Omelia del card. Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova, in occasione della Solennità dell’Immacolata Concezione dell’8 dicembre 1984.
Abbiamo risentito come tutti gli anni il Vangelo dell’Annunciazione (Lc 1, 26-38). Quello che colpisce subito è che una creatura umile, povera, sconosciuta dai suoi stessi compaesani, venga salutata dall’Arcangelo Gabriele a nome di Dio. Questo saluto impressiona perché è l’unico che si conosca nella storia umana. Ma questo saluto è un’affermazione. I nostri saluti facilmente sono complimenti e niente più, ma questo saluto è un annuncio di cose reali: Dio non parla invano.
Le parole che dice l’Arcangelo significano questo: che Ella, la Vergine, è piena di Grazia, e questa è un’affermazione dell’Immacolato Concepimento di Maria, che celebriamo oggi, perché non sarebbe stata piena di Grazia se per un momento avesse dovuto soggiacere al peccato degli uomini. Annunzia — e questo è il culmine! — l’Incarnazione del Verbo, che assume la natura umana per essere con gli uomini, accanto agli uomini, per sostituirli nel pagamento alla giustizia. Annunzia, finalmente, qual è il punto dal quale dipenderà la storia. Come vedete è un annunzio indicativo. Credo che tutti noi ci uniamo a questo saluto. Questo saluto continua nei secoli, e tutta la pietà mariana, che è così radicata, che tutti così sentono, perché questa verginità, questa maternità, questo sublime splendore dell’anima ha un incanto, che anche senza parole parla alle anime e muove i cuori. Il saluto dell’Angelo continua.
Ma vorrei che vi fosse nota la prima conseguenza di questo annuncio, annuncio dell’Incarnazione del Verbo. La conseguenza non è stata letta, ma la aggiungo perché fa parte della cornice. Appena avuto l’annunzio di essere la Madre del Signore, questa fanciulla parte da Nazaret, compie, a piedi naturalmente, centocinquanta chilometri e va a trovare una sua parente, Elisabetta — lo narra il Vangelo di Luca (cfr. 1, 39-56) –, che sta ad Ain-Karim, nelle prossimità di Gerusalemme. Sulla soglia di casa avviene l’incontro delle due donne: quella, che, illuminata dallo Spirito Santo, riconosce la Madre del suo Signore, e la Vergine, che intona il suo Magnificat. Non si può staccare questo dalla narrazione dell’Annunciazione a Maria, no. Per questo motivo e per un altro che credo vi sia chiaro alla fine della Messa il coro intonerà il Magnificat.
Ma che cosa va a fare Maria, Lei diventata la Madre di Dio, diventata la Regina degli Angeli, quella che sarebbe stata chiamata, e non a torto, Regina del cielo e della terra? Che cosa va a fare dalla vecchia cugina, che aspetta la nascita di Giovanni Battista? Va a servire. La regalità comincia di qui: a servire. La grandezza se vuol restare tale comincia di qui: a servire. Avvertimento a tutti quelli che si lamentano di dover in qualche modo qualche volta servire il mondo e gli altri; credo che da questo esempio siano serviti molto bene. Così comincia a riflettersi la luce dell’Immacolata sul mondo e continua, ma continua così, perché dall’alto Essa serve noi. Credo che ne abbiamo bisogno!
Card. Giuseppe Siri. Omelie per l’Anno liturgico (a cura di Antonio Filipazzi), Fede&Cultura (Verona, 2008).