Si dice che: Pietro da Verona sarebbe stato capace di diventare uno dei migliori e più grandi capi eretici che quel tempo abbia mai conosciuto, più forte persino di Lutero che doveva ancora arrivare, al contrario è diventato un Santo perché, fin da bambino, non ha fatto altro che chiedere il Martirio in riparazione dei suoi peccati, dei peccati e per la conversione dei suoi familiari catari e di tutti gli eretici.
- “Santa Caterina da Siena annota che, con il martirio, il cuore di quest’insigne difensore della fede, ardente di divina carità, continuò a sprigionare “lume nelle tenebre delle molte eresie”. Il suo stesso assassino, Carino da Balsamo, da lui perdonato, si convertì e vestì in seguito l’abito domenicano. Note sono, poi, la vastità e l’intensità della commozione suscitata da questa efferata uccisione: ne rimbalzò l’eco non solo nell’Ordine Domenicano e nella Diocesi di Milano, ma anche in Italia e in tutta l’Europa cristiana. Le Autorità milanesi, facendosi interpreti dell’unanime venerazione verso il Martire, chiesero al Papa Innocenzo IV la sua canonizzazione. Questa avvenne a Perugia, a poco meno di un anno dalla morte, nel marzo del 1253. Nella Bolla, con la quale lo iscriveva nel Catalogo dei Martiri, il mio venerato Predecessore ne elogiava la “devozione, umiltà, ubbidienza, benignità, pietà, pazienza, carità”, e lo presentava come “amatore fervente della fede, suo cultore esimio e ancor più ardente difensore”.”
(Giovanni Paolo II – Messaggio alla Diocesi ambrosiana nel 750° anniversario del Martirio di san Pietro da Verona – 25 marzo 2002)
Nel 1232 entrò nel convento di S. Eustorgio Pietro da Verona, uno dei più abili ed intelligenti predicatori che la Chiesa cattolica era riuscita a strappare dal novero degli eretici.
Pietro era nato a Verona intorno al 1205 da una famiglia aderente all’eresia catara dall’aria manichea e quindi conosceva assai bene dall’interno l’ambiente ereticale, probabilmente nella versione del dualismo assoluto proposto dalla chiesa di Desenzano, ma già da ragazzino si oppose ai suoi parenti.
Crescendo frequentò gli studi all’Università di Bologna dove poi entrò nell’Ordine Domenicano, quando s. Domenico era ancora in vita.
Notizie storiche lo citano come grande partecipe nella fondazione delle Società della Fede e delle Confraternite Mariane a Milano, Firenze ed a Perugia; queste istituzioni nate nello specifico a difesa della dottrina cristiana sorsero poi presso molti conventi domenicani, questo fra il 1232 e 1234.
Dal 1236 lo si incontra in tutte le città centro-settentrionali d’Italia come grande predicatore contro l’eresia dualistica, ma Milano fu il campo principale del suo apostolato, le sue prediche e le sue pubbliche dispute con gli eretici, erano accompagnate da miracoli e profezie così molti ritornavano alla vera fede del Vangelo.
Dopo l’ingresso di Pietro nell’ordine recentemente fondato dei Domenicani, fu proprio papa Gregorio IX a sceglierlo per la sede milanese e a munirlo di autorità ecclesiale per la lotta contro le dilaganti eresie, non tanto come giudice istruttore nei processi, quanto come missionario apostolico incaricato di rilanciare con il santo zelo della predicazione di cui era dotato per grazia, il minacciato prestigio della Chiesa cattolica.
Strategie organizzative
La prima cosa che Pietro constatò fu che le misure adottate dall’arcivescovo e dal podestà si arenavano davanti al tacito appoggio che il Comune di Milano accordava agli eretici. Era assolutamente indispensabile avere una forza popolare capace di imporre l’applicazione delle leggi votate nell’assemblea legislativa del Comune e quindi occorreva formare laici istruiti e combattivi.
A questo scopo Pietro fondò un’associazione di militanti detta Società della Fede o dei Fedeli, che il 17 settembre 1233 riuscì a far inserire a forza il decreto di Gregorio IX contro gli eretici nello statuto di Milano, che prevedeva sanzioni concrete e senza scappatoie.
Il 1° dicembre 1233 il pontefice scriveva all’arcivescovo di Milano per lodare lo zelo dei Domenicani e dei Francescani e si congratulava col popolo milanese.
Il papa Innocenzo IV nel 1251 lo nominò inquisitore per le città di Milano e Como. La lotta fu dura perché l’eresia era molto diffusa e nella domenica delle Palme 24 marzo 1252 durante una predica egli predisse la sua morte per mano degli eretici che tramavano contro di lui, assicurando i fedeli che li avrebbe combattuto più da morto che da vivo.
I capi delle sette delle città di Milano, Bergamo, Lodi e Pavia, che per brevità non riportiamo i nomi, assunsero come esecutori, i killer di allora, Pietro da Balsamo detto Carino e Albertino Porro di Lentate.
Essi prepararono un agguato vicino a Meda dove Pietro, Domenico e altri due domenicani, nel loro tragitto da Como a Milano il 6 aprile 1252 si erano fermati a colazione prima di proseguire per la loro strada.
Albertino ricredendosi abbandonò l’opera e fu il solo Carino che con un “falcastro”, tipo di falce, spaccò la testa di Pietro, immergendogli anche un lungo coltello nel petto, l’altro confratello Domenico ebbe parecchie ferite mortali che lo portarono alla morte sei giorni dopo nel convento delle Benedettine di Meda.
Il corpo di Pietro fu trasportato subito a Milano dove ebbe esequie trionfali e fu sepolto nel cimitero dei Martiri, vicino al convento di s. Eustorgio. In quello stesso giorno si diffondevano notizie di miracoli. Tra queste grazie, bisogna annoverare la conversione del vescovo eretico Daniele da Giussano che aveva macchinato la sua morte e dello stesso assassino Carino che entrarono poi nell’Ordine Domenicano.
Il grande clamore suscitato dall’uccisione ed i tanti prodigi che avvenivano fecero si che da tutte le parti si chiedesse un’innalzamento agli altari del martire. Undici mesi dopo, il papa Innocenzo IV il 9 marzo 1253, nella piazza della chiesa domenicana di Perugia, lo canonizzò fissando la data della festa al 29 aprile, data della Memoria che si mantiene ancora oggi nel rito antico della Messa, mentre oggi la data di culto è il 6 aprile, e l’Ordine Domenicano lo ricorda il 4 giugno.
Il suo culto ebbe grande espansione immediatamente e senza sosta, i domenicani eressero chiese e cappelle a lui dedicate in tutto il mondo, le Confraternite ebbero in ciò un’importanza notevole. Artisti furono chiamati a realizzare opere d’arte, come il monumento marmoreo del 1339 del pisano Giovanni Balduccio a Milano e la grandiosa chiesa di Verona detta di Santa Anastasia. Parecchie città italiane lo elessero a loro protettore come Verona, Vicenza, Cremona, Como, Piacenza, Cesena, Spoleto, Rieti, Recanati.
E’ raffigurato con la tonaca domenicana, con la palma del martirio, con la ferita sanguinante dalla fronte al capo, oppure con una roncola che penetra nel cranio, con il pugnale infitto al petto o ai fianchi, secondo l’estro dell’artista. E’ patrono dei catechisti e dei teologi.
Che cosa significa il dipinto con una madonna che porta le corna?
L’altra confraternita fondata sempre nel 1232 da Pietro da Verona era ispirata al culto mariano, con chiaro intento polemico contro quegli eretici che negavano la perpetua verginità di Maria. La confraternita organizzava prediche una sera alla settimana nelle parrocchie, in modo da poter raggiungere tutti gli interessati. Nella raccolta fatta da fra’ Nicola da Milano delle prediche tenute tra il 1273 e il 1293 e a noi pervenuta si nota come la teologia mariana venga presentata facendo perno su immagini della vita quotidiana, attinenti al lavoro di artigiani e bottegai.
Riferito al culto mariano è l’episodio della Madonna e del Bambino con le corna, immortalati da Vincenzo Foppa nella Cappella Portinari in S. Eustorgio.
Si narra che un giorno, mentre fra’ Pietro celebrava la messa, il diavolo “entrò” nell’icona della Vergine sopra l’altare.
Pietro se ne accorse e, munito di un’Ostia consacrata, riuscì a scacciare il temibile occupante. E’ una bella immagine che ovviamente traduce a livello divulgativo la lotta per affermare il dogma della Maternità divina di Maria, la sua Perpetua Verginità, l’essere “Madre di Dio”. I catari sostenevano infatti che Maria non partorì il Figlio, ma che lo Spirito Santo la fecondò dall’orecchio e il Bambino si materializzò accanto a lei al momento della nascita.
Lo smascheramento della “Falsa Madonna” mostra così il potere della vere Fede che San Pietro intendeva difendere fino alla richiesta del martirio e così arriva a smascherare il diavolo che aveva assunto le sembianze della Madonna. San Pietro rivela il subdolo inganno di un eretico cataro che aveva persuaso i fedeli a venerare una falsa Madonna, evidenziata dalle corna come segno dell’influenza demoniaca.
Lo sfondo politico
Alla morte di Gregorio IX il 22 agosto 1241, festeggiata da Federico II nei suoi domini, si verificò il triste episodio dei cardinali sequestrati nel Septizonium a Roma, in quello che è considerato il primo conclave (nel senso che i cardinali vennero rinchiusi in una stanza e privati sempre più di cibo man mano che passavano i giorni) per eleggere al più presto il nuovo papa.
L’elezione di Celestino IV, al secolo Goffredo da Castiglione, avvenne in condizioni di tale precarietà igienica, che il papa morì subito dopo (10 novembre 1211), senza neppure vedere la cattedra di Pietro. I cardinali sparirono per circa un anno e mezzo, sicché tutto il il 1242 fu un anno di vacanza del potere pontificio.
In questo vuoto si verificò ad Avignone il 28 maggio 1242 l’assassinio di dieci membri dell’Inquisizione, punta estrema di una congiura per eliminare il re di Francia, sostenitore della Chiesa romana, in cui rientravano il conte di Tolosa Raimondo VII, Ugo di Lusignano, il re d’Inghilterra Enrico III, i conti di Occitania e Federico II. L’attacco alla sede dell’Inquisizione, guidata da Raimondo Trencavel, servì anche per bruciare i registri degli interrogatori, onde cancellare e distruggere ogni prova volta a difendere la correttezza dell’Inquisizione romana.
L’attentato venne strumentalizzato, appena restaurato il potere pontificio, per scatenare una nuova crociata contro l’Occitania, in modo da giustificare l’appropriazione di quel territorio da parte del fedele – e opportunista – re di Francia.
Il 16 marzo 1244 ebbe il suo epilogo la resistenza catara occitana a Montségur col rogo di 205 persone. Il vescovo cataro di Tolosa, Bernardo Marty, si rifugiò a Cremona.
Un indiretto e involontario aiuto alla politica espansionistica francese venne anche dal comportamento estremistico di Federico II, che nel 1244 obbligò papa Innocenzo IV a fuggire da Roma per sottrarsi alle sue minacce, trovando offerta di rifugio proprio in Francia. Lione parve un luogo particolarmente garantito per il soggiorno papale, perché il governo della città era in mano a un arcivescovo. Da qui partirono gli inviti per il 13° Concilio ecumenico, che si aprì il 28 giugno 1245 nella cattedrale, con lo scopo precipuo di scagliare tutti gli anatemi possibili contro Federico II. Il 17 luglio venne emessa la sentenza di indegnità nei confronti dell’imperatore, con conseguente deposizione.
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Il trionfo di Pietro da Verona a Firenze, che pagherà con il Martirio
Dalla fine del 1244 Pietro da Verona era a Firenze, dove predicava in S. Maria Novella. L’entusiasmo della folla ai suoi sermoni fu tale che bisognò allargare la piazza, anche grazie alle delibere della Società della Fede. Rafforzati di tale sostegno, Pietro e il compagno fra’ Ruggero Calcagno impostarono all’inizio del 1245 un processo di estrema durezza contro gli eretici fiorentini Baroni, rei di aver dato ospitalità ai vescovi catari Brunetto e Torcello. I due inquisitori, appoggiandosi alla Società della Fede (che contava la maggioranza dei Capitani del Popolo), tentarono di scavalcare il podestà Pace da Pesamigola (BG), che ovviamente ordinò la revoca della sentenza contro i Baroni. I due inquisitori inclusero per tutta risposta il podestà nell’elenco degli eretici, usando il pulpito di S. Maria Novella come altoparlante dei loro proclami. Il podestà tentò di sciogliere con la forza la Società della Fede, ma il popolo minuto, che sosteneva l’opera degli inquisitori, si offrì con grande entusiasmo di applicare la sentenza di demolizione delle case e sequestro dei beni dei condannati! Per il veronese Pietro, che aveva suscitato questo vespaio, furono momenti di esaltante trionfo.
Visti i successi di popolo, il 13 giugno 1251 Innocenzo IV affidò a Pietro una delicata missione di pace a Cremona, dove si trovava il vescovo cataro di Tolosa, e nel settembre di quell’anno lo nominò inquisitore generale per i territori di Milano e Como, con sede nel convento di S. Eustorgio. La reazione contro la nomina non venne tanto da Milano, quanto dal territorio di Como, donde prese le mosse una congiura per eliminare lo scomodo frate domenicano.
Oltre alla capacità organizzativa, Pietro dimostrò subito di ottenere grande successo nelle conversioni dei catari, al punto di provocare o accelerare l’estinzione della chiesa di Concorezzo, visto che il vescovo cataro Desiderio, nel 1235, modificava le sue posizioni dualiste fino al punto di rifiutare il testo base La Cena segreta per smussare l’attrito con la Chiesa cattolica. Raniero Sacconi, dottore cataro appartenente da diciassette anni alla chiesa di Concorezzo, abiurò nel 1245 e si dedicò a comporre in cinque anni la Summa de heresis, una memoria della dottrina da lui professata, utile per approfondire i poli del dibattito dottrinale.
Dal 1241 l’impegno antiereticale dell’istituzione ecclesiastica si rafforzò a Milano con l’azione dell’arcivescovo Leone da Perego (1241-1257), già ministro provinciale dell’ordine francescano di Lombardia, così lapidariamente giudicato da Salimbene de Adam: “Fu famoso e solenne predicatore e grande persecutore degli eretici”.
La triade al governo del comune milanese, composta da Guglielmo da Rizolio, Gregorio da Montelongo e Leone da Perego, si dimostrò particolarmente combattiva contro le eresie ed efficiente nel pianificare la lotta. Nel 1239 i tre scesero in campo fianco a fianco con l’esercito milanese contro Federico II, che scrisse lamentandosi del fatto al re d’Inghilterra (G. Giulini, Memorie, IV, p. 395).
ALCUNI APPUNTI DA CHIARIRE – qui la fonte https://www.amicidomenicani.it/san-pietro-da-verona/
Anche la sua lotta all’eresia, essendo egli un predicatore impegnato, come attesta pochi anni dopo fra Remigio de’ Girolami, è più che probabile. Molto incerta è invece la sua attività di inquisitore, se non per l’ultimo anno della sua vita. I fatti narrati successivamente poggiano su elementi storici esigui, molto ampliati dagli scrittori per glorificare la memoria dell’Inquisitore martire.
Il più caratteristico sotto questo aspetto è l’episodio accaduto a Firenze il 24 agosto 1245. La parte storica, che si evince dai documenti dell’epoca, narra di un’assemblea tenuta nella chiesa del cimitero di Santa Reparata, guidata dal vescovo della città e dall’inquisitore domenicano Ruggero Calcagni, i quali, in risposta all’appoggio dato agli eretici dal podestà Pace di Pessannola, stavano preparando le sanzioni canoniche contro lo stesso podestà e la famiglia Barone, fautrice degli eretici.
Al suono della campana del comune gli eretici irruppero nella chiesa e si gettano sui fedeli, uccidendone alcuni e ferendone molti, inseguendoli poi per tutto il cimitero. Verso sera, protetti da cattolici in armi, sulla piazza dinanzi a S. Maria Novella, il vescovo e l’inquisitore proclamarono le suddette sanzioni. Un notaio redasse il verbale, e fra i nomi dei testimoni figura quello di fra Pietro da Verona.
Su quest’unico dato documentato sorse poi una tradizione orale riportata circa 200 anni dopo da S. Antonino e ripresa ai primi del Cinquecento dal Taegio. Secondo la suddetta tradizione, l’assemblea di quella sera non si concluse con i verbali notarili di cui sopra, ma con una iniziativa di fra Pietro da Verona, il quale si mise alla testa del movimento cattolico esortando specialmente la famiglia de’ Rossi a prendere le armi.
Egli stesso, sventolando una bandiera bianca con al centro una croce rossa, si mise alla testa degli armati, guidandoli da una parte e dall’altra dell’Arno, affrontando gli eretici specialmente nella piazza di S. Felicita e ai pozzi di S. Sisto al Trebbio.
I nemici della fede cattolica furono sconfitti e cacciati dalla città. A ricordo dell’episodio, il giorno della festa di S. Pietro Martire, le confraternite organizzavano grandi processioni con lo stendardo del Santo.
Questa immagine di S. Pietro Martire inquisitore e crociato contro i Patareni di Firenze richiama alla memoria l’immagine ancor più leggendaria di S. Domenico che con lo stendardo guida i crociati di Simone di Montfort contro gli albigesi.
In un’epoca violenta come quella medioevale la lotta anche armata per la fede era motivo di glorificazione, per cui non c’è da meravigliarsi se, senza preoccuparsi della documentazione, gli scrittori esaltavano in tal modo i loro eroi.
C’è da meravigliarsi, caso mai, come tanti storici odierni , che pure al momento opportuno si mostrano critici dell’attendibilità di certe notizie, sulle crudeltà dell’inquisizione vanno giù duri senza il minimo scrupolo di “critica delle fonti”.
In linea col suddetto spirito di guerra per la fede e la salvezza delle anime, in un breve del 13 aprile 1586 (Invictorum Christi militum) il papa Sisto V affermava tra l’altro che dopo S. Domenico con merito S. Pietro Martire deve essere chiamato principe del sacrosanto ufficio dell’Inquisizione.
Ma fu proprio quest’ultimo elemento a nuocere all’immagine storica del Santo, la cui attività apostolica (tanto intensa fra la gente semplice) fu ridotta a quella inquisitoriale, mentre, a ben considerare, non esiste alcun documento attestante la repressione degli eretici da parte di fra Pietro da Verona.
Comunque anche Santa Caterina ne tesse l’elogio come campione della lotta alle eresie e con questa immagine, più o meno autentica, esso è passato alla storia.
Nel “Dialogo” di Caterina da Siena (n. 158), la Santa patrona del laicato domenicano infatti scrive:
- “Guarda anche Pietro vergine e martire che con il suo sangue portò la luce fra le tenebre di tante eresie: egli odiò l’eresia tanto da essere pronto a lasciarvi la vita. E mentre visse, sua cura continua fu quella di pregare, predicare, disputare con gli eretici e confessare, annunziando la verità e propagando la fede senza alcun timore. E non solo durante la sua vita, ma anche in punto di morte; onde, mentre stava per morire, venendogli meno la voce e mancandogli l’inchiostro, intinse il dito nel proprio sangue: ma non ha carta, questo glorioso martire, e perciò si china e scrive in terra confessando la sua fede, cioè il “Credo in Deum”. Il suo cuore ardeva nella fornace della mia carità, e perciò non rallentò il passo voltando il capo indietro quando capì che doveva morire – prima che morisse, infatti, Io gli rivelai la sua fine – ma, come vero cavaliere privo d’ogni timor servile, uscì allo scoperto, sul campo di battaglia”.
PREGHIERA DA UTILIZZARSI ANCHE COME NOVENA O TRIDUO AL SANTO
+ Glorioso martire San Pietro da Verona, che ti tenesti sempre saldo nella confessione della fede, malgrado gli sforzi dei tuoi parenti per farti abbracciare l’eresia, otteneteci la grazia di perseverare per sempre nella purezza della verità nella Fede cattolica.
+ Tu che hai fatto della preghiera, il tuo rapporto personale con il Signore Gesù e la fecondità del tuo apostolato, intercedi per noi, affinché, nell’aridità spirituale presente, si rinnovi in noi la Grazia del santo Battesimo, intercedi per noi presso il divin Spirito Santo perché illumini il nostro intelletto preservandolo dagli errori che ci circondano e ci minacciano, pronti a difendere l’integrità della santa dottrina cattolica.
+ Tu che fosti dotato di una grazia speciale nell’annunziare la Parola di vita eterna, intercedi per tutti i ministri del Vangelo, per i Sacerdoti, i Vescovi, il santo Padre: nessuna paura li fermi, nessun compromesso li leghi, ma siano liberi, forti e perseveranti nel predicare il Vangelo senza cedimenti e senza vaneggiamenti; per tua intercessione voglia il Buon Dio, per i meriti del tuo martirio, donare fecondità sacerdotale con nuove e sante Vocazioni animate di zelo per la salvezza delle anime nostre e per le nostre Famiglie.
+ Tu, mite e forte nelle tribolazioni, nelle calunnie, nelle sofferenze trovate sulla tua strada, prega per noi, intercedi per noi miseri peccatori spesso caduti in disgrazia, affinché, proprio in queste prove, sappiamo rialzarci attingendo dalla preghiera, la consapevolezza di essere custoditi dall’amore del Padre, chiedi per noi la costante corrispondenza agli insegnamenti di Gesù Cristo e della Santa Chiesa.
+ Glorioso martire san Pietro, che hai voluto fare della tua testimonianza un dono totale al Signore Gesù, unendoti concretamente al Suo Sacrificio, prega per tutti i Catechisti e quanti hanno il compito di annunciare il santo Vangelo affinché, nutriti della Parola, dell’Eucarestia e della carità, diamo a tutti e ovunque testimonianza dell’Amore che ci ha salvati, fino all’estremo sacrificio di un santo martirio. Così sia
+ 1Pater, Ave e Gloria…
P.S. Questa Preghiera potrà essere suddivisa in 5 poste da associare, ogni singola supplica, ad ogni Mistero del Rosario.
MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II
AL CARDINALE CARLO MARIA MARTINI
PER LA CELEBRAZIONE DEL 750° ANNIVERSARIO
DEL MARTIRIO DI SAN PIETRO DA VERONA
Al Venerato Fratello
il Signor Cardinale CARLO MARIA MARTINI
Arcivescovo di Milano
1. Ho appreso con gioia che la Chiesa Ambrosiana e l’Ordine dei Frati Predicatori si preparano a celebrare il 750° anniversario del martirio di san Pietro da Verona, religioso domenicano, ucciso per la fede insieme con il suo confratello fra Domenico il 6 aprile 1252, sabato in albis, nei pressi di Seveso, mentre si recava a Milano per intraprendere una nuova missione di evangelizzazione e di difesa della fede cattolica.
La ricorrenza, che anche quest’anno coincide con il sabato dopo Pasqua, spinge a guardare con ammirata riconoscenza alla figura e all’opera di questo Santo che, afferrato da Cristo, fece della sua vita la realizzazione delle parole dell’apostolo Paolo: “Guai a me se non predicassi il Vangelo” (1 Cor 9,16) e ottenne con il martirio la grazia della piena configurazione alla Vittima pasquale.
In tale singolare e lieta circostanza, gioisco con l’Arcidiocesi di Milano, che, beneficiata dal suo fervoroso operare, ne promosse a suo tempo la canonizzazione e ne custodisce le spoglie mortali ed il luogo del martirio. Sono cordialmente unito anche ai benemeriti Figli di san Domenico, che in lui onorano il primo confratello martire, singolare modello per i consacrati e per i cristiani anche del nostro tempo.
2. Tutta la vita di san Pietro da Verona si svolse all’insegna della difesa della verità espressa nel ‘Credo’ o Simbolo degli Apostoli, che prese a recitare dall’età di sette anni, benché nato da una famiglia pervasa dall’eresia catara, e continuò a proclamare “fino all’istante supremo” (cfr Bullarium Romanum, III, Augustae Taurinorum, 1858, p. 564). La fede cattolica appresa dalla fanciullezza lo preservò dai pericoli dell’ambiente universitario di Bologna, dove, recatosi per gli studi accademici, incontrò san Domenico, di cui divenne fervente discepolo, trascorrendo, poi, nell’Ordine dei Frati Predicatori la restante parte della sua esistenza.
Dopo l’ordinazione sacerdotale, varie città dell’Italia settentrionale, della Toscana, della Romagna e della Marca Anconitana, come la stessa Roma, furono testimoni del suo zelo apostolico, che si esprimeva principalmente attraverso il ministero della predicazione e della riconciliazione. Priore dei conventi di Asti, Piacenza e Como, estese la sua sollecitudine pastorale alle religiose claustrali, per le quali fondò il monastero domenicano di san Pietro in Campo Santo a Milano.
Di fronte ai danni provocati dall’eresia, si dedicò con cura alla formazione cristiana dei laici, facendosi promotore, nel capoluogo lombardo come in quello toscano, di Società miranti alla difesa dell’ortodossia, alla diffusione del culto della Beata Maria Vergine ed alle opere di misericordia. A Firenze, poi, strinse una profonda e spirituale amicizia con i Sette Santi Fondatori dei Servi di Maria, di cui divenne prezioso consigliere.
3. Il 13 giugno 1251, il mio venerato Predecessore, Innocenzo IV, gli affidò, mentre era Priore a Como, il mandato speciale di contrastare l’eresia catara a Cremona e, nell’autunno successivo, lo nominò inquisitore per le città e i territori di Milano e della stessa Como.
Il Santo martire iniziava così la sua ultima missione, che lo avrebbe condotto a morire per la fede cattolica. Nello svolgimento di tale importante incarico intensificò la predicazione, annunciando il Vangelo di Cristo e spiegando la sana dottrina della Chiesa, incurante delle ripetute minacce di morte che gli giungevano da più parti.
Lo zelo missionario e l’obbedienza lo portarono spesso nella sede di sant’Ambrogio, dove davanti a grandi folle esponeva i misteri del Cristianesimo, sostenendo numerose dispute pubbliche contro i capi dell’eresia catara. La sua predicazione, nutrita di solida conoscenza della Scrittura, era accompagnata da un’ardente testimonianza di carità e confermata da miracoli. Con infaticabile azione apostolica suscitava ovunque fervore spirituale, stimolando un’autentica rinascita della vita cristiana.
Purtroppo, il 6 aprile del 1252, mentre da Como, dove aveva celebrato la Pasqua con la sua comunità, si portava a Milano con il proposito di proseguire il mandato affidatogli dal Vicario di Cristo, fu ucciso per mano di un sicario assoldato dagli eretici, che lo colpì al capo con un ‘falcastro’, a Seveso, nel territorio di Farga, che poi ha assunto il nome del Martire e dove oggi sorgono il Santuario e la Parrocchia a lui dedicati.
4. Santa Caterina da Siena annota che, con il martirio, il cuore di quest’insigne difensore della fede, ardente di divina carità, continuò a sprigionare “lume nelle tenebre delle molte eresie”. Il suo stesso assassino, Carino da Balsamo, da lui perdonato, si convertì e vestì in seguito l’abito domenicano. Note sono, poi, la vastità e l’intensità della commozione suscitata da questa efferata uccisione: ne rimbalzò l’eco non solo nell’Ordine Domenicano e nella Diocesi di Milano, ma anche in Italia e in tutta l’Europa cristiana. Le Autorità milanesi, facendosi interpreti dell’unanime venerazione verso il Martire, chiesero al Papa Innocenzo IV la sua canonizzazione. Questa avvenne a Perugia, a poco meno di un anno dalla morte, nel marzo del 1253. Nella Bolla, con la quale lo iscriveva nel Catalogo dei Martiri, il mio venerato Predecessore ne elogiava la “devozione, umiltà, ubbidienza, benignità, pietà, pazienza, carità”, e lo presentava come “amatore fervente della fede, suo cultore esimio e ancor più ardente difensore”.
Il culto in onore di san Pietro da Verona attraverso l’Ordine Domenicano si diffuse rapidamente tra il popolo cristiano, come attestano numerose opere d’arte evocatrici della sua intrepida fede e del suo martirio. Una singolare testimonianza di questa perdurante devozione è offerta dal Santuario di Seveso e dalla Basilica di sant’Eustorgio in Milano, dove dal 7 aprile 1252 riposano le venerate spoglie mortali di quest’insigne Martire.
Il Pontefice san Pio V volle dedicargli un’artistica Cappella nella Torre Pia, che è oggi parte dei Musei Vaticani. In essa il santo mio Predecessore celebrava spesso il Sacrificio eucaristico. A partire dal 1818, san Pietro da Verona accompagna e sostiene, con la sua celeste protezione, la formazione dei seminaristi ambrosiani, poiché da quella data nell’antico convento di Seveso, annesso al Santuario che ne ricorda il martirio, trova sede una comunità del Seminario diocesano.
5. A 750 anni dalla morte, san Pietro da Verona, fedele discepolo dell’unico Maestro, continuamente cercato nel silenzio e nella contemplazione, instancabilmente annunciato e amato fino al dono supremo della vita, esorta i cristiani del nostro tempo a superare la tentazione di un’adesione tiepida e parziale alla fede della Chiesa. Egli invita tutti ad incentrare con rinnovato impegno l’esistenza su Cristo “da conoscere, amare, imitare per vivere in lui la vita trinitaria e trasformare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste” (Novo millennio ineunte, 29). San Pietro indica e ripropone ai credenti la via della santità, “misura alta della vita cristiana ordinaria”, perché la comunità ecclesiale, i singoli e le famiglie si orientino sempre in tale direzione (cfr ibid., 31). Ogni cristiano, seguendo il suo esempio, è incoraggiato a resistere alle lusinghe del potere e della ricchezza per cercare innanzitutto “il regno di Dio e la sua giustizia” (Mt 6, 33) e per contribuire all’instaurazione di un ordine sociale sempre più rispondente alle esigenze della dignità della persona.
In una società come quella attuale, dove s’avverte spesso un’inquietante rottura tra Vangelo e cultura, dramma ricorrente nella storia del mondo cristiano, san Pietro da Verona testimonia che tale divario può essere colmato soltanto quando le diverse componenti del Popolo di Dio si impegnano a diventare ‘lucerne’ che splendono sul lucerniere, orientando i fratelli verso Cristo, che dà senso ultimo alla ricerca ed alle attese dell’uomo.
Formulo voti che le programmate celebrazioni in onore di questo esemplare figlio di san Domenico siano occasione di grazia, di spirituale fervore e di rinnovato impegno ad annunciare con coraggio intrepido e con gioia sempre nuova il Vangelo.
Con tali auspici, imparto a Lei, Venerato Fratello, alla diletta Arcidiocesi di Milano, a quanti nel Seminario intitolato al Santo martire si stanno preparando al sacerdozio, all’Ordine dei Frati Predicatori ed a quanti si affidano alla celeste intercessione di san Pietro da Verona l’implorata Benedizione Apostolica.
Dal Vaticano, 25 Marzo 2002
GIOVANNI PAOLO II
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RICORDA CHE:
Dal «Discorso sui pastori» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 46, 13; CCL 41, 539-540)
I cristiani deboli
Dice il Signore: «Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme» (Ez 34, 4).
Parla ai cattivi pastori, ai falsi pastori, ai pastori che cercano i loro interessi, non quelli di Gesù Cristo, che sono molto solleciti dei proventi del loro ufficio, ma che non hanno affatto cura del gregge, e non rinfrancano chi è malato.
Poiché si parla di malati e di infermi, anche se sembra trattarsi della stessa cosa, una differenza si potrebbe ammettere. Infatti, a considerare bene le parole in se stesse, malato è propriamente chi è già tocco dal male, mentre infermo è colui che non è fermo e quindi solo debole.
Per chi è debole bisogna temere che la tentazione lo assalga e lo abbatta. Il malato invece è già affetto da qualche passione, e questa gli impedisce di entrare nella via di Dio, di sottomettersi al giogo di Cristo.
Alcuni uomini, che vogliono vivere bene e hanno fatto già il proposito di vivere virtuosamente, hanno minore capacità di sopportare il male, che disponibilità a fare il bene. Ora invece è proprio della virtù cristiana non solo operare il bene, ma anche saper sopportare i mali. Coloro dunque che sembrano fervorosi nel fare il bene, ma non vogliono o non sanno sopportare le sofferenze che incalzano, sono infermi ossia deboli. Ma chi ama il mondo per qualche insana voglia e si distoglie anche dalle stesse opere buone, è già vinto dal male ed è malato. La malattia lo rende come privo di forze e incapace di fare qualcosa di buono. Tale era nell’anima quel paralitico che non poté essere introdotto davanti al Signore. Allora coloro che lo trasportavano scoprirono il tetto e di lì lo calarono giù. Anche tu devi comportarti come se volessi fare la stessa cosa nel mondo interiore dell’uomo: scoperchiare il suo tetto e deporre davanti al Signore l’anima stessa paralitica, fiaccata in tutte le membra ed incapace di fare opere buone, oppressa dai suoi peccati e sofferente per la malattia della sua cupidigia.
Il medico c’è, è nascosto e sta dentro il cuore. Questo è il vero senso occulto della Scrittura da spiegare.
Se dunque ti trovi davanti a un malato rattrappito nelle membra e colpito da paralisi interiore, per farlo giungere al medico, apri il tetto e fa’ calar giù il paralitico, cioè fallo entrare in se stesso e svelagli ciò che sta nascosto nelle pieghe del suo cuore. Mostragli il suo male e il medico che deve curarlo.
A chi trascura di fare ciò, avete udito quale rimprovero viene rivolto? Questo: «Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite» (Ez 34, 4). Il ferito di cui si parla qui è, come abbiamo già detto, colui che si trova come terrorizzato dalle tentazioni. La medicina da offrire in tal caso è contenuta in queste consolanti parole: «Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione ci darà anche la via d’uscita e la forza per sopportarla» (1 Cor 10, 13).
