1700 anni dal decreto sulla Domenica, il dies Domini, giorno del Signore

Ringraziamo la FSSPX e la traduzione di unavox e condividiamo.

Il giorno del Signore — come fu definita la domenica fin dai tempi apostolici (1) — ha avuto sempre, nella storia della Chiesa, una considerazione privilegiata per la sua stretta connessione col nucleo stesso del mistero cristiano. La domenica infatti richiama, nella scansione settimanale del tempo, il giorno della risurrezione di Cristo. È la Pasqua della settimana, in cui si celebra la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte, il compimento in lui della prima creazione, e l’inizio della « nuova creazione » (cfr 2 Cor 5, 17). È il giorno dell’evocazione adorante e grata del primo giorno del mondo, ed insieme la prefigurazione, nella speranza operosa, dell’« ultimo giorno », quando Cristo verrà nella gloria (cfr At 1, 11; 1 Ts 4, 13-17) e saranno fatte « nuove tutte le cose » (cfr Ap 21, 5).” (Giovanni Paolo II – Lettera Apostolica Dies Domini, sulla Domenica)


I 1700 anni del riposo domenicale
di  Pierre-Alain Depauw

Pubblicato sul sito informazioni della Fraternità San Pio X


L’anno 2021 segna il 1700esimo anniversario della dedicazione della Domenica a giorno settimanale di riposo. Divenuto un precetto della Chiesa, questa istituzione ha ricevuto numerosi attacchi dalla Rivoluzione Francese ai giorni nostri.

Il Codice Giustinianeo – raccolta delle costituzioni imperiali promulgata dopo Adriano e pubblicata nel 528 – fa risalire il riposo domenicale all’Imperatore Costantino.

In effetti, nella primavera del 321, meno di dieci anni dopo la vittoria di ponte Milvio, che costituì una tappa essenziale per il cammino verso il potere e la conversione al cristianesimo, il figlio di Costanzo Cloro e di Sant’Elena si rivolge al Vicario di Roma in questi termini: « che tutti i giudici, la plebe urbana, i servizi di tutte le professioni riposino nel venerabile giorno del Sole» (Codice Giustinianeo, III, XII, 2).

Tre mesi più tardi, il 3 luglio 321, l’Imperatore  ritorna sull’argomento insistendo ulteriormente sul rispetto dovuto al primo giorno della settimana «il giorno del Sole dedicato alla sua venerazione» (Codice Teodosiano, II, VIII, 1).

Costantino non chiama ancora «Domenica» o «Giorno del Signore», il giorno di riposo, ma lo chiama «giorno del Sole», con riferimento al «Sole invitto», titolo caro ai vecchi Romani per designare il primo giorno della settimana.

Ma non ci si inganni, perché è la fede cristiana – che lo porterà a farsi battezzare alla fine della sua vita – che ispirava tale misura al vincitore di Massenzio su ponte Milvio.

Questa concezione del riposo rimaneva ancora molto flessibile: «Quelli che vivono in campagna si dedichino liberamente e senza impedimenti alla coltivazione dei campi, perché spesso accade che non c’è giorno migliore per gettare il grano nei solchi o mettere le viti nelle fosse di semina. In questo modo, l’opportunità concessa dalla lungimiranza celeste non sarà persa quando sarà giunto il momento di agire», precisa Costantino.

Da parte della Chiesa, la legge ecclesiastica più antica, pervenuta fino a noi, è un canone del concilio di Laodicea, la cui data è incerta ma che si può situare verso il 364.
Il concilio ordina di astenersi dal lavoro la Domenica «per quanto possibile», formula che lascia intendere che l’uso festivo della Domenica era ancora molto debole.

A partire dal regno dell’Imperatore Teodosio (379-395), il riferimento al sole svanisce gradualmente e si passa dal «giorno del sole, chiamato ritualmente dai nostri antenati il giorno del Signore, che prende il nome dal rispetto stesso in cui è tenuto».

A partire dal VI secolo, nella Chiesa si moltiplicano dappertutto dei concili particolari che ricordano il dovere del riposo domenicale e dei giorni di precetto, fino a che San Tommaso d’Aquino sistematizzò questa dottrina, guidato dal principio secondo il quale le opere servili sono interdette nella misura in cui impediscono all’uomo di applicarsi alle cose divine.

Fu solo con la Rivoluzione Francese che il riposo domenicale fu attaccato, in particolare con l’introduzione del «giorno decadente». I rivoluzionari introdussero le settimane di 10 giorni, l’ultimo dei quali – il decadente – era un giorno di riposo. Questa sciocchezza è durata meno di 15 anni.

Da allora, l’istituzione del riposo domenicale non ha cessato di subire attacchi: a volte attaccato frontalmente e soppresso, a volte riabilitato, o tagliato, come dimostra l’ultima legge, la legge Macron del 2015, dal nome di colui che all’epoca era ministro delle finanze di François Hollande.

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Perché piangeva, la Beata Vergine Maria a la Salette?

In base ai resoconti dei bambini, uno dei motivi principali dietro il suo dolore era la mancanza dell’osservanza locale della domenica come giorno di riposo. Si dice che abbia detto ai bambini:

Vi ho dato sei giorni per lavorare, mi sono riservato il settimo, e non me lo volete concedere. È questo che appesantisce tanto il braccio di Mio Figlio!
A seguito della Rivoluzione Francese del 1789 si provò ad abolire la domenica come giorno di riposo. Se la tendenza venne invertita nel 1814, nel 1830 la Francia era ancora in una situazione di instabilità politica, e solo nel 1904 la domenica divenne un giorno di riposo legale per tutti i lavoratori. All’epoca dell’apparizione a La Salette, la maggior parte dei lavoratori francesi non faceva distinzione tra la domenica e il resto della settimana lavorativa.

Lavorare la domenica può sembrare una cosa che non merita le lacrime della Vergine Maria, ma la Chiesa ha sempre cercato di sottolineare il nostro bisogno umano innato di riposo. Il riposo raggiunge la profondità del nostro essere a livello sia fisico che spirituale. Per molti versi, siamo stati creati per lo shabbat.

Nel 1998 San Giovanni Paolo II ha scritto un’intera lettera apostolica sul Dies Domini, e ha pensato al Terzo Millennio, vedendo l’osservanza della domenica come una parte fondamentale del futuro della nostra fede:

Gli uomini e le donne del terzo millennio, incontrando la Chiesa che ogni domenica celebra gioiosamente il mistero da cui attinge tutta la sua vita, possano incontrare lo stesso Cristo risorto. E i suoi discepoli, rinnovandosi costantemente nel memoriale settimanale della Pasqua, siano annunciatori sempre più credibili del Vangelo che salva e costruttori operosi della civiltà dell’amore”.
Se vogliamo confortare la Vergine sofferente e asciugarne le lacrime, dobbiamo esaminare la nostra vita e pensare a come osserviamo lo shabbat. È davvero un giorno di riposo? Ciò non significa semplicemente l’assenza di lavoro, ma soprattutto il fatto di lasciare lo spazio appropriato all’adorazione spirituale e ad attività che diano nuova vita al nostro corpo e alla nostra anima.

In un’epoca in cui ansia e depressione sono malattie comuni, perché non accettiamo il consiglio di Dio e riposiamo? Non dovrebbe essere facile farlo?


Dalla Lettera Apostolica Dies Domini, di Giovanni Paolo II

« Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò » (Gn 2, 3)

13. Il precetto del sabato, che nella prima Alleanza prepara la domenica della nuova ed eterna Alleanza, si radica dunque nella profondità del disegno di Dio. Proprio per questo esso non è collocato accanto ad ordinamenti semplicemente cultuali, come è il caso di tanti altri precetti, ma all’interno del Decalogo, le « dieci parole » che delineano i pilastri della vita morale, inscritta universalmente nel cuore dell’uomo. Cogliendo questo comandamento nell’orizzonte delle strutture fondamentali dell’etica, Israele e poi la Chiesa mostrano di non considerarlo una semplice disposizione di disciplina religiosa comunitaria, ma un’espressione qualificante e irrinunciabile del rapporto con Dio annunciato e proposto dalla rivelazione biblica. È in questa prospettiva che tale precetto va anche oggi riscoperto da parte dei cristiani. Se esso ha pure una naturale convergenza con il bisogno umano del riposo, è tuttavia alla fede che bisogna far capo per coglierne il senso profondo, e non rischiare di banalizzarlo e tradirlo.

14. Il giorno del riposo è dunque tale innanzitutto perché è il giorno « benedetto » da Dio e da lui « santificato », ossia separato dagli altri giorni per essere, tra tutti, il « giorno del Signore ».

Per comprendere appieno il senso di questa « santificazione » del sabato nel primo racconto biblico della creazione, occorre guardare all’insieme del testo, dal quale emerge con chiarezza come ogni realtà, senza eccezioni, vada ricondotta a Dio. Il tempo e lo spazio gli appartengono. Egli non è il Dio di un solo giorno, ma il Dio di tutti i giorni dell’uomo.

Se dunque egli « santifica » il settimo giorno con una speciale benedizione e ne fa il « suo giorno » per eccellenza, ciò va inteso proprio nella dinamica profonda del dialogo di alleanza, anzi del dialogo « sponsale ». È un dialogo di amore che non conosce interruzioni, e che tuttavia non è monocorde: si svolge infatti adoperando i diversi registri dell’amore, dalle manifestazioni ordinarie e indirette a quelle più intense che le parole della Scrittura e poi le testimonianze di tanti mistici non temono di descrivere con immagini tratte dall’esperienza dell’amore nuziale.

15. In realtà, tutta la vita dell’uomo e tutto il tempo dell’uomo, devono essere vissuti come lode e ringraziamento nei confronti del Creatore. Ma il rapporto dell’uomo con Dio ha bisogno anche di momenti di esplicita preghiera, in cui il rapporto si fa dialogo intenso, coinvolgente ogni dimensione della persona. Il « giorno del Signore » è, per eccellenza, il giorno di questo rapporto, in cui l’uomo eleva a Dio il suo canto, facendosi voce dell’intera creazione.

Proprio per questo è anche il giorno del riposo: l’interruzione del ritmo spesso opprimente delle occupazioni esprime, con il linguaggio plastico della « novità » e del « distacco », il riconoscimento della dipendenza propria e del cosmo da Dio. Tutto è di Dio! Il giorno del Signore torna continuamente ad affermare questo principio. Il « sabato » è stato perciò suggestivamente interpretato come un elemento qualificante in quella sorta di « architettura sacra » del tempo che caratterizza la rivelazione biblica.(13) Esso sta a ricordare che a Dio appartengono il cosmo e la storia, e l’uomo non può dedicarsi alla sua opera di collaboratore del Creatore nel mondo, senza prendere costantemente coscienza di questa verità.

« Ricordare » per « santificare »

16. Il comandamento del Decalogo con cui Dio impone l’osservanza del sabato ha, nel Libro dell’Esodo, una formulazione caratteristica: « Ricordati del giorno di sabato per santificarlo » (20, 8). E più oltre il testo ispirato ne dà la motivazione richiamando l’opera di Dio: « perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perché il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro » (v. 11). Prima di imporre qualcosa da fare, il comandamento segnala qualcosa da ricordare. Invita a risvegliare la memoria di quella grande e fondamentale opera di Dio che è la creazione. E memoria che deve animare tutta la vita religiosa dell’uomo, per confluire poi nel giorno in cui l’uomo è chiamato a riposare. Il riposo assume così una tipica valenza sacra: il fedele è invitato a riposare non solo come Dio ha riposato, ma a riposare nel Signore, riportando a lui tutta la creazione, nella lode, nel rendimento di grazie, nell’intimità filiale e nell’amicizia sponsale.

17. Il tema del « ricordo » delle meraviglie compiute da Dio, in rapporto al riposo sabbatico, emerge anche nel testo del Deuteronomio (5, 12-15), dove il fondamento del precetto è colto non tanto nell’opera della creazione, quanto in quella della liberazione operata da Dio nell’Esodo: « Ricordati che sei stato schiavo nel paese d’Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato » (Dt 5, 15).

Questa formulazione appare complementare alla precedente: considerate insieme, esse svelano il senso del « giorno del Signore » all’interno di una prospettiva unitaria di teologia della creazione e della salvezza. Il contenuto del precetto non è dunque primariamente una qualunque interruzione del lavoro, ma la celebrazione delle meraviglie operate da Dio.

Nella misura in cui questo « ricordo », colmo di gratitudine e di lode verso Dio, è vivo, il riposo dell’uomo, nel giorno del Signore, assume il suo pieno significato. Con esso, l’uomo entra nella dimensione del « riposo » di Dio e ne partecipa profondamente, diventando così capace di provare un fremito di quella gioia che il Creatore stesso provò dopo la creazione, vedendo che tutto quello che aveva fatto « era cosa molto buona » (Gn 1, 31).

Dal sabato alla domenica

18. Per questa essenziale dipendenza del terzo comandamento dalla memoria delle opere salvifiche di Dio, i cristiani, percependo l’originalità del tempo nuovo e definitivo inaugurato da Cristo, hanno assunto come festivo il primo giorno dopo il sabato, perché in esso è avvenuta la risurrezione del Signore. Il mistero pasquale di Cristo costituisce, infatti, la rivelazione piena del mistero delle origini, il vertice della storia della salvezza e l’anticipazione del compimento escatologico del mondo. Ciò che Dio ha operato nella creazione e ciò che ha attuato per il suo popolo nell’Esodo ha trovato nella morte e risurrezione di Cristo il suo compimento, anche se questo avrà la sua espressione definitiva solo nella parusia, con la venuta gloriosa di Cristo. In lui si realizza pienamente il senso « spirituale » del sabato, come sottolinea san Gregorio Magno: « Noi consideriamo vero sabato la persona del nostro Redentore, il Signore nostro Gesù Cristo ».(14) Per questo la gioia con cui Dio, nel primo sabato dell’umanità, contempla la creazione tratta dal nulla è ormai espressa da quella gioia con cui Cristo, nella domenica di Pasqua è apparso ai suoi, portando il dono della pace e dello Spirito (cfr Gv 20, 19-23). Nel mistero pasquale, infatti, la condizione umana, e con essa l’intera creazione, « che geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto » (Rm 8, 22), ha conosciuto il suo nuovo « esodo » verso la libertà dei figli di Dio che possono gridare, con Cristo, « Abbà, Padre » (Rm 8, 15; Gal 4, 6). Alla luce di questo mistero, il senso del precetto antico-testamentario sul giorno del Signore viene ricuperato, integrato e pienamente svelato nella gloria che rifulge sul volto di Cristo Risorto (cfr 2 Cor 4, 6). Dal « sabato » si passa al « primo giorno dopo il sabato », dal settimo giorno al primo giorno: il dies Domini diventa il dies Christi !

DIES CHRISTI

Il giorno del Signore risorto
e del dono dello Spirito

La Pasqua settimanale

19. « Noi celebriamo la domenica a causa della venerabile risurrezione del nostro Signore Gesù Cristo, non soltanto a Pasqua, ma anche a ogni ciclo settimanale »: così scriveva, agli inizi del V° secolo, Papa Innocenzo I,(15) testimoniando una prassi ormai consolidata, che era andata sviluppandosi a partire già dai primi anni successivi alla risurrezione del Signore. San Basilio parla della « santa domenica, onorata dalla risurrezione del Signore, primizia di tutti gli altri giorni ».(16) Sant’Agostino chiama la domenica « sacramento della Pasqua ».(17)

Questo intimo legame della domenica con la risurrezione del Signore è sottolineato fortemente da tutte le Chiese, in Occidente come in Oriente. Nella tradizione delle Chiese orientali, in particolare, ogni domenica è la anastàsimos hemèra, il giorno della risurrezione,(18) e proprio per questo suo carattere è il centro di tutto il culto.

Alla luce di questa ininterrotta ed universale tradizione, si vede chiaramente che, per quanto il giorno del Signore affondi le radici, come s’è detto, nell’opera stessa della creazione, e più direttamente nel mistero del biblico « riposo » di Dio, è tuttavia alla risurrezione di Cristo che bisogna far specifico riferimento per coglierne appieno il significato. È quanto avviene nella domenica cristiana, la quale ripropone ogni settimana alla considerazione e alla vita dei fedeli l’evento pasquale, da cui sgorga la salvezza del mondo.

20. Secondo la concorde testimonianza evangelica, la risurrezione di Gesù Cristo dai morti avvenne nel « primo giorno dopo il sabato » (Mc 16, 2.9; Lc 24, 1; Gv 20, 1). In quello stesso giorno, il Risorto si manifestò ai due discepoli di Emmaus (cfr Lc 24, 13-35) ed apparve agli undici Apostoli riuniti insieme (cfr Lc 24, 36; Gv 20, 19). Otto giorni dopo — come testimonia il Vangelo di Giovanni (cfr 20, 26) — i discepoli si trovavano nuovamente riuniti, quando Gesù apparve loro e si fece riconoscere da Tommaso, mostrando i segni della sua passione. Era domenica il giorno della Pentecoste, primo giorno dell’ottava settimana dopo la pasqua giudaica (cfr At 2, 1), quando con l’effusione dello Spirito Santo si realizzò la promessa fatta da Gesù agli Apostoli dopo la risurrezione (cfr Lc 24, 49; At 1, 4-5). Fu quello il giorno del primo annuncio e dei primi battesimi: Pietro proclamò alla folla riunita che il Cristo era risuscitato e « quelli che accolsero la sua parola furono battezzati » (At 2, 41). Fu l’epifania della Chiesa, manifestata come popolo nel quale confluiscono in unità, al di là di tutte le diversità, i figli di Dio dispersi.

Il primo giorno della settimana

21. È su questa base che, fin dai tempi apostolici, « il primo giorno dopo il sabato », primo della settimana, cominciò a caratterizzare il ritmo stesso della vita dei discepoli di Cristo (cfr 1 Cor 16, 2). « Primo giorno dopo il sabato » era anche quello in cui i fedeli di Troade si trovavano riuniti « per la frazione del pane », quando Paolo rivolse loro il discorso di addio e compì un miracolo per rianimare il giovane Eutico (cfr At 20, 7-12). Il Libro dell’Apocalisse testimonia l’uso di dare a questo primo giorno della settimana il nome di « giorno del Signore » (1, 10). Ormai ciò sarà una delle caratteristiche che distingueranno i cristiani dal mondo circostante. Lo notava, fin dall’inizio del secondo secolo, il governatore della Bitinia, Plinio il Giovane, constatando l’abitudine dei cristiani « di riunirsi a giorno fisso prima della levata del sole e di cantare tra di loro un inno a Cristo come a un dio ».(19) E, in effetti, quando i cristiani dicevano « giorno del Signore », lo facevano dando a questo termine la pienezza di senso derivante dal messaggio pasquale: « Gesù Cristo è Signore » (Fil 2, 11; cfr At 2, 36; 1 Cor 12, 3). Si riconosceva con ciò a Cristo lo stesso titolo col quale i Settanta traducevano, nella rivelazione dell’Antico Testamento, il nome proprio di Dio, JHWH, che non era lecito pronunciare.

22. In questi primi tempi della Chiesa, il ritmo settimanale dei giorni non era generalmente conosciuto nelle regioni in cui il Vangelo si diffondeva e i giorni festivi dei calendari greco e romano non coincidevano con la domenica cristiana. Ciò comportava per i cristiani una notevole difficoltà a osservare il giorno del Signore col suo carattere fisso settimanale. Si spiega così perché i fedeli fossero costretti a riunirsi prima del sorgere del sole.(20) La fedeltà al ritmo settimanale tuttavia si imponeva, in quanto fondata sul Nuovo Testamento e legata alla rivelazione dell’Antico Testamento. Lo sottolineano volentieri gli Apologisti ed i Padri della Chiesa nei loro scritti e nella loro predicazione. Il mistero pasquale veniva illustrato attraverso quei testi della Scrittura che, secondo la testimonianza di san Luca (cfr 24, 27.44-47), il Cristo risorto stesso doveva aver spiegato ai discepoli. Alla luce di tali testi, la celebrazione del giorno della risurrezione acquistava un valore dottrinale e simbolico capace di esprimere tutta la novità del mistero cristiano.

Progressiva distinzione dal sabato

23. È proprio su questa novità che insiste la catechesi dei primi secoli, impegnata a caratterizzare la domenica rispetto al sabato ebraico. Di sabato cadeva per gli ebrei il dovere della riunione nella sinagoga e andava praticato il riposo prescritto dalla Legge. Gli Apostoli, e in particolare san Paolo, continuarono dapprima a frequentare la sinagoga per potervi annunciare Gesù Cristo commentando « le parole dei profeti che si leggono ogni sabato » (At 13, 27). In alcune comunità si poteva registrare la coesistenza dell’osservanza del sabato con la celebrazione domenicale. Ben presto, però, si iniziò a distinguere i due giorni in modo sempre più netto, soprattutto per reagire alle insistenze di quei cristiani che, provenendo dal giudaismo, erano inclini a conservare l’obbligo dell’antica Legge. Sant’Ignazio di Antiochia scrive: « Se coloro che vivevano nell’antico ordine di cose sono venuti a una nuova speranza, non osservando più il sabato ma vivendo secondo il giorno del Signore, giorno in cui la nostra vita è sorta attraverso lui e la sua morte […], mistero dal quale abbiamo ricevuto la fede e nel quale perseveriamo per essere trovati discepoli di Cristo, nostro solo Maestro, come potremmo vivere senza di lui, che anche i profeti attendevano come maestro, essendo suoi discepoli nello Spirito? ».(21) E sant’Agostino a sua volta osserva: « Perciò anche il Signore ha impresso il suo sigillo al suo giorno, che è il terzo dopo la passione. Esso però, nel ciclo settimanale, è l’ottavo dopo il settimo cioè dopo il sabato, e il primo della settimana ».(22) La distinzione della domenica dal sabato ebraico si consolida sempre più nella coscienza ecclesiale, ma in certi periodi della storia, per l’enfasi data all’obbligo del riposo festivo, si registrerà una certa tendenza alla « sabbatizzazione » del giorno del Signore. Non sono mancati inoltre settori della cristianità in cui il sabato e la domenica sono stati osservati come « due giorni fratelli ».(23)

Il giorno della nuova creazione

24. Il confronto della domenica cristiana con la prospettiva sabbatica, propria dell’Antico Testamento, suscitò anche approfondimenti teologici di grande interesse. In particolare, fu posta in luce la singolare connessione esistente tra la risurrezione e la creazione. Fu infatti spontaneo per la riflessione cristiana collegare la risurrezione avvenuta « il primo giorno della settimana » con il primo giorno di quella settimana cosmica (cfr Gn 1, 1-2.4) secondo cui il libro della Genesi scandisce l’evento della creazione: il giorno della creazione della luce (cfr 1, 3-5). Tale nesso invitava a comprendere la risurrezione come l’inizio di una nuova creazione, della quale il Cristo glorioso costituisce la primizia, essendo egli, « generato prima di ogni creatura » (Col 1, 15), anche « il primogenito di coloro che risuscitano dai morti » (Col 1, 18).

25. La domenica è, in effetti, il giorno in cui, più che in ogni altro, il cristiano è chiamato a ricordare la salvezza che gli è stata offerta nel battesimo e che lo ha reso uomo nuovo in Cristo. « Con lui infatti siete stati sepolti insieme nel battesimo, in lui siete anche stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti » (Col 2, 12; cfr Rm 6, 4-6). La liturgia sottolinea questa dimensione battesimale della domenica, sia esortando a celebrare i battesimi, oltre che nella Veglia pasquale, anche in questo giorno settimanale « in cui la Chiesa commemora la risurrezione del Signore »,(24) sia suggerendo, quale opportuno rito penitenziale all’inizio della Messa, l’aspersione con l’acqua benedetta, che richiama appunto l’evento battesimale in cui nasce ogni esistenza cristiana.(25)

L’ottavo giorno, figura dell’eternità

26. D’altra parte, il fatto che il sabato risulti settimo giorno della settimana fece considerare il giorno del Signore alla luce di un simbolismo complementare, molto caro ai Padri: la domenica, oltre che primo giorno, è anche « giorno ottavo », posto cioè, rispetto alla successione settenaria dei giorni, in una posizione unica e trascendente, evocatrice non solo dell’inizio del tempo, ma anche della sua fine nel « secolo futuro ». San Basilio spiega che la domenica significa il giorno veramente unico che seguirà il tempo attuale, il giorno senza termine che non conoscerà né sera né mattino, il secolo imperituro che non potrà invecchiare; la domnenica è il preannuncio incessante della vita senza fine, che rianima la speranza dei cristiani e li incoraggia nel loro cammino.(26) Nella prospettiva del giorno ultimo, che invera pienamente il simbolismo anticipatore del sabato, sant’Agostino conclude le Confessioni parlando dell’eschaton come « pace del riposo, pace del sabato, pace senza sera ».(27) La celebrazione della domenica, giorno « primo » e insieme « ottavo », proietta il cristiano verso il traguardo della vita eterna.(28)

Il giorno di Cristo-luce

27. In questa prospettiva cristocentrica, si comprende un’altra valenza simbolica che la riflessione credente e la pratica pastorale attribuirono al giorno del Signore. Un’accorta intuizione pastorale, infatti, suggerì alla Chiesa di cristianizzare, per la domenica, la connotazione di « giorno del sole », espressione con cui i romani denominavano questo giorno e che ancora emerge in alcune lingue contemporanee,(29) sottraendo i fedeli alle seduzioni di culti che divinizzavano il sole e indirizzando la celebrazione di questo giorno a Cristo, vero « sole » dell’umanità. San Giustino, scrivendo ai pagani, utilizza la terminologia corrente per annotare che i cristiani facevano la loro adunanza « nel giorno detto del sole »,(30) ma il riferimento a questa espressione assume ormai per i credenti un senso nuovo, perfettamente evangelico.(31) Cristo è infatti la luce del mondo (cfr Gv 9, 5; cfr anche 1, 4-5.9), e il giorno commemorativo della sua risurrezione è il riflesso perenne, nella scansione settimanale del tempo, di questa epifania della sua gloria. Il tema della domenica come giorno illuminato dal trionfo di Cristo risorto trova spazio nella Liturgia delle Ore (32) ed ha una particolare enfasi nella veglia notturna che, nelle liturgie orientali, prepara e introduce la domenica. Radunandosi in questo giorno, la Chiesa fa suo, di generazione in generazione, lo stupore di Zaccaria, quando volge lo sguardo verso Cristo annunciandolo come « sole che sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte » (Lc 1, 78-79), e vibra in sintonia con la gioia provata da Simeone nel prendere tra le braccia il Bimbo divino venuto come « luce per illuminare le genti » (Lc 2, 32).

Il giorno del dono dello Spirito

28. Giorno di luce, la domenica potrebbe dirsi anche, in riferimento allo Spirito Santo, giorno del « fuoco ». La luce di Cristo, infatti, è intimamente connessa col « fuoco » dello Spirito, e ambedue le immagini indicano il senso della domenica cristiana.(33) Apparendo agli Apostoli la sera di Pasqua, Gesù alitò su di loro e disse: « Ricevete lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi » (Gv 20, 22-23). L’effusione dello Spirito fu il grande dono del Risorto ai suoi discepoli la domenica di Pasqua. Era ancora domenica, quando, cinquanta giorni dopo la risurrezione, lo Spirito scese con potenza, come « vento gagliardo » e « fuoco » (At 2, 23) sugli Apostoli riuniti con Maria. La Pentecoste non è solo evento originario, ma mistero che anima permanentemente la Chiesa.(34) Se tale evento ha il suo tempo liturgico forte nella celebrazione annuale con cui si chiude la « grande domenica »,(35) esso rimane inscritto, proprio per la sua intima connessione col mistero pasquale, anche nel senso profondo di ogni domenica. La « Pasqua della settimana » si fa così, in qualche modo, « Pentecoste della settimana », nella quale i cristiani rivivono l’esperienza gioiosa dell’incontro degli Apostoli col Risorto, lasciandosi vivificare dal soffio del suo Spirito.

Il giorno della fede

29. Per tutte queste dimensioni che la contraddistinguono, la domenica appare il giorno della fede per eccellenza. In esso lo Spirito Santo, « memoria » viva della Chiesa (cfr Gv 14, 26), fa della prima manifestazione del Risorto un evento che si rinnova nell’« oggi » di ciascuno dei discepoli di Cristo. Posti davanti a lui, nell’assemblea domenicale, i credenti si sentono interpellati come l’apostolo Tommaso: « Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo, ma credente! » (Gv 20, 27). Sì, la domenica è il giorno della fede. Lo sottolinea il fatto che la liturgia eucaristica domenicale, come peraltro quella delle solennità liturgiche, prevede la professione di fede. Il « Credo », recitato o cantato, evidenzia il carattere battesimale e pasquale della domenica, facendone il giorno in cui, a titolo speciale, il battezzato rinnova la propria adesione a Cristo ed al suo Vangelo nella ravvivata consapevolezza delle promesse battesimali. Accogliendo la Parola e ricevendo il Corpo del Signore, egli contempla Gesù risorto presente nei « santi segni » e confessa con l’apostolo Tommaso: « Mio Signore e mio Dio! » (Gv 20, 28).

Un giorno irrinunciabile!

30. Si comprende allora perché, anche nel contesto delle difficoltà del nostro tempo, l’identità di questo giorno debba essere salvaguardata e soprattutto profondamente vissuta. Un autore orientale dell’inizio del III secolo riferisce che in ogni regione i fedeli già allora santificavano regolarmente la domenica.(36) La prassi spontanea è divenuta poi norma giuridicamente sancita: il giorno del Signore ha scandito la storia bimillenaria della Chiesa. Come potrebbe pensarsi che esso non continui a segnare il suo futuro? I problemi che, nel nostro tempo, possono rendere più difficile la pratica del dovere domenicale non mancano di trovare la Chiesa sensibile e maternamente attenta alle condizioni dei singoli suoi figli. In particolare, essa si sente chiamata ad un nuovo impegno catechetico e pastorale, perché nessuno di essi, nelle normali condizioni di vita, resti privo dell’abbondante flusso di grazia che la celebrazione del giorno del Signore porta con sé. Nello stesso spirito, prendendo posizione su ipotesi di riforma del calendario ecclesiale in rapporto a variazioni dei sistemi di calendario civile, il Concilio Ecumenico Vaticano II ha dichiarato che la Chiesa « non si oppone a quelli soltanto che conservano e tutelano la settimana di sette giorni con la domenica ».(37) Alle soglie del terzo millennio, la celebrazione della domenica cristiana, per i significati che evoca e le dimensioni che implica, in rapporto ai fondamenti stessi della fede, rimane un elemento qualificante dell’identità cristiana.