29 dicembre San Tommaso Becket Vescovo e martire

San Tommaso Becket, attualissima figura che rappresenta l’eterno conflitto tra l’autorità della coscienza (retta coscienza) e le imposizioni del potere, viene festeggiato il 29 dicembre.

  • “Se tutte le spade d’Inghilterra fossero puntate alla mia testa, le vostre minacce non mi smuoverebbero. Sono pronto a morire per il mio Signore, che nel mio sangue la Chiesa possa ottenere libertà e pace.”
    “Deve essere nostro sforzo per distruggere il diritto del peccato e della morte e di nutrire la fede e la rettitudine della vita, di costruire la Chiesa di Cristo in un tempio santo del Signore.”
    “Tenete a mente di come i nostri padri hanno ottenuto la salvezza, delle difficoltà in mezzo alle quali è cresciuta la Chiesa e delle tempeste che la barca di Pietro ha dovuto affrontare a causa di Cristo.”
    “Dio non concede alcun raccolto a meno che non sia in accordo con la fede e gli insegnamenti di Pietro, radicati nella medesima fede.” (San Tommaso Becket Vescovo e martire)

Londra, Inghilterra, c. 1118 – Canterbury, Inghilterra, 29 dicembre 1170
Nato a Londra verso il 1117 e ordinato arcidiacono e collaboratore dell’arcivescovo di Canterbury, Teobaldo, Tommaso fu nominato cancelliere da Enrico II, con il quale fu sempre in rapporto di amicizia. Teobaldo morì nel 1161 ed Enrico II, grazie al privilegio accordatogli dal papa, poté scegliere Tommaso come successore alla sede primaziale di Canterbury. Ma occupando questo posto Tommaso si trasformò in uno strenuo difensore dei diritti della Chiesa, inimicandosi il sovrano. Fu ordinato sacerdote e vescovo nel 1162. Dopo aver rifiutato di riconoscere le «Costituzioni di Clarendon» del 1164, però, Tommaso fu costretto alla fuga in Francia, dove visse sei anni di esilio. Ma al rientro come primo atto sconfessò i vescovi che erano scesi a patti col re, il quale, si dice, arrivò a esclamare: «Chi mi toglierà di mezzo questo prete intrigante?». Fu così che quattro cavalieri armati partirono alla volta di Canterbury. L’arcivescovo venne avvertito, ma restò al suo posto; accolse i sicari del re nella cattedrale, vestito dei paramenti sacri e si lasciò pugnalare senza opporre resistenza. Era il 23 dicembre del 1170.

Etimologia: Tommaso = gemello, dall’ebraico
Emblema: Bastone pastorale, Palma
Martirologio Romano: San Tommaso Beckett, vescovo e martire, che per avere difeso la giustizia e la Chiesa fu costretto all’esilio dalla sua sede di Canterbury e dal regno stesso d’Inghilterra e, tornato in patria dopo sei anni, patì ancora molto, finché passò a Cristo, trafitto con la spada dalle guardie del re Enrico II nella cattedrale.

Come rovinarsi la reputazione e diventare santo: è questa, in estrema sintesi, l’esperienza di San Tommaso Becket. Che presso il re d’Inghilterra gode non solo di buona, ma di ottima reputazione, tanto da essere nominato Cancelliere e quindi suo consigliere e confidente.
Dalla natura ha avuto tutto: ricchezza, bellezza, audacia, intelligenza, capacità politiche e diplomatiche. Chi lo avvicina subisce il fascino di quest’uomo intelligente e ambizioso, che possiede anche uno spiccato gusto per la magnificenza.
E poiché tra ambiziosi ci si intende, va d’amore e d’accordo con quell’illustre ambizioso di Enrico II, re d’Inghilterra, che sta cercando di accentrare nella sua persona tutte le prerogative del potere, in barba a nobili, aristocratici, vescovi e abati. In Tommaso ha trovato un alleato prezioso, che lo aiuta a governare il suo immenso impero, e che gli è anche compagno nei momenti di svago e distensione.
Enrico II, però, aspira a controllare anche la Chiesa inglese e a limitare la libertà degli ecclesiastici e per fare tutto ciò pensa di contare ancora e sempre sull’amico Tommaso. Che, se fosse vescovo, lo potrebbe certamente aiutare meglio in questo disegno.
Così, appena si libera la cattedra episcopale di Canterbury, Tommaso viene ordinato sacerdote e consacrato vescovo. Enrico II non dà peso alle parole che questi gli ha sussurrato: «Se Dio permette che io diventi arcivescovo di Canterbury, perderò l’amicizia di Vostra Maestà», perché non riesce neppure ad immaginare che un personaggio così “chiacchierato” si possa trasformare subito in uno strenuo difensore dei diritti della Chiesa.
Ma anche i re si sbagliano, come dimostra subito il vescovo Tommaso, che da un giorno all’altro passa al contrattacco, anteponendo gli interessi spirituali dei fedeli a quelli politici del Sovrano. Si oppone così subito ai progetti di Enrico II, non per personale gelosia, ma per difendere la libertà delle coscienze.
Il re si sente come tradito dal suo migliore amico, si infuria e Tommaso deve fuggire in Francia, dove rimane in esilio sei anni. C’è chi lavora per riappacificarli ed alla fine Tommaso può tornare a Canterbury, accolto trionfalmente dai suoi fedeli, ai quali dice: «Sono tornato per morire in mezzo a voi».
Non è un ingenuo, infatti, e sa benissimo che dovrà continuare ad opporsi al potere e, da parte sua, per prima cosa, sconfessa i vescovi che durante la sua assenza sono scesi a patti con il Re. Che stavolta perde proprio la pazienza e si lascia sfuggire: «Chi mi toglierà di mezzo questo prete intrigante?».  Dato che il male non ha bisogno di essere alimentato perché si propaga da sé, ecco che quattro cavalieri si fanno premura di fare subito questo “piacere” al re.
Tommaso viene avvertito, ma non prende precauzioni: non si nasconde e non vuole far sbarrare le porte della cattedrale. Qui lo colpiscono a morte, davanti all’altare, lasciandogli appena il tempo di esclamare prima di spirare: «Accetto la morte in nome di Gesù e della Chiesa». È il 23 dicembre 1170.
L’impressione che questo martirio suscita è immensa: tre anni dopo il Papa già lo proclama santo, mentre Enrico II è costretto a fare pubblica ammenda sulla tomba del martire e rinunciare per il momento ai suoi ambiziosi progetti.
San Tommaso Becket, attualissima figura che rappresenta l’eterno conflitto tra l’autorità della coscienza e le imposizioni del potere, viene festeggiato il 29 dicembre.

Autore: Gianpiero Pettiti

UN ANEDDOTO
San Tommaso Becket, vescovo di Canterbury, odiato e perseguitato dall’empio re Enrico II, dovette fuggire per sottrarsi alle ricerche degli sgherri, mandati ad arrestarlo. San Tommaso si travestì e fuggì a cavallo.
Una sera, si trovò improvvisamente davanti agli sgherri nel momento che attraversava una strada.“ Sei tu l’arcivescovo Tommaso?”, gli chiesero subito. Il Santo diede in una gran risata, e, mostrando i cenci che lo coprivano, esclamò: “Guardate se questo è il bell’equipaggio di un Arcivescovo…” I soldati risero anch’essi e si allontanarono.


Il camice indossato al momento del martirio nella cattedrale di Canterbury, custodito nella Basilica Pontificia di santa Maria Maggiore a Roma.

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Chiudiamo l’agenda con San Tommaso Becket, inglese, cancelliere del re (cioè il numero due), vescovo della Chiesa e martire. Non c’è una motivazione precisa per concludere l’anno con un martire, ma è bene di tanto in tanto ricordare qualcuno dei nostri fratelli e sorelle, non solo vissuti nella fede ma anche morti a causa di essa. Nel secolo scorso sono stati milioni in tutte le parti del mondo i caduti, martiri delle persecuzioni contro la fede cristiana. E questo martirologio già di per sé tragicamente lungo viene arricchito continuamente. Sono nostri fratelli e sorelle, vicini o lontani nel tempo, ma uniti a noi dalla medesima fede, che ci spronano e ci richiamano con il loro esempio a tenere “fisso lo sguardo su Gesù Cristo, autore e perfezionatore della nostra fede” e a superare le prove piccole e grandi della nostra vita spirituale per essere fedeli discepoli dell’unico Maestro e Salvatore.

E nel momento per noi della “crisi” cioè delle scelte decisive per Dio o contro di Lui, teniamo presente la stupenda e consolante immagine descritta nella Lettera agli Ebrei (Eb 12) quando si parla di una immensa schiera di fratelli e sorelle che assistono dalle tribune di un immaginario stadio spirituale (il paradiso): “Eccoci dunque posti di fronte a questa grande folla di testimoni (martyres, in greco). Corriamo decisamente la corsa che Dio ci propone” nell’immenso stadio del mondo dove siamo chiamati a vivere la nostra vita. Un famoso cantautore italiano in una canzone ripete continuamente il ritornello “Siamo soli, siamo soli”. È un richiamo alla solitudine esistenziale, che tutti, anche se abitiamo in città, un po’ sentiamo. Ma non siamo soli nel vivere la nostra fede: la folla descritta dalla Lettera agli Ebrei assiste, ricorda i buoni esempi, incoraggia, e applaude. Chi? Ciascuno di noi, ancora nella fase di “viatori” che cammina o corre verso la Città Celeste, cioè verso Dio.

Anche Thomas Becket è uno di questi testimoni, anch’egli ebbe il suo carico di sofferenze e difficoltà (chi non le ha?) lungo la sua vita a causa della propria fede. Ma perseverò fino alla fine, coronandola con il sigillo del proprio sangue. È un martire della Chiesa, ed un testimone di coraggio e di coerenza di fronte alle prepotenze del potere politico.

Thomas, uomo di stato

Thomas nacque a Londra nel 1118 da Gilberto e Matilde, ambedue appartenenti alla borghesia di origine normanna. Tuttavia alla morte dei propri genitori rimase quasi nullatenente, e per anni dovette lavorare come impiegato. Ricevette un’educazione liberale presso i canonici di Merton, nel Surrey. Più tardi intraprese gli studi di diritto canonico prima ad Auxerre e quindi a Bologna, la prima delle università, già allora famosa in tutta Europa.

Entrò poi a far parte del gruppo di collaboratori dell’arcivescovo Teobaldo di Canterbury. Questi lo mandò in diverse occasioni a Roma per svolgere missioni importanti e delicate.

Finalmente nel 1154 diventò arcidiacono della diocesi e nel 1155 il neo re Enrico II lo nominò cancelliere del regno. Era arrivato al top della carriera: numero 2, dopo il re. I due inoltre erano legati da sincera amicizia e collaborazione.

Nella sua nuova carica Thomas si trovava a proprio agio e lavorava volentieri, anche perché ad essa era legato un grande potere, che significava immancabilmente un lungo e piacevole corollario di onori, lusso, magnificenza, divertimenti. Non disdegnava di andare a caccia, era infatti un abile falconiere. Ed era diventato anche, provetto nell’uso delle armi.

Thomas era generoso negli intrattenimenti per sé (la carica lo esigeva), ma lo era anche con i poveri. Da vero uomo di potere lavorò molto e con competenza per restaurare la sovranità dell’Inghilterra nelle mani del re Enrico, sovranità che era stata compromessa dal precedente regno di Stefano di Blois. Egli fu in questi anni il vero braccio destro del sovrano e il vero restauratore della monarchia, non senza attirarsi le immancabili critiche, anche da parte della Chiesa.

Morto nel 1161 l’arcivescovo Teobaldo, re Enrico, per porre fine alla resistenza della Chiesa contro l’usurpazione reale dei propri diritti e privilegi avuti nei secoli precedenti, pose la candidatura del suo cancelliere. Chi c’era più degno di lui? Davanti a tanto sponsor poteva il suo numero due dirgli di no? Thomas infatti gli disse: “Se Dio mi permettesse di essere arcivescovo di Canterbury, perderei la benevolenza di vostra maestà, e l’affetto di cui mi onorate si trasformerebbe in odio, giacché diverse vostre azioni volte a pregiudicare i diritti della Chiesa mi fanno temere che un giorno potreste chiedermi qualcosa che non potrei accettare, e gli invidiosi non mancherebbero di considerarlo un segno di conflitto senza fine tra di noi”. Parole profetiche. Ma il re Enrico non diede loro importanza e insistette. Thomas declinò lo stesso l’invito regale, finché non intervenne il nunzio apostolico il card. Enrico di Pisa. Questi, non il re, lo convinse ad accettare il prestigioso incarico a vescovo di Canterbury.

Thomas, uomo di Chiesa

Come primo atto egli si trasferì da Londra a Canterbury: iniziava così con un gesto concreto e ben visibile la sua nuova missione e il proprio cambiamento. Che fu coraggioso e totale. Era diventato un uomo di Chiesa, cioè di servizio, non più uomo di potere, secondo la logica di questo mondo. Non ci fu un semplice “lifting” per così dire, andò molto più in profondità: voleva rappresentare Gesù Cristo come pastore del proprio gregge, e volle assomigliargli più possibile nella propria vita quotidiana.

Sobrietà nel mangiare e vestire, preghiera e meditazione della Scrittura ogni giorno, distribuzione ai poveri delle elemosine che furono più abbondanti che quelle del predecessore, visite agli ammalati e agli ospedali. Dalla sua elezione condusse quasi una vita monastica.

Ma ben presto vennero a galla i conflitti con il re. L’occasione furono le Costituzioni di Clarendon. Nella storia inglese, queste sono un capitolo molto importante. Di che si trattava? Era il tentativo di codificazione, per iscritto, di antiche usanze e consuetudini del regno, che qualche volta erano in contrasto con la legislazione canonica che ne limitavano la libertà e l’indipendenza di azione. La polemica che ne scaturì era di ordine giuridico: l’arcivescovo difendeva le posizioni acquisite dalla Chiesa, secondo il diritto canonico. Il re e i suoi giuristi facevano riferimento a consuetudini feudali, che andavano a beneficio del potere regale (nascita del diritto civile). Queste Costituzioni si possono considerare anche la prima dichiarazione legale della Common Law (Legge Comune) inglese. Thomas all’inizio fu conciliante, poi appresi i dettagli (il diavolo si nasconde sempre nelle clausole) le respinse affermando: “Nel nome di Dio onnipotente, non porrò il mio sigillo”. Era come una dichiarazione di ostilità nei riguardi del re, e l’inizio del confronto tra i due. Finalmente arrivò anche il sostegno da Roma: il papa Alessandro III respinse vari provvedimenti dell’assise di Clarendon, e nello stesso tempo pregò Thomas, che aveva dato le dimissioni, di continuare. Durante le trattative tra papa e re, fu ospite in un monastero cistercense e poi anche del re di Francia. Il suo soggiorno all’estero (era un vero esilio) durò sei anni.

Tornato a Canterbury fu bene accolto dalla popolazione, ma non dalla corte e dal re, ormai diventato suo nemico. Questi un giorno esclamò ad alta voce che qualcuno lo liberasse da quel vescovo. Non si conoscono le parole esatte, ma sembra che non intendesse o ancor meno che ordinasse, indirettamente, la sua eliminazione fisica. Invece quattro cavalieri che lo sentirono pensarono di avere avuto mano libera.

E partirono alla volta di Canterbury, per la soluzione finale del confronto. Entrarono in chiesa con la forza gridando “Dov’è Thomas il traditore?”. Questi rispose: “Sono qui, ma non sono un traditore, bensì un vescovo e sacerdote di Dio”. E fu brutalmente ucciso a coltellate. L’assassinio si consumava nella cattedrale (episodio questo che fu fonte di ispirazione e rievocazione letteraria per molti artisti, tra i più famosi T. S. Eliot col suo Assassinio nella cattedrale). L’orrenda notizia si sparse velocemente per tutta l’Europa. Il re Enrico II ne fu profondamente addolorato e digiunò per molti giorni in segno di sincero dolore. “Thomas non aveva vissuto come un santo, ma morì come tale, un uomo dai molti aspetti che cercava la gloria, che trovò alla fine, con coraggio e abnegazione” (A. Butler).

La sua fama di santo martire varcò ben presto i confini di Canterbury. Alessandro III la sancì canonizzandolo nel 1173. All’intercessione del nuovo martire si attribuirono molti miracoli, e la sua tomba diventò meta di numerosi pellegrinaggi.

Autore: Mario Scudu sdb


Un racconto per la ricorrenza di San Tommaso Becket – “Il Don che chiese ai fedeli…per chiedere a se stesso”

Faceva molto freddo quella mattina. La chiesa sembrava più gelida del solito. Eppure tutto funzionava bene. L’impianto di riscaldamento non sembrava dare segni di difetto. Né tantomeno il Don si sentiva influenzato. Può capitare, infatti, che malgrado la temperatura non sia rigida, quando si è raffreddati si avverta comunque un disagio termico: brividi, tremori, malessere generale…no: il Don stava in piena salute. Ma il freddo era pungente.

Come ogni mattina, il Don si era messo dinanzi al Santissimo per recitare l’Ufficio. Era il 29 dicembre, ricorrenza di san Tommaso Beckett, il vescovo che, per difendere la libertà della Chiesa d’Inghilterra, dette la propria vita venendo ucciso per mano di chi pensava d’ingraziarsi i favori del Re che mal sopportava quel vescovo.

Il Don come d’improvviso non avvertì più quel fastidioso freddo. Iniziò la sua meditazione e fece sì che belle cose corressero e si sviluppassero nella sua mente: la bellezza di lottare per una Chiesa che fosse davvero libera da qualsiasi influenza del potere di turno, il coraggio del Santo Vescovo di Canterbury, il quale capì quale dovesse essere il suo dovere di successore degli apostoli; e tanto altro…

Poi il Don passò ai propositi e chiese a Dio di dargli la forza, nel suo stato di vita, di emulare quel santo Vescovo; di non scendere a patti con alcun potere, di poter lavorare sempre ed unicamente per fare la volontà di Dio.

Al Don venne anche un’idea: sarebbe stato bello poter scrivere anche qualcosa sul quel santo che tutto sommato non era poi tanto conosciuto. Certamente non lo era tra i suoi parrocchiani e tra la gente più semplice. D’altronde questo tema della libertà della Chiesa era stato per lui sempre un argomento che lo aveva attratto. Forse la sua formazione molto “moderna” e di critica, quasi astiosa, nei confronti della Chiesa del passato, verteva anche su questo.

Si erano ormai fatte le 9. Squillò il citofono della canonica. Corse a vedere chi fosse e si ritrovò dinanzi una signora poco più che cinquantenne da lui conosciuta molto bene. Si trattava di una fedele che non mancava mai alla Messa serale, molto spesso in compagnia del marito. In quei giorni tra il parroco e quei coniugi i rapporti erano diventati un po’ complicati. I due erano genitori di Andrea, un giovane sulla trentina che ormai da qualche anno era andato a convivere con un altro giovane, formando quella che si suole definire una coppia “omoaffettiva”.  La cosa non era stata accettata dai genitori di Andrea, i quali avevano anche chiesto aiuto al parroco, ma questi -con loro sorpresa- non aveva drammatizzato. Li aveva certamente invitati a pregare, ma con ciò che aveva detto (e soprattutto non aveva detto) aveva fatto loro capire che la decisione del figlio doveva essere accettata.

Dunque, i rapporti tra il Don e i due coniugi si erano complicati. Questi erano venuti a sapere dallo stesso figliolo che il parroco aveva accettato di buon grado la richiesta che Andrea e il suo compagno gli avevano fatto di poter benedire la loro coppia.

“Don (…) da lei questo non ce lo saremmo aspettati…” disse la donna con grande rammarico.

“Lei e suo marito dovete essere sereni -rispose il Don- Io non posso rifiutare ciò che è nel diritto di questi giovani; e anche il vescovo su questo è d’accordo”.

“Ma in questo modo mio figlio e quel suo amico finiranno con il capire che sono sulla strada giusta, che non devono cambiare vita…”. 

“A noi non spetta arrivare a queste conclusioni. A noi spetta solo accogliere”. Sentenziò il Don.

“Ma in questo modo anche lei, Don (…) ci lascia soli. Se io e mio marito ci rivolgiamo al medico, questi ci prende per pazzi fanatici; se ci rivolgiamo a qualcun altro che sa e che conta, anche costui ci prende per pazzi fanatici. Perfino lei tutto sommato ci prende per pazzi fanatici…e così come genitori siamo sempre più soli, sempre più abbandonati. Tutti vanno in una direzione, noi soli in un’altra”. 

Poi la donna andò via senza salutare. Il Don stava per rispondere, ma capì che sarebbe stato inutile.

Arrivò la celebrazione serale. I soliti fedeli della Messa quotidiana, ma questa volta mancavano i genitori di Andrea. Il Don non dette importanza alla cosa. D’altronde quell’assenza poteva anche essere dovuta a motivi che non fossero quelli a lui noti.

Il Don era solito fare una breve omelia anche nelle Messe feriali e quella sera pensò di fare riferimento al santo del giorno, san Tommaso Beckett. Dopo aver parlato brevemente della sua vita, disse: “Cari fedeli, se ci riflettete bene, Tommaso era rimasto solo a difendere la libertà della Chiesa. Aveva quasi tutti contro. Ma lui non si fece intimidire. Cosa avremmo fatto noi al suo posto? Saremmo stati coraggiosi o codardi? Avremmo avuto il coraggio di dire “no” al potere o ci saremmo allineati? Ognuno risponda in silenzio nella propria coscienza”. 

La Messa terminò. In sagrestia qualcuno si congratulò con lui per le belle parole dell’omelia. Il Don quasi se ne compiacque. Quella sera però il Don non riuscì facilmente a prendere sonno. Avvertì nuovamente un freddo gelido. Era la stessa, strana, sensazione del mattino. Eppure i riscaldamenti funzionavano. Eppure non era raffreddato…intanto la sua sua coscienza stava pensando a come rispondere alla domanda che lui aveva rivolto ai fedeli durante l’omelia: “…avremmo avuto il coraggio di dire “no” al potere o ci saremmo allineati?”.


Preghiamo

Signore io vorrei essere di quelli che rischiano la loro vita che donano la loro vita come i Santi Martiri mi insegnano. A che serve la vita, se non per donarla?
Signore Tu che sei nato fra i disagi di un viaggio tu che sei morto come un malfattore liberami dal mio egoismo e dal mio quieto vivere. Affinché segnato dal segno della Croce io non abbia paura della vita di sacrificio.
Rendimi disponibile per la bella avventura alla quale tu mi chiami. Devo impegnare la mia vita, Gesù, sulla tua parola. Devo mettere in gioco la mia vita, Gesù sul tuo Amore.
Gli altri possono essere ben saggi e preservarsi, ma Tu mi hai detto ed insegnato ad essere saggiamente folle.
Gli altri pongono tutto all’ordine del fare questo o quello, ma Tu mi hai detto ed insegnato a credere all’Amore che non prevede un tornaconto.
Gli altri pensano a tutelarsi, ma Tu mi hai detto ed insegnato di fare la tua volontà, perché a me ci pensi Tu.
Gli altri camminano pensando di salvare il mondo, ma Tu mi hai detto di prendere la mia croce, ogni giorno, camminare con Te e di essere pronto per entrare nel Tu Regno di giustizia e di Pace eterna.
Per intercessione della Beata Sempre Vergine Maria, nostra Avvocata e Mediatrice, dei Santi Martiri, fa o Gesù che alla gioia e alla sofferenza, alle vittorie e alle sconfitte, io non metta mai la fiducia in me, ma in Te, di giocare la Tua partita da cristiano senza preoccuparmi delle conseguenze. Ed infine di rischiare la mia vita, contando sul Tuo amore per sempre. Amen.
1Padre nostro, Ave Maria e Gloria …

O Dio, che hai dato al vescovo san Tommaso Becket il privilegio di versare il sangue per la giustizia e la libertà della Chiesa, concedi anche a noi di essere pronti, per amore del Cristo, a perdere la vita in questo mondo per ritrovarla nel regno dei cieli. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

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