Lettera inedita di Ratzinger ad un amico sul luogo di Culto (imperdibile)

Un preziosissimo inedito e molto importante anche alla luce delle recenti devastazioni nei luoghi di Culto cattolici, ed alle insopportabili profanazioni alle quali i Pastori ci stanno obbligando.  Ratzinger scrive ad un amico, storico d’arte, il quale aveva chiesto chiarimenti sul luogo di culto che all’epoca aveva assunto diverse interpretazioni col dilagare della teologia protestante. Ratzinger spiega l’errore di Heinz Schürmann e la visione protestante e difende il luogo di culto portato avanti dalla Tradizione Cattolica. Ecco perché vi invitiamo a non estrapolare singole parti, ma a condividere il testo integralmente, citando la fonte, grazie.


Egregio signore… (*)

… Devo ammettere che io avrei certe obiezioni a costruire la figura della festa liturgica e perfino la forma di base dell’edificio della chiesa partendo troppo direttamente e con troppa esclusività dalla messa. A questo proposito le importanti ricerche di Heinz Schürmann sulla forma delle feste liturgiche, hanno portato a nuovi e decisivi giudizi.

Schürmann mostra che la liturgia cristiana viene fondata nella cena, ma ancora all’interno di una liturgia giudaica, cioè quando la croce e la risurrezione avevano sì operato la separazione tra la chiesa e il popolo di Dio dell’Antico Testamento, ma essa non era ancora stata completata nella liturgia. Così la cena pasquale come tale non venne semplicemente ripetuta, e non sarebbe stato possibile perché il banchetto pasquale era legato ad una scadenza annuale. Ciò che si doveva ripetere, la novità stabilita da Cristo, doveva crearsi prima la sua nuova forma specifica, e lo ha fatto molto in fretta.

La formulazione di essa si concretò, in primo luogo, in un evidente iato tra un banchetto che sazia e un banchetto di signori, dove il banchetto di signori per mezzo dell’anamnesi della storia della salvezza, che l’Eucarestia comporta, sperimenta subito uno spostamento d’accento nel senso di un dominio della parola, spostamento che si esprime chiaramente nella denominazione di tutta la celebrazione col termine di Eucarestia (prende le mosse dunque dalla parola).

Perfino il legame con l’agape, già allentatosi, non poteva avere lunga vita; Paolo rimuove la crisi della cena presso i Corinti proibendo le agapi (Non avete le case per mangiare e bere?) e dà così alla liturgia cristiana una forma pura di servizio divino. Questo ha due significati:

  1. Si può parlare soltanto con notevoli limitazioni di una forma di banchetto dell’Eucarestia. Per quanta diffusione abbia avuto, ciò si basa tuttavia su un affrettato giudizio storico, che non fa attenzione al fatto che con la cena di Gesù era posta sì la base, ma non era ancora fissata la forma della liturgia cristiana.
  2. Una reinstaurazione dell’agape difficilmente potrebbe essere possibile dopo 1Cor. 11,22. Il fatto che l’agape venisse eliminata in tutta la chiesa molto presto, ancora nell’epoca apostolica e per autorità apostolica, ha i suoi pressanti motivi, sia teologici che umani..

Oltre a quanto già detto, mi sembra necessario richiamare all’attenzione che entrano a far parte della liturgia cristiana, come grandezze costitutive, non soltanto l’azione «liturgica» del Signore, l’Ultima cena, ma anche quelle stesse realtà che rappresentano la garanzia del discorso liturgico di Gesù grazie alla realtà del suo agire e del suo soffrire, cioè la croce e la risurrezione.

Questa componente di realtà, di cui sempre si deve tener conto come di un retroscena, disperde ancora una volta ogni argomentazione basata solo sulla cena e spalanca il verticale come dimensione prevalente ed essenziale del servizio divino. Sarà sempre un compito della liturgia, e dell’arte ad essa indirizzata, esprimere in mezzo all’orizzontalità dell’assemblea umana questa verticalità; qui mi sembra trovare il suo posto il forte slancio dello stile gotico.

Io avrei delle obiezioni anche contro un orientamento troppo forte della liturgia cristiana verso l’idea della cerchia domestica. Naturalmente è affermato dalla situazione reale che la celebrazione eucaristica si svolge in un primo momento nella casa. Ma l’idea della domesticità è stata tagliata alla radice fin dall’inizio con grande energia; nell’Eucarestia, secondo la convinzione cristiana, non si incontra un gruppo o una cerchia di amici, ma la visibile grandezza del popolo di Dio, che è paragonabile per la sua pretesa posizione non a delle unioni culturali, ma solo alla grandezza politica dell’impero romano e della sua cittadinanza.

Erik Peterson, nelle sue ricerche (in modo particolare e anche in parecchi articoli nei trattati teologici), ha messo in risalto in forma convincente queste affermazioni paradossali, per cui i primi gruppi di cristiani, numericamente esigui, non si mettevano, come era naturale, sul piano delle unioni di culto private (cosa che avrebbe risparmiato loro molti dispiaceri, perché esse erano liberamente permesse dal diritto romano), ma si vedevano nell’ordine di grandezza dell’impero e rischiavano così lo scontro con esso.

Esistevano perciò un motivo interiore che portò la comunità cristiana a raccogliersi nella costruzione imperiale della basilica, non appena lo permisero le possibilità esterne. La cattedrale perciò è una forma derivata dall’intimo del cristianesimo e non un semplice adattamento politico, oppure una alienazione politica. Ciò che si presenta nello stretto riferimento iniziale sia alla sinagoga che alla casa mi sembra essere propriamente soltanto il motivo della continuità; benché la fede cristiana sia entrata nel mondo come novità, si è realizzata, con molta fermezza, nella continuità della fede dei predecessori ed ha rifiutato con tutta severità la tendenza contraria di Marcione.

Questo tendere alla continuità ha valore non soltanto per la formazione di liturgia e dogma nella chiesa e per lo sviluppo dell’arte cristiana, ma anche, inequivocabilmente, per una vera predicazione di Gesù, che non cerca una rottura, ma si realizza nella più intima unità con la storia dell’Israele credente. Per questo c’è anche oggi, a partire da qui, qualcosa di realmente essenziale da imparare, a mio giudizio: la continuità deve avere valore di legge fondamentale nello sviluppo della fede e della pietà; se già la vita, la morte e la risurrezione di Gesù non potevano condurre ad una rottura con la fede di Israele, ancora meno esiste un qualche diritto, in qualsiasi periodo della storia della chiesa, di spezzare la continuità della storia della fede.

Infine io avrei anche delle serie obiezioni a trasferire nell’aula ecclesiastica celebrazioni di feste di ogni tipo. Certo, la purificazione del tempio operata da Gesù ha un significato anzitutto nella teologia della croce, ha un senso pneumatologico ed universalizzante. Ma rimane anche incalcolabile l’impulso alla purificazione di cose, che erano senz’altro in rapporto col servizio divino, e che ciononostante erano di ostacolo alla sua dignità. Fa seguito Paolo, che espelle le gioie conviviali dal luogo di assemblea della comunità.

Sulla stessa linea sta la lotta di Agostino e dei suoi amici contro i banchetti funebri nella chiesa della zona mediterranea. Si può supporre la durezza di questo conflitto se si osserva come esso risuona in continuazione nelle prediche e nelle riflessioni di Agostino, spesso con l’amaro sapore dell’indignazione e dell’impopolarità, che questa lotta gli procurava.

Si deve stare attenti al fatto che tale purificazione delle chiese non le ha ridotte affatto a case deserte, ma le ha riempite per la prima volta di vera vita, in quanto si sviluppava qualcosa di totalmente nuovo, del tutto inconcepibile a partire dai templi degli antichi; nasceva la costante e silenziosa preghiera dei fedeli nelle loro case divine, nelle quali si sapevano vicini non soltanto al loro Dio, ma a tutta la società dei santi, alla chiesa vivente.

Nell’era moderna erano deserte non le chiese cattoliche, rigorosamente riservate al servizio divino, ma gli edifici ecclesiastici protestanti, nei quali si svolgevano assemblee politiche e di ogni altro genere. Ma appunto perché vi accadeva tutto questo, esse erano anche vuote e prive di vita, quando non c’era proprio nessun avvenimento; e questo, in fin dei conti, era il caso normale, perché gli uomini non possono sempre stare a fare delle manifestazioni.

L’apertura ad organizzazioni di ogni genere ha distrutto il mondo della preghiera, gli ha sottratto lo spazio ed ha tolto la vita alle chiese. Purtroppo si deve ammettere che anche gli edifici del culto cattolico da secoli non erano così deserti come lo sono dagli ultimi quattro o cinque anni e che non ci sono chiese così deserte come quelle che si sono «aperte» ad usi molteplici.

Io credo perciò che ogni sforzo dovrebbe tendere a far sorgere di nuovo quella ricca e straordinaria vita, che ha dato alle chiese cattoliche il loro grande respiro ed il loro incomparabile calore

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(*) Lettera ad un amico sul problema del luogo del servizio divino  del 1972, un vero inedito pubblicato nel libro Dogma e Predicazione.

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