Volentieri condividiamo dal sito Domenicano, Provincia di santa Caterina da Siena, vedi qui, di Fr. Giuseppe di Ciaccia OP:
“Dio eterno […] oggi grido dinanzi alla misericordia tua che tu mi dia di seguire la verità tua con cuore schietto; dammi fuoco e abisso di carità; […] dà, Padre, agli occhi miei fonte di lacrime, con le quali io inchini la misericordia tua sul mondo e particolarmente sulla sposa tua”1.
“Chi potrebbe mai palesare i fiumi di lacrime, i profondi sospiri, il fervore dell’orazione, i pianti a singhiozzo, gli incredibili sudori coi quali, giorno e notte, si affannava per impetrare dal suo Sposo, per ciascun uomo, la salvezza? – così testimonia il suo padre e figlio spirituale, P. Raimondo da Capua -. Una volta, essendo in estasi, fu udita parlare col suo Sposo, così: ‘Signore, come potrò essere contenta fino a che uno solo, creato come me a tua immagine e somiglianza, perisca? Io non voglio che nemmeno uno dei miei fratelli si perda. Voglio che tu li guadagni tutti a maggior lode e gloria del tuo nome. […] Se la tua verità e la tua giustizia lo permettessero, io vorrei che l’inferno fosse distrutto, o almeno che nessuna anima vi scendesse. Se, salva l’unione della tua carità, io fossi posta sulla bocca dell’inferno per chiuderla sì che nessuno vi potesse più entrare, sarebbe per me cosa graditissima, perché così tutti si salverebbero”2.
Intravediamo uno “spaccato” del cuore ardente di santa Caterina da Siena, la cui preghiera per la salvezza dei peccatori è una realtà che si identifica con la sua vita, offerta a Dio in sacrificio di soave odore. Per l’esperienza straordinaria che Caterina ha fatto di Dio, ella ha nel cuore la stessa volontà di Dio che vuole la salvezza di ogni uomo3, salvezza così “violentemente” voluta da Caterina con quell’affetto materno che le è caratteristico, sgorgante dalla sua verginità, dall’unione sponsale e feconda con il suo Sposo, Gesù crocifisso, per cui non vuole e non desidera altro se non ciò che lo Sposo suo desidera e vuole.
qui il testo in video:
“Io voglio”, ella grida, quando, in Verità, sa bene che il volere di Dio è il suo. E non per una sola conoscenza speculativa, ma nella realtà dell’esperienza sua del sangue di Gesù, che solitamente la santa denomina con la parola “Sangue”. Nel Sangue Caterina coglie la totalità della passione di Gesù, vede la personificazione del suo Sposo e Signore, che, offertosi in olocausto, dona in sacrificio se stesso a ciascuno di noi. E come nell’Eucaristia il sangue di Cristo è Cristo, così, nel linguaggio cateriniano, il sangue di Cristo è il Sangue che è Cristo. “Io voglio vestirmi di Sangue, ed essere spoglia di ogni altro vestito che fino ad ora avessi avuto. Io voglio il Sangue, e nel Sangue la mia anima è e sarà saziata”4.
Con queste parole Caterina fa dono della sua anima al P. Raimondo, al quale, ricordando che nel Sangue conoscerà la Verità che libera e per il Sangue diverrà sposo fedele della Verità5, si rivolge con parole di fuoco: “Nel Sangue immergiti, annega ed uccidi la tua volontà nel Sangue. Colma la tua anima di Sangue e saziati di Sangue e vestiti di Sangue! E se divenissi infedele, di nuovo immergiti nel Sangue! […] Se fossi pastore vile, senza la verga della giustizia condita con la prudenza e la misericordia, prendila dal Sangue. Nel calore del Sangue sciogli la tua tiepidezza e alla luce del Sangue dissipa ogni tua tenebra, per poter essere sposo della Verità, e vero pastore e guida delle pecorelle a te affidate”6. Il Sangue è l’Amore amante, per la cui grazia che si fa dono purifica e salva, redime ed eleva. Nel Sangue il “prezzo” con il quale siamo acquistati da Gesù per essere sua “proprietà”7.
Ma perché il Sangue ha questa “forza”? Perché il Sangue è stato versato con Fuoco d’amore, così che è l’Amore la forza del Sangue. “Nessun chiodo sarebbe stato capace a tener inchiodato e crocifisso il Figlio di Dio, se non l’avesse tenuto il suo ineffabile amore per noi, che egli aveva per la nostra salvezza. Così che il suo ardente amore lo ha tenuto inchiodato!”8. Amore chiama amore! Se l’Amore si è donato a noi nel Sangue con la forza dell’amore, necessita che noi ci doniamo a Lui, aprendoci ad accogliere il Sangue per lo stesso amore del Sangue. Si tratta di una necessità intrinseca, costitutiva dello stato di amicizia al quale appartiene la “gratia gratum facies”, la grazia santificante. La chiave “interpretativa” è la metànoia, conversione del cuore e della vita, che apre alla purificazione quale inveramento dell’amore9. Caterina ha ben presente il mistero della grazia e della libertà dell’uomo, in quanto libertà di scelta morale10, non solo per la particolare capacità di apprendimento e memoria con cui custodisce la dottrina, ma anche per la sapienza, così in lei peculiare, con cui riflette e medita in dottrina, assumendone una conoscenza eminentemente profonda tramite la sua esperienza personale e di maternità spirituale.
Amore chiama amore! E’ una necessità intrinseca. Se Gesù è sospeso sulla croce dove il corpo solo in forza dell’amore è inchiodato; se la croce è piantata nella terra che siamo noi, ciò necessita di “restare ai suoi piedi ad accogliere, come piccoli vasi, il sangue dell’Agnello, che scorre giù dalla croce”11. Si tratta di un “restare” e di un “accogliere” che non può “accontentarsi” di essere la terra nella quale la croce è piantata: è proprio questa un’espressione che manifesta la necessità di ordinare – per la grazia – la nostra libertà, in modo che questa incontri quella di Dio, conformando la nostra volontà “virile” a quella divina.
A conferma, così Caterina scrive a Maconi: “Figlio mio! Guarda e gioisci, perché sei stato fatto come un piccolo vaso che può contenere il Sangue, se tu, per affetto d’amore, lo vuoi gustare. […] Non possiamo gustare te, Sangue, senza che tu non ci rivesta di Fuoco, perché sei stato versato con fuoco d’amore. L’amore, infatti, non è senza fortezza, né la fortezza senza perseveranza […]. Vedi, figlio, che è questo il modo per giungere alla perfetta fortezza: unisciti al fuoco dell’amore di Dio, che troverai nel Sangue”12. E’ proprio la volontà “virile” che esige di “inebriarsi” ed “immergersi” nel Sangue “con perseveranza”, così da colmarne la memoria e il cuore e l’intelletto13, “come l’ubriaco che perde il proprio sentire e altro non vede che il sentire del vino, tanto che tutta la sua vita vi è immersa”14.
Lo scopo è di vivere “immersi” nel Sangue e nel Sangue “annegare”, così da essere tanto “vestiti” di Sangue e di Sangue “saziati” da crescere e divenire forti e gioire nel Sangue15. Nel Sangue sperimentiamo e conosciamo il Fuoco della divina carità16. Il Sangue è la “anima” della supplica con cui Caterina si rivolge a Dio, in specie per i peccatori, perché non c’è Sangue senza Fuoco. Prima di lasciar parlare un evento particolare, entrato nella storia come esemplificativo della “passione” di Caterina per la salvezza dei peccatori, tanto da indurre artisti e pittori17 a rappresentarlo, consideriamo un elemento caratteristico della preghiera in Caterina. Non si tratta di una preghiera circoscritta in tempi e in modi propri, pur liturgici (questa è presupposta), ma un’ascesi, tanto “virile” quanto elevata, nel “farsi uno” con il peccatore fino al peccato, escluso in quanto commesso, incluso in quanto fattosene carico. Come ha fatto Gesù18. Così nel cuore di Caterina nasce la supplica a Dio.
Ella ha innanzi a sé il peccatore, il quale è e rimarrà tale fino a quando non sarà amato dalla santa con quell’amore di Dio capace di creare un “cuore nuovo”, fino a quando il peccatore non tocchi con mano, tramite la santa, l’Amore che crea. Per Caterina il peccatore non potrà amare se prima non è amato, fermo restando la libertà di scelta morale del soggetto19: questo è il soprannaturale istinto con il quale l’opera apostolica della santa si compie. L’efficacia della sua preghiera – per quanto dipenda da Caterina – risiede nella capacità di amare con l’amore dello Sposo, così da renderlo “sperimentabile”. Ne segue che la preghiera si muove, non in termini alieni dalla necessità concreta di quanti sono i soggetti, ma a partire dalla conoscenza concreta delle necessità del prossimo; conoscenza che “anima” l’affetto e muove per l’affetto di carità quello della volontà verso il bene vero – il bene secondo Verità – del peccatore.
Veniamo al fatto. In Siena, nell’aprile del 1377, vi era un giovane perugino, Nicolò di Tuldo, che, sembra, per soli sospetti, era stato condannato alla pena capitale per decapitazione. La condanna lo aveva imbestialito. Caterina, fattasi prossimo, è lo “strumento” di Dio del prodigio della sua conversione. Mirabile la lettera al P. Raimondo, nella quale confida con caldi accenti il suo cuore “crociato”:
“Sono andata a visitare colui che sai: ha avuto un grande conforto […]. E mi ha fatto promettere che, quando fosse giunto il momento dell’esecuzione, io fossi con lui. E così ho promesso e ho fatto. La mattina sono andata da lui: ha avuto grande consolazione. […] Era rimasto in lui un timore di non essere forte nel momento dell’esecuzione. Ma lo smisurato ed ardente amore di Dio gli diede coraggio al di sopra della sua stessa speranza, creando in lui tanto affetto e amore per il desiderio di Dio che non ne sapeva stare senza, e mi diceva: ‘Stai con me, e non mi abbandonare. Così starò certamente bene e morirò contento’. […] E crescendo nell’anima mia il desiderio della sua salvezza e sentendo il suo timore, gli ho detto: ‘Rincuorati, fratello mio dolce, perché presto giungeremo alle nozze! Tu vi andrai immerso nel sangue dolce del Figlio di Dio, con il dolce nome di Gesù sulla bocca e nel cuore, il cui nome non voglio che si allontani mai dalla tua memoria. E io ti attenderò al luogo dell’esecuzione’. […] Vedi che era pervenuto a una così grande luce, che chiamava santo il luogo dell’esecuzione! E mi diceva: ‘Io vi andrò tutto gioioso e forte, pensando che tu mi attenderai là’. E pronunziava parole così dolci sull’amore di Dio da far scoppiare il cuore! […] Allora, l’anima mia fu colma di una consolazione così grande […] per aver ottenuto la dolce promessa della sua salvezza. Poi egli giunse, come agnello mansueto. E vedendomi, sorrise, e volle che io gli facessi il segno della croce. E ricevuto il segno, io gli dissi: ‘Alle nozze, fratello mio dolce! Perché presto sarai nella vita eterna’. Si pose giù con grande mitezza; e io gli tenni il collo, e mi chinai giù ricordandogli il sangue dell’Agnello. La sua bocca non diceva nulla, se non ‘Gesù’ e ‘Caterina’. E mentre così diceva, accolsi il suo capo nelle mie mani, fermando il mio occhio nell’amore di Dio e dicendo: ‘Io voglio’”20.
La sposa dell’Amore non può non amare con l’amore dello Sposo. La supplica a favore del peccatore viene da Caterina vissuta come realtà costitutiva del suo essere sposa dell’Amore, e quindi amante dell’Amore in naturale soprannaturalità. Alle caratteristiche suddette, la preghiera di Caterina per i peccatori – va sottolineato – è nutrita dalla carità, che, perché tale, è Verità. La Verità che, sola, libera è la parola più frequente nella letteratura cateriniana21. Ne segue che in Caterina non troviamo un comportamento pastorale “buonista”, ma, proprio perché pastoralmente edificante, il suo dire è sempre secondo Verità, per la quale nella carità si unisce, come un tutt’uno, la fedeltà dottrinale e il rispetto della libertà di scelta morale del prossimo. Caterina non solo è aliena da una conoscenza meramente speculativa del tema, ma è soprattutto profondamente realista alla luce del suo eminente stato di sapienza, con la quale vede nella “passione” per la salvezza delle anime la Verità che salva, e la comunica senza sminuirla in comode interpretazioni e riduzioni.
Caterina è sapientemente realista. Sa bene, e lo dice22, che davanti a Dio ogni uomo o per la colpa incorre nella sua giustizia o per la grazia nella sua misericordia. In termini chiari e forti Caterina chiama le cose con il loro nome: non ha paura di chiamare colpa il comportamento colpevole, la realtà soggettiva del peccato con il quale il peccatore si autoesclude dalla comunione con Dio; non è soggetta a reticenza, che per lei sarebbe colpevole se con chiarezza non avvertisse sulla reale possibilità di “cadere” nell’inferno, come stato definitivo del peccatore che volontariamente non si converte23. E’ proprio il ritenere reale, e non ipotetica, la possibilità della dannazione del peccatore che volontariamente non si converte24, è proprio questo che genera nella santa il santo timore, mosso dall’amore, per cui la preghiera per i peccatori diviene “supplica angosciosa”, implorante presso Dio la misericordia, come mai in altri momenti della sua orazione. “Supplica angosciosa” non solo verso Dio, ma anche rivolta al peccatore25. Tanto è tenace nel nutrire fiducia nella misericordia di Dio, quanto è schietta nel temere, con cognizione, la dannazione del peccatore che si chiude alla misericordia di Dio da lei implorata e meritata.
Caterina è così a conoscenza della misericordia di Dio che la vede operante anche in coloro che sono nell’inferno: se siamo “morti alla grazia: nessun bene che facciamo ha valore per noi, per quanto riguarda la vita eterna. Tuttavia è vero che non dobbiamo mai tralasciare di fare il bene, in qualunque stato morale ci troviamo, perché ogni bene che facciamo è ricompensato e ogni colpa è punita. Se non è ricompensato quanto a vita eterna, Dio ce lo ricambia o dandoci il tempo per poter convertire la nostra vita, […] o avendo una pena minore qualora, dopo la morte, fossimo nell’inferno. Sarebbe infatti maggiore la nostra pena nell’inferno se avessimo fatto del male anche in quel tempo in cui facemmo un po’ di bene”26. E’ inoltre convincimento di Caterina che il “meditare” sulla reale possibilità della dannazione sia un valido aiuto per il peccatore perché si converta e per i “giusti” perché vivano nella vigilanza, così da non cadere nella colpa mortale27.
Il 1 aprile del 1375 Caterina è a Pisa. Nella chiesa di santa Cristina sul Lungarno riceve dal Crocifisso sovrastante l’altare le stigmate, segni della passione del suo Sposo. Il suo sangue si unisce al Sangue28! Caterina pensa a questo giorno, quando, due anni prima della morte, nel suo “Libro” – “Il Dialogo della Divina Provvidenza” – scrive (la dizione è di Dio Padre a Caterina): “Chi giunge a questo stato si gloria di stare nell’obbrobrio sofferto dall’unigenito mio Figlio, così come diceva il glorioso apostolo Paolo: “Io porto nel mio corpo le stigmate di Gesù crocifisso”29. Così costoro, come innamorati del mio amore e affamati del cibo delle anime, corrono alla mensa della croce, volendo essere di molta utilità al prossimo col molto soffrire e sopportare, e desiderando conservare le virtù e acquistarne altre, col portare le stigmate di Gesù nei loro corpi. Questo è possibile grazie al fatto che il loro tormentato amore risplende anche nel corpo”30.
Come gli schiavi venivano marcati a fuoco, segno d’appartenenza al proprio padrone, così in Caterina il segno della passione di Gesù sul suo corpo è segno del suo appartenere al suo Signore, partecipando alla sua missione redentrice: sviluppo del suo cuore verginale per cui, quale sposa di Gesù, condivide tutto dello Sposo. Nel Sangue la sua passione per la salvezza delle anime.
fr. Giuseppe Di Ciaccia, O.P.
Convento S. Domenico, Siena
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1 Orazione 19: “Le Orazioni” di S. Caterina da Siena, a cura di G. Cavallini, Cantagalli, p. 37
2 “S. Caterina da Siena”, vita scritta dal B. Raimondo da Capua, Cantagalli, n. 15
3 cf. 1Tm 2,4
4 Lettera 102: “Le Lettere di Santa Caterina da Siena”, versione in italiano corrente a cura di P. G. Di Ciaccia, ESD, vol. 1, p. 531
5 cf. L 100, L 102, 104, 211, 219, 226, 267, 272, 273, 275, 280, 295, 330, 333, 344, 373
6 L 102: o.c., vol. 1, p. 530
7 cf. 1Cor 6,19-20
8 L 102: o.c., vol. 1, p. 528
9 cf. “S. Caterina da Siena”, vita scritta dal B. Raimondo da Capua, Cantagalli, n. 31, 44, 58-60, 82, 83, 105, 344s, 362, 366
10 “Un (santo) può meritare a un altro (uomo) la prima grazia con un merito di convenienza. Infatti, dal momento che un uomo in grazia compie la volontà di Dio, è conveniente, secondo i rapporti dell’amicizia, che Dio compia la di lui volontà col salvare un altro: a meno che ci sia un ostacolo da parte di colui la cui giustificazione è desiderata da un santo”. San Tommaso d’Aquino, “La Somma Teologica”, Salani, I-II, q. 114, a. 6
11 L 102: o.c., vol. 1, p. 528
12 L 195: o.c., vol. 3, p. 74-75
13 cf. L 32, L 36, L 40, L 55, L 64, L 65, L 97, L 150, L 163, L 188, L 245, L 250, L 287, L 335.
14 L 25: o.c., vol. 1, p. 358
15 cf. L 5, L 13, L 25, L 112, L 331, L 333
16 cf. L 73, L 80, L 101, L 108, L 137, L 207, L 228
17 tra questi, Antonio Bazzi, 1477-1549, che decorò la cappella di S. Caterina in S. Domenico in Siena, dove è custodita la testa della santa, in cui raffigurò l’esecuzione di Nicolò di Tuldo
18 cf. Mt 27,45-46; Mc 15,33-34; 2Cor 5,21; Gal 3,13-14; Gv 1,29; Rm 15,3; 1 Pt 2,24
19 cf. Orazioni 19, 21, 22
20 L 273: o.c., vol. 1, p. 564-567
21 Numerose le citazioni sulla Verità. Ne propongo due: “sposare realmente la Verità con l’anello della santissima fede, non tacendola per nessun timore umano” (L 341: o.c., vol. 2, p. 200); “Povera me! Povera me! Io muoio, e non posso morire, vedendo che sono privi della Verità proprio quelli che dovrebbero essere pronti a morire per la Verità. Io voglio che ti innamori della Verità” (L 284: o.c., vol. 2, p. 129)
22 cf. “Dialogo della Divina Provvidenza”, S. Caterina da Siena, n. 18
23 cf. “Dialogo della Divina Provvidenza”, S. Caterina da Siena, n. 36-37; L 59, L 111, L 202, L 237, L 317, L 360; v. “Catechismo della Chiesa Cattolica”, Libreria Editrice Vaticana, n. 1033-1037
24 “Pur nella volontà di salvaguardare la verità dogmatica dell’esistenza dell’inferno, si nota oggi una tendenza a pensare all’inferno piuttosto come a un’ipotesi che come una realtà esistenziale. […] Si inclina a pensare che, in pratica, non vi sia condanna all’inferno. In questa tendenza richiama l’attenzione la sua somiglianza con la teoria della ‘minaccia’ di Origene: i testi neotestamentari che parlano dell’inferno sarebbero paterne ‘minacce’ che non sarebbero mai messe in pratica. […] In proposito, si ricorda la reazione patristica contro la proposta di Origene. Nel Concilio Vaticano II, rispondendo alla proposta di una correzione nella quale si chiedeva che si affermasse che vi erano dannati di fatto, la Commissione teologica giudicò che non fosse necessario introdurla, poiché i testi evangelici citati nello stesso Concilio [in ‘Lumen Gentium’, n. 48: Mt 25,26.41; Mt 22,23 e 25,30; 2 Cor 5,10; Gv 5,29; Mt 25,46] hanno la forma grammaticale di futuro. Non si tratta di verbi in forma ipotetica o condizionale, ma di futuro: ‘andranno’ (Mt 25,46: riferito sia ai dannati sia ai salvati) suppone che qualcuno andrà. […] Le spiegazioni delle Commissioni costituiscono l’interpretazione ufficiale del testo. Ogni Padre conciliare che non è d’accordo col testo così interpretato deve rispondere semplicemente: ‘non placet’. Infatti quello che si tratta di approvare o non approvare in un Concilio è sempre un testo al quale è già stata data un’interpretazione ufficiale. Nel nostro caso, quindi, abbiamo un’interpretazione ufficiale del senso col quale si introducono nel testo della Costituzione dogmatica ‘Lumen gentium’ le citazioni dei passi evangelici grammaticalmente in futuro: in altre parole, di come il testo conciliare intende quei passi citati. […] In fondo, bisognerà riconoscere che Dio prende sul serio, molto sul serio la libertà dell’uomo (cf. J. Ratzinger, “Eschatologie”, p. 177s). […] Pensare che, comunque, Dio potrebbe portare in cielo, per misericordia, un peccatore che liberamente rimane tale, è una tesi nominalistica a proposito della ‘potenza assoluta’ di Dio (cf. W. Dettloff – K. Bannach – H. Wulf: l’impostazione e determinate formule nominaliste prepararono la soluzione luterana secondo la quale l’uomo, internamente peccatore, si salva se Dio, esternamente, non gli imputa i suoi peccati, cioè “giustificazione estrinseca”), tesi che dimentica che il cielo non è un ‘posto’, ma uno stato d’intima amicizia; e l’amicizia non si impone e non può essere imposta: è offerta ed è accettata o rifiutata liberamente” (Càndido Pozo, “Teologia dell’aldilà”, Paoline, p. 425-428)
25 cf. L 24, L 44, L 45, L 76, L 80, L 99, L 198, L 200, L 208
26 L 19: o.c., vol. 2, p. 481-482
27 cf. L 261
28 cf. “S. Caterina da Siena”, vita scritta da B. Raimondo da Capua, Cantagalli, nn. 194-195. 198
29 Gal 6,17
30 “Dialogo della Divina Provvidenza”, S. Caterina da Siena, versione in italiano corrente a cura di M. A. Raschini, ESD, n. 78
QUI IN VIDEO LETTURA E RIFLESSIONE DEL TESTO
O Alta, eterna Trinità, O Dio eterno, O summo Iddio Amore inestimabile, alta ed eterna grandezza, Tu sei grande ma io sono piccola… 0 somma Bontà che per solo amore hai fatto l’uomo alla immagine e similitudine tua, non dicendo ‘sia fatto’ quando creasti l’uomo come quando facesti l’altre creature, ma dicesti ‘Facciamo l’uomo a la immagine e similitudine nostra’ o amore ineffabile, perché consentisse tutta la Trinità… .. e gli hai data la forma della Trinità, Deità eterna, nelle potenzie dell’anima sua, donandogli la memoria, per dargli la forma di te, Padre eterno, che come Padre tieni e conservi ogni cosa in Te. Così hai data la memoria perché ritenga e conservi quello che l’intelletto vede e intende e conosce di te, Bontà infinita. E così participa la sapienza de l’unigenito tuo Figliuolo. Gli hai donata la volontà, clemenza dolce di Spirito santo, la quale volontà si leva piena de l’amore tuo, e sì come mano piglia quello che lo intelletto cognosce della tua ineffabile bontà. Così per la volontà e forte mano dell’amore s’empie la memoria e l’affetto di te.
O Alta eterna Trinità, Amore inestimabile! E se tu mi dici figliola, io dico a Te: sommo ed eterno Padre. E sì come tu mi dài Te medesimo, comunicandomi del Corpo e del Sangue dell’Unigenito tuo Figliuolo, dove tu mi dài tutto-Dio e tutto-uomo così, Amore inestimabile, t’adimando che Tu stesso mi comunichi del corpo mistico della santa Chiesa e del corpo universale della religione cristiana, perché nel fuoco della carità tua ho cognosciuto che di questo cibo vuoi che l’anima si diletti.
LA PREGHIERA IN SANTA CATERINA DA SIENA
Le Orazioni di Caterina da Siena hanno inizio in uno slancio diretto verso la Divinità, poi si dilatano nella contemplazione o si concentrano nella domanda: O alta, eterna Trinità… O Dio eterno, o Dio eterno… O summo Iddio amore inestimabile…
Uno slancio ardito, che non perde di vista la bassa quota della piattaforma di lancio:O Dio eterno, alta ed eterna grandezza, tu sei grande ma io sono piccola…
perché non può esserci conoscenza di Dio senza conoscenza di noi, né di noi se non “nello specchio dolce di Dio”. Apriamo il volume alla prima Orazione:
Deità, Deità ineffabile Deità 0 somma bontà che per solo amore hai fatto l’uomo a la immagine e similitudine tua, non dicendo ‘sia fatto’ quando creasti l’uomo come quando facesti l’altre creature, ma dicesti ‘Facciamo l’uomo a la immagine e similitudine nostra’ o amore ineffabile, perché consentisse tutta la Trinità…
Caterina medita alcune parole della Genesi e nota questa differenza: “fiat”, sia fatto, è un comando impersonale che va bene per il sole, le stelle, la luna, il mare.- ma la creazione dell’uomo coinvolge ciascuna Persona della beata Trinità perché nell’anima umana la memoria sarà riflesso della Potenza del Padre, l’intelletto, della Sapienza del Verbo, e la volontà dell’Amore increato lo Spirito Santo.
… e gli hai data la forma della Trinità, Deità eterna, nelle potenzie dell’anima sua, donandogli la memoria, per dargli la forma di te, Padre eterno, che come padre tieni e conservi ogni cosa in te. Così hai data la memoria perché ritenga e conservi quello che l’intelletto vede e intende e conosce di te, Bontà infinita. E così participa la sapienza de l’unigenito tuo Figliuolo. Gli hai donata la volontà, clemenza dolce di Spirito santo, la quale volontà si leva piena de l’amore tuo, e sì come mano piglia quello che lo intelletto cognosce della tua ineffabile bontà. Così per la volontà e forte mano dell’amore s’empie la memoria e l’affetto di te.
La divina somiglianza impressa nell’anima umana dal Dio Uno e Trino è la realtà che sottende tutta l’opera di Caterina. Può essere oggetto di contemplazione o servire come argomento per ottenere una grazia particolare. Così nel caso dei due delinquenti condotti al supplizio che, invece di cedere ai tormenti, continuano a bestemmiare. Caterina li vuole salvi e per ottenere la grazia del pentimento fa leva anzitutto sulla preziosità del dono che essi portano in sé:
Diceva: Clementissimo mio Signore, perché disprezzi tanto la tua creatura fatta a tua immagine e somiglianza e pietosamente redenta dal tuo sangue prezioso, da permettere che venga martoriata nella carne, e tormentata pure crudelmente dagli spiriti dell’inferno?
Più che di preghiera, queste parole hanno il tono del rimprovero 0, almeno, del richiamo e, a renderle più efficaci, Caterina cita “precedenti” d’indiscutibile peso: il Paradiso aperto al buon ladro, il pentimento di Pietro, la conversione della peccatrice … E tanto insiste che ottiene ciò che vuole: il Cristo grondante sangue appare al condannati, li illumina, e allora le bestemmie si cambiano in lodi, e i due vanno alla morte “come se fossero stati invitati a nozze” (Vita, 229-30). Caterina ha la certezza che la sua richiesta è in sintonia con la volontà divina e perciò sa concentrarla anche in un semplice lo voglio!” (cf. Lett. 273).
Alcuni episodi registrati nella vita e in rari passi delle Lettere ci dicono il modo forte di Caterina nella preghiera d’impetrazione: “non mi muoverò di qui finché tu non mi abbia esaudita”; oppure: “sono forse venuta a discutere di giustizia, o a chiederti misericordia?” (Vita, 243, 226).
Ma del suo intimo colloquio con la “Prima dolce Verità” dobbiamo la conoscenza ai discepoli che ascoltarono le parole delle sue Orazioni e le scrissero. Poche, senza dubbio, in rapporto alle molte che ella disse, come riconosce sinceramente uno dei trascrittori, ma preziose per i loro contenuti, e perché ci aprono il segreto del suo spirito.
L’orazione di Caterina si fonda sui misteri della Fede, contemplati con intelletto d’amore”. Il senso della infinita distanza e, al tempo stesso, della convergenza Creatore-creatura, le è sempre presente. Ne troviamo una delle espressioni più tipiche nella Orazíone (XII) che Caterina pronunziò nella Domenica di Passione del 1379, circa un anno prima di morire:
O Dio eterno, alta ed eterna grandezza! tu sei grande, ma lo son piccola, e però la bassezza mia non può agiognere a l’altezza tua, salvo in quanto l’affetto e l’intelletto con la memoria si levano su dalla bassezza della mia umanità, e col lume, Il quale tu m’hai dato in lo tuo lume, te cognoscano.
L’anima tende a unirsi a Dio, ma si trova inceppata, tenuta a freno dai suoi limiti creaturali: Tu sei grande ma io sono piccola”, e perciò se io raguardo in la tua altezza, ogni elevazione la quale possa fare l’anima mia in te è come notte oscura assimigliata alla luce del sole, ovvero quanto è differente la luce della luna dalla ruota del sole, per che io, bassezza mortale, non posso agiognere alla tua grandezza immortale. Ben posso gustare te per affetto d’amore, ma non ti posso vedere in la essenzia tua.
Ma la divina volontà di donarsi alla sua “creatura che ha in sé ragione non conosce freno, e se la creatura non può innalzarsi all’altezza della divinità, Dio le verrà incontro, scendendo al suo livello: si farà visibile nel Verbo incarnato.
E quando ho potuto agiognere a l’affetto della carità tua … ? Quando fu tempo e venne la pienezza del tempo sacro … allora quando venne il gran medico nel mondo, cioè il tuo Figliuolo unigenito; quando lo sposo si unì alla sposa: ciò è la divinità in el Verbo alla umanità nostra; della quale unione fu mezzo Maria, la quale vestì te, sposo eterno, della sua umanità.
Io, dunque, non potevo elevarmi fino a te, ma tu mi sei venuto incontro, e la nobiltà che avevi dato alla natura umana creandola a tua immagine e somiglianza, hai voluto perfezionarla facendone la tua sposa, prendendola in sposa.
Ma questa tua presenza nel mondo per la umanità assunta rimaneva nascosta. La tua vita era simile a quella degli altri, e la gente che t’incontrava, che parlava con te, non sospettava che sotto la realtà umana si nascondesse la tua divina infinità. La luce, il fuoco che eri venuto ad accendere rimaneva nascosto come bragia sotto la cenere. Soltanto nella passione avrebbe divampato agli occhi di tutti:
Ma questo amore e unione erano così occulti, che pochi li conoscevano, per la qual cosa l’anima non considerava ancora bene l’altezza tua. Ma, come io veggo, l’anima venne a perfetta cognizione de l’affetto della carità tua, nel lume tuo, nella passione di questo Verbo, perché allora il fuoco ascoso sotto la cenere nostra cominciò a manifestarsi largamente e pienamente, aprendo il suo corpo santissimo sul legno della croce.
La conoscenza non è fine a se stessa: è in funzione dell’amore. Elevato in alto, alla vista di tutti, sulla croce, Cristo dà la prova più evidente dell’amore suo e del Padre: quella del sacrificio di sé. Ma lo fa, come a Caterina viene detto nel Dialogo (XXVI) per muovere il cuore ad amare, perché il cuore dell’uomo è sempre tratto per amore”, cioè dall’amore. Così s’intende la parola di Cristo “Se sarò levato in alto trarrò tutto a me” (Gv 12,32). E tuttavia l’uomo può essere tanto “ignorante” da far resistenza alla forza traente dell’amore.
E acciò che l’affetto dell’anima fosse tratto alle cose alte e l’occhio dell’intelletto speculasse nel fuoco, tu Verbo eterno hai voluto essere levato in alto, unde ne hai mostrato nel tuo sangue l’amore: nel tuo sangue ne hai mostrata la misericordia e la larghezza tua. In esso sangue hai lavata la faccia della sposa tua … e con la morte tua le hai resa la vita.
La dialettica tra piccolo e grande sì attua come rapporto di figliolanza e paternità, in un clima di amore paterno-filiale dove la piccolezza umana sa di poter contare sulla potenza dell’infinito Amore:
0 dolce ed eterno Iddio, infinita sublimità! perché non potevamo elevare l’affetto, il quale era infimo, né’l lume dell’intelletto alla tua altezza per la tenebre della colpa, però tu, sommo medico, ne hai donato il Verbo con l’esca della umanità, e hai preso l’uomo; e hai preso il dimonio non in virtù della umanità ma della divinità (0. XII).
La divinità ha dato alla passione di Cristo un infinito valore redentivo, ma la umanità ha fatto da schermo alla divinità e il demonio, incapace nella sua malvagità di concepire un simile atto di amore, ha creduto, procurando la morte dì Cristo, di disfarsi di lui, e si è ingannato perché proprio da quella morte è stato sconfitto. Malgrado la sua astuzia, ha fatto come il pesciolino che abbocca l’esca, e rimane preso dall’amo nascosto nell’esca.
Caterina deve aver gustato la comicità della situazione: il grande ingannatore ingannato dalla Prima Verità e costretto a collaborare alla redenzione dell’uomo! Perciò vi ritorna più volte. Ma è caratteristico della divina Sapienza servirsi di mezzi inadeguati per compiere ciò che vuole:
E così facendo te piccolo hai fatto grande l’uomo, satollato di obbrobri l’hai riempito di beatitudine, avendo tu patito fame l’hai satollato nell’affetto della tua carità, spogliandoti della vita hai vestito esso della grazia, riempito tu di vergogna hai reso a lui l’onore, essendo oscurato tu quanto alla umanità hai reso a lui il lume, essendo disteso tu sulla croce hai abbracciato esso, ed gli hai fatta una caverna nel costato tuo nella quale caverna può cognoscere la tua carità, perché per essa mostri che li hai voluto dare più che non potessi per finita operazione (O. XII).
E’ questo, secondo Caterina, il significato del colpo di lancia che apre il costato del Cristo già morto: dimostrare che il Suo amore va oltre gli stretti limiti della morte.
Il rapporto salvifico Dio-uomo si presenta nella Orazione X con la figura dell’innesto. Per il peccato l’umanità era come un albero morto, ma con la sua incarnazione il Verbo vi ha inserito la gemma che lo ha rinverdito:
0 deità eterna! che è vedere, nel lume tuo, l’arbore puro della tua creatura, la quale tu hai tratta di te, somma purità, con pura innocenzia!
Ma questo arbore, perché si parti della innocenzia, per la disobbedienza cadde, e d’arbore di vita diventò arbore di morte, unde non produceva frutti altro che dì morte. Per la qual cosa tu, alta ed etterna Trinità, si come ebbro d’amore e pazzo della tua creatura, vedendo che questo arbore non poteva fare frutto altro che di morte perché era separato da te, vita, gli desti il rimedio con quello medesimo amore con che tu l’avevi creato innestando la deità tua nell’arbore morto della nostra umanità.
O dolce e soave innesto: tu, somma dolcezza, ti sei degnato d’unirti con la nostra amaritudine; tu splendore con la tenebre; tu sapienza con la stoltizia; tu, vita, con la morte, e tu infinito con noi finiti. Chi ti costrinse a questo per renderli la vita, avendoti essa tua creatura fatta tanta ingiuria? Solamente l’amore, come detto è, unde per questo innesto si dissolve la morte.
Ma l’amore suggeriva di fare ancora di più:
E però tu, Verbo eterno, inaffiasti questo arbore col sangue tuo. Questo sangue per lo calore suo el fa germinare se l’uomo col libero arbitrio innesta sé in te, e teco unisce e lega el cuore e l’affetto suo, legando e fasciando questo innesto con la fascia della carità e seguitando la dottrina tua, però che’1 Padre non possiamo né dobbiamo seguitare, però che in lui non cadde pena, e noi ci dobbiamo conformare e innestare in te per la vita delle pene e de’ crociati e santi desideri sì che per te, vita, produciamo frutti di vita se noi ci vogliamo innestare in te. E così si vede che tu creasti noi senza noi, ma non ci salverai senza noi.
Dunque il dono dell’innesto non possiamo riceverlo passivamente ma esercitando il nostro libero arbitrio per un corrispondente innesto di noi in Dio, reso saldo dal legame dell’amore, per seguire decisamente Cristo nella via della sua dottrina.
Può sorprenderci di leggere, nel Dialogo che gl’imperfetti vorrebbero seguire il Padre: ma non c’invita il Vangelo ad essere perfetti come il Padre che è nei cieli (cf. Mt 5,48)? Sì, ma il Padre è il mare pacifico, è la meta del nostro andare, non è la via. La via è Cristo, ponte tra cielo e terra, che del suo corpo inchiodato alla croce fa scala a noi per giungere al Padre.
Ma … perché disse: ‘Venga a me e beva?’ Però che non potete passare senza pena, e in me non cadde pena sì In lui; e però che di lui vi feci ponte, niuno può venire a me se non per lui. E così disse egli: ‘Niuno può andare al Padre se non per me’. E cosi disse verità la mia Verità (R LIII).
La necessità di andare per la via difficile, aspra, è ribadita nella visione dell’albero circondato da una siepe di spine. La gente che passa vorrebbe cogliere gli splendidi frutti dell’albero, ma ha paura delle spine e allora, per soddisfare alla fame, si volge a un mucchio di pula, che ha l’apparenza del grano ma grano non è, perciò la loro fame rimane insaziata. Altri si aprono una via tra le spine e gustano i frutti dell’albero. Ma quelli che per paura delle spine non osano passare la siepe s’ingannano. Infatti:
non possono fuggire che non sostengano pena, però che in questa vita niuno ci passa senza croce, so non coloro che tengono per la via di sopra: non che essi passino senza pena, ma la pena a loro è refrigerio (D. XLIV),
Infatti, come spiega altrove, la pena viene dalla ribellione della volontà, e quando la volontà è d’accordo non c’è più vera sofferenza. Non c’è vita umana senza dolore, è inutile cercare di evitarlo, ma accettato o voluto per amore, anche il dolore si fa gioia.
La Orazione IV, che prende le mosse in quel clima d’intimità familiare padre-figlia, si estende poi subito alla grande famiglia che è la Chiesa, e a tutta la famiglia umana:
O alta etterna Trinità, amore inestimabile! E se tu mi dici figliola, e io dico a te, sommo ed etterno Padre. E sì come tu mi dài te medesimo, comunicandomi del corpo e del sangue dell’unigenito tuo Figliuolo, dove tu mi dài tutto-Dio e tutto-uomo così, Amore inestimabile, t’adimando che tu mi comunichi del corpo mistico della santa Chiesa e del corpo universale della religione cristiana, perché nel fuoco della carità tua ho cognosciuto che di questo cibo vuoi che l’anima si diletti.
Tu, Dio etterno, vedesti e cognoscesti me In te, e perché tu mi vedesti nel lume tuo, però, innamorato della tua creatura, la traesti di te e creastila a la imagine e similitudine tua; ma per questo Io, creatura tua, non cognoscevo te In me se non In quanto lo vedevo in me la tua imagine e similitudine.
Ma, a ciò che lo vedesse e cognoscesse te in me, e così avessimo perfetto cognoscimento di te, tu unisti te in noi, discendendo della grande altezza della deità tua in fine al loto della nostra umanità.
L’incarnazione del Verbo viene dunque incontro ad una esigenza fondamentale della natura umana, quella dì conoscere, di sapere. L’intelletto creato non avrebbe mai potuto farsi una vera immagine di Dio, ma il Verbo che è nel seno del Padre è venuto a rivelarci il mistero, saziando quel desiderio di infinito che è insito nell’anima, e al quale l’anima non sa trovare risposta:
perché la bassezza dell’intelletto mio non poteva comprendere né raguardare l’altezza tua; però, acciò che con la mia piccolezza io potesse vedere la grandezza tua, tu ti facesti parvolo, richiudendo la grandezza della deità tua nella piccolezza della nostra umanità; e così ti sei manifestato a noi nel Verbo dell’unigenito tuo Figiuolo. Così ho cognosciuto te, abisso di carità in me, in questo Verbo.
Ma rimane nella mente di Caterina un grosso interrogativo: Dio sapeva, già prima di creare l’uomo, che quella sua creatura gli si sarebbe ribellata, sapeva che il suo riscatto sarebbe costato la passione del Verbo incarnato: perché non ha rinunciato a crearlo?
0 Padre etterno, o carità increata! lo so’ piena d’ammirazione perché nel lume tuo ho cognosciuto che tu vedesti e cognoscesti me e tutte le creature che hanno in loro ragione, innanzi che tu ci dessi l’essere. Tu vedesti el primo uomo, Adam, e cognoscesti la colpa che doveva seguire della disobbedienza sua … E cognoscesti che la colpa doveva impedire la verità tua (cioè la felicità voluta da Dio per l’uomo), anco impediva la creatura ché non s’adempiva in lei, ciò è che non poteva pervenire al fine per lo quale tu la creavi. Vedesti ancora, Padre etterno, la pena che seguitava al tuo Figliuolo per restituire l’umana generazione a grazia, e per adempire la verità tua in noi.
Sebbene tu conoscessi tutto quel che sarebbe avvenuto, Insistesti nel creare l’uomo ‘Io di questo – dice Caterina – so’ forte stupefatta’. Come spiegare una simile follia da parte della eterna Sapienza? Non c’è che una risposta: l’amore.
Veramente io veggo … che per neun’altra cagione el facesti se non che, col tuo lume, ti vedesti costringere dal fuoco della tua carità a darci l’essere, non ostanti le iniquità che dovevamo commettere contra a te, etterno Padre. Adunque, el fuoco ti costrinse. O amore ineffabile, ben che nel lume tuo vedessi tutte le iniquità che la tua creatura doveva commettere contra la tua Infinita bontà, tu facesti vista quasi di non vedere, m a fermasti l’occhio nella bellezza della tua creatura, della quale tu come pazzo e ebbro d’amore t’inamorasti, e per amore le traesti di te dandole l’essere alla imagine e similitudine tua.
Dunque, tu sapevi tutto. Ma era così bella la immagine di questa nuova creatura nella tua mente, che te ne sei innamorato. Tu l’hai vista nella sua fondamentale verità, così come la volevi, e sapevi che per quanto la sua insipienza avesse cercato di allontanarla da te, tu avresti potuto raggiungerla e riportarla a te.
A differenza di certi autori spirituali che per suscitare pensieri di umiltà insistono su quanto in noi vi è di negativo, Caterina insiste sul positivo perché quanto abbiamo di bello e di nobile è puro dono di Dio. L’autentica umiltà è per lei semplicemente verità.
Dignità umana e umiltà si manifestano al sommo grado in Maria. La Orazione XI , detta nella ricorrenza dell’Annunciazione (25 marzo 1379) considera nella umiltà della Vergine il motivo della scelta di lei come Madre del Verbo incarnato:
0 Maria, vassello d’umiltà, nel quale vassello sta e arde il lume del vero cognoscimento col quale tu levasti te sopra di te e però piacesti al Padre etterno, unde egli ti rapì e trasse a sé, amandoti di singulare amore. Con questo lume e fuoco della tua carità e con l’olio della tua umiltà – così interpretato nella esegesi della parabola evangelica delle dieci vergini, Lett. 23 – traesti tu e inchinasti tu la divinità sua a venire in te, ben che prima fu tratto dal fuoco della sua inestimabile carità a venire a noi.
Ma quando è Il momento di attuare Il divino progetto della redenzione, l’eterno Padre non agisce in forza della sua indiscutibile autorità: si presenta quasi timidamente, come un giovane innamorato, e aspetta da Maria il consenso della umanità, confermando così la fortezza del dono della libera scelta di cui ha dotato l’uomo:
In te ancora, o Maria, si dimostra la fortezza e libertà dell’uomo, perché dopo la deliberazione di tanto e sì grande consiglio è mandato a te l’angelo ad annunzìarti el misterio del consiglio divino e cercare la volontà tua; e non discese nel ventre tuo Il Figliuolo di Dio prima che tu el consentissi con la volontà tua. Aspettava alla porta della tua volontà che tu gli aprissi, che voleva venire In te; e giamai non vi sarebbe entrato se tu non gli avessi aperto dicendo: ‘Ecco l’ancilla del Signore: sia fatto a me secondo la parola tua’.
Dio In attesa del consenso di una sua creatura, e per l’attuazione di un progetto che coinvolge tutta l’umanità! Qui la relazione Creatore-creatura sembra avviarsi al paradosso. Dio desidera Il “sì” di Maria, ma lei deve poterlo dare liberamente, e liberamente lo dà. Più alto esempio della libertà umana non si sarebbe potuto trovare, e neppure Immaginare: Caterina ne approfitta a sostegno di quella realtà a lei tanto familiare del libero arbitrio, dote preziosa di ogni uomo:
Sappiate che come l’uomo è creato da Dio, gli sono dette queste parole: ‘Sia fatto come tu vuoi’, cioè: ‘Ti fo libero, che tu non sia soggetto a veruna creatura, se non a me’. 0 inestimabile, dolcissimo fuoco d’amore, tu mostri e manifesti la eccellenza della creatura, che ogni cosa hai creata perché serva alla tua creatura ragionevole, e la creatura hai fatta perché serva te (Lett. 69).
Servire a Dio vuol dire usare della propria volontà per vincere le attrattive meno buone e aderire decisamente alla divina volontà. A questo concetto s’impronta la Orazione XXI, nella figura delle due vesti, dove “propria volontà?’ non vuol dire libero arbitrio, ma attaccamento al piacere e chiusura egoistica: finché rimane schiavo della sensualità, l’uomo è come accecato:
Deità etterna! O alta etterna deità, amore inestimabile! … Oggi la verità tua con ammirabile lume dimostra la cagione della tenebre, ciò è il vestimento fetido della propria volontà, e manifesta lo strumento con che si cognosce il lume, cioè è il vestimento della tua dolce volontà. … La Verità tua dimostra che, sì come l’uomo si trae il vestimento a rivescio, così l’anima si debba spogliare della sua propria volontà se perfettamente si vuole rivestire della tua.
O volontà spogliata, o arra di vita etterna! Tu se’ fedele infino alla morte, non al mondo ma al tuo dolcissimo Creatore; tu leghi l’anima in lui perché al tutto s’è sciolta da sé.
La libertà, dote inalienabile dell’uomo, non può essere offerta che a Dio, ed è l’unico dono degno di Lui. Ma Dio ricambia l’offerta della creatura col dono di Sé, la circonda del suo amore:
O Dio etterno, nel lume tuo ho veduto quanta conformità hai data di te alla tua creatura, unde io veggo che tu l’hai posta quasi in uno cerchio, che da qualunque parte ella va si trova in esso. Se io mi vollo a cognoscere nel lume tuo l’essere che tu hai dato a noi, tu ci hai data conformità alla imagine e similitudine tua participando te Trinità etterna nelle tre potenzie dell’anima. Se io raguardo nel Verbo per cui siamo ricreati a grazia, lo veggo te conformato a noi e noi a te per l’unione che tu, Dio etterno, hai fatta nell’uomo. E se io mi vollo all’anima illuminata da te, vero lume, veggo che ella fa mansione in te seguitando la dottrina della tua Verità, e in comune … e nelle particulari virtù che sono provate per l’amore che l’anima ha conceputo a te nel lume tuo. E tu se’ esso medesimo Amore. Adunque l’anima che per amore seguita la dottrina della tua Verità diventa un altro te par amore. Questa, spogliata della sua volontà, è vestita della tua per sì fatto modo ch’ella non cerca né desidera se non quel che tu richiedi e vuoi che sia nell’anima.
La divina immagine di Sé impressa da Dio nell’anima deve essere liberata da quelle sovrastrutture che la deformano per poter rivelare la sua originale bellezza. Questo cammino di liberazione lo abbiamo visto sintetizzato nel Proemio del Dialogo come desiderio di più conoscere per più amare; amare fino a vestirsi della divina Volontà dimenticando sé, e giungere a quella unione che è Identificazione di amante e amato, quella che nell’ascesa del ponte è espressa nel “bacio della bocca” che vuol dire partecipazione alla missione di Cristo nel suo amore filiale che lo fa obbediente al Padre fino alla morte di croce. Amare, dice il Signore a Caterina, è una legge alla quale nessuno può sottrarsi, è inutile cercare scuse nella posizione sociale e nei molti impegni o In altre difficoltà:
… già ti dissi che ogni stato era piacevole e accetto a me pure che fusse tenuto con buona e santa volontà, però che ogni cosa è buona e perfetta, fatta da me che so’ somma bontà. Non sono create né date da me perché con esse pigliate la morte ma perché n’abbiate vita.
E prosegue:
Agevole cosa è, però che niuna cosa è di tanta agevolezza e tanto diletto quanto è l’amore. E quello che lo vi richieggo non è altro che amore ore e dilezione di me e del prossimo. Questo si può fare in ogni tempo, in ogni luogo e in ogni stato che l’uomo è… (Dial. LV).
La spiritualità cateriniana, basata sulla contemplazione Intelligente e amante del mistero cristiano, rimane perennemente e universalmente attuale perché illumina la esigenza fondamentale della natura dell’uomo, creatura dell’eterno Amore.
Santa Caterina da Siena “Ringraziamento alla Trinità”
O abisso, o Trinità eterna, o Deità, o mare profondo!
O Deità eterna, o eterna Trinità, che, per l’unione con la divina natura, hai fatto tanto valere il sangue dell’Unigenito Figlio! Tu, Trinità eterna, sei come un mare profondo, in cui più cerco e più trovo, e quanto più trovo, più cresce la sete di cercarti. Tu sei insaziabile; e l’anima, saziandosi nel tuo abisso, non si sazia, perché permane nella fame di te, sempre più te brama, o Trinità eterna, desiderando di vederti con la luce della tua luce.
Io ho gustato e veduto con la luce dell’intelletto nella tua luce il tuo abisso, o Trinità eterna, e la bellezza della tua creatura. Per questo, vedendo me in te, ho visto che sono tua immagine per quella intelligenza che mi vien donata della tua potenza, o Padre eterno, e della tua sapienza, che viene appropriata al tuo Unigenito Figlio. Lo Spirito Santo poi, che procede da te e dal tuo Figlio, mi ha dato la volontà con cui posso amarti.
Tu infatti, Trinità eterna, sei creatore e io creatura; e ho conosciuto – perché tu me ne hai data l’intelligenza, quando mi hai ricreata con il sangue del Figlio – che tu sei innamorato della bellezza della tua creatura.
O abisso, o Trinità eterna, o Deità, o mare profondo! E che più potevi dare a me che te medesimo? Tu sei un fuoco che arde sempre e non si consuma. Sei tu che consumi col tuo calore ogni amor proprio dell’anima. Tu sei fuoco che toglie ogni freddezza, e illumini le menti con la tua luce, con quella luce con cui mi hai fatto conoscere la tua verità.
Specchiandomi in questa luce ti conosco come sommo bene, bene sopra ogni bene, bene felice, bene incomprensibile, bene inestimabile. Bellezza sopra ogni bellezza. Sapienza sopra ogni sapienza. Anzi, tu sei la stessa sapienza. Tu cibo degli angeli, che con fuoco d’amore ti sei dato agli uomini.
– Santa Caterina da Siena –
Dal «Dialogo della Divina Provvidenza» (Cap. 167, Ringraziamento alla Trinità)
Gioisco anche per te, per la tua bellissima Vocazione ad essere Domenicano, sono felicissimo che il Signore ti abbia fatto dono di questa Bellezza
Caro Padre Angelo,
Eccomi a scriverti di nuovo.
Per quanto riguarda me, voglio dirti che in questi mesi ho meditato le parole che mi hai detto nelle tue mail, e ti dico che le ho trovate molto belle, come mi hai ascoltato e hai preso a cuore la mia vita, il mio cammino, ma soprattutto il desiderio di amare Lui.
Ogni volta che lo ricevo nella Santa Comunione ma anche solo pensare a Lui, mi dico quanto è Infinitamente Amabile e Adorabile, è davvero bellissimo come Lui riempia di Bellezza tutte le mie giornate… come anche quando sono solo umanamente parlando sono pienamente felice, perché Lui è sempre con me.
E gioisco anche per te Padre Angelo, per la tua bellissima Vocazione ad essere Frate Domenicano, sono felicissimo che il Signore ti abbia fatto dono di questa Bellezza.
Il Signore ti benedica e ti doni ogni bene.
A presto, e grazie
Davide
Caro Davide,
è stata una gioia per me risentirti.
1. Ti ho pensato spesso in questi ultimi tempi, in modo particolare nel giorno della Presentazione di Maria al Tempio, il 21 novembre.
Era mia intenzione inviarti la preghiera che Santa Caterina da Siena rivolgeva a Maria per potar fare il suo voto di verginità.
Aveva solo sette anni.
Te la invio adesso. Sarebbe bello se tu potessi recitarla in tutti i giorni di questa novena dell’Immacolata e nel giorno della festa (8 dicembre) offrire il tuo cuore al Signore perché sia esclusivamente Suo.
2. Ecco la preghiera: “O beatissima e santissima Vergine, la quale prima intra le donne consecrasti in perpetuo la verginità a Dio, facendone voto, e perciò tanto graziosamente sei fatta Madre dell’Unigenito suo Figliolo, io prego la tua ineffabile pietade che non riguardando tu ai miei peccati e ai miei difetti ti degni farmi tanta grazia e che tu mi dia per isposo Colui il quale con tutta la mia anima io desidero, cioè il sacratissimo unico Figliuolo di Dio e tuo, il signor Gesù Cristo”.
3. Vorrei adesso dire due parole su quello che provi quando senti che la presenza di Gesù invade la tua vita.
Mi scrivi: “è davvero bellissimo come Lui riempia di Bellezza tutte le mie giornate… come anche quando sono solo umanamente parlando sono pienamente felice, perché Lui è sempre con me”.
Quando vivi così, fai un bene immenso alle persone che incontri o con le quali vivi.
Tutti sperimentano senza accorgersene un beneficio analogo a quello che sperimentavano le persone che potevano stare anche solo per poco tempo vicino a Santa Caterina da Siena.
Scrive il Beato Raimondo da Capua, suo confessore e biografo:
“Per eccesso d’amore mi sento spinto in questo momento a dire che quando lei parlava, comunicava un certo non so che, per cui le menti degli uomini erano tanto incitate al bene e al piacere di Dio, che spariva ogni tristezza dal cuore di chi l’ascoltava. Gli svaniva pure ogni interna afflizione. si dimenticava di qualsiasi travaglio, e si sentiva prendere da una grande tranquillità d’animo, tanto grande che ciascuno, meravigliato di sé, e godendo di un nuovo piacere, pensava nell’animo suo: «è bello starcene qui; facciamoci tre tabernacoli per sempre».
Né dobbiamo meravigliarcene perchè senza dubbio era invisibilmente nascosto nel petto della sua sposa Colui, che trasfigurato sul monte, obbligò Pietro a pronunziare simili parole” (Legenda maior, 27).
4. Perché queste esperienze non scivolino via senza farci caso, desidero sottolinearle tutte.
Sono sette e sono tutte causate da una presenza molto forte di Gesù (lo Sposo) in Caterina.
1. “quando lei parlava, comunicava un certo non so che, per cui le menti degli uomini erano tanto incitate al bene”
2. “e a piacere a Dio”,
3. “che spariva ogni tristezza dal cuore di chi l’ascoltava”,
4. “svaniva pure ogni interna afflizione”.
5. “si dimenticava di qualsiasi travaglio”,
6. “e si sentiva prendere da una grande tranquillità d’animo”,
7. “tanto grande che ciascuno, meravigliato di sé, e godendo di un nuovo piacere, pensava nell’animo suo: «è bello starcene qui; facciamoci tre tabernacoli per sempre»”.
5. Era Gesù che abitando nel cuore di Caterina faceva tutte queste cose.
Conclude infatti il Beato Raimondo: “Né dobbiamo meravigliarcene, perchè senza dubbio era invisibilmente nascosto nel petto della sua sposa Colui, che trasfigurato sul monte, obbligò Pietro a pronunziare simili parole”.
6. Ti auguro di vivere all’interno della Chiesa e di beneficarla senza sosta con lo spirito di Santa Caterina, nella speranza di potermi felicitare anch’io con te “per la tua bellissima Vocazione ad essere Frate Domenicano… felicissimo che il Signore ti abbia fatto dono di questa Bellezza”.
7. Ai nostri visitatori chiedo un’Ave Maria perché tu possa essere liberato da tutti gli impedimenti che dall’esterno ritardano quanto tu aspiri con tutto te stesso.
Con la gioia di essere io il primo a pregare per questa bellissima intenzione, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo – fonte originale