Il perdono di Cristo, i farisei e papa Francesco

Nell’Omelia a santa Marta del 20 maggio 2016, il santo Padre Francesco ha espresso parole forti ma che riteniamo doverose riportare e meditare, dal momento che si sono sollevati alcuni scudi, come una sorta di difesa a ciò che si pensa di questo pontefice, mentre invece ciò che ha espresso, è pienamente corretto e silenziato dai Media. Il problema di Bergoglio è che non vuole spiegare ciò che pensa e dice, lasciando ognuno la libertà di interpretare come vuole, ma questo modo di fare semina solo confusione a danno proprio del Vangelo e, in questo caso, dei Sacramenti. Proviamo allora a fare chiarezza interpretando le parole del Papa con il Catechismo e l’insegnamento della Chiesa di sempre.

0016-cristo-e-papa--i-peccati-1_573f452c56412La scena che domina spesso molte pagine dei Vangeli è quella in cui, farisei e dottori della legge, cercano di far cadere Gesù per prenderlo in contropiede, minarne l’autorità e il credito di cui gode fra la gente. Una delle tante, riportata dal Vangelo del giorno, è quella che i farisei gli tendono domandandogli se sia lecito ripudiare la propria moglie.

Non ci soffermiamo sul concetto della “trappola casistica” fin troppo abusata, e neppure sulla questione del “popolo” che intende il Papa anche perché, a riguardo di una più oscura “teologia del popolo”, preferiamo quella immagine del Vangelo in cui Gesù esprime la Sua “compassione”: “vide una grande folla, ebbe compassione di loro… e si mise ad insegnare loro molte cose” (Mc 6,34). Spesso il Papa tende a far pensare che sia la Chiesa a dover “imparare” dal popolo, ma il Vangelo dice esattamente l’opposto.

Discendendo dal seno del Padre, e incarnatosi nel grembo della Vergine Maria, Gesù non si fa semplicemente Uomo, ma incontra l’umanità, un’umanità fortemente sofferente a causa del Peccato Originale, e la vede: come pecore che non hanno pastore, gregge non più gregge, sbandato, destinato a passanti affamati e a lupi rapaci. “Ebbe compassione di loro”, scrive Marco. Il Verbo Divino tocca il luogo caratteristico della compassione: le viscere materne dell’umanità, un sentimento incomprensibile ai maschi, e se nel gruppo dei “maschi” ci mettiamo pure la casta sacerdotale che governava comunità e coscienze, il quadro diventa più completo! Da qui possiamo anche comprendere quando il santo Padre denuncia certo clericalismo di oggi.

In questo scenario Gesù non è spettatore, ma incarnato nella storia degli uomini, prova compassione che nasce da un sentimento (andare incontro all’uomo) ma non si riduce ad esso, bensì a qualcosa di molto più diretto: “Si mise ad insegnare”.

Sì, noi rimaniamo stupiti: insegnare? Non sarebbe stato meglio, o più semplice accontentare tutti… e via a dare buoni consigli o a rimboccarsi le maniche nell’attivismo sociale?

La com-passione non significa sentimentalismo, è un termine composto che significa com-patire che a sua volta significa “partecipare dell’altrui patimento”. Gesù è Colui che, vero uomo e vero Dio, entra nel tempo per portare fuori gli uomini da questo patimento, viene a portarci fuori dalle logiche del mondo e dal mondo stesso. Ricordiamo: «Il mio regno non è di questo mondo… il mio regno non è di quaggiù» (Gv.18,36).

Infine va compreso che all’epoca dei fatti l’insegnamento non era certo come quello che intendeva il Cristo, ossia arrivare a toccare il cuore dell’uomo, entrare dentro i nostri cuori per commuoverli e dunque istruirli e dimorarvi dentro. L’insegnamento era imposizione della Legge e non c’era contraddittorio tra il popolo e i “maestri”, le discussioni le facevano i maestri fra di loro, mentre il popolo subiva in silenzio. Il rapporto con Dio era distante e sbarrato dai sacerdoti che erano i tramiti. Con l’avvento del Messia Gesù lo scenario cambia. La rivoluzione che Gesù porta non è a livello terreno, ma nelle anime, nelle coscienze, in questo rapporto con Dio che diventa un “Tu per tu”.

E per portarci fuori da questo mondo e dalla sua logica, Gesù si espone in prima Persona, offre se stesso fino allo scandalo della morte di Croce, ma non solo, nel vedere queste folle, non si limita a consolarle, ma comprende bene, sa bene, che non conoscendo ancora il Messia, non sanno la Verità, non conoscono la Via da prendere, non sanno nulla della Vita vera, non lo hanno ancora incontrato. Ecco perché Gesù “si mise ad insegnare molte cose”. Prima ancora di compiere i miracoli, Gesù insegna.

0016-cristo-e-papa--i-peccati-2_573f45c9720e1Ma perché questa insistenza? Ecco che ritorniamo alle parole del Papa nell’omelia.

La Legge di Mosè, a causa della “durezza dei cuori”, aveva modificato la Legge originale di Dio e Dio lo aveva permesso perché eravamo ancora immaturi di comprendere, e perché nessuno avrebbe potuto insegnare con l’autorità di Dio come dimostrò Gesù quando scandalizzò perché arrivò a rimettere i peccati: «Ti sono rimessi i tuoi peccati!» (Mc 2,5).

Combattere la fame, la miseria, le malattie è molto importante, è bello ed è cristiano, anche i non cristiani possono riuscirci con la buona ed onestà volontà, ma significa combattere soltanto le conseguenze e non ancora la causa del male. Lottare contro le conseguenze del peccato, che è il male, è come amministrare un anestetico che toglie un poco il dolore, ma non cancella la malattia, la quale, presto o tardi, riapparirà più devastante, come sta accadendo in questo nostro tempo. Il cancro di tutte le società, l’origine di ogni male è il peccato. Gesù viene a sradicarlo e, nel farlo offrendo Se stesso, non vuole che rimaniamo nell’ignoranza la quale è anche una delle cause delle bruttezze che avvengono nelle società.

La Legge di Mosè, dunque, prevedeva la pena di morte a coloro che non osservavano i Comandamenti divini e il ripudio alla donna (non al marito) che commetteva adulterio, spesso anche con la lapidazione. La Vergine Santissima, Maria, rischiò anch’Essa di essere ripudiata: Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto.  Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo.  Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt.1,18-21)

Giuseppe, uomo giusto, corretto nella coscienza, sapeva che Maria le era stata fedele, ma il dubbio lo mosse non verso la Sposa, ma a cosa avrebbe detto la gente, come avrebbero reagito i dottori della Legge di Mosè. Ripudiarla “in segreto” significava appunto di non farlo sapere a nessuno proprio per evitare che Maria potesse correre il rischio di venire ripudiata e  pure lapidata. Questo è lo scenario in cui si muovono i farisei, anzi, la tensione e la paura che essi avevano seminato usando, a torto o a ragione, la Legge. In questo scenario e sull’insegnamento di Gesù, Papa Francesco non sta ribaltando la priorità fra conversione, peccato e misericordia, ma sta sottolineando le mosse di Gesù.

Alla base del suo discorso c’è, appunto, la Legge di Mosè che puniva con la morte chi non osservava i Comandamenti. I Farisei volevano mantenere la Legge di Mosè perchè gli faceva comodo e potevano spadroneggiare, e l’uso di questa legge così interpretata alla lettera dai dottori della legge, penalizzava soprattutto le donne e i più poveri; non puniva, quasi mai, gli uomini, ossia non li puniva per questione di sesso o tradimenti, gli uomini venivano lapidati se bestemmiavano Dio, le donne solitamente per questioni di adulterio.

Gesù non s’immischia nelle diatribe umane, e quando cercano di incastrarlo, ha sempre una risposta che urta certi ascoltatori. Lo accusano di voler cambiare la Legge di Mosè, ma Egli risponde: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento..“(Mt.7,17-20). E il compimento era Lui, l’avvento del Messia.

Cercano di incastrarlo sulla questione del matrimonio, la Legge prevedeva il ripudio, ma Gesù dà loro una risposta che non si aspettavano, non pone la questione “uomo sì, e donna no” ma davanti a Dio li mette sulla stessa dignità, la donna ha lo stesso diritto del marito non per ripudiare, ma per amare e conservare l’indissolubilità del matrimonio (Mt.19,1-30), la sua carne è una carne sola con il marito legittimo e perciò, il marito non ha più alcun diritto di ripudiare la moglie, subentra la logica del perdono e del perdonare. Il Matrimonio esce così  fuori da ogni discussione arbitraria, da quel contesto della “legge” del ripudio, per ritornare a quella unione indissolubile  creata da Dio all’origine, ecc.. ecc…

Ecco l’indissolubilità, non più oggetto di ricatto o discussioni, o lapidazioni, ma un fatto concreto che insito nelle coscienze rette degli uomini è portato a compimento da Gesù e lo fa lui stesso “sposando la Chiesa”, l’unione indissolubile è portata allo scoperto ma non come un peso, bensì come sviluppo naturale coniugale dell’uomo e della donna: la vera felicità è la stabilità dell’unica unione originale  benedetta da Dio. Per questo Gesù la insegna e invia la Chiesa, Sua Sposa, ad istruire sul compimento della Legge.

Infine, nelle parole del Papa, sulla questione dell’adultera, si sottolinea che Gesù non ha mai condannato nessuno, e Lui stesso dice che non è venuto a condannare, ma per salvare…. «Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho annunziato lo condannerà nell’ultimo giorno…..» (Gv.12,47-48), la strategia di Gesù è semplice: la compassione, l’accogliere i peccatori, il perdonare, il coinvolgere – dopo – il perdonato alla comprensione della grazia ricevuta.

In questo senso e non altro il Papa sta sottolineando come, invece, i farisei tentavano di patteggiare la verità con Cristo: comprensione per i peccatori sì, Gesù conosce le nostre debolezze, per questo è venuto nel mondo, ma non per negoziare la verità o per giustificare il peccato. La stessa conclusione di quella parte del discorso riporta integrale la scena dell’adultera con le parole: va e non peccare più

Ora, se io peccatore, comprendo la misericordia Dio, quanto maggiormente comprenderò che non devo peccare più? Questa è la lezione dell’adultera convertita…. ciò che la muove è quella compassione e misericordia che Gesù le dimostra, quella parola che invece di condannarla come diceva la Legge di Mosè, la fa sentire perdonata. Questi sono i soggetti degni della compassione di Gesù, coloro che come l’adultera che ha compreso il suo stato di peccatrice, attende la sua fine, non ha più speranza perché sa di aver sbagliato. Ed ecco allora l’incontro con la Speranza incarnata che perdona, risana.

Gesù non solo non la giudica, ma vedendola e sapendola pentita e pure umiliata e mortificata, la tira fuori da quella situazione senza farle alcun processo, una novità unica per quel tempo, ma il discorso si chiude con un quel monito chiaro ed incisivo: “va e non peccare più” (Gv.8,11), e sappiamo poi dalla Tradizione che quella Donna entrò nel gruppo delle Donne alla sequela di Gesù, con Maria, la Madre. Il vero pentito che sa e sente di essere stato perdonato, si incammina nel discepolato del suo Salvatore Gesù Cristo.

Così come accade lo stesso per un paralitico guarito, un episodio un poco trascurato, al quale Gesù dice: «Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio» (Gv.5,14)

E’ questa la barriera più grande che Gesù è venuto ad abbattere, il muro dell’omertà verso il peccato, dal quale dipende tutto il resto, dipendono i nostri rapporti sia familiari quanto sociali e culturali.

0016-cristo-e-papa--i-peccati-3_573f467be19ac“Ma Gesù è tanto misericordioso, è tanto grande, che mai, mai, mai chiude la porta ai peccatori”. Dunque, sottolinea il santo Padre Francesco, queste sono le “due cose che Gesù ci insegna: la verità e la comprensione”, ciò che i “teologi illuminati” non riescono a fare, perché chiusi nella trappola “dell’equazione matematica” del “Si può? Non si può?” e quindi “incapaci sia di orizzonti grandi sia di amore” per la debolezza umana. Basti guardare, conclude il Papa, la “delicatezza” con cui Gesù tratta l’adultera sul punto di essere lapidata: “Neanch’io ti condanno; va e d’ora in poi non peccare più”.

Perché… se pecchi ancora e non ti penti, o arrivi a giustificare il tuo peccare, non sarò io a condannarti, ci ricorda Gesù nelle parole che abbiamo riportato nelle nostre riflessioni, ma sarai tu stesso ad escluderti dalla salvezza. Anche per questo ha istituito il Sacramento della Riconciliazione, o Penitenza: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv.20,23).

Ma in quel rimettere non c’è, appunto, la gestione arbitraria del Sacramento, la rimessione non è lasciata al libero arbitrio del sacerdote, ma tutto rientra in quella scala di valori portata dal Cristo di cui parla il Papa: Gesù distingue sempre tra la verità e la “debolezza umana”, “senza giri di parole”… qualcosa si può fare: il perdono, la comprensione (della debolezza del peccatore, non del peccato), l’accompagnamento, l’integrazione, il discernimento di questi casi… (chi è recidivo nel peccare e vuole giustificare il proprio peccato, da chi non comprende e non sa di vivere in peccato) sempre… ma la verità non si vende mai!

Sia lodato Gesù Cristo


Il passo del Catechismo della Chiesa cattolica (1610-1616) su ripudio, legge mosaica e matrimonio indissolubile:

La coscienza morale riguardante l’unità e l’indissolubilità del matrimonio si è sviluppata sotto la pedagogia della Legge antica. La poligamia dei patriarchi e dei re non è ancora esplicitamente rifiutata. Tuttavia, la Legge data a Mosè mira a proteggere la donna contro l’arbitrarietà del dominio da parte dell’uomo, sebbene anch’essa porti, secondo la parola del Signore, le tracce della «durezza del cuore» dell’uomo, a motivo della quale Mosè ha permesso il ripudio della donna.

Vedendo l’Alleanza di Dio con Israele sotto l’immagine di un amore coniugale esclusivo e fedele, i profeti hanno preparato la coscienza del popolo eletto ad una intelligenza approfondita dell’unicità e dell’indissolubilità del matrimonio. I libri di Rut e di Tobia offrono testimonianze commoventi di un alto senso del matrimonio, della fedeltà e della tenerezza degli sposi. La Tradizione ha sempre visto nel Cantico dei Cantici un’espressione unica dell’amore umano, in quanto è riflesso dell’amore di Dio, amore «forte come la morte» che «le grandi acque non possono spegnere» (Ct 8,6-7).
Il matrimonio nel Signore

L’Alleanza nuziale tra Dio e il suo popolo Israele aveva preparato l’Alleanza nuova ed eterna nella quale il Figlio di Dio, incarnandosi e offrendo la propria vita, in certo modo ha unito a sé tutta l’umanità da lui salvata, preparando così «le nozze dell’Agnello».

Alle soglie della sua vita pubblica, Gesù compie il suo primo segno – su richiesta di sua Madre – durante una festa nuziale. La Chiesa attribuisce una grande importanza alla presenza di Gesù alle nozze di Cana. Vi riconosce la conferma della bontà del matrimonio e l’annuncio che ormai esso sarà un segno efficace della presenza di Cristo.

Nella sua predicazione Gesù ha insegnato senza equivoci il senso originale dell’unione dell’uomo e della donna, quale il Creatore l’ha voluta all’origine: il permesso, dato da Mosè, di ripudiare la propria moglie, era una concessione motivata dalla durezza del cuore; l’unione matrimoniale dell’uomo e della donna è indissolubile: Dio stesso l’ha conclusa: «Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi» (Mt 19,6).

Questa inequivocabile insistenza sull’indissolubilità del vincolo matrimoniale ha potuto lasciare perplessi e apparire come un’esigenza irrealizzabile. Tuttavia Gesù non ha caricato gli sposi di un fardello impossibile da portare e troppo gravoso, più pesante della Legge di Mosè. Venendo a ristabilire l’ordine iniziale della creazione sconvolto dal peccato, egli stesso dona la forza e la grazia per vivere il matrimonio nella nuova dimensione del regno di Dio. Seguendo Cristo, rinnegando se stessi, prendendo su di sé la propria croce, gli sposi potranno «capire» il senso originale del matrimonio e viverlo con l’aiuto di Cristo. Questa grazia del Matrimonio cristiano è un frutto della croce di Cristo, sorgente di ogni vita cristiana.

È ciò che l’Apostolo Paolo lascia intendere quando dice: «Voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa» (Ef 5,25-26), e aggiunge subito: «“Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola”. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!» (Ef 5,31-32).

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