Un’intervista-catechismo sulla confusione creata da Amoris Laetitia

Non c’è niente di meglio di una sana lezione di catechismo per affrontare le derive dottrinali che stanno regnando nella Chiesa di oggi. Perciò abbiamo cercato di immaginare una intervista attraverso la quale offrire a tutti noi delle risposte catechetiche per affrontare, dottrinalmente, questi argomenti. 

Cominciamo subito con la domanda più “scottante”. Ci sono vere e proprie eresie nell’Amoris Laetitia?

«Vedo che entriamo subito in un campo minato e nessuno fra noi qui è la persona più adatta per entrare nei dettagli del contenuto del testo. Tuttavia essendo questo incontro immaginario, rivolto al Catechismo, possiamo spiegare che dopo aver letto più volte il Documento dobbiamo essere d’accordo con le richieste di chiarimento offerte al Papa dai quattro cardinali, i Dubia. In fin dei conti anche il Catechismo, e il Catechista, non è affatto “autoreferenziale” (così come non lo è neppure un Pontefice) e chiunque lo usa ha bisogno di ascoltare altri sacerdoti e vescovi, magari anche qualche cardinale, che possa aiutarci alla comprensione del magistero. Così, una  opinione personale che si riscontra però in altri interventi molto più autorevoli, ci dice che il testo non contiene delle “vere e proprie” eresie. Non si tratta di eresie formulate, il problema del Documento è nei contenuti a tratti non esplicitati, lasciati piuttosto al libero pensiero, all’ambiguità. Ci sono passaggi che possono essere interpretati pro o contro il contenuto magisteriale bimillenario della Chiesa, e chi dovrebbe dire come questo va interpretato è proprio il Pontefice stesso il quale, però, si è rifiutato di rispondere ai cardinali richiedenti, salvo poi concedere risposte – non ufficiali – ad altri gruppi di persone altamente progressiste, con risoluzioni che, purtroppo, contraddicono il Catechismo. Questo Documento ha generato una vera spaccatura all’interno della Chiesa, il popolo di Dio è confuso, e si sono venute a creare delle vere tifoserie che non fanno bene a nessuno. Si legga qui l’intervento di mons. Livi sull’argomento, che naturalmente condivido totalmente così come condivido anche i consigli di Padre Riccardo Barile OP sul vero e sano discernimento, si veda qui». Ora però, prima di continuare, sarebbe utile fermarsi a riflettere i diversi problemi che affliggono la Chiesa oggi. Quante volte ci siamo chiesti quando una notizia è vera e quando è una “bufala”? Il punto è che almeno il 90% della gente, fedeli e non, non vanno mai alla fonte diretta e neppure leggono i testi pontifici integralmente, ma si fermano sulle notizie mediatiche, quelle che definiamo essere “pruriginose”, che magari attirano la curiosità, la morbosità, in questo link viene spiegato bene, magari attribuendo al Pontefice ciò che non dice e ciò che non ha detto. E’ vero che il caso di Amoris Laetitia (AL) è diverso, è tutto nero su bianco, è confrontabile, ma facciamo attenzione a non fermarci sulle notizie mediatiche, andiamo alle fonti ufficiali, e partiamo da queste (e dal Catechismo) attraverso quei pochi pastori  (ma anche professori cattolici, laici) che si assumono la  responsabilità per aiutarci nella comprensione e nella verità.

Quali sono i punti che contrastano con la Tradizione e il magistero precedente?

«Non c’è solo la questione della Comunione ai “divorziati-risposati” della quale, come denunciava il compianto cardinale Caffarra, si è insistito troppo e fuori luogo. Sono molte le parti del testo che parlano dell’amore coniugale in termini che fuoriescono dalla missione del Pontefice, a volte si “entra” nel talamo con molta passione paterna è vero, ma rischiando di volgere lo sguardo ad un forte senso romantico, al romanticismo, ad un senso soddisfattorio orizzontale del rapportare e poco a quell’amore coniugale trinitario descritto in verticale nei Vangeli e nel magistero ecclesiale di ogni tempo. Disse il cardinale Caffarra: “Il cap. VIII non è chiaro. Se il Papa avesse voluto mutare il magistero avrebbe avuto il dovere grave di dirlo chiaramente”. E ricorda di quando Lucia di Fatima gli disse che “lo scontro sarebbe stato sul matrimonio…”, vedi a fine testo.  E suggeriva: “Leggi e rifletti sul Catechismo della dottrina cattolica, ai numeri 1601-1666. E quando senti dei discorsi sul matrimonio – anche da parte di preti, vescovi, cardinali – e tu verifichi che non sono in conformità con il Catechismo, non dare ascolto ad essi. Sono dei ciechi che guidano dei ciechi… (…) Non si deve solo leggere il precedente magistero sul matrimonio alla luce di “Amoris laetitia”, ma si deve leggere anche “Amoris laetitia” alla luce del magistero precedente. La logica della vivente tradizione della Chiesa è bipolare. Ha due direzioni, non una…..“, clicca qui. Consiglio anche alcuni recenti interventi di Aldo Maria Valli, che condivido ragionevolmente: vedi qui, qui e qui. Così come i tanti approfondimenti che ci stanno offrendo Padre Giovanni Scalese dal suo Blog, clicca qui, o riflessioni anche laiche (cattoliche e non laiciste), dalla tastiera del dott. Marco Tosatti, vedi qui,  o se volete dalla tastiera pungente quanto si vuole, del dott. Antonio Socci, vedi qui, si legga anche il prof. Roberto de Mattei, qui, così come anche la Cristina Siccardi qui, insomma la lista di quanti, nel clero e non, si sforzano di avanzare con la dottrina è lunga e merita l’ascolto, non la denigrazione. Il fatto è che il Documento, molto lungo e che pochi hanno letto integralmente, contiene effettivamente delle pagine molto belle, ma inutili all’insegnamento nei confronti della grave crisi coniugale delle coppie che hanno ben altri problemi da affrontare, e purtroppo ambigue laddove la Chiesa aveva già dato le risposte necessarie e laddove si tenta di capovolgere, stravolgere l’insegnamento di San Tommaso d’Aquino. Alla luce del Vangelo, e del Catechismo, possiamo dire che il punto di ampio contrasto, dal quale poi ne derivano altri è che la Chiesa ha sempre insegnato, ragionevolmente, che cosa è l’Amore, non come farlo!».

Ma qual è la missione del Papa, Successore di Pietro?

«È la stessa missione di Pietro, per questo “noi amiamo il Papa”, a prescindere da chi viene eletto, basta che sia legittimo, e per questo amiamo parlare di “successore di Pietro”. Pietro non è più Simone (Mt 16, 13-20) ma “roccia” per una fede granitica che deve durare fino al ritorno trionfante di Cristo, per questo abbiamo la Sua parola del non praevalebunt (Mt 16, 13-20). Le porte degli inferi non proteggono l’esclusività di un pontefice, ma LA CHIESA il cui Capo, Sposo è Cristo, e Pietro il Vicario. La missione del Papa è perciò preservare questa Fede e tramandarla (tradere) con tutto ciò che comporta e con tutto ciò che contiene (la Tradizione, la Dottrina, i costumi, l’etica e la morale, quel che era peccato ieri è peccato anche oggi, e ciò che era vietato ieri è vietato anche oggi), confermando i Battezzati (vero popolo di Dio) in questa Fede, preservandoli dall’errore delle mode dei tempi (2Tim 4, 1-5), è la potestas docendi“. La missione di Pietro è sempre una, è sempre la stessa (Cristo è ieri, oggi, sempre), è quella contenuta nei Vangeli, non cambia ma progredisce, va avanti e non indietro, è sempre quella associata e legata al triplice incarico simbolicamente espresso dalla tiara, anche se oggi l’hanno voluta nascondere spingendo i fedeli, purtroppo, ad una falsa immagine del Pontificato moderno e di livello mediatico, distorcendone spesso la missione. Nel triregno, tanto per fare un esempio, era indicata la missione di Pietro: “Accipe Tiaram tribus coronis ornatam, et scias Te esse Patrem Principum et Regum, Rectorem Orbis, in terra Vicarium Salvatoris N. J. C. cui est honor et gloria in saecula saeculorum./ Ricevi la Tiara ornata di tre corone, e sappi che Tu sei Padre dei Principi e dei Re, Reggitore del mondo, Vicario in terra del Salvator Nostro Gesù Cristo, cui è onore e gloria nei secoli dei secoli”. Non stiamo qui ora a polemizzare ma la verità, che finalmente si comincia ad ammettere, è che la vicenda postconciliare fu un cavallo di Troia che sfondò gli argini del buonsenso ecclesiale. Il gesto di Paolo VI nel deporre la tiara fu pertanto prevalentemente un gesto umano e romantico, ma che si trasformò subito in un fenomeno politico e ideologico, che costrinse altre, e magari nobili, idealità teologiche a precipitare e fossilizzarsi nella sociologia umanistica del nostro tempo, arrivando a modificare la missione di Pietro che da quella di “salvatore delle Anime” sta diventando una missione sociologica ed antropologica, una missione umanistica, per un paradiso in terra»

Può un papa insegnare contro o al ribasso dei suoi predecessori?

«Ovvio che No! Per quanto il Papa è un “uomo come gli altri”, con il suo proprio carattere – basta leggere la storia dei Papi – anche se in termini di rapporti umani può risultare simpatico o meno, può piacere o meno, quando parliamo di magistero non può sbagliare, non può insegnare a ribasso o contro un’altro predecessore. Se lo facesse è evidente che gravi ripercussioni ricadrebbero sul governo stesso della Chiesa, alimentando inimicizie e divisioni che in fin dei conti, e purtroppo, non sono mai mancate internamente nella Chiesa. Non è un caso se, fra tutti i 266 Pontefici ad oggi, noi parliamo del “Successore di Pietro” e non giammai del successore di un solo pontefice preso a caso dalla storia, o per qualche interesse personale o affiancandolo, addirittura, a qualche personaggio storico.

Ma per rispondere correttamente alla domanda è molto interessante un commento del cardinale Caffarra, ascoltiamo bene le sue parole: ” Vescovi e molti teologi fedeli alla Chiesa e al magistero sostengono che su un punto specifico ma molto importante non esiste continuità, ma contrarietà tra “Amoris laetitia” e il precedente magistero. Questi teologi e filosofi non dicono questo con spirito di contestazione al Santo Padre. Ed il punto è questo: “Amoris laetitia” dice che, date alcune circostanze, il rapporto sessuale fra divorziati-risposati è lecito. Anzi applica a questi, a riguardo delle intimità sessuali, ciò che il Concilio Vaticano II dice degli sposi [cfr. nota 329]. Pertanto o è lecito un rapporto sessuale fuori del matrimonio: affermazione contraria alla dottrina della Chiesa sulla sessualità; o l’adulterio non è un atto intrinsecamente disonesto, e quindi possono darsi delle circostanze a causa delle quali esso non è disonesto: affermazione contraria alla tradizione e dottrina della Chiesa. E quindi in una situazione come questa il Santo Padre, come già scrissi, deve secondo me chiarire. Se dico “S è P” e poi dico “S non è P”, la seconda proposizione non è uno sviluppo della prima, ma la sua negazione. Nè si risponda: la dottrina resta, si tratta di prendersi cura di alcuni casi. Rispondo: la norma morale “non commettere adulterio” è una norma negativa assoluta, che non ammette eccezioni. Ci sono molti modi fare il bene, ma c’è un solo modo di non fare il male: non fare il male…” clicca qui».

Sono giuste le accuse di fariseismo, di voler caricare pesanti fardelli sulle spalle dei fedeli, a coloro che ricordano che non ci possono essere eccezioni nel rispettare la Legge di Dio?

«Diciamo che usare certe espressioni forti del Papa, come strumento per un primo e proprio esame della coscienza, male non fa, non dobbiamo offenderci subito, ma cercare di capire come siamo messi noi per primi, per evitare di pretendere di poter togliere la pagliuzza quando la trave, magari, sovrasta il nostro occhio (Lc 6,41) impedendoci di vedere cosa Dio vuole e il come lo vuole! Così come non può essere usato però, questo monito del Vangelo, per ingannare i divorziati-risposati e i conviventi sul loro stato.  Non nascondiamoci che oggi si eccede su diversi estremismi dolorosi  che stanno ferendo la Chiesa, e spesso rischiamo di trovarci nel mezzo, accusati da una parte e dall’altra, perché cerchiamo di aiutare la gente a comprendere la Legge di Dio servita dalla Chiesa attraverso le sue dottrine e quindi attraverso la legge ecclesiastica.. e dall’altra parte ci sentiamo dire che facciamo poco, oppure che siamo eretici anche noi perché pretendiamo di dare consigli al Papa! Ci sono tifoserie che non fanno bene a nessuno e, per parlare a queste persone, ci vuole sia l’amore quanto la verità, perché questi due elementi, se autentici, non possono essere separati. Gesù non ci ha detto “io vi ho detto la verità… adattatela, accomodatela a seconda dei problemi storici o delle difficoltà umane… Non ha detto io vi faccio vedere la via… ma voi cercatene delle altre più comode…” ma ha detto: “Io sono la Via, la Verità, la Vita…”, questo è l’Amore. Amore che si fonda anche sulla Legge divina del matrimonio (Mt 19), come negli altri Sacramenti, e che la Chiesa ha nelle sue leggi, perché questa è la sua missione, e non altro. Oggi va tanto di moda questa accusa di fariseimo dimenticando però, che  “quei” farisei contro i quali Gesù si scagliava, erano proprio coloro che giocavano con la Legge di Dio e la usavano per schiacciare il popolo, si legga qui la toccante riflessione di Don Alfredo M. Morselli, un po’ datata per la tempistica mediatica, ma ciò che è vero non diventa mai vecchio! Questo schiacciare (le donne venivano lapidate anche solo per il sospetto di adulterio, mentre gli uomini potevano fare quello che volevano) faceva parte di quel peso, quel fardello che veniva imposto sulle spalle degli uomini che non comprendevano la Legge di Dio, e non avevano alcuna possibilità di replicare o difendersi. Erano “quei” farisei ad infrangere la Legge di Dio, usandola a proprio piacimento e per questo Gesù li definisce “ipocriti”. Gesù si scaglia perciò non “contro i farisei” in quanto tali, ma contro i farisei ipocriti, E NON CONTRO LA LEGGE (Mt 5, 17-20) che essi conservavano, si scaglia contro chi impone la Legge senza aiutare l’uomo, senza consolazione, senza sostegno, ma solo con la pretesa del ciò che deve essere fatto, privato della forma di carità. In questo fariseismo non c’era posto per il “perdono”, ciò non voleva dire che bisognasse infrangere la Legge divina. I nuovi farisei del dopo-Cristo sono i Manichei, sono i Puritani provenienti dal protestantesimo… (che sostengono infatti il divorzio ed oggi i matrimoni omosessuali), sono gli spiritualisti ed oggi i Modernisti… Per rispondere alla domanda dobbiamo allora chiederci in quale rapporto siamo noi con chi sbaglia. Un conto è la correzione fraterna (Mt 18) altra cosa è l’accanimento, una sorta di lapidazione che magari non uccide il corpo ma lo spirito! In quale modo diciamo la verità, quale atteggiamento assumiamo di fronte a queste persone? Chi vuole predicare la Verità, è egli stesso per primo autentico testimone coerente di quanto Gesù chiede di fare? Una onesta risposta e tanta umiltà ci farà comprendere se siamo dei farisei o veri discepoli del Cristo, pronti alle accuse ingiuste, e perciò perseguitati e votati al martirio o all’accusa di ipocrisia da parte del Cristo. Quel: “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso” (Lc.6,36) non pregiudica il dovere di dire la verità, i Santi ci insegnano questo con il loro esempio, essi dicevano la Verità con misericordia, la verità con l’Amore, non per nulla venivano perseguitati!»

Dove sta scritto il divieto per i divorziati-risposati ad accedere alla Comunione?

«Nel Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 1650 e seguenti e nella Sacramentum Caritatis, n.29, di Benedetto XVI dove in entrambi si specifica che la scelta della Chiesa di “non dare la comunione ai divorziati-risposati“, con in piedi il matrimonio sacramentale precedente, non viene da una scelta soggettiva dei Padri sinodali, ma dalla Parola di Cristo, è Cristo che vuole questo, ma bisogna capire il perché. Ma anche in altri Documenti quali la Familiaris Consortio di san Giovanni Paolo II, che si pretenderebbe re-interpretare a vantaggio dell’errore.

N.1650: ” La Chiesa sostiene, per fedeltà alla parola di Gesù Cristo (Mc 10,11-12), che non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la Legge di Dio. Perciò essi non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione…”.

N.29: ” Il Sinodo dei Vescovi ha confermato la prassi della Chiesa, fondata sulla Sacra Scrittura (cfr Mc 10,2-12), di non ammettere ai Sacramenti i divorziati risposati, perché il loro stato e la loro condizione di vita oggettivamente contraddicono quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa che è significata ed attuata nell’Eucaristia.”

Compito della Chiesa è quello di accompagnare e guidare queste persone alla comprensione della Parola e della volontà di Dio, non cambiarla. Non si deve stare lì a divulgare o strombazzare “il divieto”, come ragionevolmente spiegava Caffarra, ma aiutare la gente a capire che se Cristo insegna questo, lo fa perché ci ama. Il divieto di ricevere l’Eucaristia, del resto, non è ascritto solo ad una categoria di persone o di peccatori, ma ci riguarda tutti, tutti i battezzati che non sono in grazia di Dio non possono ricevere l’Eucaristia. Purtroppo si è circoscritta la dottrina dando origine ad una categoria, facendone però il pilastro e il fondamento di una errata comprensione e di una falsa battaglia, trasformandola in una vera ideologia. Nessuno può vantare diritti verso Dio e l’Eucaristia non è un diritto per nessuno. Il divieto è valido per tutti noi quando ci troviamo in uno stato di illegalità nei confronti dei Comandamenti e della Legge divina, così come è DONO per chiunque che, sforzandosi di compiacere a Dio, confessato e sulla via della riconciliazione vera, cioè avendo abbandonato il proprio peccare, può accostarsi al Divino Sacramento».

 Tale divieto è una legge puramente ecclesiastica oppure è una Legge di Dio?

«L’abbiamo specificato sopra, ma qui rischiamo di fare il gioco della lana caprina, direi che la domanda è tendenzialmente impostata male! Non esiste una “legge ecclesiastica” che non si fondi sulla Legge di Dio. Non è che in un dato momento un papa, un vescovo, o un pinco pallino qualsiasi si è alzato ed ha deciso di aggiornare le leggi ecclesiastiche, magari mossi da chissà quale “moda moderna”, mossi dalla “cultura del tempo”, e quant’altro. Tutta la dottrina della Chiesa ha mosso i suoi passi fondandosi sempre sulla Legge di Dio, poi ci sono stati degli sviluppi, certamente, ma in avanti, mai indietro, in progresso, non in regresso. Un esempio lo troviamo proprio a riguardo della Famiglia. Il primo a parlarne in termini “moderni”, aggiornati dal magistero precedente, fu Papa Leone XIII che non per nulla invocò ed indisse la Festa della Divina Famiglia portandola quale modello alle Famiglie cattoliche già messe in pericolo e sotto pressione dai risvolti (pseudo) culturali della Rivoluzione Francese prima e dalla prepotenza della Massoneria, che si scatenò contro la Chiesa in tutto l’Ottocento. Poi altri Papi ne riparlarono sempre con voce più calzante come Pio XI, Pio XII, Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI nel mirabile magistero, specialmente nel testo durante la visita a Milano nel 2012, proprio per la Famiglia. Tutto questo magistero non si impone come legge ecclesiastica, ma offre la Legge di Dio attraverso delle leggi ecclesiastiche, per amore all’uomo. E’ importante che si aiuti la gente a comprendere che non è una questione di “imposizione”, ma di Amore, amore a Dio e alla Sua Legge e amore di Dio per l’uomo, che la Chiesa disciplina attraverso le proprie leggi in questa ed altre materie. La legge ecclesiastica ci aiuta a difenderci proprio dalle leggi ingiuste degli uomini, specialmente oggi, e dalle mode dei tempi, come esprimeva chiaramente Benedetto XV quando promulgò la prima composizione aggiornata del Nuovo Diritto Canonico, il 4 dicembre 1916. Per rispondere dettagliatamente alla domanda, facciamoci ora aiutare da Benedetto XVI, che così si espresse il 25 gennaio 2008 mettendo “in rilievo lo stretto legame che c’è tra la legge canonica e la vita della Chiesa secondo il volere di Gesù Cristo… Lo ius ecclesiae non è solo un insieme di norme prodotte dal Legislatore ecclesiale per questo speciale popolo che è la Chiesa di Cristo. Esso è, in primo luogo, la dichiarazione autorevole, da parte del Legislatore ecclesiale, dei doveri e dei diritti, che si fondano nei sacramenti e che sono quindi nati dall’istituzione di Cristo stesso. Questo insieme di realtà giuridiche, indicato dal Codice, compone un mirabile mosaico nel quale sono raffigurati i volti di tutti i fedeli, laici e Pastori, e di tutte le comunità, dalla Chiesa universale alle Chiese particolari… (…) Perciò, occorre saper presentare al Popolo di Dio, alle nuove generazioni, e a quanti sono chiamati a far rispettare la legge canonica, il concreto legame che essa ha con la vita della Chiesa, a tutela dei delicati interessi delle cose di Dio, e a protezione dei diritti dei più deboli, di coloro che non hanno altre forze per farsi valere, ma anche a difesa di quei delicati ‘beni’ che ogni fedele ha gratuitamente ricevuto – il dono della fede, della grazia di Dio, anzitutto – che nella Chiesa non possono rimanere senza adeguata protezione da parte del Diritto”».

Astenersi dagli atti coniugali è davvero l’unica soluzione per i divorziati-risposati civilmente che non possono tornare indietro?

«Certo che sì! Ma questo concetto di “castità” è molto più ampio e vale per tutti, anche per gli sposati e per i single.  Se una persona si è gravemente ammalata e chiede il parere al proprio medico, questi confermandogli la diagnosi gli offre anche i rimedi. Poi sta al paziente vedere come procedere per guarire. La castità non è affatto una punizione, ma la cura! Dice infatti il Catechismo n. 2339: “La castità richiede l’acquisizione del dominio di sé, che è pedagogia per la libertà umana. L’alternativa è evidente: o l’uomo comanda alle sue passioni e consegue la pace, oppure si lascia asservire da esse e diventa infelice…. 2345 La castità è una virtù morale. Essa è anche un dono di Dio, una grazia, un frutto dello Spirito. Lo Spirito Santo dona di imitare la purezza di Cristo  a colui che è stato rigenerato dall’acqua del Battesimo….”. Il Catechismo riporta poi anche sant’Ambrogio:  “Ci sono tre forme della virtù di castità: quella degli sposi, quella della vedovanza, infine quella della verginità. Non lodiamo l’una escludendo le altre. […] Sotto questo aspetto, la disciplina della Chiesa è ricca…”.  In tanti rimanemmo stupiti e addolorati quando ci si rese conto che, in tutti e due i Sinodi sulla Famiglia, nessun prelato ha mai parlato del valore della castità (così come neppure in AL vi sono riferimenti al valore della castità), nessuno! Tutti dicevano la propria su come ingannare la Legge di Dio e giustificare le nuove presunte posizioni pastorali, ma la maggior parte – a parte alcuni pilastri come Caffarra, Burke, De Paolis, e qualcun altro – non parlò mai della bellezza della castità della quale, in fin dei conti, essi stessi dovrebbero essere i felici testimoni! La castità del Vangelo ha una sola radice e diverse applicazioni: essa coinvolge TUTTI nei “pensieri, parole, opere ed omissioni”. Senza questo elemento che ci viene dalla testimonianza di Gesù,  saremmo tutti sopraffatti da un umanesimo romantico, sentimentale, soggetto alle proprie voglie. Nel Matrimonio lo fa capire bene Gesù, in Matteo 19,10 e gli Apostoli rispondono quasi con una battuta: “Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi”, e già, avevano capito la radicalità che Gesù stava chiedendo loto! Non c’è una imposizione, ma di certo è l’unica soluzione che Gesù propone per mettere in pratica la legge di Dio, la Sua volontà. La soluzione che Gesù offre deve essere accompagnata dalla catechesi dell’Amore di Dio verso noi peccatori, questo è il punto che non si è affrontato, ma tutto si sta svolgendo in un dannoso ping-pong del fare o non fare; Dio vuole, Dio non vuole, l’uomo lo vuole e allora cambiamo…. nero o bianco, mettiamoci un poco di grigio e così via… mandando in pensione il più semplice: “Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno” (Mt 5, 37, ma si legga tutto il paragrafo 21-37), perché la Parola di Dio è semplice, è chiara e si sta rischiando di confonderla e di complicarla».

La correctio filialis è un atto legittimo o illegittimo? La Chiesa ammette che i sudditi correggano i superiori per difendere la Fede?

«Legittimo! C’è una frase di San Paolo che ci aiuta a capire: “Tutto mi è lecito!”. Ma non tutto giova. “Tutto mi è lecito!”. Ma io non mi lascerò dominare da nulla… (1Cor 6,12-13). Paolo si riferiva ai cibi, ma possiamo essere aiutati anche in queste circostanze perché, in definitiva, importante è quel “non lasciarsi dominare da nulla”… che non sia la Legge divina… Lo prevede il Codice di Diritto Canonico Can. 212 – §1. “I fedeli, consapevoli della propria responsabilità (…) §3. In modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, essi hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli, salva restando l’integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso i Pastori, tenendo inoltre presente l’utilità comune e la dignità della persona”. Possiamo perciò dire, senza essere smentiti, che la “correzione filiale” è legittima, lecita e un dovere previsto dal Diritto Canonico. Ciò che invece “non giova” è il modo attraverso il quale si sono scatenate le frange in difesa (e alcune anche eccessivamente contro, va detto per onor del vero) non della Veritas, ma dell’immagine e della persona di Bergoglio! Queste tifoserie “pro-contro” Bergoglio, sono quelle reazioni che non giovano alla causa e non giovano alla Verità, ledono il diritto e il dovere di denunciare ciò che nella Chiesa non va, apportando un oscuramento sul vero e libero dibattito (leggasi i confronti infuocati ai tempi di San Bonaventura, di San Bernardo, San Tommaso d’Aquino, ed altri Grandi) in quei luoghi e atenei che la Chiesa non ha mai vietato in tutta la sua storia ecclesiale».  “Le nostre città, la nostra nazione, la nostra Europa stanno attraversando una crisi mortale. La cifra della loro agonia è il freddo inverno demografico che stiamo attraversando. La parola che Dio rivolge a noi pastori ci costringe ad alcune domande: stiamo compiendo l’opera di annunciare il Vangelo o ci accontentiamo di esortare le persone a buoni sentimenti morali, quali per esempio tolleranza, apertura, accoglienza?” (cardinale Caffarra – omelia Festa di sant’Agostino 28.8.2016)

In conclusione, quale consiglio, o suggerimento, possiamo offrire  a quanti svolgono la missione del Catechista, o a quanti — confusi e disorientati — cercano la Verità e al tempo stesso non vogliono sentirsi “contrari” al Papa?

«Specifichiamo subito che chiunque insegna la Verità (e la vive coerentemente nella pratica) non ha affatto un “nemico” sul quale scaricare le proprie emozioni, sentimenti o contrarietà. Il Papa non è affatto “il nemico”, ben altri sono i veri nemici del Papa e del papato! Il Catechista ha la missione e la vocazione di evangelizzare in un modo più specifico (non per nulla riceve un mandato dal vescovo o dal parroco)  “tutte le genti”, in particolare il gruppo di persone che gli viene affidato in ambito parrocchiale. Chi cerca la Verità non combatte contro qualcuno in particolare, ma semplicemente contro la “non verità” (Ef.6,10-20), contro l’ambiguità, contro le idee, progetti e programmi, chiamiamoli anche progetti pastorali se volete, che tendono a modificare la Verità, la dottrina, il Catechismo stesso, il magistero bimillenario della Chiesa. Vorrei concludere facendo mie le parole di sant’Agostino nella sua preziosa – ed attualissima – Lettera ad un Catechista, come consiglio che vorrei lasciare e su cui riflettere. Scrive il Santo al Catechista:

“Non devi quindi considerarti inutile per il fatto che non ti riesce di spiegare come desideri ciò che sai; a parte il fatto che neppure riesci a capire le cose come vorresti.

Fintanto che siamo in questo mondo, infatti, non vediamo se non «in enigma, come nello specchio» (1Cor.13,12). Neppure l’amore è tanto potente da infrangere il velo opaco della carne per penetrare nel sereno del cielo, da dove prendono luce anche queste cose che passano. Ma siccome chi vive di fede si avvicina ogni giorno di più alla visione di una luce che non conosce l’alterno ritmo del giorno e della notte, e che «occhio non vide, né orecchio udì, né entrò in mente umana» (ivi 2,9), il vero motivo che ci fa percepire come noioso il nostro discorso di iniziazione è proprio il desiderio di veder sempre cose nuove e il tedio di dir quelle vecchie. L’esperienza dice però che ci facciamo ascoltare molto più volentieri, quando facciamo con gioia quel che facciamo: se la trama del nostro discorso è pervasa dalla nostra gioia, essa riesce più spedita e accetta.

Di conseguenza, il problema maggiore non è di saper di dove cominciare o fin dove condurre il discorso su quel che si insegna, né quello di saper se  prolungarlo o abbreviarlo senza comprometterne la completezza, e tanto meno di vedere quando abbreviarlo o prolungarlo. La preoccupazione più grande deve essere quella di trovar il modo di catechizzare gioiosamente: e quanto più ci riusciremo, tanto più piacevole sarà il nostro discorso.

L’esigenza è lampante: «Dio ama chi dà con gioia»; e se ciò è vero riguardo all’elemosina, lo è tanto più riguardo ai doni dello Spirito….(…) il Cristo, per i superbi che non vollero la sua giustizia ma pretendevano di stabilire la propria, non aprì la mano benedicente, ma la tenne chiusa e stretta, per cui quelli, trattenuti ai piedi, inciamparono e caddero, mentre noi ci siamo alzati e stiamo in piedi (Sal. 19). Pur avendo quindi mandato avanti a sé quei santi a preparare la sua venuta, il capo del corpo della chiesa è lui, il Cristo”.

Se neppure questo fosse sufficiente, invitiamo a riscoprire Catechesi tradendae di Giovanni Paolo II: “La catechesi è stata sempre considerata dalla chiesa come uno dei suoi fondamentali doveri, poiché prima di risalire al Padre, il Signore risorto diede agli apostoli un’ultima consegna: quella di render discepole tutte le genti ed insegnar loro ad osservare tutto ciò che egli aveva prescritto”. E ancora dice: “I papi più recenti hanno riservato alla catechesi un posto eminente nella loro sollecitudine pastorale. (…)  Catechizzare è, in un certo modo, condurre qualcuno a scrutare questo mistero in tutte le sue dimensioni: ‘Mettere in piena luce l’economia del mistero… Comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio.. (…)  il cristocentrismo, in catechesi, significa pure che mediante essa non si vuole che ciascuno trasmetta la propria dottrina o quella di un altro maestro, ma l’insegnamento di Gesù Cristo, la verità che egli comunica o, più esattamente, la verità che egli è. Bisogna dire dunque che nella catechesi è Cristo, Verbo incarnato e Figlio di Dio, che viene insegnato, e tutto il resto lo è in riferimento a lui; e che solo Cristo insegna, mentre ogni altro lo fa nella misura in cui è il suo portavoce, consentendo al Cristo di insegnare per bocca sua.

La costante preoccupazione di ogni catechista — quale che sia il livello delle sue responsabilità nella Chiesa — dev’essere quella di far passare, attraverso il proprio insegnamento ed il proprio comportamento, la dottrina e la vita di Gesù. Egli non cercherà di fermare su se stesso, sulle sue opinioni ed attitudini personali l’attenzione e l’adesione dell’intelligenza e del cuore di colui che sta catechizzando; e, soprattutto, non cercherà di inculcare le sue opinioni ed opzioni personali, come se queste esprimessero la dottrina e le lezioni di vita del Cristo. Ogni catechista dovrebbe poter applicare a se stesso la misteriosa parola di Gesù: ‘La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato’. E’ questo che fa s. Paolo trattando una questione di primaria importanza: ‘Io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso’. Quale frequentazione assidua della parola di Dio trasmessa dal magistero della chiesa, quale profonda familiarità col Cristo e col Padre, quale spirito di preghiera, quale distacco da sé deve avere un catechista per poter dire: ‘La mia dottrina non è mia’!”».

 


Card. Caffarra: «L’indissolubilità del matrimonio è un dono non una norma»

domenica 16 marzo 2014

Autore:Matzuzzi, MatteoCuratore: Mangiarotti, Don Gabriele Fonte:©IL FOGLIO – CulturaCattolica.it Riportiamo da Il Foglio questa importante intervista di Matteo Matzuzzi al Card. Carlo Caffarra

Bologna. Due settimane dopo il concistoro sulla famiglia, il cardinale arcivescovo di Bologna, Carlo Caffarra, affronta con il Foglio i temi all’ordine del giorno del Sinodo straordinario del prossimo ottobre e di quello ordinario del 2015: matrimonio, famiglia, dottrina dell’Humanae Vitae, penitenza.

La “Familiaris Consortio” di Giovanni Paolo II è al centro di un fuoco incrociato. Da una parte si dice che è il fondamento del Vangelo della famiglia, dall’altra che è un testo superato. È pensabile un suo aggiornamento?

Se si parla del gender e del cosiddetto matrimonio omosessuale, è vero che al tempo della Familiaris Consortio non se ne parlava. Ma di tutti gli altri problemi, soprattutto dei divorziati-risposati, se ne è parlato lungamente. Di questo sono un testimone diretto, perché ero uno dei consultori del Sinodo del 1980.

Dire che la Familiaris Consortio è nata in un contesto storico completamente diverso da quello di oggi, non è vero. Fatta questa precisazione, dico che prima di tutto la Familiaris Consortio ci ha insegnato un metodo con cui si deve affrontare le questioni del matrimonio e della famiglia. Usando questo metodo è giunta a una dottrina che resta un punto di riferimento ineliminabile. Quale metodo? Quando a Gesù fu chiesto a quali condizioni era lecito il divorzio della liceità come tale non si discuteva a quel tempo, Gesù non entra nella problematica casuistica da cui nasceva la domanda, ma indica in quale direzione si doveva guardare per capire che cosa è il matrimonio e di conseguenza quale è la verità dell’indissolubilità matrimoniale. Era come se Gesù dicesse: “Guardate che voi dovete uscire da questa logica casuistica e guardare in un’altra direzione, quella del Principio”. Cioè: dovete guardare là dove l’uomo e la donna vengono all’esistenza nella verità piena del loro essere uomo e donna chiamati a diventare una sola carne. In una catechesi, Giovanni Paolo II dice: “Sorge allora cioè quando l’uomo è posto per la prima volta di fronte alla donna la persona umana nella dimensione del dono reciproco la cui espressione (che è l’espressione anche della sua esistenza come persona) è il corpo umano in tutta la verità originaria della sua mascolinità e femminilità”. Questo è il metodo della Familiaris Consortio.

Qual è il significato più profondo e attuale della “Familiaris Consortio”?
“Per avere occhi capaci di guardare dentro la luce del Principio”, la Familiaris Consortio afferma che la Chiesa ha un soprannaturale senso della fede, il quale non consiste solamente o necessariamente nel consenso dei fedeli. La Chiesa, seguendo Cristo, cerca la verità, che non sempre coincide con l’opinione della maggioranza. Ascolta la coscienza e non il potere. E in questo difende i poveri e i disprezzati. La Chiesa può apprezzare anche la ricerca sociologica e statistica, quando si rivela utile per cogliere il contesto storico. Tale ricerca per sé sola, però, non è da ritenersi espressione del senso della fede (FC 5). Ho parlato di verità del matrimonio. Vorrei precisare che questa espressione non denota una norma ideale del matrimonio. Denota ciò che Dio con il suo atto creativo ha inscritto nella persona dell’uomo e della donna. Cristo dice che prima di considerare i casi, bisogna sapere di che cosa stiamo parlando. Non stiamo parlando di una norma che ammette o non eccezioni, di un ideale a cui tendere. Stiamo parlando di ciò che sono il matrimonio e la famiglia. Attraverso questo metodo la Familiaris Consortio, individua che cosa è il matrimonio e la famiglia e quale è il suo genoma: uso l’espressione del sociologo Donati, che non è un genoma naturale, ma sociale e comunionale. È dentro questa prospettiva che l’Esortazione individua il senso più profondo della indissolubilità matrimoniale (cf FC 20). La Familiaris Consortio quindi ha rappresentato uno sviluppo dottrinale grandioso, reso possibile anche dal ciclo di catechesi di Giovanni Paolo II sull’amore umano. Nella prima di queste catechesi, il 3 settembre 1979, Giovanni Paolo II dice che intende accompagnare come da lontano i lavori preparatori del Sinodo che si sarebbe tenuto l’anno successivo. Non l’ha fatto affrontando direttamente temi dell’assise sinodale, ma dirigendo l’attenzione alle radici profonde. È come se avesse detto, Io Giovanni Paolo II voglio aiutare i padri sinodali. Come li aiuto? Portandoli alla radice delle questioni. È da questo ritorno alle radici che nasce la grande dottrina sul matrimonio e la famiglia data alla Chiesa dalla Familiaris Consortio. E non ha ignorato i problemi concreti. Ha parlato anche del divorzio, delle libere convivenze, del problema dell’ammissione dei divorziati-risposati all’Eucaristia. L’immagine quindi di una Familiaris Consortio che appartiene al passato; che non ha più nulla da dire al presente, è caricaturale. Oppure è una considerazione fatta da persone che non l’hanno letta.

Molte conferenze episcopali hanno sottolineato che dalle risposte ai questionari in preparazione dei prossimi due Sinodi, emerge che la dottrina della “Humanae Vitae” crea ormai solo confusione. È così, o è stato un testo profetico?

Il 28 giugno 1978, poco più di un mese prima di morire, Paolo VI diceva: «Della Humanae Vitae, ringrazierete Dio e me». Dopo ormai quarantasei anni, vediamo sinteticamente cosa è accaduto all’istituto matrimoniale e ci renderemo conto di come è stato profetico quel documento. Negando la connessione inscindibile tra la sessualità coniugale e la procreazione, cioè negando l’insegnamento della Humanae Vitae, si è aperta la strada alla reciproca sconnessione fra la procreazione e la sessualità coniugale: from sex without babies to babies without sex. Si è andata oscurandosi progressivamente la fondazione della procreazione umana sul terreno dell’amore coniugale, e si è gradualmente costruita l’ideologia che chiunque può avere un figlio. Il single uomo o donna, l’omosessuale, magari surrogando la maternità. Quindi coerentemente si è passati dall’idea del figlio atteso come un dono al figlio programmato come un diritto: si dice che esiste il diritto ad avere un figlio. Si pensi alla recente sentenza del tribunale di Milano che ha affermato il diritto alla genitorialità, come dire il diritto ad avere una persona. Questo è incredibile. Io ho il diritto ad avere delle cose, non le persone. Si è andati progressivamente costruendo un codice simbolico, sia etico sia giuridico, che relega ormai la famiglia e il matrimonio nella pura affettività privata, indifferente agli effetti sulla vita sociale. Non c’è dubbio che quando l’Humanae Vitae è stata pubblicata, l’antropologia che la sosteneva era molto fragile e non era assente un certo biologismo nell’argomentazione. Il magistero di Giovanni Paolo II ha avuto il grande merito di costruire un’antropologia adeguata a base dell’Humanae Vitae. La domanda che bisogna porsi non è se l’Humanae Vitae sia applicabile oggi e in che misura, o se invece è fonte di confusione. A mio giudizio, la vera domanda da fare è un’altra.

Quale? L’Humanae Vitae dice la verità circa il bene insito nella relazione coniugale? Dice la verità circa il bene che è presente nell’unione delle persone dei due coniugi nell’atto sessuale?

Infatti, l’essenza delle proposizioni normative della morale e del diritto si trova nella verità del bene che in esse è oggettivata. Se non ci si mette in questa prospettiva, si cade nella casuistica dei farisei. E non se ne esce più, perché ci si infila in un vicolo alla fine del quale si è costretti a scegliere tra la norma morale e la persona. Se si salva l’una, non si salva l’altra. La domanda del pastore è dunque la seguente: come posso guidare i coniugi a vivere il loro amore coniugale nella verità? Il problema non è di verificare se i coniugi si trovano in una situazione che li esime da una norma, ma, qual è il bene del rapporto coniugale. Qual è la sua verità intima. Mi stupisce che qualcuno dica che l’Humanae Vitae crea confusione. Che vuol dire? Ma conoscono la fondazione che dell’Humanae Vitae ha fatto Giovanni Paolo II? Aggiungo una considerazione. Mi meraviglia profondamente il fatto che, in questo dibattito, anche eminentissimi cardinali non tengano in conto le centotrentaquattro catechesi sull’amore umano. Mai nessun Papa aveva parlato tanto di questo. Quel Magistero è disatteso, come se non esistesse. Crea confusione? Ma chi afferma questo è al corrente di quanto si è fatto sul piano scientifico a base di una naturale regolazione dei concepimenti? È al corrente di innumerevoli coppie che nel mondo vivono con gioia la verità di Humanae Vitae? Anche il cardinale Kasper sottolinea che ci sono grandi aspettative nella Chiesa in vista del Sinodo e che si corre il rischio di una pessima delusione se queste fossero disattese. Un rischio concreto, a suo giudizio? Non sono un profeta né sono figlio di profeti. Accade un evento mirabile. Quando il pastore non predica opinioni sue o del mondo, ma il Vangelo del matrimonio, le sue parole colpiscono le orecchie degli uditori, ma nel loro cuore entra in azione lo Spirito Santo che lo apre alle parole del pastore. Mi domando poi delle attese di chi stiamo parlando. Una grande rete televisiva statunitense ha compiuto un’inchiesta su comunità cattoliche sparse in tutto il mondo. Essa fotografa una realtà molto diversa dalle risposte al questionario registrate in Germania, Svizzera e Austria. Un solo esempio. Il 75 per cento della maggior parte dei paesi africani è contrario all’ammissione dei divorziati risposati all’Eucaristia. Ripeto ancora: di quali attese stiamo parlando? Di quelle dell’Occidente? È dunque l’Occidente il paradigma fondamentale in base al quale la Chiesa deve annunciare? Siamo ancora a questo punto? Andiamo ad ascoltare un po’ anche i poveri. Sono molto perplesso e pensoso quando si dice che o si va in una certa direzione altrimenti sarebbe stato meglio non fare il Sinodo. Quale direzione? La direzione che, si dice, hanno indicato le comunità mitteleuropee? E perché non la direzione indicata dalle comunità africane?

Il cardinale Müller ha detto che è deprecabile che i cattolici non conoscano la dottrina della Chiesa e che questa mancanza non può giustificare l’esigenza di adeguare l’insegnamento cattolico allo spirito del tempo. Manca una pastorale familiare?

È mancata. È una gravissima responsabilità di noi pastori ridurre tutto ai corsi prematrimoniali. E l’educazione all’affettività degli adolescenti, dei giovani? Quale pastore d’anime parla ancora di castità? Un silenzio pressoché totale, da anni, per quanto mi risulta. Guardiamo all’accompagnamento delle giovani coppie: chiediamoci se abbiamo annunciato veramente il Vangelo del matrimonio, se l’abbiamo annunciato come ha chiesto Gesù. E poi, perché non ci domandiamo perché i giovani non si sposano più? Non è sempre per ragioni economiche, come solitamente si dice. Parlo della situazione dell’Occidente. Se si fa un confronto tra i giovani che si sposavano fino a trent’anni fa e oggi, le difficoltà che avevano trenta o quarant’anni fa non erano minori rispetto a oggi. Ma quelli costruivano un progetto, avevano una speranza. Oggi hanno paura e il futuro fa paura; ma se c’è una scelta che esige speranza nel futuro, è la scelta di sposarsi. Sono questi gli interrogativi fondamentali, oggi. Ho l’impressione che se Gesù si presentasse all’improvviso a un convegno di preti, vescovi e cardinali che stanno discutendo di tutti i gravi problemi del matrimonio e della famiglia, e gli chiedessero come fecero i farisei: “Maestro, ma il matrimonio è dissolubile o indissolubile? O ci sono dei casi, dopo una debita penitenza…?”.Gesù cosa risponderebbe? Penso la stessa risposta data ai farisei: “Guardate al Principio”. Il fatto è che ora si vogliono guarire dei sintomi senza affrontare seriamente la malattia. Il Sinodo quindi non potrà evitare di prendere posizione di fronte a questo dilemma: il modo in cui s’è andata evolvendo la morfogenesi del matrimonio e della famiglia è positivo per le persone, per le loro relazioni e per la società, o invece costituisce un decadimento delle persone, delle loro relazioni, che può avere effetti devastanti sull’intera civiltà? Questa domanda il Sinodo non la può evitare. La Chiesa non può considerare che questi fatti (giovani che non si sposano, libere convivenze in aumento esponenziale, introduzione del c.d. matrimonio omosessuale negli ordinamenti giuridici, e altro ancora) siano derive storiche, processi storici di cui essa deve prendere atto e dunque sostanzialmente adeguarsi. No. Giovanni Paolo II scriveva nella Bottega dell’Orefice che “creare qualcosa che rispecchi l’essere e l’amore assoluto è forse la cosa più straordinaria che esista. Ma si campa senza rendersene conto”. Anche la Chiesa, dunque, deve smettere di farci sentire il respiro dell’eternità dentro all’amore umano? Deus avertat!

Si parla della possibilità di riammettere all’Eucaristia i divorziati risposati. Una delle soluzioni proposte dal cardinale Kasper ha a che fare con un periodo di penitenza che porti al pieno riaccostamento. È una necessità ormai ineludibile o è un adeguamento dell’insegnamento cristiano a seconda delle circostanze?

Chi fa questa ipotesi, almeno finora non ha risposto a una domanda molto semplice: che ne è del primo matrimonio rato e consumato? Se la Chiesa ammette all’Eucarestia, deve dare comunque un giudizio di legittimità alla seconda unione. È logico. Ma allora – come chiedevo – che ne è del primo matrimonio? Il secondo, si dice, non può essere un vero secondo matrimonio, visto che la bigamia è contro la parola del Signore. E il primo? È sciolto? Ma i papi hanno sempre insegnato che la potestà del Papa non arriva a questo: sul matrimonio rato e consumato il Papa non ha nessun potere. La soluzione prospettata porta a pensare che resta il primo matrimonio, ma c’è anche una seconda forma di convivenza che la Chiesa legittima. Quindi, c’è un esercizio della sessualità umana extraconiugale che la Chiesa considera legittima. Ma con questo si nega la colonna portante della dottrina della Chiesa sulla sessualità. A questo punto uno potrebbe domandarsi: e perché non si approvano le libere convivenze? E perché non i rapporti tra gli omosessuali? La domanda di fondo è dunque semplice: che ne è del primo matrimonio? Ma nessuno risponde. Giovanni Paolo II diceva nel 2000 in un’allocuzione alla Rota che “emerge con chiarezza che la non estensione della potestà del Romano Pontefice ai matrimoni rati e consumati, è insegnata dal Magistero della Chiesa come dottrina da tenersi definitivamente anche se essa non è stata dichiarata in forma solenne mediante atto definitorio”. La formula è tecnica, “dottrina da tenersi definitivamente” vuol dire che su questo non è più ammessa la discussione fra i teologi e il dubbio tra i fedeli.

Quindi non è questione solo di prassi, ma anche di dottrina?

Sì, qui si tocca la dottrina. Inevitabilmente. Si può anche dire che non lo si fa, ma lo si fa. Non solo. Si introduce una consuetudine che a lungo andare determina questa idea nel popolo non solo cristiano: non esiste nessun matrimonio assolutamente indissolubile. E questo è certamente contro la volontà del Signore. Non c’è dubbio alcuno su questo.

Non c’è però il rischio di guardare al sacramento solo come una sorta di barriera disciplinare e non come un mezzo di guarigione?

È vero che la grazia del sacramento è anche sanante, ma bisogna vedere in che senso. La grazia del matrimonio sana perché libera l’uomo e la donna dalla loro incapacità di amarsi per sempre con tutta la pienezza del loro essere. Questa è la medicina del matrimonio: la capacità di amarsi per sempre. Sanare significa questo, non che si fa stare un po’ meglio la persona che in realtà rimane ammalata, cioè costitutivamente ancora incapace di definitività. L’indissolubilità matrimoniale è un dono che viene fatto da Cristo all’uomo e alla donna che si sposano in lui. È un dono, non è prima di tutto una norma che viene imposta. Non è un ideale cui devono tendere. È un dono e Dio non si pente mai dei suoi doni. Non a caso Gesù, rispondendo ai farisei, fonda la sua risposta rivoluzionaria su un atto divino. ‘Ciò che Dio ha unito’, dice Gesù. E’ Dio che unisce, altrimenti la definitività resterebbe un desiderio che è sì naturale, ma impossibile a realizzarsi. Dio stesso dona compimento. L’ uomo può anche decidere di non usare di questa capacità di amare definitivamente e totalmente. La teologia cattolica ha poi concettualizzato questa visione di fede attraverso il concetto di vincolo coniugale. Il matrimonio, il segno sacramentale del matrimonio produce immediatamente tra i coniugi un vincolo che non dipende più dalla loro volontà, perché è un dono che Dio ha fatto loro. Queste cose ai giovani che oggi si sposano non vengono dette. E poi ci meravigliamo se succedono certe cose”.

Un dibattito molto appassionato si è articolato attorno al senso della misericordia. Che valore ha questa parola?

Prendiamo la pagina di Gesù e dell’adultera. Per la donna trovata in flagrante adulterio, la legge mosaica era chiara: doveva essere lapidata. I farisei infatti chiedono a Gesù cosa ne pensasse, con l’obiettivo di attirarlo dentro la loro prospettiva. Se avesse detto “lapidatela”, subito avrebbero detto “Ecco, lui che predica misericordia, che va a mangiare con i peccatori, quando è il momento dice anche lui di lapidarla”. Se avesse detto “non dovete lapidarla”, avrebbero detto “ecco a cosa porta la misericordia, a distruggere la legge e ogni vincolo giuridico e morale”. Questa è la tipica prospettiva della morale casuistica, che ti porta inevitabilmente in un vicolo alla fine del quale c’è il dilemma tra la persona e la legge. I farisei tentavano di portare in questo vicolo Gesù. Ma lui esce totalmente da questa prospettiva, e dice che l’adulterio è un grande male che distrugge la verità della persona umana che tradisce. E proprio perché è un grande male, Gesù, per toglierlo, non distrugge la persona che lo ha commesso, ma la guarisce da questo male e raccomanda di non incorrere in questo grande male che è l’adulterio. «Neanche io ti condanno, va e non peccare più». Questa è la misericordia di cui solo il Signore è capace. Questa è la misericordia che la Chiesa, di generazione in generazione, annuncia. La Chiesa deve dire che cosa è male. Ha ricevuto da Gesù il potere di guarire, ma alla stessa condizione. È verissimo che il perdono è sempre possibile: lo è per l’assassino, lo è anche per l’adultero. Era già una difficoltà che facevano i fedeli ad Agostino: si perdona l’omicidio, ma nonostante ciò la vittima non risorge. Perché non perdonare il divorzio, questo stato di vita, il nuovo matrimonio, anche se una “reviviscenza” del primo non è più possibile? La cosa è completamente diversa. Nell’omicidio si perdona una persona che ha odiato un’altra persona, e si chiede il pentimento su questo. La Chiesa in fondo si addolora non perché una vita fisica è terminata, bensì perché nel cuore dell’uomo c’è stato un tale odio da indurre perfino a sopprimere la vita fisica di una persona. Questo è il male, dice la Chiesa. Ti devi pentire di questo e ti perdonerò. Nel caso del divorziato risposato, la Chiesa dice: “Questo è il male: il rifiuto del dono di Dio, la volontà di spezzare il vincolo messo in atto dal Signore stesso”. La Chiesa perdona, ma a condizione che ci sia il pentimento. Ma il pentimento in questo caso significa tornare al primo matrimonio. Non è serio dire: sono pentito ma resto nello stesso stato che costituisce la rottura del vincolo, della quale mi pento. Spesso – si dice – non è possibile. Ci sono tante circostanze, certo, ma allora in queste condizioni quella persona è in uno stato di vita oggettivamente contrario al dono di Dio. La Familiaris Consortio lo dice esplicitamente. La ragione per cui la Chiesa non ammette i divorziati-risposati all’Eucaristia non è perché la Chiesa presuma che tutti coloro che vivono in queste condizioni siano in peccato mortale. La condizione soggettiva di queste persone la conosce il Signore, che guarda nella profondità del cuore. Lo dice anche San Paolo: “Non vogliate giudicare prima del tempo”. Ma perché – ed è scritto sempre nella Familiaris Consortio – “il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quella unione di amore fra Cristo e la Chiesa significata e attuata dall’Eucaristia” (FC 84). La misericordia della Chiesa è quella di Gesù, quella che dice che è stata deturpata la dignità di sposo, il rifiuto del dono di Dio. La misericordia non dice: “Pazienza, vediamo di rimediare come possiamo”. Questa è la tolleranza essenzialmente diversa dalla misericordia. La tolleranza lascia le cose come sono per ragioni superiori. La misericordia è la potenza di Dio che toglie dallo stato di ingiustizia.

Non si tratta di accomodamento, dunque.
Non è un accomodamento, sarebbe indegno del Signore una cosa del genere. Per fare gli accomodamenti bastano gli uomini. Qui si tratta di rigenerare una persona umana, e di questo è capace solo Dio e in suo nome la Chiesa. San Tommaso dice che la giustificazione di un peccatore è un’opera più grande che la creazione dell’universo. Quando viene giustificato un peccatore, accade qualcosa che è più grande di tutto l’universo. Un atto che magari avviene in un confessionale, attraverso un sacerdote umile, povero. Ma lì si compie un atto più grande della creazione del mondo. Non dobbiamo ridurre la misericordia ad accomodamenti, o confonderla con la tolleranza. Questo è ingiusto verso l’opera del Signore.

Uno degli assunti più citati da chi auspica un’apertura della Chiesa alle persone che vivono in situazioni considerate irregolari è che la fede è una ma i modi per applicarla alle circostanze particolari devono essere adeguati ai tempi, come la Chiesa ha sempre fatto. Lei che ne pensa?

La Chiesa può limitarsi ad andare là dove la portano i processi storici come fossero derive naturali? Consiste in questo annunciare il Vangelo? Io non lo credo, perché altrimenti mi chiedo come si faccia a salvare l’uomo. Le racconto un episodio. Una sposa ancora giovane, abbandonata dal marito, mi ha detto che vive nella castità ma fa una fatica terribile. Perché, dice, “non sono una suora, ma una donna normale”. Ma mi ha detto che non potrebbe vivere senza Eucaristia. E quindi anche il peso della castità diventa leggero, perché pensa all’Eucaristia. Un altro caso. Una signora con quattro figli è stata abbandonata dal marito dopo più di vent’anni di matrimonio. La signora mi dice che in quel momento ha capito che doveva amare il marito nella croce, “come Gesù ha fatto con me”. Perché non si parla di queste meraviglie della grazia di Dio? Queste due donne non si sono adeguate ai tempi? Certo che non si sono adeguate ai tempi. Resto, le assicuro, molto male nel prendere atto del silenzio, in queste settimane di discussione, sulla grandezza di spose e sposi che, abbandonati, restano fedeli. Ha ragione il professor Grygiel quando scrive che a Gesù non interessa molto cosa pensa la gente di lui. Interessa cosa pensano i suoi apostoli. Quanti parroci e vescovi potrebbero testimoniare episodi di fedeltà eroica. Dopo un paio d’anni che ero qui a Bologna, ho voluto incontrare i divorziati-risposati. Erano più di trecento coppie. Siamo stati assieme un’intera domenica pomeriggio. Alla fine, più d’uno m’ha detto di aver capito che la Chiesa è veramente madre quando impedisce di ricevere l’Eucaristia. Non potendo ricevere l’Eucaristia, comprendono quanto sia grande il matrimonio cristiano, e bello il Vangelo del matrimonio.

Sempre più spesso viene sollevato il tema del rapporto tra il confessore e il penitente, anche come possibile soluzione per venire incontro alla sofferenza di chi ha visto fallire il proprio progetto di vita. Qual è il suo pensiero?

La tradizione della Chiesa ha sempre distinto – distinto, non separato – il suo compito magisteriale dal ministero del confessore. Usando un’immagine, potremmo dire che ha sempre distinto il pulpito dal confessionale. Una distinzione che non vuol significare una doppiezza, bensì che la Chiesa dal pulpito, quando parla del matrimonio, testimonia una verità che non è prima di tutto una norma, un ideale verso cui tendere. A questo momento entra con amorevolezza il confessore, che dice al penitente: “Quanto hai sentito dal pulpito, è la tua verità, la quale ha a che fare con la tua libertà, ferita e fragile”. Il confessore conduce il penitente in cammino verso la pienezza del suo bene. Non è che il rapporto tra il pulpito e il confessionale sia il rapporto tra l’universale e il particolare. Questo lo pensano i casuisti, soprattutto nel Seicento. Davanti al dramma dell’uomo, il compito del confessore non è di far ricorso alla logica che sa passare dall’universale al singolare. Il dramma dell’ uomo non dimora nel passaggio dall’universale al singolare. Dimora nel rapporto tra la verità della sua persona e la sua libertà. Questo è il cuore del dramma umano, perché io con la mia libertà posso negare ciò che ho appena affermato con la mia ragione. Vedo il bene e lo approvo, e poi faccio il male. Il dramma è questo. Il confessore si pone dentro questo dramma, non al meccanismo universale-particolare. Se lo facesse inevitabilmente cadrebbe nell’ipocrisia e sarebbe portato a dire “va bene, questa è la legge universale, però siccome tu ti trovi in queste circostanze, non sei obbligato”. Inevitabilmente, si elaborerebbe una fattispecie ricorrendo la quale, la legge diventa eccepibile. Ipocritamente, dunque, il confessore avrebbe già promulgato un’altra legge accanto a quella predicata dal pulpito. Questa è ipocrisia! Guai se il confessore non ricordasse mai alla persona che si trova davanti che siamo in cammino. Si rischierebbe, in nome del Vangelo della misericordia, di vanificare il Vangelo dalla misericordia. Su questo punto Pascal ha visto giusto nelle sue Provinciali, per altri versi profondamente ingiuste. Alla fine l’uomo potrebbe convincersi che non è ammalato, e quindi non è bisognoso di Gesù Cristo. Uno dei miei maestri, il servo di Dio padre Cappello, grande professore di diritto canonico, diceva che quando si entra in confessionale non bisogna seguire la dottrina dei teologi, ma l’esempio dei santi.

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«Santità, la prego risponda a queste tre domande su Amoris Laetitia»

«Con tutto il rispetto, l’affetto, e la devozione che sento per il Santo Padre gli direi: “Santità, chiarisca, per favore, questi punti». Comincia così l’intervista che il cardinale Carlo Caffarra ha rilasciato alla studiosa tedesco-americana Maike Hickson e pubblicata l’11 luglio sul blog OnePeter5. Il tema della lunga intervista è l’Amoris Laetitia di papa Francesco e l’interpretazione che recentemente ne ha dato il cardinale Christof Schönborn. Nei giorni scorsi La Nuova BQ ha pubblicato degli articoli critici (qui e qui) sulle tesi espresse dal cardinale Schonborn a padre Antonio Spadaro per la Civiltà Cattolica. Oggi, come già annunciato, pubblichiamo il testo integrale dell’intervista di monsignor Caffarra. 

 In una recente intervista Lei ha parlato dell’esortazione Amoris Laetitia, e ha detto che in particolare il capitolo 8 non è chiaro e ha già causato confusione anche tra i vescovi. Se avesse la possibilità di parlare con Papa Francesco su questo argomento, cosa vorreste dirgli? Quale sarebbe la vostra raccomandazione su ciò che Papa Francesco potrebbe o dovrebbe fare, dato che c’è tanta confusione? 

«In Amoris Laetitia [308] il Santo Padre Francesco scrive: “capisco coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione”. Da queste parole deduco che anche Sua Santità si rendeva conto che l’insegnamento dell’Esortazione poteva dare origine a confusioni nella Chiesa. Personalmente, e così pensano tanti miei fratelli in Cristo cardinali, vescovi, e fedeli laici, desidero che la confusione sia tolta, ma non perché preferisco una pastorale più rigida, ma semplicemente preferisco una pastorale più chiara, meno ambigua. Ciò premesso, con tutto il rispetto, l’affetto, e la devozione che sento per il Santo Padre gli direi: “Santità, chiarisca, per favore, questi punti: 

1) quanto Vostra Santità dice alla nota 351 del n°305, è applicabile anche ai divorziati risposati che intendono comunque continuare a vivere more uxorio; e pertanto quanto insegnato da Familiaris consortio n°84, da Reconciliatio et poenitentia n°34, da Sacramentum caritatis n°29, dal Catechismo della Chiesa Cattolica n°1650, dalla comune dottrina teologica, è da ritenersi abrogato?

2) l’insegnamento costante della Chiesa e ultimamente rinnovato da Veritatis splendor n°79, che esistono norme morali negative, che non ammettono eccezioni, in quanto proibiscono atti, quale per es. l’adulterio, intrinsecamente disonesti, è da ritenersi valido anche dopo Amoris Laetitia? Ecco questo direi al Santo Padre.Se poi il S. Padre, nel suo sovrano giudizio, avesse intenzione di intervenire pubblicamente per togliere confusione, ha a disposizione molti modi».

Lei è anche un teologo morale. Qual è il Suo consiglio per i cattolici confusi per quanto riguarda l’insegnamento morale della Chiesa cattolica sul matrimonio e la famiglia? Che cosa è una coscienza autorevole, ben formata, quando si tratta di questioni come la contraccezione, il divorzio e le seconde nozze, così come l’omosessualità? 

«La condizione in cui versa oggi in Occidente il matrimonio, è semplicemente tragica. Le leggi civili ne hanno cambiato la definizione, poiché lo hanno sradicato dalla dimensione biologica della persona umana. Hanno separato la biologia della generazione dalla genealogia della persona. Ma di questo parlerò dopo. Ai fedeli cattolici così confusi circa la dottrina della fede riguardo al matrimonio dico semplicemente: “leggete e meditate il Catechismo della Chiesa Cattolica nn.1601-1666. E quando sentite qualche discorso sul matrimonio, anche se fatto da sacerdoti, vescovi, cardinali, e verificate che non è conforme al Catechismo, non ascoltateli. Sono ciechi che conducono altri ciechi”».

Potrebbe spiegare, in questo contesto, il concetto morale che nulla di ciò che è ambiguo vincola la coscienza cattolica, e in modo particolare quando è dimostrato essere intenzionalmente ambiguo? 

«I logici ci insegnano che una proposizione è ambigua quando può essere interpretata in due significati diversi e/o contrari. E’ ovvio che una tale proposizione non può avere il nostro assenso teorico e/o pratico, perché non ha un significato certo».

Al fine di aiutare i cattolici in questo periodo di grande confusione, ci sarebbe qualcosa che Papa Pio XII potrebbe ancora insegnare a noi, per quanto riguarda le questioni del matrimonio e del divorzio, la formazione dei bambini alla Vita Eterna, dal momento che ha così ampiamente scritto su queste cose? 

«Il magistero di Pio XII sul matrimonio e sull’educazione dei figli è stato molto ricco e frequente. E infatti, dopo la Sacra Scrittura è l’autore più citato dal Vaticano II. Mi sembra che ci siano due discorsi particolarmente importanti per rispondere alla sua domanda. Il primo è il Radiomessaggio sulla coscienza cristiana che deve essere rettamente educata nei giovani del 23 marzo 1952, in AAS vol. 44, 270-278. Il secondo è il Discorso in occasione del Congresso della Féderation mondiale des Jeunesses Fèminines Catholique, ibid. 413-419. Questo secondo è di grande importanza magisteriale: tratta dell’etica della situazione».

Il gesuita tedesco, padre Klaus Mertes, ha appena detto in un’intervista a un giornale tedesco che la Chiesa cattolica «dovrebbe aiutare a stabilire un diritto umano di omosessualità». Quale dovrebbe essere la corretta risposta della Chiesa a tale proposta? 

«Sinceramente non riesco a comprendere come un teologo cattolico possa pensare e scrivere di un diritto umano legato alla omosessualità. In senso preciso un diritto (soggettivo) è una facoltà moralmente legittimata e legalmente tutelata di compiere un’azione. L’esercizio dell’omosessualità è intrinsecamente irragionevole e quindi disonesta. Un teologo cattolico non può pensare che la Chiesa deve impegnarsi per “stabilire un diritto umano all’omosessualità”».

Più fondamentalmente, fino a che punto gli uomini possono avere un diritto umano, ad esempio, una richiesta di giustizia – per fare ciò che è sbagliato agli occhi di Dio, come, ad esempio, praticare la poligamia?

«Il tema dei diritti soggettivi ha ormai cambiato in modo sostanziale di senso. Si identifica il diritto con i propri desideri. Ma non abbiamo qui lo spazio per affrontare questa tematica dal punto di vista del legislatore umano».

L’intervistatrice pone al cardinale due domande con tre quesiti, tutti riguardano l’insegnamento tradizionale della Chiesa circa i fini a cui è ordinato il matrimonio e il primato della procreazione e dell’educazione dei figli per il Cielo, NdR

«Il rapporto amore coniugale-procreazione/ educazione è una correlazione, direbbero i filosofi. Cioè: è un rapporto di interdipendenza fra due realtà distinte. L’amore coniugale sessualmente espresso quando i due coniugi diventano una sola carne, è l’unico luogo eticamente degno di dare origine ad una nuova persona umana. La capacità di dare origine ad una nuova persona umana è inscritta nell’esercizio della sessualità coniugale, la quale è il linguaggio sponsale della reciproca donazione fra gli sposi. In breve: coniugalità e dono della vita sono inscindibili. Che cosa è accaduto sopratutto dopo il Concilio? Contro l’insegnamento del Concilio stesso, si è talmente insistito sull’amore coniugale, da considerare la procreazione una semplice conseguenza collaterale dell’atto dell’amore coniugale. Il beato Paolo VI nell’Enciclica Humanae Vitae corresse questa visione, giudicandola contraria e alla retta ragione e alla fede della Chiesa. E San Giovanni Paolo II, nell’ultima parte delle sue stupende Catechesi sull’amore umano mostrò il fondamento antropologico dell’insegnamento del suo predecessore: l’atto della contraccezione è obbiettivamente una menzogna detta con il linguaggio sponsale del corpo. Quali le conseguenze di questo insegnamento? La prima e la più grave è stata la separazione tra sessualità e procreazione. Si è partiti dal sex without babies e si è arrivati al babies without sex: la separazione è completa. La biologia della generazione è separata dalla genealogia della persona. Si giunge così a “produrre” i bambini in laboratorio; e all’affermazione di un [supposto] diritto al figlio. Un non senso. Non esiste un diritto ad una persona, ma solo alle cose. A questo punto c’erano tutte le premesse per nobilitare la condotta omosessuale, perché non si vede più la sua intima irragionevolezza, e la grave intrinseca disonestà della congiunzione omosessuale. E così siamo giunti a cambiare la definizione di matrimonio, perché l’abbiamo sradicato dalla biologia della persona. Veramente Humanae Vitae è stata una grande profezia!

Che cos’è, nella sua essenza, il fine del matrimonio e della famiglia?

«É l’unione legittima tra un solo uomo e una sola donna in vista della procreazione ed educazione dei figli. Se i due sono battezzati, questa stessa realtà – non un’altra – diviene il simbolo reale dell’unione Cristo-Chiesa. E li pone in uno stato di vita pubblico nella Chiesa, con un ministero loro proprio: la trasmissione della fede ai loro figli».

Nel contesto dell’attuale aumento di confusione morale: a che punto l’indifferentismo religioso può portare al relativismo morale (per esempio, l’affermazione che si può essere salvi in qualsiasi religione.)? Per essere più precisi, se una religione favorisce la poligamia, ma si afferma che è salvifica, non si arriva quindi alla conclusione che la poligamia, dopo tutto, non è illecita?

«Il relativismo è come una metastasi. Se accetti i suoi principi, ogni esperienza umana sia personale che sociale viene corrotta. L’insegnamento del beato J.H. Newman è al riguardo di grandissima attualità. Egli verso la fine della sua vita, disse che il germe patogeno che corrompe il senso religioso e la coscienza morale, è il “principio liberale”, così egli lo chiama. E cioè: la convinzione che in ordine al culto che dobbiamo a Dio, è indifferente ciò che pensiamo di Lui; la convinzione che tutte le religioni hanno lo stesso valore. Newman giudica il principio così inteso completamente contrario a ciò che chiama “il principio dogmatico”, il quale sta alla base della proposta cristiana. Dal relativismo religioso al relativismo morale il passo è breve. Non c’è nessun problema nel fatto che una religione giustifichi la poligamia, ed un altra la condanni. Non esiste infatti nessuna verità assoluta riguardo a ciò che è bene/male».

Come commenterebbe la recente asserzione del cardinale Christoph Schönborn secondo cui la Amoris Laetitia è una dottrina obbligante e tutti i precedenti documenti del magistero su matrimonio e famiglia devono ora essere letti alla luce di Amoris Laetitia?

«Rispondo con due semplici osservazioni. La prima. Non si deve solo leggere il precedente magistero sul matrimonio alla luce di Amoris Laetitia, ma si deve leggere anche Amoris Laetitia alla luce del magistero precedente. La logica della vivente tradizione della Chiesa è bipolare. Ha due direzioni, non una. La seconda è più importante. Il mio caro amico cardinale Schönborn nell’intervista a La Civiltà Cattolica non tiene conto di un fatto che sta accadendo nella Chiesa dopo la pubblicazione di Amoris Laetitia. Vescovi e molti teologi fedeli alla Chiesa e al magistero sostengono che su un punto specifico ma molto importante non esiste continuità, ma contrarietà tra Amoris Laetitia e il precedente magistero. Questi teologi e filosofi non dicono questo con spirito di contestazione al Santo Padre. Ed il punto è questo: Amoris Laetitia dice che, date alcune circostanze, il rapporto sessuale fra divorziati-risposati è lecito. Anzi applica a questi, a riguardo delle intimità sessuali, ciò che il Concilio Vaticano II dice degli sposi [cfr. nota 329]. Pertanto o è lecito un rapporto sessuale fuori del matrimonio: affermazione contraria alla dottrina della Chiesa sulla sessualità; o l’adulterio non è un atto intrinsecamente disonesto, e quindi possono darsi delle circostanze a causa delle quali esso non è disonesto: affermazione contraria alla tradizione e dottrina della Chiesa. E quindi in una situazione come questa il Santo Padre, come già scrissi, deve secondo me chiarire. Se dico “S è P” e poi dico “S non è P”, la seconda proposizione non è uno sviluppo della prima, ma la sua negazione. Né si risponda: la dottrina resta, si tratta di prendersi cura di alcuni casi. Rispondo: la norma morale “non commettere adulterio” è una norma negativa assoluta, che non ammette eccezioni. Ci sono molti modi fare il bene, ma c’è un solo modo di non fare il male: non fare il male».

In generale, qual è la sua raccomandazione di pastore per noi laici su ciò che dobbiamo fare ora, al fine di preservare la fede cattolica, tutta e intera, e in ordine al crescere i nostri figli per la vita eterna?

«Le dirò molto sinceramente che non vedo altro luogo in cui possa trasmettersi la fede che si deve credere e vivere, all’infuori della famiglia. Ciò che in Europa durante il crollo dell’impero romano e le invasioni barbariche hanno fatto i monasteri benedettini, oggi nell’impero della nuova barbarie spirituale-antropologica lo possono fare le famiglie credenti. E grazie a Dio esistono ancora. A questa riflessione mi stimola un piccolo poema di Chesterton, scritto all’inizio del XX secolo: La ballata del cavallo bianco. É una grande meditazione poetica su un fatto storico. E’ l’anno 878. Il re d’Inghilterra Alfredo il Grande aveva appena sconfitto il re di Danimarca Guthrum, che aveva invaso l’Inghilterra. É dunque un momento di pace e serenità. Ma durante la notte dopo la vittoria, il re Alfredo ha un terribile sogno: vede l’Inghilterra invasa da un altro esercito, così descritto. “…arriveranno con carta e penna [uno strano esercito che non ha armi, ma carta e penna]/ e avranno l’aspetto serio e pulito dei chierici,/ da questo segno li riconoscerete,/ dalla rovina e dal buio che portano;/ da masse di uomini devoti al Nulla/…riconoscerete gli antichi barbari,/ saprete che i barbari sono tornati”. Le famiglie credenti saranno le vere fortezze. E il futuro è nella mani di Dio».

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