Siamo tutti fratelli?

Don Alfredo Morselli, parroco e teologo, commenta l’enciclica Fratelli tutti di papa Francesco.

di Don Alfredo Morselli

È appena uscita l’enciclica Fratelli tutti e già si sentono commenti di tutti i tipi: ritengo utili alcune considerazioni, onde evitare frettolose autopsie a cadavere ancora caldo.

SIAMO TUTTI FRATELLI?

Alcuni punti fermi, preliminari alla lettura di Fratelli tutti

Essere fratelli presuppone avere lo stesso padre, a meno che la madre non sia vedova nella migliore delle ipotesi, poco onesta nella peggiore.

L’avere lo stesso Padre comporta una certa immagine, oltre che una vaga somiglianza. L’immagine di Dio nell’uomo (come negli angeli) è data dalla natura libera e intelligente; detto più “fenomelogicamente”, dall’essere una “persona”.

San Tommaso spiega quanto sopra in questi termini:

“Ora, i vari esseri hanno con Dio una prima somiglianza genericissima in quanto esistono; una seconda in quanto vivono; una terza in quanto pensano o intendono. E questi ultimi, al dire di S. Agostino, “hanno con Dio una somiglianza tanto stretta, da essere la più vicina concessa alle creature”. Dunque è chiaro che, parlando propriamente, le sole creature intellettuali sono a immagine di Dio” (S. Th. Iª q. 93 a. 2 co).

Inoltre possiamo dire che la figliolanza è una categoria analogica; nessuno è Figlio come Gesù, e noi siamo “figli nel Figlio”.

Questa divisione analogica, che ci permette di afferrare i concetti di “Figliolanza per sé” e “Figliolanza per partecipazione”, ci permette pure di comprendere come esistono dei gradi anche nella figliolanza per partecipazione.

Come Gesù è “più Figlio” di quanto non lo siamo noi, così anche tra le creature razionali esistono dei gradi di figliolanza.

Quindi non ci si può limitare a dividere in “figlio sì” o “figlio no”, ma  bisogna distinguere “figli in vari gradi”.

Da che cosa è determinata l’intensità ontologica della figliolanza? Siccome il figlio è immagine dei genitori, tanto più l’uomo è a immagine di Dio, tanto più sarà figlio.

Siccome l’immagine è data dalla natura intellettuale della creatura, l’uomo sarà tanto più figlio quanto più elevata sarà la capacità della sua facoltà conoscitiva.

Analogamente alla visione, che è dovuta all’occhio e alla luce, così la conoscenza è dovuta all’anima illuminata ora dalla luce naturale dell’intelletto, ora dalla luce della fede, ora dalla luce della visione beatifica.

San Tommaso così spiega:

“Perciò l’immagine di Dio nell’uomo si può considerare sotto tre aspetti. Primo, in quanto l’uomo ha un’attitudine naturale a conoscere e ad amare Dio: e questa attitudine consiste nella natura stessa della mente, che è comune a tutti gli uomini. Secondo, in quanto l’uomo conosce e ama Dio in maniera attuale o abituale, però non in modo perfetto: e questa è l’immagine dovuta alla conformità della grazia. Terzo, in quanto l’uomo conosce e ama Dio in maniera attuale e perfetta: e questa è l’immagine secondo la somiglianza della gloria. Perciò, commentando il versetto del Salmo: “È stata impressa in noi la luce del tuo volto, o Signore”, la Glossa distingue tre immagini: e cioè di creazione, di nuova creazione, e di somiglianza. –

Concludendo, la prima immagine si trova in tutti gli uomini, la seconda nei soli giusti, la terza soltanto nei beati” (Iª q. 93 a. 4 co).

In base al suddetto triplice grado di immagine, si pongono nell’uomo tre gradi di figliolanza, e – conseguentemente – tre gradi di fratellanza tra gli uomini; tra uomini per il fatto di essere uomini, tra cristiani battezzati, tra anime purganti e beati.

In ciascun uomo i gradi di figliolanza stanno in rapporto tra loro secondo la relazione di potenza e atto.

Ogni uomo è figlio di Dio in atto per natura; lo è in potenza, ma non necessariamente in atto, in quanto figlio di Dio per la fede e in quanto beato.

Mentre la figliolanza naturale fisica è indipendente dal libero arbitrio (un padre non può chiedere a un figlio se vuole essere generato prima che questo nasca), la figliolanza soprannaturale è – per quanto in potenza – anch’essa indipendente dal libero arbitrio, ma – in quanto in atto – è causata dalla grazia e dal libero arbitrio mosso e sostenuto nel suo essere e nel suo agire dalla grazia.

“A quanti l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome” (Gv 1,12).

In altre parole, quanto plasmiamo, atto salutare dopo atto salutare, il nostro essere immagine di Dio “secondo la  misura del dono di Cristo” (Ef 4,7), tanto generiamo la nostra figliolanza verso Dio e la nostra fratellanza con gli altri uomini.

L’essenziale di quanto sopra è proposto a credere dalla Chiesa ed è riassunto nella domanda 24ª del Catechismo maggiore di San Pio X:

“24 D. Perché si dice che Dio è Padre?

R. Si dice che Dio è Padre, 1.° perché è Padre per natura della seconda Persona della Santissima Trinità, cioè del Figliuolo da lui generato: 2.° perché Dio è Padre di tutti gli uomini, che egli ha creato, conserva e governa: 3.° perché finalmente è Padre per grazia di tutti i buoni cristiani, i quali perciò si chiamano figliuoli di Dio adottivi”.

In base a quanto sopra:

Si può dire che un bambino che sta per essere abortito è nostro fratello, anche se non battezzato, per la sua figliolanza di natura.

Si può dire che un infedele è nostro fratello per la sua figliolanza di natura, rimanendo in noi il più fraterno obbligo di annunciargli il Vangelo, perché passino in atto i gradi di figliolanza che sono in lui solo in potenza, e quindi siamo tra noi ancora più fratelli.

Si può dire che un infedele senza colpa per ignoranza invincibile, il quale compie, mosso dalla grazia, tutto quanto può per conoscere il vero Dio, è soprannaturalmente nostro fratello in atto mediante la fede implicita.

Di fronte a questa verità ci sono due generi di errori: per difetto e per eccesso.

Per difetto, ovvero considerare gli uomini in qualche modo “meno fratelli” di quello che sono: ci sono gli errori che non considerano la dignità della persona umana dal concepimento alla morte, oppure la stessa persona sacrificabile e proprietà di uno stato o di una lobby economica che si mette nei suoi confronti al posto di Dio.

Ancora in questo genere troviamo la “fraternité” della Rivoluzione francese e della massoneria, ovvero di una fraternità senza un vero Padre, realmente distinto dal mondo.

Così pure il pessimismo luterano conseguente alla teoria del servo arbitrio, che porta a ipotizzare l’esistenza di uomini certamente futuri dannati.

Per eccesso, troviamo errori derivanti da temi propri della Nouvelle théologie e dalla teologia di Karl Rahner.

Nel primo caso riscontriamo la svalutazione della realtà del fine naturale dell’uomo (che invece secondo la buona teologia rimane in tutta la sua consistenza ontologica, seppure subordinato al fine soprannaturale). Detta svalutazione porta necessariamente ad appiattire la fratellanza e ad annullarne i gradi per partecipazione: se siamo già tutti fratelli, a che serve il kerigma? La Chiesa sarà “in uscita” solo per i bisogni materiali. L’unità si limiterà alla fedeltà alla costituzione, pur con ampie concessioni (togliamo crocifissi e presepi) etc.

Radicalmente più grave è la teologia di Karl Rahner, dove di fatto tutti sono cristiani anonimi, per cui – credenti e no – siamo tutti fratelli alla “ça va sans dire”.

Posti i suddetti punti fermi, di fede, si potrà valutare l’enciclica, sia quanto alla chiarezza espositiva sia quanto ai contenuti. N.B. “valutare” non è “giudicare”, ma, nel caso del Magistero, è dire “si capisce/non si capisce come ci sia continuità con la dottrina certa”; se non si capisce, si fanno domande (“dubia”); e finché non ci sono risposte, si rimane a ciò che è certo.

Conclusione: prima ci faremo santi, prima finisce la crisi nella Chiesa e prima saremo veramente fratelli; l’unica via per essere Fratelli tutti.


Andando a Messa ho sentito nel Vangelo che Dio ci dà il potere di diventare figli di Dio; me ne sono stupita perché pensavo di esserlo già dalla nascita

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Quesito

Giornata Buona, padre Angelo.
Sono una consultatrice assidua dell’archivio con i quesiti e soprattutto con le sue risposte a tutti i nostri dubbi. Grazie per questo servizio che lei svolge e che trovo molto illuminante per la mia vita spirituale.
Ora, anch’io, approfitto della sua pazienza e le rivolgo questa domanda:
Questa mattina, alla Santa Eucaristia, ho ascoltato il passo che inizia il vangelo (che io amo moltissimo) di Giovanni. Una frase mi ha colpito tantissimo : “A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dioa quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.”
Cosa vuol dire “ha dato il potere di diventare figli di Dio”? Io non sono già figlia di Dio? Perchè dice che mi dà il potere, come fosse qualcosa che poi posso fare, realizzare io?
Grazie, padre Angelo


Risposta del sacerdote

Carissima,
1. capisco bene il tuo stupore.
Ma prima di aver ricevuto il Battesimo non eri ancora figlia di Dio.
Eri una sua creatura, anzi una persona, e quindi della massima dignità.
Ma figli di Dio non si nasce. Lo si diventa.
San Giovanni è chiaro: “ha dato potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12)
Lo diventano quelli che lo accolgono. “A quanti l’hanno accolto ha dato il potere di diventare…”
Quest’affermazione di san Giovanni può lasciar intendere che qualcuno potrebbe non accoglierlo e pertanto potrebbe non diventare figlio di Dio.

2. Che significa allora diventare figli di Dio?
San Paolo dice che noi siamo chiamati a diventare “figli adottivi” di Dio.
Essere figli di Dio non è la stessa cosa che essere creature di Dio.
Creature lo sono anche i cani, i gatti e i topi. Ma non sono figli di Dio né possono diventarlo.
Come un bambino orfano diventa figlio adottivo di due genitori quando questi lo prendono e lo mettono a parte di tutti i loro averi, così fa Dio ci adotta come figl, per dare anoi tutto quello dall’eternità dà al Figlio suo, il Verbo, l’Unigenito.

3. Ma Dio ci adotta in una maniera immensamente più forte.
Infatti mentre i genitori possono dare al bambino che adottano il loro affetto e tutti i loro beni, ma non il loro DNA, Dio invece, oltre a darci tutti i suoi beni, mette dentro di noi un germe di vita divina, che si chiama grazia santificante.
Questa grazia santificante ci rende partecipi della natura divina, un po’ come il ferro che, messo dentro il fuoco, diventa incandescente.

4. Il ferro per natura non è infuocato. Ma può diventarlo.
Così noi per natura non siamo partecipi della natura divina. Abbiamo solo la nostra natura umana.
Ma Dio vuole renderci partecipi anche della sua natura divina attraverso la grazia, che porta in noi la presenza personale di Dio, ci abilita a pensare come pensa Dio (ecco che cosa è la fede!), ad amare come ama Dio (ecco che cos’è la carità!), a confidare nell’aiuto di Dio Padre e della onnipotenza di Cristo Salvatore (ecco che cosa è la speranza!).

5. Giovanni Paolo II, nel messaggio natalizio Urbi et Orbi del 25.12.1989, si chiede: “Quanti non L’hanno accolto? Quanti non L’accolgono? Quanti sanno di Lui? Quanti non sanno? Vorremmo calcolare con le statistiche umane, ma quanto lontano giunge questa potenza che è in Lui: Nato- Crocifisso – Risorto. Vorremmo sapere umanamente, quanti sono diventati, in Lui e per Lui, figli di Dio – figli nel Figlio. Ma i metri umani non possono misurare il mistero di Dio. Non possono misurare il Dono della Nascita di Dio, la quale è presente nella storia dell’uomo e nella storia del mondo, la quale opera nelle anime umane mediante la potenza dello Spirito che dà la Vita”.

6. Se san Paolo dice che con la grazia diventiamo figli adottivi di Dio, San Giovanni dice che semplicemente che diventiamo figli di Dio, senza mettere l’aggettivo “adottivo”.
Probabilmente perché non voleva che s’intendesse l’adozione a figli di Dio come l’adozione umana.
Si tratta infatti di una realtà immensamente più grande perché Dio con la grazia mette dentro di noi un germe divino (1 Gv 3,9). E in forza di questo germe divino Egli stesso inabita nel nostro cuore.

7. Questo titolo di figli di Dio non è dunque un nome vano né una semplice iperbole, perché con la grazia santificante diventiamo per grazia ciò che il Figlio (Gesù Cristo) è per natura.
Senza identificarci con Lui e senza sopprimere la nostra natura, Dio ci rende partecipi della sua natura, ci partecipa del suo Spirito, delle sue luci con la fede, del suo amore con la carità, delle sue operazioni con la sua grazia.
Generandoci come figli, ci dà tutto ciò di cui ha diritto il figlio, compresa l’eredità: “E se figli, siamo anche eredi. Eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze, per partecipare anche alla sua gloria” (Rm 8,17).

Ti auguro una fruttuosa e santa quaresima. 
Ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo

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