Cari Sacerdoti: l’uso dell’incenso nella Messa non è un optional…

«Perciò dobbiamo ritrovare il coraggio del sacro, il coraggio della distinzione di ciò che è cristiano; non per creare steccati, ma per trasformare, per essere realmente dinamici» (J. Ratzinger, Servitori della vostra gioia,  2002).

“Per intercessionem beati Michaelis Archangeli, stantis a dextris altaris incensi, et omnium electorum suorum, incensum istud dignetur Dominus benedicere, et in odorem suavitatis accipere – Per intercessione di san Michele arcangelo, che sta alla destra dell’altare dell’incenso, e di tutti i suoi santi, il Signore voglia benedire questo incenso e accoglierlo come profumo a Lui gradito. Questa benedizione è più solenne della prima, nella quale si dice: Ab illo benedicaris, in cuius honore cremaberis – Ti benedica Colui in onore del quale sarai bruciato. Qui sono invocati gli angeli perché il mistero dell’incenso non rappresenta altro che la preghiera dei santi presentata a Dio dagli angeli, come dice san Giovanni nell’Apocalisse (8,4): Et ascendit fumus incensorum de orationibus sanctorum de manu angeli coram Deo – E dalla mano dell’Angelo il fumo degli aromi ascende con la preghiera dei santi davanti a Dio.”


Ringraziamo il sito “Cantuale Antonianum” dal quale riportiamo una bellissima rassegna per tentare di capire bene il senso dell’uso dell’incenso nella Liturgia. A seguire anche un bell’articolo di mons. Nicola Bux.

modusincensandioblataL’uso dell’incenso nella liturgia: significato teologico & modalità pratiche

La sparizione dell’uso dell’incenso nella Messa riformata di Paolo VI è qualcosa di assolutamente inspiegabile. Infatti mentre nel rito romano classico l’uso dell’incenso era strettamente regolato, confinato alla sola messa cantata e alla messa solenne (da quest’ultima non poteva mai mancare), nel rito riveduto l’uso dell’incenso è stato invece ampiamente liberalizzato.

Ma proprio da quando lo si può usare sempre e comunque, il turibolo fumigante è sparito dalle nostre chiese. Riappare immancabilmente al termine dei funerali, prendendo così un senso di mestizia e di lutto che non gli è affatto appropriato.

Forse il motivo è da ricercare nella traduzione sibillina di una rubrica del num. 276 dei Principi e norme per l’uso del Messale Romano: l’utilizzo dell’incenso, in latino, è ad libitum, ma invece di tradurre questa locuzione con a piacere, nel testo CEI l’incensazione in tutte le messe è diventata semplicemente facoltativa. E si sa, nella mentalità del clero di un certo stampo, tutto quello che è facoltativo significa sconsigliato (leggasi: inutile orpello).

Ad libitum, propriamente, è invece un’espressione della lingua latina che significa “a piacere”, “a volontà”! Altro che non obbligatorio, opzionale, non richiesto (cioè facoltativo)! E’ facoltativo in senso positivo (cioè hai facoltà di usarlo), ma questa accezione in italiano non è più normalmente percepita, pertanto la traduzione può risultare ingannevole.
Visto poi che l’incenso esprime riverenza e preghiera, perchè mai privarsene, visto che lo si può usare, proprio nel nostro tempo che ha tanto bisogno di segni fisici di preghiera e devozione?
Tra l’altro, proprio i più spinti propugnatori della postmodernità, affermano che bisogna coinvolgere tutti i sensi nel rito, non solo “l’anima”, ma anche il corpo. Il profumo soave dell’incenso, si sa, fa entrare volenti o nolenti in “clima” mistico (come dimostra il suo uso nelle varie religioni, non solo nel cristianesimo).

Ma in realtà c’è di più. La mia teoria è che l’incenso, essendo un segno tipicamente sacrificale (= bruciare una cosa preziosa con l’intenzione di offrirla a Dio), sia stato messo in disparte proprio per questo suo inequivocabile e ancestrale richiamo, non certo adatto ad una festa, ad una cena tra amici, o cose del genere. Il levarsi delle volute di fumo profumato non può che richiamare il tempio e Dio a cui si offre la vittima in olocausto, accompagnandola con soave profumo. Nei riti offertoriali della Messa questo era (ed è tuttora) evidente.

Già presso i pagani, l’incenso veniva bruciato davanti alle immagini degli dei e davanti all’imperatore ad essi equiparato.
Nei primi secoli del cristianesimo, numerosi cristiani furono martirizzati per essersi rifiutati di compiere questo gesto idolàtrico. In seguito, tanto era forte il richiamo sgradevole della persecuzione dei non turificanti, per distinguere il culto cristiano da quello pagano, l’uso dell’incenso dalla liturgia fu addirittura soppresso. Esso venne ripristinato soltanto dopo l’editto di Costantino e il declino del paganesimo. A Roma non si usavano però turiboli o cose orientali del genere. Il poco incenso che si utilizzava era sparso in appositi bracieri. L’incenso all’offertorio è rientrato dal IX sec. nella liturgia carolingia e addirittura nell’XI nella liturgia romana.

L’incenso nella Bibbia:

Per quanto riguarda la liturgia dell’Antico Testamento, Mosè riceve dal Signore l’ordine di costruire un altare speciale riservato all’incenso per il culto divino:

  • “Farai un altare sul quale bruciare l’incenso: lo farai di legno di acacia (…). Rivestirai d’oro puro il suo piano, i suoi lati, i suoi corni e gli farai intorno un bordo d’oro (…). Porrai l’altare davanti al velo che nasconde l’arca della Testimonianza, di fronte al coperchio che è sopra la testimonianza, dove io ti darò convegno. Aronne brucerà su di esso l’incenso aromatico: lo brucerà ogni mattina quando riordinerà le lampade e lo brucerà anche al tramonto, quando Aronne riempirà le lampade: incenso perenne davanti al Signore per le vostre generazioni (…). È cosa santissima per il Signore” (Es 30,1-10).

L’incenso, veniva posto anche sopra le oblazioni bruciate sull’altare come memoriale: “profumo soave per il Signore” (cfr. Lv 2).

Più tardi, nel Tempio di Gerusalemme, nella ricorrenza annuale dell’Espiazione (Yom Kippur), il sommo sacerdote, oltrepassava il velo del Tempio ed entrava con l’incensiere nel Santo dei Santi, per bruciarvi “due manciate di incenso odoroso polverizzato”, allora, una nube densa e profumata, avvolgeva ogni parte del luogo santissimo in cui era custodita l’Arca dell’Alleanza (cfr. Lv 16,12-13).

In Israele, si incensavano le persone, gli oggetti, e i luoghi riservati al culto del Dio Unico. Tutti coloro che partecipavano al culto divino, erano invitati ad effondere un soave profumo spirituale: “Ascoltate, figli santi…Come incenso spandete un buon profumo” (Sir 39,13-14).

L’incenso, legato al culto degli Israeliti, sarà più tardi presente, con la sua ricca valenza simbolica, anche nella liturgia cristiana, soprattutto nelle Chiese d’Oriente.
Nel Vangelo di Matteo, viene descritto l’omaggio fatto a Gesù da alcuni personaggi misteriosi: i Magi. Costoro, giungendo dalle lontane terre di oriente per incontrare il “re dei Giudei”, gli offrono in dono, con l’oro e la mirra, anche l’odoroso incenso, custodito in scrigni preziosi (Cfr Mt 2,11).

  • Nel Nuovo Testamento leggiamo San Luca, all’inizio del suo Vangelo, quando descrive la nascita di Giovanni il Battista: “Tutta l’assemblea del popolo pregava fuori nell’ora dell’incenso. Allora gli apparve un angelo del Signore, ritto alla destra dell’altare dell’incenso. Quando lo vide, Zaccaria si turbò e fu preso da timore” (Lc.1, 10-12), per concludere, vediamo cosa dice al riguardo il libro dell’Apocalisse (8, 3-4): “Poi venne un altro angelo e si fermò all’altare, reggendo un incensiere d’oro. Gli furono dati molti profumi perché li offrisse insieme con le preghiere di tutti i santi bruciandoli sull’altare d’oro, posto davanti al trono. E dalla mano dell’angelo il fumo degli aromi salì davanti a Dio, insieme con le preghiere dei santi”.
  • Davanti al Bambino regale, i Magi praticano la proskýnesis, cioè si prosternano davanti a Lui. Questo è l’omaggio che si rende a un Re-Dio. A partire da ciò si spiegano poi anche i doni che i Magi offrono. Non sono regali pratici, che in quel momento forse sarebbero stati utili per la Santa Famiglia. I doni esprimono la stessa cosa della proskýnesis: sono un riconoscimento della dignità regale di Colui al quale vengono offerti. Oro e incenso vengono menzionati anche in Isaia 60,6 come doni di omaggio, che verranno offerti al Dio di Israele da parte dei popoli.
    Nei tre doni, la tradizione della Chiesa ha visto rappresentati – con alcune varianti – tre aspetti del mistero di Cristo: l’oro rimanderebbe alla regalità di Gesù, l’incenso al Figlio di Dio e la mirra al mistero della sua Passione. In effetti, nel Vangelo di Giovanni compare la mirra dopo la morte di Gesù: l’evangelista ci racconta che Nicodemo, per l’unzione della salma di Gesù, aveva procurato, fra l’altro, anche la mirra (cfr. 19,39).” (Benedetto XVI – Gesù di Nazaret – Terza parte)

_01 Incensazione 3La Chiesa antica

Nel IV secolo (epoca d’oro dei liturgisti), la famosa pellegrina Egeria, così descriveva una liturgia svoltasi nel Santo Sepolcro di Gerusalemme: “Quando si sono cantati questi tre salmi e fatte queste tre orazioni, ecco che vengono portati dei turiboli all’interno della grotta dell’Anastasi, perché tutta la basilica dell’Anastasi si riempia di profumi”. [Diario di Viaggio, 24,10]
La solenne incensazione del luogo da cui Cristo è risorto precedeva la lettura, da parte del vescovo, del Vangelo della risurrezione. L’uso dell’incenso nel Santo Sepolcro, ripropone l’immagine delle donne che portarono oli aromatici per imbalsamare il corpo del Signore e trovarono invece l’angelo che ne annunciava la gloriosa risurrezione (Cfr Mc 1,6).
Secondo San Paolo, tutti i cristiani, con la loro testimonianza di fede, spandono nel mondo il profumo di Cristo che si è offerto al Padre “in sacrificio di soave odore”(Cfr 2Cor 2,14-16; Ef 5,2).

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L’Ordinamento generale del Messale Romano, rivisto nel 2000, descrive così il senso e il modo di utilizzare nel rito eucaristico l’incenso (lo leggiamo in latino con le traduzioni interlineari):

De incensatione

276. Thurificatio seu incensatio reverentiam exprimit et orationem, ut in Sacra Scriptura significatur (cf. Ps. 140, 2; Apoc. 8, 3). L’incensazione esprime riverenza e preghiera, come è indicato nella sacra Scrittura (Cf. Sal 140, 2; Ap 8, 3).

Incensum ad libitum adhiberi potest in qualibet forma Missae:
Trad. CEI: L’uso dell’incenso in qualsiasi forma di Messa è facoltativo: (Leggi: anche nella messa solenne si può omettere)
Trad. Letterale: L’incenso può essere usato a piacere in qualsiasi forma di Messa: (Leggi: anche nella messa letta e quotidiana si può utilizzare!)

* durante processione ingressus; durante la processione d’ingresso;
* initio Missae, ad crucem et altare thurificandum; all’inizio della Messa, per incensare la croce e l’altare;
* ad processionem et ad proclamationem Evangelii; alla processione e alla proclamazione del Vangelo;
* pane et calice super altare depositis, ad thurificanda oblata, crucem et altare, necnon sacerdotem et populum; quando sono stati posti sull’altare il pane e il calice, per incensare le offerte, la croce e l’altare, il sacerdote e il popolo;
* ad ostensionem hostiae et calicis post consecrationem; alla presentazione dell’ostia e del calice dopo la consacrazione.

277. Sacerdos, cum incensum ponit in thuribulum, illud benedicit signo crucis, nihil dicens.
Il sacerdote quando mette l’incenso nel turibolo lo benedice tracciando un segno di croce, senza nulla dire.

Ante et post thurificationem fit profunda inclinatio personae vel rei quae incensatur, altari et oblatis pro Missae sacrificio exceptis.
Prima e dopo l’incensazione si fa un profondo inchino alla persona o alla cosa che viene incensata, non però all’altare e alle offerte per il sacrificio della Messa.

Tribus ductibus thuribuli incensantur: Ss.mum Sacramentum, reliquia sanctae Crucis et imagines Domini publicae venerationi expositae, oblata pro Missae sacrificio, crux altaris, Evangeliarium, cereus paschalis, sacerdos et populus.
Con tre colpi del turibolo si incensano: il SS. Sacramento, la reliquia della santa Croce e le immagini del Signore esposte alla pubblica venerazione, le offerte per il sacrificio della Messa, la croce dell’altare, l’Evangeliario, il cero pasquale, il sacerdote e il popolo.

Duobus ductibus incensantur reliquiae et imagines Sanctorum publicae venerationi expositae, et quidem initio tantum celebrationis, cum incensatur altare.
Con due colpi si incensano le reliquie e le immagini dei Santi esposte alla pubblica venerazione, unicamente all’inizio della celebrazione, quando si incensa l’altare.

Altare incensatur singulis ictibus hoc modo:
L’altare si incensa con singoli colpi in questo modo:

* si altare est a pariete seiunctum, sacerdos illud circumeundo incensat;
a) Se l’altare è separato dalla parete, il sacerdote lo incensa girandogli intorno;

* si vero altare non est a pariete seiunctum, sacerdos transeundo incensat primo partem dexteram, deinde partem sinistram.
b) Se invece l’altare è addossato alla parete, il sacerdote lo incensa passando prima la parte destra dell’altare, poi la sinistra.

Crux, si est super altare vel apud ipsum, thurificatur ante altaris incensationem, secus cum sacerdos transit ante ipsam.
La croce, se è sopra l’altare o accanto ad esso, viene incensata prima dell’altare; altrimenti quando il sacerdote le passa davanti.

Oblata incensat sacerdos tribus ductibus thuribuli, ante incensationem crucis et altaris, vel signum crucis super oblata thuribulo producens.
Il sacerdote incensa le offerte prima dell’incensazione della croce e dell’altare con tre colpi di turibolo, oppure facendo col turibolo il segno di croce sopra le offerte.

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CorpusDomini-Vocogno

Per i sacerdoti fermi alle rubriche della prima e seconda edizione del Messale: in questi numeri ci sono delle novità (ovvero un ripristino di ritualità antiche) che non sono ancora entrante nell’uso di molti celebranti (ovviamente per scarsa dimestichezza con il turibolo che vedono raramente).

1) Quando il sacerdote impone l’incenso, adesso lo benedice formando un segno di croce con la mano destra, senza dire nulla (questo perchè sono state abolite, ahimè, le parole che nel rito antico accompagnavano questo gesto. Il gesto è tornato – la preghiera no: ab illo benedicaris in cuius honore cremaberis; Ti benedica Colui in onore del quale sarai bruciato). Il fumo che proviene dall’incensiere – si sono ricordati i correttori delle rubriche – deve essere benedetto. Quando arriva alle narici dei credenti esso è portatore della benedizione che li avvolge e li pervade. Tutti i partecipanti al rito eucaristico sono incensati: tutti sono offerta gradita a Dio! Quale potente simbolismo del sacerdozio comune riscoperto dal Vaticano II! (Il sacerdozio comune, lo ricordo, abilita ad offrire se stessi in sacrificio vivente, santo e gradito a Dio, come e con Cristo).

2) Il sacerdote si inchina prima di incensare cose e/o persone, ma non ci si inchina prima di incensare le oblate sopra l’altare all’offertorio (come molti fanno).

2) Le oblate si possono incensare “facendo col turibolo il segno della croce” sopra di esse. Anche questo è un “ritorno” graditissimo (eppure poco utilizzato, perchè anche questo ad libitum). Vi posto qui sotto il disegno classico che guida i sacerdoti ad imparare come incensare le offerte nel rito romano. E’ oggi applicabile non solo al rito antico, ma come mostrano le rubriche rinnovate, anche al rito ordinario.
Se poi – cari sacerdoti – volete sussurrare mentalmente anche le parole che accompagnano l’incensazione cruciforme, penso possa essere un utile richiamo mistico del significato del gesto che state compiendo. Incensare muovendo il turibolo in forma di croce, rievoca evidentemente il sacrificio del Signore che sta per compiersi sull’altare; mentre l’incensazione circolare, significa che i doni e le offerte sono stati circoscritti, riservati cioè al culto divino.
Ecco lo schema dal Messale di Giovanni XXIII che illustra le modalità e le preghiere per incensare nella forma straordinaria:

Incensum istud, a te benedictum, ascendat ad te, Domine, et descendat super nos misericordia tua.
Quest’incenso da te benedetto, salga a te, o Signore, e discenda su di noi la tua misericordia

mentre incensa l’altare il sacerdote sussurrava il Salmo 140,2-4:
Dirigatur, Domine, oratio mea, sicut incensum in conspectu tuo:
elevatio manuum mearum sacrificium vespertinum.
Pone, Domine, custodiam ori meo, et ostium circumstantiæ labiis meis:
ut non declinet cor meum in verba malitiæ, ad excusandas excusationes in peccatis.
Come incenso salga a te la mia preghiera,
le mie mani alzate come sacrificio della sera.
Poni, Signore, una custodia alla mia bocca,
sorveglia la porta delle mie labbra.
Non lasciare che il mio cuore si pieghi a parole piene di malizia
per trovar scuse con cui giustificare i miei peccati.

restituendo il turibolo al diacono o al ministrante dice:
Accendat in nobis Dominus ignem sui amoris, et flammam æternæ caritatis. Amen.
Il Signore accenda in noi il fuoco del suo amore e la fiamma dell’eterna carità. Amen

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_01 Incensazione 2Dalla OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II in occasione della
LITURGIA COPTA DELLA «PREGHIERA DELL’INCENSO»
Basilica di Santa Maria Maggiore – Domenica, 14 agosto 1988

“Come incenso salga a te la mia preghiera,
le mie mani alzate come sacrificio della sera” (Sal 140, 1).

1. Con queste parole il salmista rende esplicito il legame simbolico tra la preghiera vespertina e il salire dell’incenso.

Il levarsi delle volute di incenso esprime con grande potenza evocativa l’anelito dello spirito umano a librarsi verso l’alto, a superare le angustie quotidiane, per riconoscere il senso della propria esistenza e ricongiungersi con Dio. Con l’incarnazione, il Verbo ha voluto assumere la natura umana ed è entrato in un nuovo rapporto anche con il cosmo, per presentarlo a Dio Padre quale offerta a lui gradita.

Nella visione sicura della fede, il bisogno di infinito, di perfezione, di comunione intima e profonda della creatura col Creatore non è semplice nostalgia o sogno dell’impossibile, ma è un pellegrinaggio ininterrotto, una tensione perenne, dell’uomo verso il suo fine che si esprime incessantemente in atteggiamenti di “condiscendenza”.

“Fecisti nos ad te, et inquietum est cor nostrum donec requiescat in te”, ci ricorda il santo vescovo Agostino (S. Augustini “Confessiones”, 1,1).

Questo incenso che sale senza tregua al cielo porta con sé l’aspirazione profonda del nostro cuore, verso Dio che si esprime nell’anelito della preghiera. L’incenso accompagna dunque il levarsi delle nostre mani al cielo, per offrire a Dio la nostra sete di lui e, nello stesso tempo, per presentargli persone e cose, desideri e aspirazioni.

…Partecipando all’odierna preghiera dell’incenso desideriamo fare nostri idealmente i toni variegati e molteplici di ogni liturgia della Tradizione dell’Oriente, anche di quelle che non si sono potute celebrare in questa alma città.

La liturgia copta, così adatta ad esprimere l’attesa vigilante del monaco che, con i fianchi cinti e le lucerne accese, accoglie il rivelarsi discreto, ma sicuro del suo Signore, è la voce mirabile, con cui oggi si esprime la fervida attesa della Chiesa per il Signore che viene….

4. Diletti fratelli e sorelle, amate questa vostra liturgia, nella quale e con la quale oggi prega con voi il Vescovo di Roma; sentitela come espressione viva della vostra sensibilità religiosa e culturale; vedetela come frutto originale di cui la Chiesa universale va fiera. Difendetene l’eredità, perché continui ad essere il luogo ove il palpito del vostro cuore si fa più spontaneamente preghiera. Siate sempre in continuità con la testimonianza gloriosa dei vostri padri nella fede, i quali, alimentandosi alla liturgia seppero sostenere le prove del martirio e compiere con coraggio e fermezza scelte di vita impegnative. Non aderite con eccessiva improvvisazione alla imitazione di culture e tradizioni che non siano le vostre, tradendo così la sensibilità che è propria del vostro popolo.

Molte volte i miei predecessori hanno insistito su questo punto così rilevante. Vorrei qui ricordare tra tutti, due grandi Papi, benemeriti per l’Oriente cristiano: Benedetto XIV, al quale dobbiamo la costituzione “Demandatam”, del 24 dicembre 1743; e Leone XIII, che ha emanato la celebre lettera apostolica “Orientalium Dignitas Ecclesiarum”, il 30 novembre 1894.

A loro fa eco il Concilio Vaticano II che con vigore sottolinea come “non si devono introdurre mutazioni, se non per ragioni del proprio organico progresso” (Orientalium Ecclesiarum, 6).

Questo significa che è necessario che ogni eventuale adattamento della vostra liturgia si fondi su uno studio attento delle fonti, su una conoscenza obiettiva delle peculiarità proprie della vostra cultura, sul mantenimento della tradizione comune a tutta la cristianità copta.


velo (10)Il velo del calice e la benedizione dell’incenso

di mons. Nicola Bux

Si odono di frequente richiami a volgere l’attenzione all’Oriente cristiano, intanto sono omessi nel rito romano elementi che lo richiamano, come velare il calice e benedire l’incenso. La presenza di tende e veli nella liturgia è riconducibile al culto giudaico; per esempio il doppio velo all’ingresso del santuario nel tempio di Gerusalemme, segno di riverenza verso il mistero della Shekina, la Presenza divina. Così per l’incenso e gli altri aromi che bruciavano sull’altare apposito antistante, al fine di elevare visibilmente l’anima alla preghiera, secondo le parole del salmo 140: Dirigatur, Domine, oratio mea, sicut incensum, in conspectu tuo – La mia preghiera stia davanti a te come incenso, o Signore. Nello stesso tempo il profumo copriva l’effetto sgradevole degli odori degli animali immolati e del sangue dei sacrifici.

Il velo rappresenta visibilmente l’esigenza di non toccare con mani, impure, le cose sacre: un simbolo dell’esigenza di purezza spirituale per avvicinarsi a Dio. Se la liturgia è fatta di simboli, questo è uno dei più importanti. I veli coprono le mani dei ministri, come gli angeli offerenti rappresentati nell’arte bizantina e romanica. In linea di principio, i vasi sacri, quando non in uso, sono sempre velati per alludere alla ricchezza che vi si nasconde.

Il velo del calice è un piccolo drappo del medesimo colore e stoffa della pianeta o casula, oppure sempre bianco, che serve a coprire tutto il calice, sull’altare o sulla credenza, dall’inizio della Messa all’offertorio; e poi dopo la purificazione che segue la comunione. Nel rito bizantino i veli sono due, per il calice e per il disco, ovvero la patena dei pani da consacrare. Nel rito romano, sebbene sia prescritto «lodevolmente» dall’Ordinamento generale del Messale di Paolo VI (n. 118), il velo che copre il calice è, nell’odierna prassi celebrativa, ordinariamente omesso.

Veniamo all’incensazione. Il sacerdote, all’inizio della Liturgia Eucaristica, messo l’incenso nel turibolo, lo benedice e poi incensa tutto l’altare, in onore del Signore. L’incenso viene benedetto, nella Messa in forma extraordinaria, con la preghiera: Per intercessionem beati Michaelis Archangeli, stantis a dextris altaris incensi, et omnium electorum suorum, incensum istud dignetur Dominus benedicere, et in odorem suavitatis accipere – Per intercessione di san Michele arcangelo, che sta alla destra dell’altare dell’incenso, e di tutti i suoi santi, il Signore voglia benedire questo incenso e accoglierlo come profumo a Lui gradito. Questa benedizione è più solenne della prima, nella quale si dice: Ab illo benedicaris, in cuius honore cremaberis – Ti benedica Colui in onore del quale sarai bruciato. Qui sono invocati gli angeli perché il mistero dell’incenso non rappresenta altro che la preghiera dei santi presentata a Dio dagli angeli, come dice san Giovanni nell’Apocalisse (8,4): Et ascendit fumus incensorum de orationibus sanctorum de manu angeli coram Deo – E dalla mano dell’Angelo il fumo degli aromi ascende con la preghiera dei santi davanti a Dio.

Ancor prima però, come spiega Prosper Guéranger, «siccome il pane e il vino che ha offerti hanno cessato d’appartenere all’ordine delle cose comuni e usuali, [il sacerdote] li profuma con l’incenso, come fa per Cristo stesso, rappresentato dall’altare». Belle le parole che accompagnano l’incensazione prima in forma di triplice croce e poi di triplice cerchio sul pane e del calice: Incensum istud a Te benedictum ascendat ad Te Domine et descendat super nos misericordia tua – Ascenda a te, Signore, questo incenso da Te benedetto e discenda su di noi la tua misericordia. È tutto il senso della liturgia, che ascende a gloria della presenza divina e discende per la nostra salvezza – in latino, salvare vuol dire conservare – affinché siamo completamente noi stessi e possiamo vivere in eterno con Dio. Il sacerdote si inchina «in spirito di umiltà e con animo contrito» affinché il sacrificio si compia alla presenza di Dio in modo da essere gradito; poi invoca lo Spirito sulle offerte. Il sacerdote, rendendo il turibolo al diacono, gli rivolge un augurio che fa ugualmente a sé medesimo, dicendo: Accendat in nobis Dominus ignem sui amoris, et flammam aeternae caritatis – Il Signore accenda in noi il fuoco del suo amore e la fiamma dell’eterna carità. Il diacono, ricevendo il turibolo, bacia la mano del sacerdote e poi la parte superiore delle catene, invertendo l’ordine delle azioni che aveva compiuto presentandoglielo. Tutti questi usi sono orientali e la liturgia li conserva perché sono dimostrazioni di rispetto e riverenza.

Dunque, la Chiesa non ha escluso gli aromi dai suoi riti, anzi usa il balsamo per preparare il Crisma. L’incensazione simboleggia il sacrificio perfetto dei santi doni del pane e del vino, cioè Gesù Cristo, a cui sono unite le nostre persone in sacrificio spirituale, emananti profumo soave che sale al cielo (cf. Gen 8,21; Ef 5,2); così sono le preghiere dei santi (Ap 5,8) e le virtù dei cristiani (2Cor 2,15).

Qualcuno osserverà che, da quanto il velo del tempio si è squarciato, non abbiamo più bisogno di alcun velo, e da quando si è offerto il sacrificio di Cristo non abbiamo più bisogno di incenso. In verità non dovremmo nemmeno più aver bisogno di alcun edificio sacro, perché Cristo è il nuovo tempio. Il punto è che, con la venuta di Gesù, il profano non è scomparso del tutto: però è continuamente incalzato dal sacro che è dinamico, in via di compimento: «Perciò dobbiamo ritrovare il coraggio del sacro, il coraggio della distinzione di ciò che è cristiano; non per creare steccati, ma per trasformare, per essere realmente dinamici» (J. Ratzinger, Servitori della vostra gioia, Milano 2002, p 127).

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Ricordiamo a tutti la sezione Liturgia e la sezione “Crisi liturgica”

Laudetur Jesus Christus