Alcuni retroscena in un’università dei gesuiti…

Abbiamo tradotto un articolo del 2008, quindi scritto in tempi non sospetti, di un docente americano che fu studente tra gli anni ’60 e ’70 all’università dei gesuiti di Los Angeles e che riporta come la deriva neomodernista fosse prevalente già a quei tempi.

Quando Kung e Von Hildebrand arrivarono alla Loyola

Michael J. Healy (Crisis Magazine, 10-01-2008)

A metà del mio ultimo anno (1970-71) alla Loyola University di Los Angeles (ora Loyola Marymount University), vennero due illustri docenti ospiti: il Rev. Hans Kung e il professor Dietrich von Hildebrand. Il modo contrastante della loro accoglienza alla Loyola, così come il loro effetto personale su di me, è una storia interessante.

In primo luogo, alcuni retroscena, anche se non intendo qui criticare i gesuiti per quelle scelte; credo che la situazione nelle loro università non fosse significativamente diversa dalle altre università cattoliche dell’epoca.

Il clima della Loyola di quel tempo era di progressivo ottimismo: l’autorità era considerata obsoleta, quindi le sue “catene” furono lanciate via, per lasciar spazio alla libertà combinata con la sincerità, poiché questo era tutto ciò di cui l’uomo aveva bisogno. Coloro che parlavano di verità ed errori (eccetto in matematica e scienze), di bene e male, di obbedienza personale e di sacrificio si sé (e di questi se ne parlava molto poco), raramente venivano ascoltati.

La mia prima lezione di teologia alla Loyola fu una combinazione di propaganda rivoluzionaria di sinistra e di esistenzialismo pick-and-choice (prendere e scegliere quello che si vuole, ndt). Il docente alla fine ha delineato sette opzioni per la vita umana, inclusi il nichilismo e l’assurdismo come possibilità coraggiose – senza menzionare la santità quale ideale cattolico –, e ha detto agli studenti di scegliere solo una prospettiva ed essere sinceri e risoluti.

Teilhard de Chardin

La mia prima lezione di filosofia è stata un corso di argomenti speciali sull’ottimismo evolutivo del Rev. Teilhard de Chardin – trascurando sia il peccato originale che la redenzione – sulla strada per il punto omega.

Rimasi un po’ scioccato, ma ho interpretato tutto positivamente, dando a tutti il ​​beneficio del dubbio. Pensavo che forse stessero cercando di rafforzare la mia fede presentandole delle sfide, anche se mi chiedevo perché non ci fosse alcuno sforzo per difendere la Fede o rispondere alle obiezioni presentate dai pensatori moderni.

L’Humanae Vitae non fu mai veramente discussa, solo ridicolizzata. Una frase comune ripetuta agli studenti all’epoca era: “Perché voler avere un celibe di 70 anni nella propria camera da letto?”. (Certamente Paolo VI non desiderava stare nella camera da letto di nessuno; ma si sentiva obbligato a ricordarci che Dio – il Dio della vita e dell’amore – lì c’è.)

Una volta quando andai dal capo del dipartimento di teologia per discutere sull’Humanae Vitae, lui cominciò dicendo: “Beh, certamente possiamo scartare l’idea che il Papa sia il Vicario di Cristo sulla terra”.

A un certo punto, un amico e io ci siamo avvicinati a questo stesso preside per organizzare un corso di letture di argomenti speciali che egli stesso ci aveva incoraggiato ad affrontare riguardo “l’Umanità di Cristo”. Quando ci vedemmo per scegliere i libri, egli ci disse subito: “Qui dobbiamo far entrare l’eresia”. Io e il mio amico ridemmo, pensando che stesse scherzando. Molto presto ci siamo resi conto che era abbastanza serio. All’inizio siamo rimasti un po’ scioccati, ma temo che fummo anche impressionati, sia dal preside che da noi stessi.

Abbiamo provato l’emozione di essere all’avanguardia, di osare cose grandi e proibite; dovevamo essere pionieri coraggiosi, pronti a sfidare persino l’autorità della Chiesa. (Che la nostra “audacia” potesse essere più simile a quella di Giuda, era solamente una debole preoccupazione nella parte posteriore delle nostre menti, che non veniva – questa preoccupazione – neppure incoraggiata nel nostro ambiente.)

Un altro professore di teologia, che fu il consulente del mio piccolo gruppo del seminario (e che ci ha inoltre confidato di aver perso la fede mentre studiava a Roma, e ci ha incoraggiato a “crescere” e ad essere “realistici e scettici”) insisteva sul fatto che dovevamo leggere il romanzo Arancia meccanica di Anthony Burgess nella nostra classe, e andare a vedere il film appena uscito, benché all’epoca fu condannato dalla Chiesa per le nudità e la violenza. (A proposito, la lista delle Grandi Letture era stata eleminata dai gesuiti, perché non volevano imporre nulla agli studenti. Ogni gruppo del seminario, composto ciascuno di otto studenti, ha scelto i propri “classici” con voto democratico. Ogni libro che venne scelto era un “classico” degli anni ’60, che presero il posto delle Grandi Letture). Il nostro consulente ci ha accompagnato al cinema, portando una bottiglia di bourbon, passandola anche agli studenti (alcuni minorenni), dicendo: “Questo è il tipo di film che bisogna vedere ubriachi”.

Durante l’anno, gli studenti gesuiti hanno preparato una scenetta musicale sui cambiamenti nella Chiesa intitolata Non perderti in un bicchier d’acqua! Era piuttosto ben fatta, molto divertente e piacevole, ma è stato anche uno degli ultimi anni in cui l’università ha avuto abbastanza studenti gesuiti per organizzare uno spettacolo musicale.

Nel 1970 non era ancora evidente a molte persone che i risultati di quei cambiamenti sarebbero stati così negativi – l’ottimismo e il pensiero sul progresso futuro hanno dominato su tutti, e anch’io ne sono stato colpito.

Ne parlai con uno specialista in psicologia, che aveva una visione estremamente relativista della persona umana – una miscela di freudismo, umanesimo e comportamentismo – che poco aveva a che fare con l’etica o con Dio.

Racconto tutto questo per evidenziare che, andando alla deriva insieme all’atmosfera generale e alla visione prevalente della Chiesa, ero predisposto a vedere Kung favorevolmente e von Hildebrand sfavorevolmente. In effetti, i gesuiti fecero tutto il possibile per trattare il primo come un “salvatore” e il secondo come un “paria” (un pessimo soggetto, ndt).

Hans Kung nel 1968

Kung fu accolto a braccia aperte e celebrato; tutti gli studenti gesuiti dovevano andare a sentire i suoi discorsi e il suo arrivo fu salutato come il più grande evento dell’anno. (Questo prima che gli fosse proibito presentarsi più come teologo cattolico.)

D’altra parte, von Hildebrand – autore delle opere critiche Il cavallo di Troia nella città di Dio. La crisi cattolica spiegata, Il celibato e la crisi della fede, (La Vigna devastata, doveva ancora essere scritta), difensore dell’Humanae Vitae e devoto della Messa in latina – è stato ostracizzato. I suoi discorsi non venivano pubblicizzati, quindi era difficile conoscerne gli orari e i luoghi; inoltre i gesuiti, per assicurarsi che gli studenti non lo ascoltassero, durante le sue lezioni convocavano sempre delle riunioni obbligatorie. Dunque, influenzato dall’atmosfera generale, era propenso in favore a Kung e stavo un po’ “in guardia” verso von Hildebrand.

L’unica cosa positiva che sapevo di von Hildebrand era che, in una lezione sull’amore e l’amicizia tenuta dal suo studente, la dottoressa Ronda Chervin, avevo letto il suo articolo Il vero significato del sesso e l’avevo trovato migliore di qualsiasi altro testo avessi mai letto sull’argomento durante i corsi sulla psicologia maggiore o in qualsiasi altra lezione. Tuttavia, essendo in quel momento più influenzato dagli altri, nonché afflitto da un complesso di inferiorità su me stesso e le mie opinioni, mi è sembrato più sicuro e più saggio seguire le opinioni prevalenti intorno a me.

Perciò immaginate la mia sorpresa quando andai felicemente a vedere il grande Kung – davanti al quale, dopo avergli srotolato il tappeto rosso, i gesuiti si inginocchiarono e si prostrarono, sperando di fare bella figura e di essere considerati all’avanguardia come i principali pensatori europei – ebbi una delle reazioni più negative su qualsiasi altra persona abbia incontrato nella mia vita. Lo sguardo del suo viso, il tono della sua voce, il suo atteggiamento, il modo in cui rispondeva alle domande; tutto di lui mi dava la forte impressione di qualcuno immensamente soddisfatto di se stesso, incoraggiato dal fatto che coloro che lo circondavano lo lusingavano (ed si sentivano felicemente obbligati a farlo). Il punto centrale del suo discorso era che tutti i problemi della Chiesa cattolica e quelli delle comunità protestanti si sarebbero risolti se avessero ascoltato lui, Hans Kung.

Alla fine del discorso di Kung, ero estremamente sospettoso della sua visione della Chiesa, e quindi della visione prevalente dei gesuiti della Loyola. Iniziai a pensare che le mie intuizioni potessero avere qualche valore, rispetto a quelle della folla. Per questo importante passo verso la maturità, sarò sempre grato a Hans Kung.

Dietrich von Hildebrand

Tuttavia, solo quando sono andato a sentire le lezioni di von Hildebrand e di sua moglie Alice – nonostante la disapprovazione dei gesuiti – che tutto ciò che sospettavo ha cominciato a prendere posto positivamente. Dietrich non poté leggere il suo discorso, perché il medico gli aveva ordinato di non stancarsi troppo, quindi Alice lo sostituì. Lui si sedette tra il pubblico, nella mia stessa fila, e subito lo notai.

Fu un brillante discorso sul modo in cui Kierkegaard affrontò i teologi liberali del suo tempo usando ironia e umorismo, con evidenti paralleli con la rivoluzione liberale che ha infettato la Chiesa cattolica dopo il Vaticano II. Inizia a capire perché i gesuiti avevano convocato una riunione per tenere lontani i loro “giovani” da quella lezione.

Eppure, nonostante la profondità e la serietà di ciò che stava dicendo, Alice non ha mai parlato, né si è comportata, in modo tale da attirare l’attenzione su di sé – diversamente da Kung – piuttosto si è concentrata sull’argomento trattato. Per quanto le riguardava, non si trattava di lei, ma della realtà. Aria fresca! Sono rimasto profondamente colpito dal suo messaggio e dal suo comportamento.

Durante tutto il tempo del discorso, Dietrich rimase seduto in silenzio, assorto nei suoi pensieri. Tuttavia, nella sessione di domande e risposte, quando si parlava sulla situazione della Chiesa, non poté più trattenersi. Alzandosi in piedi, rimanendo tra il pubblico, parlò con passione e amore di Cristo e della Chiesa, usando frasi che non avevo mai sentito nelle classi, ad esempio “la Santa Chiesa cattolica romana”.

Mi sono rimaste segnate diverse impressioni che si raccolsero immediatamente.

In primo luogo, ecco qualcuno che credeva davvero, che accettava umilmente la rivelazione di Dio. Non era intenzionato a capire come aggirare gli insegnamenti della Chiesa, ma a come viverli.

In secondo luogo, era qualcuno che amava davvero Cristo e la Chiesa con tutto il suo cuore. Era pieno di gratitudine per la Chiesa, per la sua autorità, i suoi insegnamenti, i suoi sacramenti. Non provava risentimento verso la Chiesa o la sua autorità.

In terzo luogo, era un vero apostolo, che proclamava la verità – anziché che la sua verità – in stagione e fuori stagione, pronto a stare con gioia con Cristo e la Chiesa anche quando l’opinione umana lo inondava di ridicolo. Abbassai lo sguardo verso l’ottuagenario dai capelli bianchi – che gesticolava coll’ombrello perché era pieno di enfasi, rischiando un infarto a causa del suo ardore (rischiando anche di colpire qualche testa nella fila adiacente all’ombrello) – e mi sentii come se avessi incontrato San Paolo.

Finalmente qualcuno pieno di gioia e di speranza, nonostante il suo profondo dolore e la critica ragionata su ciò che stava accadendo nella Chiesa. Avevo incontrato qualcuno che adempiva l’ammonizione: “Rallegrati sempre e ancora; dico: rallegrati”.

Quell’incontro ha cambiato la mia vita. Fu confermato il mio sospetto che seguire la folla non è il massimo della saggezza. Sono passato dalla psicologia alla filosofia e ho scoperto la mia vocazione all’insegnamento. La visite dei coniugi von Hildebrand e quella di Kung sono state fondamentali per trovare la mia strada nella vita e nella Chiesa. (Ma temo che l’effetto sia stato quello contrario a quello voluto dai gesuiti.)

Adesso ripensando a quei giorni, la mia conclusione è promettente. Non importa per quanto tempo una persona venga riempita di gloria – le opinioni confuse, i dubbi degli scettici, le teorie progressiste aggiornate e le speculazioni all’avanguardia –, una volta che s’incontra la verità, lo sì sa. Come disse Platone, la verità ha un suo potere e non potrà mai essere spazzata via dalla propaganda.

Alice von Hildebrand, vedova di Dietrich, con Benedetto XVI.

Un uomo che dice la verità ha un potere enorme di sfondare la nebbia, raggiungere le persone e cambiare la vita. La verità filosofica condivide con il Cristianesimo quel complimento datogli da C. S. Lewis in un’epoca meno politicamente corretta: sfida il destinatario con “il gusto ruvido e virile della realtà”. Così i coniugi von Hildebrand rispetto a Kung.

Ma come posso giungere a una conclusione fiduciosa quando la maggioranza in quel momento sembrava andare dall’altra parte?

Ma come posso giungere ad una conclusione fiduciosa quando la maggioranza di quel tempo sembra essere andata dalla parte opposta? Perché sono fermamente convinto che Dio, come ha fatto con me a quei tempi, può tirar fuori chiunque da quel pantano, poiché Egli non si fa “limitare” dall’opinione maggioritaria dal momento.

Come Kierkegaard amava dire, Dio non si occupa delle masse, ma degli individui – ed Egli ha la vita di ciascuno di noi per farlo, incluse quelle di coloro che frequentavano la Loyola nel 1971.

Ciò che conta, alla fine, non è l’opinione della maggioranza del momento, ma la fine ultima di ogni individuo. Questa è la nostra speranza. Come dice un vecchio adagio spirituale: “Quello che Dio ha fatto agli altri, lo farà anche a te…”.

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