Nota Dottrinale: i cattolici in politica

CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE
NOTA DOTTRINALE
su alcune questioni riguardanti la partecipazione dei cattolici alla vita politica


La Congregazione per la Dottrina della Fede, sentito il parere del Pontificio Consiglio per i Laici, ha deciso che sarebbe opportuno pubblicare la presente Nota dottrinale su alcune questioni riguardanti la partecipazione dei cattolici alla vita politica.  La presente Nota è diretta ai Vescovi della Chiesa Cattolica e, in modo particolare, ai politici cattolici ea tutti i fedeli laici chiamati a partecipare alla vita politica delle società democratiche.
 
I. Un insegnamento costante 
1. L’impegno dei cristiani nel mondo ha trovato diverse espressioni nel corso degli ultimi 2000 anni. Una di queste espressioni è stata l’impegno cristiano nella vita politica: i cristiani, come ha affermato uno scrittore della Chiesa primitiva, «svolgono pienamente il loro ruolo di cittadini». [1]  Tra i santi, la Chiesa venera molti uomini e donne che hanno servito Dio attraverso il loro generoso impegno nella politica e nel governo. Tra questi, san Tommaso Moro, proclamato patrono degli statisti e dei politici, ha testimoniato con il suo martirio «l’inalienabile dignità della coscienza umana». [2] Pur sottoposto a varie forme di pressione psicologica, san Tommaso Moro rifiutò di scendere a compromessi, senza mai rinunciare alla «costante fedeltà all’autorità e alle istituzioni legittime» che lo contraddistingueva; insegnò con la sua vita e la sua morte che «l’uomo non può essere separato da Dio, né la politica dalla morale». [3]È encomiabile che nelle odierne società democratiche, in un clima di vera libertà, ognuno sia reso partecipe della direzione del corpo politico. [4]  Tali società richiedono forme nuove e più complete di partecipazione alla vita pubblica da parte dei cittadini cristiani e non. Tutti, infatti, possono contribuire, votando alle elezioni di legislatori e funzionari di governo, e anche in altri modi, allo sviluppo di soluzioni politiche e scelte legislative che, a loro avviso, gioveranno al bene comune. [5]  La vita di una democrazia non potrebbe essere produttiva senza il coinvolgimento attivo, responsabile e generoso di tutti, «pur in una diversità e complementarità di forme, livelli, compiti e responsabilità». [6] Nell’adempimento dei loro doveri civici, «guidati da una coscienza cristiana», [7] in conformità ai suoi valori, i fedeli laici esercitano il proprio compito di infondere all’ordine temporale i valori cristiani, nel rispetto della natura e della legittima autonomia di esso ordine, [8] e cooperando con gli altri cittadini secondo la loro particolare competenza e responsabilità. [9]  La conseguenza di questo fondamentale insegnamento del Concilio Vaticano II è che «i fedeli laici non devono mai rinunciare alla loro partecipazione alla ‘vita pubblica’, cioè nei molteplici ambiti economici, sociali, legislativi, amministrativi e culturali, che hanno lo scopo di promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune». [10] Ciò includerebbe la promozione e la difesa di beni come l’ordine pubblico e la pace, la libertà e l’uguaglianza, il rispetto della vita umana e dell’ambiente, la giustizia e la solidarietà. La presente Nota non vuole esporre l’intero magistero della Chiesa su questo argomento, che è riassunto nei suoi elementi essenziali nel Catechismo della Chiesa Cattolica , ma intende solo richiamare alcuni principi propri della coscienza cristiana, che ispirano il sociale e il coinvolgimento politico dei cattolici nelle società democratiche. [11]  L’emergere di ambiguità o posizioni discutibili negli ultimi tempi, spesso a causa della pressione degli eventi mondiali, ha reso necessario chiarire alcuni importanti elementi dell’insegnamento della Chiesa in questo campo. 

II. Punti centrali nell’attuale dibattito culturale e politico
2. La società civile oggi sta attraversando un processo culturale complesso poiché la fine di un’era porta con sé un momento di incertezza di fronte a qualcosa di nuovo. I grandi passi avanti compiuti nel nostro tempo testimoniano il progresso dell’umanità nel raggiungimento di condizioni di vita più consone alla dignità umana. La crescita del senso di responsabilità nei confronti dei Paesi ancora in via di sviluppo è senza dubbio un segnale importante, indicativo di una maggiore sensibilità al bene comune. Allo stesso tempo, però, non si possono chiudere gli occhi sui pericoli reali che alcune tendenze della società stanno promuovendo attraverso la legislazione, né si possono ignorare gli effetti che ciò avrà sulle generazioni future.Esiste oggi una sorta di relativismo culturale, evidente nella concettualizzazione e difesa di un pluralismo etico, che sancisce la decadenza e la disgregazione della ragione e dei principi della legge morale naturale. Inoltre, non è raro sentire nella sfera pubblica l’opinione che tale pluralismo etico sia la condizione stessa della democrazia. [12]  Di conseguenza, i cittadini rivendicano una completa autonomia riguardo alle loro scelte morali e i legislatori sostengono di rispettare questa libertà di scelta emanando leggi che ignorano i principi dell’etica naturale e cedono a tendenze culturali e morali effimere, [13 ]come se ogni possibile visione della vita avesse lo stesso valore. Al tempo stesso, il valore della tolleranza è invocato in malafede quando si chiede a un gran numero di cittadini, anche cattolici, di non fondare il proprio contributo alla società e alla vita politica – attraverso i mezzi legittimi a disposizione di tutti in democrazia – sulla loro comprensione della persona umana e del bene comune. La storia del Novecento dimostra che avevano ragione quei cittadini che riconoscevano la falsità del relativismo e, con essa, la nozione che non esiste una legge morale radicata nella natura della persona umana, che deve governare la nostra comprensione dell’uomo, il comune bene e lo stato. 

3. Tale relativismo, ovviamente, non ha nulla a che vedere con la legittima libertà dei cittadini cattolici di scegliere tra le diverse opinioni politiche compatibili con la fede e con la legge morale naturale, e di scegliere, secondo i propri criteri, quella che meglio corrisponde alle esigenze del bene comune. 
La libertà politica non è – e non può essere – fondata sull’idea relativistica che tutte le concezioni del bene della persona umana hanno lo stesso valore e verità, ma piuttosto, sul fatto che la politica si occupa di realizzazioni molto concrete del vero bene umano e sociale in determinati contesti storici, geografici, economici, tecnologici e culturali. Dalla specificità del compito da svolgere e dalla varietà delle circostanze, emerge una pluralità di politiche e soluzioni moralmente accettabili. Non è compito della Chiesa proporre soluzioni politiche specifiche – e tanto meno proporre una soluzione unica come accettabile – alle questioni temporali che Dio ha lasciato al giudizio libero e responsabile di ciascuno. È, tuttavia, diritto e dovere della Chiesa fornire un giudizio morale su questioni temporali quando ciò è richiesto dalla fede o dalla legge morale.[14]  
Se i cristiani devono «riconoscere la legittimità dei diversi punti di vista sull’organizzazione delle cose mondane», [15] sono anche chiamati a rifiutare, in quanto nociva alla vita democratica, una concezione del pluralismo che riflette il relativismo morale. La democrazia deve fondarsi sul vero e solido fondamento di principi etici non negoziabili, che sono alla base della vita nella società.Sul piano dell’azione politica concreta, generalmente può esistere una pluralità di partiti politici in cui i cattolici possono esercitare – soprattutto attraverso assemblee legislative – il loro diritto e dovere di contribuire alla vita pubblica del loro Paese. [16] Ciò deriva dalla natura contingente di alcune scelte riguardanti l’ordinamento della società, dalla varietà delle strategie disponibili per realizzare o garantire lo stesso valore fondamentale, dalla possibilità di diverse interpretazioni dei principi fondamentali della teoria politica e dalla complessità tecnica di molte i problemi. Non va però confuso con un ambiguo pluralismo nella scelta dei principi morali o dei valori essenziali. 
La legittima pluralità delle opzioni temporali è all’origine dell’impegno dei cattolici nella politica e si collega direttamente alla dottrina morale e sociale cristiana. È alla luce di questo insegnamento che i laici cattolici devono valutare la loro partecipazione alla vita politica, per essere certi che essa sia segnata da una coerente responsabilità nei confronti della realtà temporale.
 La Chiesa riconosce che mentre la democrazia è la migliore espressione della partecipazione diretta dei cittadini alle scelte politiche, riesce solo nella misura in cui si fonda su una corretta comprensione della persona umana . [17] 
L’impegno cattolico nella vita politica non può scendere a compromessi su questo principio, perché altrimenti la testimonianza della fede cristiana nel mondo, così come l’unità e la coerenza interiore dei fedeli, sarebbero inesistenti. Le strutture democratiche su cui si basa lo Stato moderno sarebbero piuttosto fragili se il suo fondamento non fosse la centralità della persona umana. È il rispetto della persona che rende possibile la partecipazione democratica. Come insegna il Concilio Vaticano II, la tutela dei «diritti della persona è, infatti, una condizione necessaria affinché i cittadini, individualmente e collettivamente, svolgano un ruolo attivo nella vita pubblica e nell’amministrazione». [18]

4. Da qui si dirama la complessa serie dei problemi di oggi, compresi alcuni mai affrontati dalle generazioni passate. Il progresso scientifico ha prodotto progressi che inquietano le coscienze di uomini e donne e richiedono soluzioni che rispettino i principi etici in modo coerente e fondamentale. Allo stesso tempo, vengono avanzate proposte legislative che, incuranti delle conseguenze per l’esistenza e il futuro degli esseri umani per quanto riguarda la formazione della cultura e dei comportamenti sociali, attaccano la stessa inviolabilità della vita umana. I cattolici, in questa difficile situazione, hanno il diritto e il dovere di richiamare la società a una più profonda comprensione della vita umana e alla responsabilità di tutti al riguardo. Giovanni Paolo II, continuando il costante insegnamento della Chiesa,grave e chiaro obbligo di opporsi» a qualsiasi legge che attenta alla vita umana. Per loro, come per ogni cattolico, è impossibile promuovere tali leggi o votarle. [19]  Come ha insegnato Giovanni Paolo II nella sua Lettera enciclica Evangelium vitae a proposito della situazione in cui non è possibile ribaltare o abrogare del tutto una legge che consente l’aborto già in vigore o in procinto di votare, «un eletto, la cui assoluta e personale opposizione all’aborto procurato era ben nota, poteva legittimamente sostenere proposte volte a limitare il danno arrecato da tale legge e ad attenuarne le conseguenze negative a livello dell’opinione generale e della morale pubblica». [20] In questo contesto, va rilevato anche che una coscienza cristiana ben formata non consente di votare per un programma politico o una legge individuale che contraddica i contenuti fondamentali della fede e della morale. La fede cristiana è un’unità integrale, e quindi è incoerente isolare qualche elemento particolare a scapito dell’intera dottrina cattolica. L’impegno politico su un solo aspetto isolato della dottrina sociale della Chiesa non esaurisce la propria responsabilità verso il bene comune. 
Né un cattolico può pensare di delegare ad altri la sua responsabilità cristiana; piuttosto, il Vangelo di Gesù Cristo gli affida questo compito, perché la verità sull’uomo e sul mondo sia annunciata e messa in atto.Quando l’attività politica si scontra con principi morali che non ammettono eccezioni, compromessi o deroghe, l’impegno cattolico diventa più evidente e carico di responsabilità. Di fronte alle esigenze etiche fondamentali e irrinunciabili, i cristiani devono riconoscere che è in gioco l’essenza della legge morale, che riguarda il bene integrale della persona umana. È il caso delle leggi sull’aborto e l’ eutanasia (da non confondere con la decisione di rinunciare a cure straordinarie, moralmente legittima). 
Tali leggi devono difendere il diritto fondamentale alla vita dal concepimento alla morte naturale. Allo stesso modo, è necessario richiamare il dovere di rispettare e tutelare i diritti del embrione umano.  Analogamente, va salvaguardata e promossa la famiglia , fondata sul matrimonio monogamico tra uomo e donna, e tutelata nella sua unità e stabilità di fronte alle moderne leggi sul divorzio: in nessun modo possono essere poste altre forme di convivenza sul stesso livello del matrimonio, né possono ricevere il riconoscimento giuridico in quanto tali. Lo stesso vale per la libertà dei genitori riguardo all’educazione dei figli; è un diritto inalienabile riconosciuto anche dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Allo stesso modo, bisogna considerare la tutela della società dei minori e la libertà dalle moderne forme di schiavitù (abuso di droga e prostituzione, ad esempio). Inoltre, c’è il diritto dila libertà religiosa e lo sviluppo di un’economia al servizio della persona umana e del bene comune, nel rispetto della giustizia sociale, dei principi di solidarietà umana e sussidiarietà, secondo cui «i diritti di ogni persona, famiglia e organizzazioni e la loro attuazione pratica deve essere riconosciuta». [21]  Infine, va menzionata la questione della pace . Certe visioni pacifiste e ideologiche tendono a volte a secolarizzare il valore della pace, mentre in altri casi si pone il problema di giudizi etici sommari che dimenticano la complessità delle questioni in gioco. La pace è sempre «opera della giustizia ed effetto della carità». [22] Esige il rifiuto assoluto e radicale della violenza e del terrorismo e richiede un impegno costante e vigile da parte di tutti i leader politici. 

III. Principi di dottrina cattolica sull’autonomia dell’ordine temporale e sul pluralismo. 
5. Mentre una pluralità di metodologie che riflettono sensibilità e culture diverse può essere legittima nell’affrontare tali questioni, nessun cattolico può appellarsi al principio del pluralismo o all’autonomia del coinvolgimento laico nella vita politica per sostenere politiche che incidono sul bene comune, che compromettono o compromettere i requisiti etici fondamentali. Non si tratta di «valori confessionali» di per sé, perché tali precetti etici sono radicati nella stessa natura umana e appartengono alla legge morale naturale. Non esigono da coloro che li difendono la professione della fede cristiana, sebbene l’insegnamento della Chiesa li confermi e li difenda sempre e dovunque come parte del suo servizio alla verità sull’uomo e sul bene comune della società civile. Inoltre, non si può negare che la politica debba fare riferimento a principi di assoluto valore proprio perché questi sono al servizio della dignità della persona umana e del vero progresso umano.

6. Occorre chiarire l’appello spesso rivolto alla «giusta autonomia della partecipazione dei laici cattolici» alla politica. Promuovere il bene comune della società, secondo coscienza, non ha nulla a che vedere con il «confessionismo» o con l’intolleranza religiosa. 
Per la dottrina morale cattolica, la legittima autonomia della sfera politica o civile da quella della religione e della Chiesa – ma non da quella della morale – è un valore che è stato raggiunto e riconosciuto dalla Chiesa cattolica e appartiene all’eredità della civiltà contemporanea. [23] Giovanni Paolo II ha più volte messo in guardia dai pericoli che derivano dalla confusione tra la sfera religiosa e quella politica. «Situazioni estremamente delicate sorgono quando una norma specificamente religiosa diventa o tende a diventare legge di uno Stato senza la dovuta considerazione per la distinzione tra gli ambiti propri della religione e quelli della società politica. In pratica, l’identificazione del diritto religioso con il diritto civile può soffocare la libertà religiosa, arrivando persino a limitare o negare altri diritti umani inalienabili». [24] Tutti i fedeli sono ben consapevoli che le attività specificamente religiose (come la professione di fede, il culto, l’amministrazione dei sacramenti, le dottrine teologiche, l’interscambio tra le autorità religiose ei membri delle religioni) sono al di fuori della responsabilità dello Stato. Lo Stato non deve interferire, né in alcun modo imporre o vietare queste attività, tranne quando si tratta di una questione di ordine pubblico. Il riconoscimento dei diritti civili e politici, così come l’assegnazione dei servizi pubblici, non può essere subordinato alle convinzioni o alle attività religiose dei cittadini. 
Ben diverso è il diritto e dovere dei cattolici e di tutti i cittadini di ricercare con sincerità la verità e di promuovere e difendere, con mezzi legittimi, le verità morali riguardanti la società, la giustizia, la libertà, il rispetto della vita umana e gli altri diritti della persona. . Il fatto che alcune di queste verità possano essere insegnate anche dalla Chiesa non toglie la legittimità politica né la legittima «autonomia» del contributo di quei cittadini che vi si impegnano, indipendentemente dal ruolo che ha motivato l’indagine o la conferma da parte del cristiano la fede può aver giocato nel riconoscere tali verità. 
Tale «autonomia» si riferisce anzitutto all’atteggiamento della persona che rispetta le verità che derivano dalla conoscenza naturale riguardo alla vita dell’uomo nella società, anche se tali verità possono essere insegnate anche da una determinata religione, perché la verità è una.autonomia esercitata dai cattolici nella vita politica con la pretesa di un principio che prescinde dalla dottrina morale e sociale della Chiesa.
Con i suoi interventi in questo campo, il Magistero della Chiesa non vuole esercitare il potere politico né eliminare la libertà di opinione dei cattolici su questioni contingenti. Essa intende invece – com’è sua propria funzione – istruire e illuminare le coscienze dei fedeli, in particolare di quelli impegnati nella vita politica, affinché le loro azioni siano sempre al servizio della promozione integrale della persona umana e del bene comune. 
La dottrina sociale della Chiesa non è un’intrusione nel governo dei singoli Paesi. Si tratta del dovere del laico cattolico di essere moralmente coerente, che si trova nella propria coscienza, che è una e indivisibile. «Non possono esserci due vite parallele nella loro esistenza: da una parte, la cosiddetta ‘vita spirituale’, con i suoi valori e le sue esigenze; e dall’altro la vita cosiddetta ‘laica’, cioè la vita in famiglia, nel lavoro, nelle responsabilità sociali, nelle responsabilità della vita pubblica e nella cultura. Il tralcio, innestato alla vite che è Cristo, porta i suoi frutti in ogni ambito dell’esistenza e dell’attività. 
Ogni ambito della vita dei fedeli laici, infatti, per quanto diverso, entra nel disegno di Dio, che desidera che proprio questi ambiti siano i ‘luoghi nel tempo’ dove l’amore di Cristo si rivela e si realizza sia per la gloria del Padre e al servizio degli altri. Ogni attività, ogni situazione, ogni precisa responsabilità – come, ad esempio, competenza e solidarietà nel lavoro, amore e dedizione nella famiglia e nell’educazione dei figli, servizio alla società e alla vita pubblica e promozione della verità nel campo della cultura – sono le occasioni ordinate dalla provvidenza per un «continuo esercizio della fede, della speranza e della carità» (Apostolicam actuositatem , 4)» [25]  ( vita in famiglia, nel lavoro, nelle responsabilità sociali, nelle responsabilità della vita pubblica e nella cultura. Il tralcio, innestato alla vite che è Cristo, porta i suoi frutti in ogni ambito dell’esistenza e dell’attività.   Vivere e agire in conformità con la propria coscienza sulle questioni della politica non è accettazione servile di posizioni estranee alla politica o di qualche confessionalismo, ma piuttosto il modo in cui i cristiani offrono il loro contributo concreto affinché, attraverso la vita politica, la società diverrà più giusto e più coerente con la dignità della persona umana. Nelle società democratiche, tutte le proposte sono discusse ed esaminate liberamente. 
Coloro che, sulla base del rispetto della coscienza individuale, considererebbero il dovere morale dei cristiani di agire secondo la loro coscienza come qualcosa che li squalifica dalla vita politica, negando la legittimità del loro impegno politico derivante dalle loro convinzioni sul bene comune, sarebbe colpevole di una forma di laicità intollerante . Una tale posizione cercherebbe di negare non solo qualsiasi impegno del cristianesimo nella vita pubblica o politica, ma anche la possibilità della stessa etica naturale. Se così fosse, la strada sarebbe aperta all’anarchia morale, che sarebbe tutt’altro che legittimo pluralismo. L’oppressione dei deboli da parte dei forti sarebbe l’ovvia conseguenza. L’emarginazione del cristianesimo, inoltre, non sarebbe di buon auspicio per il futuro della società o per il consenso tra i popoli; anzi, minaccerebbe le stesse fondamenta spirituali e culturali della civiltà. [26] 

IV. Considerazioni su aspetti particolari
7. Negli ultimi anni, all’interno di alcune organizzazioni fondate su principi cattolici, si sono verificati casi in cui si è dato sostegno a forze o movimenti politici con posizioni contrarie alla dottrina morale e sociale della Chiesa su questioni etiche fondamentali. Tali attività, in contraddizione con i principi fondamentali della coscienza cristiana, non sono compatibili con l’appartenenza a organizzazioni o associazioni che si definiscono cattoliche. Allo stesso modo, alcuni periodici cattolici di alcuni Paesi hanno espresso prospettive su scelte politiche ambigue o scorrette, interpretando erroneamente l’idea dell’autonomia politica di cui godono i cattolici e non tenendo conto dei principi sopra ricordati.  
La fede in Gesù Cristo, che è «la via, la verità e la vita» (Jn14,6), invita i cristiani a impegnarsi maggiormente nella costruzione di una cultura che, ispirata dal Vangelo, rivendichi i valori ei contenuti della Tradizione cattolica. La presentazione dei frutti dell’eredità spirituale, intellettuale e morale del cattolicesimo in termini comprensibili alla cultura moderna è oggi un compito di grande urgenza, per evitare anche una sorta di diaspora culturale cattolica. Inoltre, le conquiste culturali e la matura esperienza dei cattolici nella vita politica in diversi Paesi, soprattutto dal secondo dopoguerra, non consentono alcun tipo di ‘complesso di inferiorità’ rispetto a programmi politici che la storia recente ha rivelato deboli o del tutto rovinosi . È insufficiente e riduttivo pensare che l’impegno dei cattolici nella società possa limitarsi a una semplice trasformazione delle strutture, La fede cristiana non ha mai avuto la presunzione di imporre un quadro rigido alle questioni sociali e politiche, consapevole che la dimensione storica richiede che uomini e donne vivano in situazioni imperfette, suscettibili anche di rapidi mutamenti. Per questo i cristiani devono rifiutare posizioni e attività politiche ispirate a una prospettiva utopica che, trasformando la tradizione della fede biblica in una sorta di visione profetica senza Dio, fa un cattivo uso della religione orientando le coscienze verso una speranza meramente terrena e che svuota o reinterpreta la tensione cristiana verso la vita eterna. Allo stesso tempo, la Chiesa insegna che l’autentica libertà non esiste senza la verità. «Verità e libertà o vanno insieme mano nella mano o insieme periscono nella miseria». [27] 
 In una società in cui la verità non è né menzionata né cercata, ogni forma di autentico esercizio della libertà sarà indebolita, aprendo la strada a distorsioni libertine e individualistiche e minando la tutela del bene della persona umana e dell’intera società .

8. Al riguardo, giova richiamare una verità che oggi spesso non è percepita o formulata correttamente nell’opinione pubblica: il diritto alla libertà di coscienza e, in modo speciale, alla libertà religiosa, insegnata nella Dichiarazione Dignitatis humanae di il Concilio Vaticano II, si fonda sulla dignità ontologica della persona umana e non su una inesistente uguaglianza tra religioni o sistemi culturali della creazione umana. [28] 
Riflettendo su questa domanda, Paolo VI insegnava che «in nessun modo il Concilio fonda questo diritto alla libertà religiosa sul fatto che tutte le religioni e tutti gli insegnamenti, anche quelli erronei, avrebbero più o meno uguale valore; si fonda piuttosto sulla dignità della persona umana, che esige che non sia soggetta a limitazioni esterne che tendono a costringere la coscienza nella sua ricerca della vera religione o nell’adesione ad essa». [29]  L’insegnamento sulla libertà di coscienza e sulla libertà religiosa non contraddice quindi la condanna dell’indifferentismo e del relativismo religioso da parte della dottrina cattolica; [30] al contrario, è pienamente in accordo con esso. 

V. Conclusione
9. I principi contenuti nella presente Nota intendono mettere in luce uno degli aspetti più importanti dell’unità della vita cristiana: la coerenza tra fede e vita, Vangelo e cultura, come ha ricordato il Concilio Vaticano II. Il Concilio ha esortato i cristiani «ad adempiere fedelmente i propri doveri nello spirito del Vangelo. È un errore pensare che, poiché non abbiamo qui una città duratura, ma cerchiamo la città che verrà, abbiamo il diritto di sottrarci alle nostre responsabilità terrene; questo per dimenticare che per la nostra fede siamo tenuti tanto più ad adempiere queste responsabilità secondo la vocazione di ciascuno… Possano i cristiani… essere orgogliosi dell’opportunità di svolgere la loro attività terrena in modo da integrare imprese umane, domestiche, professionali, scientifiche e tecniche con valori religiosi, sotto la cui suprema direzione tutte le cose sono ordinate alla gloria di Dio».[31]

 Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nell’Udienza del 21 novembre 2002, ha approvato la presente Nota, adottata nella Sessione Plenaria di questa Congregazione, e ne ha disposto la pubblicazione. 
Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, 24 novembre 2002, Solennità di Cristo Re. 
+Giuseppe Card. RATZINGER
Prefetto 
+Tarcisio BERTONE, SDB
Arcivescovo Emerito di Vercelli
Segretario


NOTE

[1] Lettera a Diogneto, 5,5; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2240.
[2]Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Motu Proprio proclamando san Tommaso Moro patrono degli statisti e dei politici, 1: AAS 93 (2001), 76.
[3] Ivi, 4.
[4]Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes , 31; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1915.[5]Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes , 75.
[6]
Giovanni Paolo II, Esort. ap. , Christifideles laici, 42: AAS 81 (1989), 472. La presente Nota dottrinale siriferisce all’impegno nella vita politica dei fedeli laici. I Vescovi della Chiesa hanno il diritto e il dovere di enunciare i principi morali relativi all’ordine sociale; «Tuttavia la partecipazione attiva ai partiti politici è riservata ai fedeli laici» ( ibid., 60). cfr. Congregazione per il Clero, Direttorio per il ministero e la vita dei sacerdoti (31 marzo 1994), 33.[7]Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, 76.
[8]Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, 36.
[9]Cfr. Concilio Vaticano II, Decreto Apostolicam actuositatem, 7; Costituzione dogmatica Lumen gentium, 36; Costituzione pastorale Gaudium et spes, 31 e 43.
[10]Giovanni Paolo II, Esort. ap. Christifideles laici, 42.
[11]Negli ultimi due secoli, il Magistero Pontificio si è pronunciato sulle principali questioni riguardanti l’ordine sociale e politico. cfr. Leone XIII, Lett. enc. Diuturnum illud : ASS 14 (1881–1882), 4 ss; Lettera Enciclica Immortale Dei : ASS 18 (1885-1886), 162ss; Lettera Enciclica Libertas præstantissimum : ASS 20 (1887-1888), 593ss; Lettera Enciclica Rerum novarum : ASS 23 (1890–1891), 643ss; Benedetto XV, Lett. enc. Pacem Dei munus pulcherrimum : AAS 12 (1920), 209ss; Pio XI, Lettera Enciclica Quadragesimo anno : AAS23 (1931), 190 ss; Lettera enciclica Mit brennender Sorge : AAS 29 (1937), 145-167; Lettera Enciclica Divini Redemptoris : AAS 29 (1937), 78ss; Pio XII, Lett. enc. Summi Pontificatus : AAS 31 (1939), 423ss; Radiomessaggi natalizi 1941–1944; Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra : AAS 53 (1961), 401-464; Lett. enc. Pacem in terris : AAS 55 (1963), 257-304; Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio : AAS 59 (1967), 257-299; Lettera Apostolica Octogesima adveniensAAS 63 (1971), 401–441. 
[12]Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 46: AAS 83 (1991); Lett. enc. Veritatis splendor , 101: AAS 85 (1993), 1212–1213; Discorso al Parlamento italiano, 5: L’Osservatore Romano (15 novembre 2002).
[13]Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Evangelium vitae, 22: AAS 87 (1995), 425-426. 
[14]Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, 76.
[15]Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, 75.
[16]Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, 43 e 75.
[17]Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, 25.
[18]Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, 73.
[19]Cfr. Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Evangelium vitae, 73.
[20] Ibidem.
[21]Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, 75.
[22] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2304. 
[23]Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, 76.
[24]Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1991: «Se vuoi la pace, rispetta la coscienza di ogni uomo», 4: AAS 83 (1991), 414-415.
[25]Giovanni Paolo II, Esort. ap. Christifideles laici, 59.
[26]Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede : L’Osservatore Romano (11 gennaio 2002).
[27]Giovanni Paolo II, Lett. enc. Fides et ratio, 90: AAS 91 (1999), 75.
[28]Cfr. Concilio Vaticano II, Dichiarazione Dignitatis humanae, 1: «Questo Sacro Concilio inizia col professare che Dio stesso ha fatto conoscere al genere umano come gli uomini servendolo possono salvarsi e raggiungere lo stato di beati. Crediamo che questa sola vera religione sussista nella Chiesa cattolica e apostolica». Ciò non toglie il sincero rispetto che la Chiesa nutre per le diverse tradizioni religiose, riconoscendo in esse «elementi di verità e di bontà». Vedi anche Concilio Vaticano II, Cost. dogmatica Lumen gentium, 16; Decreto Ad gentes, 11; Dichiarazione Nostra aetate, 2; Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Redemptoris missio, 55: AAS83 (1991), 302–304; Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Dominus Iesus, 2, 8, 21: AAS 92 (2000), 742–765.[29]Paolo VI, Discorso al Sacro Collegio e alla Prelatura Romana : in Insegnamenti di Paolo VI, 14 (1976), 1088-1089.[30]Cfr. Pio IX, Lett. enc. Quanta cura : ASS 3 (1867), 162; Leone XIII, Lettera Enciclica Immortale Dei : ASS 18 (1885), 170-171; Pio XI, Lett. enc. Quas primas : AAS 17 (1925), 604-605; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2108; Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Dominus Iesus, 22.
[31]Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, 43; vedi anche Giovanni Paolo II, Esort. ap. Christifideles laici, 59