ATTACCO alla Romanità della Chiesa Cattolica

La chiesa Cattolica è Romana. Ed è romana perché è cattolica.

  • “Sarete odiati da tutti a causa del mio nome; ma chi persevererà fino alla fine sarà salvato” (Mt 10,22)
  • “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me” (Gv 15, 18)
  • “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli” (Mt 5,11-12)
  • “Allora vi consegneranno ai supplizi e vi uccideranno, e sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome.” (Mt 24,9)
  • “Siamo tribolati da ogni parte ma non schiacciati; sconvolti ma non disperati; perseguitati ma non abbandonati; colpiti ma non uccisi” (2Cor.4,8-14)
  • “Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me.” (Gal 2,20)
  • “Del resto, tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati” (2Tim.3,12)

Con queste ed altre espressioni, parte della Sacra Scrittura (ma anche della nostra Tradizione e la storia stessa) descrive come sarebbe stata perseguitata, odiata ed attaccata L’ISTITUZIONE divina della Chiesa Cattolica, da Dio voluta quale sede primaria nella città di Roma e dunque “ROMANA”. Un titolo a molti indigesto ed elemento primario di ogni invidia, scatenante il secondo attacco dal momento che il primo attacco è quello contro il Cristo, non visibile ai nostri occhi ma reso tale dalla Chiesa nei Sacramenti e perciò nel Sacerdote, nel Vescovo, nel Pontefice in quanto Suo Vicario; così il conseguente attacco è alla sua parte visibile sul piano GOVERNATIVO, ossia la Città santa dalla quale si diparte il governo della Chiesa nel mondo: ROMA. E’ curioso ma… nella storia d’Europa e del mondo, non c’è stata una Città più assediata di Roma… O certo! In alcuni casi si è trattato di rispondere alle mire della Roma imperiale ma, con il Cristianesimo, Roma è la città più razziata, violentata e saccheggiata nel corso della storia europea.

troverete qui anche l’audio del testo;

mentre potete scaricare anche il testo in pdf: ATTACCO alla Romanità della Chiesa Cattolica

Certo Roma non è l’unica… tanto per fare un esempio si potrebbe discorre dell’assedio dell’Anno 539 ai danni di Milano da parte dei Goti, un vero massacro… ma ciò di cui vogliamo parlare è Roma in quanto Città scelta da Dio per dare fondamento alla Sua Istituzione divina della Chiesa. Per farlo ci faremo aiutare dal professore Roberto de Mattei (ma consigliamo anche la professoressa Angela Pellicciari) che, tra i tanti libri scritti sull’argomento, in un Convegno a Roma nel 2009 (scarica qui il pdf del testo: Convegno Roma de Mattei ROMANITA), ci ha reso questa storia molto interessante, gradevole e “facile”.

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Nel Regina Coeli del 27 maggio 2007, Benedetto XVI ha ricordato queste note, aggiungendo che la Chiesa ha come proprietà essenziale anche quella di essere “Romana”.

Il Catechismo di san Pio X afferma con più precisione: “La Chiesa di Gesù Cristo è la Chiesa Cattolico-Romana, perché essa sola è una, santa, cattolica e apostolica quale Egli la volle”.

La Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica è la Chiesa Romana. La Romanità è però qualcosa di più e di diverso da una nota della Chiesa: essa è l’attuazione di queste note, è il loro compendio concreto e storico: nella Romanità si riassume, per così dire, il volto visibile del Corpo mistico di Cristo. Per questo si parlava un tempo e dobbiamo continuare a parlare di Santa Romana Chiesa. Il termine “Romana” cala la Chiesa nel tempo e nello spazio, in un luogo e in una memoria storica.

Ma che cosa è la Romanità della Chiesa? E qual è il suo significato nell’ora presente?

Roma: una parola di mistero

Il nome di Chiesa Romana associa due realtà diverse. La parola “Roma” evoca una realtà storica: una città, una civiltà, un Impero, che ha avuto inizio e fine nel tempo; la parola “Chiesa” rimanda ad una realtà soprannaturale, immersa nella storia, ma appartenente all’eternità. Il nesso tra questi due termini è però intimo e inscindibile. È un’intima e misteriosa relazione stabilita non dagli uomini, ma dalla Divina Provvidenza.

L’allora Cardinale Eugenio Pacelli in una conferenza che tenne il 24 febbraio 1936 presso l’Istituto di Studi Romani sulla “sacra vocazione di Roma”, disse che Roma è “una parola di mistero” e parlò della “città che profonda il piede nelle zone pagane del Tevere e nei sacri meandri delle catacombe, e leva e nasconde il capo fra le stelle, per chinarlo innanzi al trono di Dio”.

Tacito definiva Roma “caput rerum”; Orazio la chiamava “principis urbium“; Tibullo, “aeterna urbs“; Tito Livio, “caput orbis terrarum“. La città che regnava sul mondo chinò il capo innanzi al trono di Dio e divenne la sede della Cattedra universale di Pietro, destinata a un regno spirituale. La caput mundi pagana divenne la città eterna, quella città “onde Cristo è romano” che Dante evoca nella Divina Commedia.

Come e quando accadde questa trasmutazione storica?

A tale domanda pretesero rispondere alcuni storici e teologi modernisti come Auguste Sabatier e Adolf von Harnack. Per essi, il prestigio della capitale dell’Impero Romano avrebbe fatto sì che il Vescovo di Roma fosse il Vescovo di tutte le Chiese. Il primato del Romano Pontefice sarebbe dunque una conseguenza della grandezza dell’Impero Romano.

La tesi modernista, ancora oggi ricorrente, affonda la sua origine nel dibattito teologico del primo millennio tra la Chiesa di Roma e le Chiese d’Oriente e già affiora nel 28° canone del Concilio di Calcedonia (451), cancellato da san Leone Magno. Le Chiese orientali riconoscevano il primato di Roma come un primato onorifico dovuto al fatto che Roma era stata la capitale dell’Impero Romano. Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente e il trasferimento della “nuova Roma” a Costantinopoli, anche il primato sarebbe dovuto passare al Patriarca di quella città.

  • La condanna di questa tesi fu ribadita da san Pio X nel decreto “Lamentabilis” annesso alla “Pascendi” (1907). Il Papa in quel documento anatemizza la seguente proposizione: “La Chiesa Romana diventò capo di tutte le Chiese non per disposizione della Divina Provvidenza, ma per circostanze puramente politiche” (“Ecclesia Romana non ex divinae providentiae ordinatione, sed ex mere politicis condicionibus caput omnium Ecclesiarum effecta est“).

L’errore è quello di fondare la giurisdizione della Chiesa su di un primato di natura politica. In realtà la ragione della scelta di Roma come sede della Cattedra di Pietro non sta nella grandezza e nell’autorità dell’antica Roma, ma nel fatto che Roma fu il luogo in cui esercitò il suo ministero san Pietro, l’apostolo cui era stato conferito da Cristo il primato universale. Se san Pietro si fosse fermato in Antiochia e vi fosse morto, i Vescovi antiocheni avrebbero avuto la stessa autorità che conseguirono i Vescovi di Roma. Roma sarebbe stata una città storica, centro di una grande diocesi, ma non di più, e la Chiesa Cattolica non potrebbe dirsi Romana.

Fu una disposizione della Divina Provvidenza che Pietro scegliesse Roma come sua sede vescovile. Qui, nel circo di Nerone, egli subì il martirio; sotto il punto centrale della cupola vi è il luogo del suo sepolcro. I suoi successori, i papi, hanno continuato la sua missione fino al presente.

La Roma cristiana trae dunque la sua grandezza dal martirio di Pietro e non dal potere dell’Impero. E, d’altra parte, il Patriarcato di Costantinopoli, mentre negava il primato religioso di Roma, in nome del primato politico che la nuova Roma esercitava nel mondo, introduceva il diritto di ingerenza dell’Imperatore bizantino negli affari ecclesiastici, fino a fare del Patriarca di Costantinopoli un proprio proconsole religioso. La sottomissione della religione alla politica caratterizzerà da allora tutta la storia dell`ortodossia”.

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Spiega a ragione Angela Pellicciari: La chiesa Cattolica è Romana. Ed è romana perché è cattolica. Non è un giro di parole.

C’è un unico posto al mondo, una sola città, la cui storia è tanto unica da potersi identificare col mondo: Roma. Così, nel corso dei secoli, hanno creduto e ripetuto poeti, retori, storici, e, in successione, padri della chiesa, santi e papi. Così, per strano che possa sembrare, ogni primo gennaio di ogni nuovo anno, il vescovo di Roma fa una benedizione solenne alla città e al mondo: urbi et orbi. Perché fra il mondo e la città c’è un’identità perfetta.

A metà del primo secolo avanti Cristo, lo storico greco Diodoro Siculo così sintetizza la natura di Roma: “Tutto il mondo come se fosse una sola città”. Le stesse parole sono usate tre secoli dopo da un altro greco, il retore Elio Aristide, nel suo Encomio a Roma: “Tutto qui è a disposizione di tutti. Nessuno è straniero in nessun posto”; all’inizio del quinto secolo il poeta latino Rutilio Namaziano canta: “hai costruito una sola patria per popoli diversi, hai reso il mondo una città”.

Nella “pienezza del tempo” (Gal.4,4), quando Dio si immette nella storia e la trasforma dal di dentro perché vince la morte, Pietro e Paolo, le colonne, vanno a Roma. E a Roma trasformano in realtà fattuale l’aspirazione all’universalità, anzi, la pretesa di averla raggiunta, che caratterizzava la città. E così: “Non c’è giudeo né greco, non c’è schiavo né libero, non c’è maschio né femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal.3,28), e ancora: “Qui non c’è più greco o giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti” (Col.3,11).

Unica è Roma, come unica è la Chiesa che è per tutti, ma proprio per tutti, per incredibile e miracolosa che questa realtà possa sembrare: la cattolica, cioè universale, chiesa di Gesù Cristo. Ed è proprio questo il motivo della venuta di Pietro a Roma. Il Vangelo, la buona notizia, è diretto al mondo intero e non è relegabile nei confini di una sola nazione: “Perché tu, gente santa e popolo eletto, città sacerdotale e regale, presiedessi per la religione divina più estesamente che per il dominio terreno”, predica Leone Magno nella festa dei santi Pietro e Paolo, patroni di Roma [Sermo 82 (80), PL 54, 423]. Ancora una volta in occasione della festa dei santi Pietro e Paolo, il 29 giugno 2008, a distanza di più di mille e cinquecento anni dal grande papa Leone, Benedetto XVI ripete: “La missione permanente di Pietro: far sì che la Chiesa non si identifichi mai con una sola nazione, con una sola cultura o con un solo Stato. Che sia sempre la Chiesa di tutti. Che riunisca l’umanità al di là di ogni frontiera e, in mezzo alle divisioni di questo mondo, renda presente la pace di Dio, la forza riconciliatrice del suo amore”.

Tutti quelli, e sono tanti, che nel corso dei duemila anni della sua storia, hanno tentato di distruggere la Chiesa, hanno sempre provato a farlo scindendo il binomio “cattolico-romano”. E l’hanno fatto o occupando materialmente Roma (come i Savoia e i liberal-massoni al servizio delle potenze straniere che hanno voluto strappare Roma alla sua identità sottraendola al mondo e rendendola capitale di una nazione) o, come ha fatto Lutero, diffondendo odio e disprezzo verso la Chiesa Romana definita “regno dell’anticristo e rossa puttana di Babilonia”. Lutero ha provato a far diventare universale la chiesa tedesca da lui fondata ma, non riuscendo a trasformare Wittenberg in una nuova Roma, si è accontentato di fondare una chiesa nazionale. E così hanno fatto in molti.

La Chiesa Cattolica è Romana e questa è la garanzia per tutti della sua verità. Della sua corrispondenza alla volontà di Dio.

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Ma questa unica Chiesa Cattolica e Romana non è stata solo una gestione per la giurisdizione politica… Fin dai suoi arbori essa si è adoperata per l’assistenza ai bisognosi, costituendo a tal fine strutture sempre più complesse e specializzate:  dagli ospedali per i poveri, alle case di accoglienza per stranieri e pellegrini, all’assistenza per gli anziani abbandonati. Nessuna istituzione al mondo, neppure oggi, può vantare opere simili! Dopo l’editto di Costantino, l’organizzazione assistenziale della Chiesa può finalmente operare alla luce del sole e usufruire anche del sostegno concreto da parte dello Stato, per portare avanti un’attività caritativa che – è bene precisare – non si rivolgeva ai soli cristiani, ma a quanti potessero averne bisogno. Ed è proprio a Roma che possiamo contare sul maggior numero di notizie storiche e riscontri archeologici, mentre in altre zone dell’impero, come Costantinopoli e l’Asia Minore in generale, le istituzioni assistenziali hanno lasciato scarse tracce monumentali, come pure abbiamo pochi riscontri delle strutture sicuramente presenti in Italia:  a Pesaro, a Napoli e anche a Ravenna.

Venendo poi a parlare della situazione romana, pur potendo contare su una maggiore abbondanza di notizie e di reperti, essa presenta aspetti unici e particolari, con problematiche complesse ancora da indagare. Roma è la città dei martiri, e numerosi pellegrini si muovono da tutto l’orbe cristiano per visitare le loro tombe:  ecco che lo sviluppo della città cristiana viene concepito diversamente da quello della città imperiale e il suburbio, dove si trovano appunto i sepolcri venerati, assume una valenza del tutto particolare.

La ragione di tutto questo sviluppo è presto detto: a Roma i Papi hanno maggiore libertà di organizzarsi autonomamente, sganciandosi dal potere imperiale, come da eventuali ingerenze dei governatori bizantini. La città è divisa in sette regioni ecclesiastiche, capeggiate ciascuna da un diacono regionario, con compiti di gestione e di controllo. Tenendo presente questa impostazione del territorio urbano si debbono reinquadrare gli studi sull’allestimento della città cristiana. Le informazioni sul sistema regionale adottato provengono in primis dai vari tituli-parrocchie che si trovano in ciascuna regione e che già praticano l’assistenza come parte importante della loro attività. Le due diaconie romane riallestite da Papa Adriano, quelle di Santa Maria in caput Portici e quella di San Silvestro presso l’ospedale di San Gregorio, si completarono al tempo di Papa Stefano II (752-757), con l’aggiunta dell’allestimento delle Scholae, il Vaticano diviene la zona del suburbio romano più intensamente attrezzata per i servizi assistenziali e forse meglio coordinata.

“La gloria di Roma – diceva più propriamente il cardinale Nicholas Patrick Wiseman, primo arcivescovo di Westminster nonché celebrato autore di Fabiola, o la Chiesa delle catacombe (1854) – non consiste nella bellezza della città moderna ma nell’ammirare i resti colossali della Roma antica prostrati in omaggio di fronte alla Croce”.

Non staremo qui ora a discutere dell’Editto che l’imperatore Costantino emanò a Milano, col quale garantiva ai cristiani la libertà del culto dopo secoli di persecuzioni. Secondo la leggenda, ciò avvenne in ringraziamento per l’aiuto divino ricevuto durante la battaglia del Ponte Milvio (allorché gli apparve una croce sul sole e la scritta: In hoc signo vinces, con questo segno vincerai). Editto di libertà, quindi, da non confondere con quello dell’imperatore Teodosio, del 381 d.C. (quindi circa settant’anni dopo) che proclamò il cristianesimo religione ufficiale dell’Impero Romano…

Epperò, epperò… ci sembra ci sia dell’altro, meno ‘politicamente corretto’.

La corrente postconciliare progressista e modernista ha sempre visto in Costantino il pernicioso iniziatore di una commistione tra Stato e Chiesa, l’inventore del cesaropapismo (la preminenza dello Stato sulla Chiesa) e al tempo stesso il largitore di privilegi alla Chiesa ed ai suoi membri, che avrebbero fatto venir meno l’aurea semplicità e povertà dei cristiani dell’epoca evangelica e dato inizio a commistioni temporali e terrene. Da qui il ricorrente ritornello di un certo “archeologismo” cristiano, quel ritornare “ai primi secoli del cristianesimo”, anche in campo liturgico… Le accuse fanno riferimento, infatti, non tanto all’Editto di Milano, ma agli interventi imperiali in materia di dogmi e dottrina (il Concilio di Nicea, quello che definì il dogma trinitario, fu convocato appunto da Costantino nel 325 d.C.); ed anche alla cosiddetta donazione di Costantino, quella sorta di testamento già deprecato da Dante, e smascherato come falso dall’umanista Lorenzo Valla nel Quattrocento, con cui Costantino morente avrebbe ‘donato’ la metà occidentale dell’impero al papa Silvestro, giustificando quindi un potere temporale che, di fatto, si consolidò invece secoli dopo (la Donazione di Sutri, atto di inizio del dominio temporale pontificio, è del 728 d.C.)… Ma di ciò ci occuperemo in altra sede. Qui è importante comprendere il perché – gli attacchi ALLA ROMANITA’ della santa Chiesa – sono stati continui nel corso della storia e sempre più aggressivi ed oggi subdoli.

Ritornando al professore de Mattei:

Una seconda domanda si pone a questo punto: perché la Divina Provvidenza designò Roma, e non un’altra città, come luogo del ministero e della morte del principe degli apostoli?

Molti autori cristiani hanno trattato questo argomento: la Città di Dio di sant’Agostino nasce proprio da una meditazione su tale tema. Nessuno forse come un discepolo del Dottore di Ippona, san Prospero di Aquitania (390 ca-463), ne sintetizza bene il pensiero: “Crediamo che la Provvidenza di Dio abbia predisposto nella sua estensione l’Impero Romano, affinché le nazioni che sarebbero state chiamate all’unità del Corpo dì Cristo fossero prima unite nella legge di un solo impero; sebbene la grazia di Cristo non si accontenti di avere gli stessi confini di Roma“.

La grazia di Dio va ben oltre i confini dell’Impero Romano, perché il mandato di Gesù Cristo è quello di predicare il Vangelo a tutte le genti, da un capo all’altro della terra (Mc.29,19). Ma poiché la Grazia presuppone la natura, Dio predispose una cornice naturale idonea alla diffusione e all’accoglimento della Sua Parola. Questa cornice storica e giuridica fu l’Impero Romano.

Roma appare nel bacino del Mediterraneo come la città destinata a unificare il mondo per prepararlo alla diffusione del Cristianesimo.

Le grandi vie consolari su cui avevano marciato le legioni aprirono la strada ai predicatori del Vangelo; la lingua latina diventò la lingua universale e sacra della Chiesa; il diritto romano offrì le basi giuridiche al diritto canonico della Chiesa e al diritto comune dell’Occidente.

Eppure Roma, culla e patria del diritto universale, si macchiò della più grande ingiustizia della storia: il processo e la condanna di Gesù Cristo. Dopo aver condannato a morte Gesù, l’Impero Romano, che ospitava nel Pantheon tutti i culti della terra, rifiutò la Verità del Vangelo e perseguitò la Chiesa nascente come mai aveva fatto nei confronti di nessuna delle numerose sette che proliferavano al suo interno. Ciò segnò la sua fine.

  • La causa della decadenza e della fine dell’Impero Romano non sta nel Cristianesimo, come ancora pretendono molti storici, ma nel rifiuto della parola di Verità e di Vita che il Cristianesimo annunciava.
  • La storia della Chiesa si presentò fin dall’inizio come la lotta di due Rome: la Roma pagana, che cercò di distruggere il Cristianesimo, e la Roma cristiana che vinse, con le sole armi della verità e dell’amore, il più grande potere politico e militare che la storia avesse conosciuto.

Nessun altro impero raggiunse lo splendore di quello Romano. Sembrò creato per i millenni, eppure anch’esso fu sottomesso alla legge del tempo e della storia. Della Roma pagana rimangono oggi solo le rovine. È la legge di tutto ciò che è umano e terreno: ai grandi successi, ai trionfi mondani succedono, con rapidità ancora maggiore, la decadenza, il disfacimento, la morte. Ce lo ricorda Pio XII, che così continua: “Quando noi ci troviamo invece dinanzi alle testimonianze del passato cristiano, per quanto antiche esse possano essere, sentiamo sempre qualche cosa d’immortale: la fede, che esse annunziano, vive ancora, moltiplicata indefinitamente nel numero di coloro che la professano: vive ancora la Chiesa, a cui esse appartengono, sempre la stessa attraverso i secoli“.

Papa Leone fu il grande protagonista del suo secolo, il quinto, che vide la definitiva caduta dell’Impero Romano d’Occidente. Nessuno come lui ebbe piena consapevolezza del declino inesorabile di Roma, ma anche dell’ascesa di una nuova Roma il cui impero sarebbe stato molto più vasto e glorioso dell’antico.

  • Nei lunghi secoli di anarchia che vanno dalla caduta dell’Impero Romano alla nascita del Sacro Romano Impero, nell’Europa travolta dai barbari e lacerata da conflitti interni, restò in piedi, in tutta la sua maestà soltanto il Papato. La società era allora un magma ribollente, in cui nulla più restava di stabile e di permanente. In questo crogiuolo, si solidificò la Sede Apostolica, come centro unitario di governo e di giurisdizione, ma anche come punto di irradiazione di una civiltà che nasceva.

San Tommaso d’Aquino negli articoli della Summa Theologica dedicati alla nascita di Cristo, si chiede perché il Salvatore fosse nato a Betlemme e non a Roma. Questa la risposta del Dottore Angelico: “Come si legge in un sermone del Concilio di Efeso (Teodoro di Ancyra Serm. 1), «se (Cristo) avesse scelto Roma, la città più potente, si sarebbe potuto pensare che avrebbe cambiato il mondo grazie al potere dei concittadini. Se fosse stato figlio dell’imperatore, si sarebbe attribuita la sua riuscita al potere (imperiale). Per mostrare invece che il mondo sarebbe stato trasformato dalla sua divinità, scelse una madre povera e una patria ancora più povera». Però, come afferma S. Paolo (1Cor.1,27), «Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti». Quindi, per manifestare meglio la sua potenza, stabilì a Roma, capitale del mondo, il centro della Sua Chiesa, come segno di completa vittoria, affinché di là la fede si diffondesse su tutta la terra, secondo la profezia di Isaia (26,5): «Umilierà la città sublime e la calpesteranno i piedi del povero», cioè di Cristo, «i passi degli indigenti», cioè degli apostoli Pietro e Paolo”.

Possiamo a questa luce comprendere come santa Caterina da Siena, che fu proclamata Patrona d’Italia, scrivendo a Gregorio XI perché tornasse a Roma come alla sua sede obbligatoria, affermava arditamente: “Pensate che questa terra è il giardino di Cristo benedetto ed è il principio della nostra fede”. “Qui è il capo e il principio della nostra fede”.

Roma e l’antiromanesimo

Nel corso della storia  – prosegue il professore de Mattei – i nemici della Chiesa combatterono il Primato Romano cercando sempre di dissociare il Cristianesimo dalla romanità. Se la romanità è la prima nota distintiva della Chiesa, l’antiromanesimo può essere considerato la caratteristica distintiva dei suoi nemici. Dopo lo scisma d’Oriente, tra il XV e il XX secolo, la dissociazione di Roma dal Cristianesimo si sviluppa lungo due linee che spesso si intrecciano e si confondono: da una parte si vuole deromanizzare il Cristianesimo, come avviene con il protestantesimo e poi con il modernismo; dall’altra parte si vuole decristianizzare la romanità, come avviene con l’umanesimo pagano, con la Rivoluzione Francese e con il neopaganesimo del XX secolo.

L’umanesimo pagano del Rinascimento e della Rivoluzione Francese contrappone alla Roma cristiana il mito della Roma antica, repubblicana o imperiale. D’altra parte il protestantesimo e il modernismo vedono nel legame con la romanità, intesa come la dimensione costantiniana della Chiesa, la causa della sua degenerazione.

Anche l’Italia, sede del Papato, conobbe dopo il 1789 la sua rivoluzione. Nel cosiddetto Risorgimento, la rivoluzione italiana, noi vediamo confluire le due tendenze: la riaffermazione del Cristianesimo senza Roma e quella della Roma senza il Cristianesimo.

La deromanizzazione si esprime come riforma della Chiesa, purificazione dei suoi legami con il dominio temporale. È la posizione di Gioberti, che nel Rinnovamento civile d’Italia fa della soppressione del potere temporale la condizione necessaria per la rigenerazione della Chiesa.

La decristianizzazione di Roma si esprime con autori come Giuseppe Mazzini, che di Roma fa il simbolo del rinnovamento laico dell’umanità. “Per me” scrive nel 1864 “Roma era – ed è tuttavia malgrado le vergogne dell’oggi – il Tempio dell’umanità; da Roma uscirà quando che sia la trasformazione religiosa che darà, per la terza volta, unità morale all’Europa”.

Tutto l’ampio ventaglio di forze rivoluzionarie del Rinascimento, dal liberalismo “cattolico” fino alle punte più accese del radicalismo democratico, trova il suo momento catalizzatore nel mito della Roma “rigenerata” e “riformata”, perché liberata dal principato civile del Pontefice.

“La capitale del mondo pagano e del mondo cattolico” scrive Francesco De Sanctis, uno degli autori più rappresentativi dell’Italia risorgimentale “è ben degna di essere la capitale dello spirito moderno. Roma è dunque per noi non il passato, ma l’avvenire. Noi andremo là per distruggervi il potere temporale e per trasformare il Papato”[48].

Trasformazione del Papato, per gli artefici del Risorgimento, significa la realizzazione di una rivoluzione filosofica e religiosa, analoga a quella protestante, mancata all’Italia, che avrebbe dovuto accompagnare il processo di unificazione nazionale. P – questo progetto che costituisce il cuore della cosiddetta “Questione Romana”.

La fine del potere temporale dei Papi non si riduce al compimento dell’unificazione geopolitica, con Roma capitale italiana, ma si presenta, per gli artefici del Risorgimento, come un evento di natura filosofica e religiosa, che costituisce il filo conduttore e il simbolico compimento di quell’unificazione nazionale che nel 2011 ci accingiamo a celebrare.

I Patti Lateranensi del 1929 sembrarono cancellare la Questione Romana, ma una nuova “questione romana”, esplose all’interno della Chiesa nel corso del Concilio Vaticano II.

“Fino ad oggi” aveva scritto uno dei padri del modernismo, Ernesto Buonaiuti  – vedi qui – “si è voluto riformare Roma senza Roma, o magari contro Roma. Bisogna riformare Roma con Roma; fare che la riforma passi attraverso le mani di coloro i quali devono essere riformati. Ecco il vero e infallibile metodo; ma è difficile. Hic opus, hic Iabor “.

Tra i Padri e i teologi conciliaci dell’Europa centrale, convenuti a Roma nel 1962 per “aggiornare la Chiesa”, si formò un partito anti-romano che sembrò ispirarsi a queste parole. Nelle aule del Concilio un Vescovo dell’Europa centrale accusava con violenza lo schema “De Ecclesia” preparato dalla Commissione teologica romana secondo la dottrina tradizionale di tre gravi colpe: trionfalismo romano; clericalismo; giuridicismo, riassumendo in questo trittico l’antiromanismo che animava quel partito.

Rimando al recente libro di Mons. Gherardini, Concilio Ecumenico II. Un discorso da fare e al libro di Romano Amerio, Iota unum, l’approfondimento dì questi temi.

Allo storico appare oggi evidente che l’attacco alla Curia, sferrato nell’aula conciliare e nei mezzi di comunicazione che accompagnarono il Concilio e il post-Concilio, nascondeva in realtà l’attacco al Primato Romano.

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Per giungere ad una conclusione è fondamentale capire come – nell’atteggiamento dei cristiani di fronte al potere e di fronte all’Impero romano – c’è stata continuità e non frattura: sia negli scritti del Nuovo Testamento, sia negli autori cristiani dei primi secoli prima di Costantino, da Clemente Romano a Giustino martire, da Melitone a Tertulliano prima del montanismo, l’atteggiamento di fronte all’Impero è di profondo e sincero lealismo. Da questo punto di vista non si può parlare di un cristianesimo precostantiniano diverso dal cristianesimo postcostantiniano; almeno per quel che riguarda la «grande ed unica Chiesa Cattolica, apostolica e romana». Diverso è semmai l’atteggiamento di certi eretici e di certi scismatici che nel corso dei secoli, per distruggere questa Chiesa, hanno sempre ordito trame con i potenti di turno ai danni della stessa contro il papato e contro la sua romanità.

Concludiamo con le parole di san Pio X in un Discorso del 23 febbraio 1913, proprio per l’anniversario del famoso Editto di Costantino:

La Chiesa, questa grande società religiosa degli uomini, che vivono nella stessa fede e nello stesso amore sotto la guida suprema del Romano Pontefice, ha uno scopo superiore e beai distinto da quello delle società civili, che tendono a raggiungere quaggiù il benessere temporale, mentre essa ha di mira la perfezione delle anime per l’eternità. La Chiesa è un regno, che non conosce altro padrone che Dio ed ha una missione tanto alta. che sorpassa ogni limite, e forma di tutti i popoli d’ogni lingua e d’ogni nazione una sola famiglia; non si può quindi nemmeno supporre che il regno delle anime sia soggetto a quello dei corpi, che l’eternità divenga strumento del tempo, che Dio stesso divenga schiavo dell’uomo.

Gesù Cristo infatti, il Figlio eterno del Padre, cui fu dato ogni potere in cielo ed in terra, ha imposto ai primi ministri della Chiesa, gli Apostoli, questa missione : come mandò me il Padre, anch’io mando voi (Ioan. XX, 21). – Andate dunque; istruite tutte le genti, battezzandole nel Nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo; insegnando loro di osservare tutto quello che vi ho comandato. Ed ecco ch’io sono con voi sino alla consumazione dei secoli (Matth. XXVIII, 19-20).

Dunque la Chiesa ha da Dio stesso la missione d’insegnare, e la sua parola deve pervenire alla conoscenza di tutti senza ostacoli che la arrestino, e senza imposizioni che la frenino. Poiché non disse Cristo : la vostra parola sia rivolta ai poveri, agli ignoranti, alle turbe ; ma a tutti senza distinzione, perchè voi nell’ordine spirituale siete superiori a tutte le sovranità della terra. La Chiesa ha la missione di governare le anime e di amministrare i Sacramenti; e quindi, come nessun altro per nessun motivo può pretendere di penetrare nel Santuario, essa ha il dovere d’insorgere contro chiunque con arbitrarie ingerenze o ingiuste usurpazioni pretenda di invadere il suo campo. La Chiesa ha la missione d’insegnare l’osservanza dei precetti e di esortare alla pratica dei consigli evangelici, e guai a chiunque insegnasse il contrario, portando nella società il disordine e la confusione. La Chiesa ha il diritto di possedere, perchè è una società di uomini e non di angeli, ed ha bisogno dei beni materiali ad essa pervenuti dalla pietà dei fedeli, e ne conserva il legittimo possesso per l’adempimento dei suoi ministeri, per l’esercizio esteriore del culto, per la costruzione dei templi, per le opere di carità, che le sono affidate e per vivere e perpetuarsi fino alla consumazione dei secoli.

E questi diritti sono così sacri che la Chiesa ha sentito sempre il dovere di sostenerli e difenderli, ben sapendo che, se cedesse per poco alle pretensioni dei suoi nemici, verrebbe meno al mandato ricevuto dal Cielo e cadrebbe nella apostasia. Perciò la storia ci segnala una serie di proteste e rivendicazioni fatte dalla Chiesa contro quanti volevano renderla schiava. La sua prima parola al Giudaismo, detta da Pietro e dagli altri Apostoli: Bisogna obbedire a Dio, piuttosto che agli uomini (Act. V, 29), questa sublime parola fu ripetuta sempre dai loro successori e si ripeterà fino alla fine del mondo, fosse pure per confermarla con un battesimo di sangue.

E di questo sono così persuasi i nostri stessi avversari, che ripetono a parole, esservi all’ombra della loro bandiera ogni sorta di libertà; infatti però la libertà, o meglio la licenza, è per tutti, ma non la libertà per la Chiesa. Libertà per ognuno di professare il proprio culto, di manifestare i propri sistemi ; ma non per il cattolico, come tale, che è fatto segno a persecuzioni e dileggi, e non promosso, o privato di quegli offici, a cui ha sacro diritto. Libertà d’insegnamento; ma soggetta al monopolio dei Governi, che permettono nelle scuole la propagazione e la difesa di ogni sistema e di ogni errore ; e proibiscono perfino ai bambini lo studio del Catechismo. Libertà di stampa, e quindi libertà al giornalismo più iroso d’insinuare in onta alle leggi altre forme di governo, di aizzare a sedizione le plebi, di fomentare odi e inimicizie, d’impedire cogli scioperi il benessere degli operai e la vita tranquilla dei cittadini, di vituperare le cose più sacre e le persone più venerande ; ma non al giornalismo cattolico, che difendendo i diritti della Chiesa e propugnando i principi della verità e della giustizia, dev’essere sorvegliato, richiamato al dovere e fatto segno a tutti come avverso alle libere istituzioni, e nemico della patria.

A tutte le associazioni anche più sovversive la libertà di pubbliche e clamorose dimostrazioni ; ma le processioni cattoliche non escano dalle Chiese, perchè provocano i partiti contrari, sconvolgono l’ordine pubblico e disturbano i pacifici cittadini. Libertà di ministero per tutti, scismatici e dissidenti; ma pei cattolici solo allora che i ministri della Chiesa non abbiano nel paese, cui sono mandati, anche un solo prepotente, il quale s’imponga al Governo, che ne impedisce l’ingresso e l’esercizio. Libertà di possesso per tutti; ma non per la Chiesa e per gli Ordini religiosi, i cui beni con arbitraria violenza sono manomessi, convertiti e dati dai Governi alle laiche istituzioni.

Questa, come voi ben conoscete, è la libertà di cui gode la Chiesa anche in paesi cattolici ! E quindi abbiamo ben ragione di consolarci con voi, che la reclamate lottando per essa nel campo di azione che vi è finora concesso. Coraggio adunque, o figli diletti ; quanto più la Chiesa è osteggiata da ogni parte, quanto più le false massime dell’errore e del pervertimento morale infettano l’aria dei loro miasmi pestiferi, tanto maggiori meriti vi sarà dato acquistare dinanzi a Dio, se farete ogni sforzo per evitare il contagio e non vi lascerete smuovere da alcune delle vostre convinzioni, rimanendo fedeli alla Chiesa.

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Si legga anche:

ATTACCO alla Romanità della Chiesa Cattolica

Alle origini della protesta: Lutero

Primato Petrino e Romano? Nota ufficiale del 1998 della CdF

e si ascolti anche la Tavola Rotonda: