisma che pende sulla Comunità Anglicana. Gli arcivescovi del Global Anglican Future Conference (GAFCON) hanno mandato una lettera all’Arcivescovo di Canterbury, dicendogli che, se non si converte (la Chiesa Anglicana d’Inghilterra ha approvato il matrimonio omosessuale), essi {che costituiscono 1′85% degli Anglicani nel mondo) non accetteranno più la sua leadership (come “primus inter pares”).

4. I documenti della Segreteria citano non sempre a proposito la Bibbia. Parlano a lungo dell’episodio di Pietro e Cornelio (in Atti 10-11) quasi per provare che il Signore può ordinare qualunque cambiamento dell’agire dei fedeli. Ma il racconto del Concilio di Gerusalemme (Atti 15) fa vedere che non si tratta di un cambiamento qualunque, ma di uno sviluppo che comporta periodi diversi nella realizzazione della salvezza. La fase universalista della salvezza, già adombrata nel Vecchio Testamento, adesso finalmente si realizza dopo la risurrezione di Gesù. Similmente, Gesù ha detto che non ha abolito la legge, ma l’ha portata a compimento. Lo Spirito procede gradualmente, ma non si contraddice mai. Il Santo Henry Newman diceva che il vero sviluppo della dottrina è omogeneo.

Penso che non ho bisogno di dilungarmi sui motivi per cui dovete affrontare il Sinodo con grande preoccupazione. Sento invece l’importanza di far presente a voi certi problemi di procedura del Sinodo. La Segreteria del Sinodo è molto agguerrita nell’arte della manipolazione.

Per ciò che sto per dire sarò facilmente accusato di “conspiracy theory”, ma vedo chiaramente che c’è tutto un piano di manipolazione.

Cominciano col dire che bisogna ascoltare tutti. Adagio adagio fanno capire che tra questi “tutti” ci sono specialmente quelli da noi “esclusi”. Finalmente, si capisce che si tratta di gente che opta per una morale sessuale diversa da quella della tradizione cattolica.

Nei piccoli gruppi di dialogo della fase continentale insistono sovente che “dobbiamo lasciare una sedia vuota per quelli che sono assenti, da noi emarginati”. Dicono anche: “Il Sinodo deve concludere con una universale inclusione, deve allargare la tenda, benvenuti tutti, senza giudicarli, senza invitare alla conversione”.

Protestano sovente che non hanno una agenda. È veramente un’offesa alla nostra intelligenza, quando tutti vediamo a che conclusioni mirano.

Parlano della “conversazione nello Spirito” come di una cosa magica. E invitano tutti ad aspettare “sorprese” dallo Spirito (naturalmente loro sono già informati di quali sorprese). “Conversare, ma non discutere! La discussione crea divisioni”. Ma allora il consenso e l’unanimità avvengono miracolosamente? Ma a me pare che al Concilio Vaticano Il, prima di arrivare alla conclusione quasi unanime, hanno sovente impiegato molto tempo in vivaci discussioni. Era lì che lo Spirito Santo aveva lavorato. Evitare discussioni è evitare la verità.

Non dovete obbedire a loro quando dicono di andare a pregare, interrompendo i lavori. Rispondete che è ridicolo pensare che lo Spirito Santo stia aspettando le vostre preghiere dell’ultimo momento. Dovete già aver accumulato una montagna di preghiere, vostre e dei vostri fedeli, come aveva fatto Papa Giovanni XXIII prima del Concilio, facendo pellegrinaggi con molti fedeli a diverse chiese, pregando per il Concilio. Lo Spirito Santo sarà occupato durante il Sinodo a lavorare nei vostri cuori, sperando che tutti accettino le sue ispirazioni.

“Cominciamo, dicono, con i piccoli gruppi”. Questo è ovviamente sbagliato. Bisogna prima lasciare parlare tutti e sentire tutti nell’Assemblea. Così risultano quali sono i problemi più controversi e che hanno bisogno di un adeguato dibattito. Nei piccoli gruppi “linguistici” poi si può, usando la propria lingua, sviscerare i problemi più a proprio agio e finire con la formulazione di concise deliberazioni. Bisogna insistere sulla procedura seguita da tanti Sinodi, non perché “si è sempre fatto così”, ma perché è ragionevole (fare diversamente giustifica il sospetto che si vuol evitare di scoprire la vera ispirazione dello Spirito Santo).

Sulla rete noto un molto parlare su “votazioni o no”. Ma se non si fa una votazione, come si può sapere il frutto di tanto dialogo? Evitare le votazioni è ancora evitare la verità.

Ancora sulla votazione. Senza nessuna consultazione, nella immediata vicinanza del Sinodo, il Santo Padre aggiunge un numero di membri laici con diritto di votazione. Se io fossi uno dei membri, farei una forte protesta, perché questo cambia sostanzialmente il Sinodo dei Vescovi, che Papa Paolo VI aveva istituito come uno strumento della collegialità, anche se nello spirito della sinodalità sono ammessi degli osservatori laici con possibilità di parola. A voi non consiglio una protesta, ma almeno un dolce lamento con una richiesta: che almeno i voti dei Vescovi e quelli dei laici siano separatamente contati (ciò che perfino il “sentiero sinodale” di Germania ha concesso ai vescovi), Si deve dare un diverso peso ai voti dei due gruppi. Far votare i laici sembra voler dire che si vuole rispettare il “sensus fidelium”, ma sono sicuri che questi laici invitati siano “fideles”? che almeno vadano ancora in chiesa? Si noti che questi laici non sono stati eletti dal popolo cristiano praticante.

Non è mai stata spiegata l’aggiunta (a metà strada) di un’altra sessione per il 2024. Il mio malizioso sospetto è che gli organizzatori, non sicuri di raggiungere in questa sessione ciò a cui mirano, sperano di aver tempo di preparare altre manovre. Ma se le votazioni già chiariscono quello che lo Spirito ha voluto dire attraverso il voto dei vescovi sarà ancora necessaria un’altra sessione?

Questa lettera che scrivo io la intendo come confidenziale, ma sarà difficile che non arrivi in mano ai mass media. Vecchio come sono, non ho niente da guadagnare, niente da perdere. Sarò contento di aver fatto quello che credo di essere in dovere di fare.

So che nel Sinodo sulla famiglia, il Santo Padre ha rifiutato suggerimenti presentati da diversi Cardinali e Vescovi proprio sulla procedura, ma se voi presentate una richiesta rispettosa e supportata da numerosi consensi, forse potrà essere accolta. Comunque avrete fatto il vostro dovere. Accettare una procedura non ragionevole è  condannare il Sinodo al fallimento.

Chiedo scusa del ritardo di questa mia lettera, perché forse manca il tempo per presentare le nostre richieste agli organizzatori prima dell’inizio del Sinodo.

Auguro a voi una fruttuosa e, se necessario, coraggiosa partecipazione a questo Sinodo che in qualunque modo sarà senza precedenti.

Vostro umile fratello,

Giuseppe Zen

21 settembre 2023
Festa di San Matteo Apostolo (”miserando et eligendo”)

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POST SCRIPTUM – Ricevo e pubblico. L’autore del commento è avvocato del foro di Trieste e membro dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani:

*

Caro Magister,

scrivono “sinodalità” ma intendono e praticano il “centralismo democratico”: linee di discussione all’interno, riservatezza, decisione della maggioranza, unità d’azione all’esterno.

Con una sostanziale differenza rispetto a Lenin. La “maggioranza” la decide papa Francesco, presentato come oracolo dello Spirito Santo.

Legittimazione dal basso e legittimazione dall’alto paiono così incontrarsi in “sinfonica armonia”.

L’autorità delle conclusioni che il papa trarrà non si baserà quindi tanto su una motivazione teologicamente razionale delle questioni, ma su una lettura ispirata di dinamiche assembleari rese artatamente non verificabili dall’esterno.

Non stupisce che il cardinale Zen parli di “manipolazione”.

Antonio Caragliu

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