Ecco come celebravano i primi cristiani. Perché oggi si è perso il gusto della Messa?

C’è chi prova a negarlo, ma l’Eucaristia e stata da subito il rito sacro, svolto in uno spazio sacro e non su una tavola per banchetti, bensì su di un altare. E il sacerdote era rivolto a Oriente. Luisella Scrosati per il mensile Il Timone intervista mons. Stefan Heid, rettore del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana.

di Luisella Scrosati

La Messa una cena e l’altare una tavola? L’abbiamo sentito molte volte, ma le cose stanno un po’ diversamente. Ne abbiamo parlato con mons. Stefan Heid, tedesco dell’arcidiocesi di Colonia, classe 1961, rettore del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, a Roma, dove e anche titolare delle cattedre di Storia del culto cristiano e Agiografia.

Mons. Stefan Heid

Monsignor Heid, anzitutto una domanda personale: com’e arrivato ad occuparsi di archeologia cristiana?

Ho studiato teologia cattolica all’Università di Bonn, ma siccome la teologia non mi bastava, ho cercato altre due materie che mi attirano, ossia l’archeologia greca e cristiana. Il motivo era probabilmente che il mio professore di teologia preferito tutti gli anni teneva anche una conferenza sull’arte paleocristiana.

Una sua pubblicazione mette in discussione alcuni aspetti del periodo paleocristiano, considerati punti fermi. Il più noto: l’Eucaristia veniva celebrata in un contesto conviviale; pertanto come altare si utilizzava la tavola da pranzo. A conferma di ciò ci sarebbe anche l’utilizzo del termine “mensa” e non “altare”.

In effetti cent’anni fa la scienza dell‘archeologia cristiana ha messo in giro alcune idee che, a mio parere, sono sbagliate, idee che però, soprattutto in teologia, vanno avanti imperterrite. Tra queste si trova la convinzione che l’Eucaristia fosse un pasto comune e che anche oggi dovrebbe essere celebrata in questo modo. Bisogna stare attenti. Certamente Gesù ha istituito il rito del Pane e del Calice durante una cena nella quale si mangiava in posizione reclinata. I pasti in questa posizione erano pasti privilegiati, solenni, per i quali occorreva personale di servizio, quindi non certo pasti per i poveri. Ma il vero nucleo del rito eucaristico si è sempre tramandato come un rito specifico, distinto, come già mostra Paolo nella prima lettera ai Corinzi. Il pasto in posizione reclinata e del tutto secondario. Anche se a Corinto i partecipanti fossero stati sdraiati su lettini – cosa che non ritengo probabile a causa del numero dei partecipanti – per il nucleo del rito eucaristico veniva introdotta una tavola sacra distinta – Paolo la chiama la “mensa del Signore”– unica per tutta la comunità. Questo è importante: c’è solo una “tavola sacra”, non importa quanto sia grande la comunità.

Niente tavoli da pranzo, dunque, ma “tavole sacre”.

Sicuramente non si tratta di un tavolo da pranzo. La “tavola sacra” è un arredo sacro che veniva utilizzato per le vittime incruente già nell’antichità pagana. E sacra quanto un altare. “Tavola sacra” e “altare” sono termini interscambiabili. Con l’espressione “mensa del Signore” Paolo richiama il profeta Malachia e per “mensa del Signore” intende effettivamente ed espressamente l’“altare”. Paolo conosceva già la sacralità dell’altare cristiano, solo vent’anni anni dopo la Pasqua! Analogamente, parla anche del “calice del Signore” o del “calice della benedizione”. Quindi anche il calice non è un recipiente di uso comune, ma una coppa cultuale.

Mosaico in San Vitale a Ravenna raffigurante il Sacrificio di Abele e Melchisedek

Allora anche il segno delle tovaglie è stato equivocate?

La tovaglia era già talvolta in uso in epoca paleocristiana, ma non ha nulla a che vedere con le abitudini alimentari civili, come ce lo immaginiamo oggi. Piuttosto, la tovaglia è un segno di dignità; infatti anche le tavole ufficiali dei magistrati romani erano coperte da una tovaglia.

Se dunque si può parlare di tavole sacre, l’idea di “sacro”, come di ciò che è riservato a Dio, non è affatto tardiva.

Qui si tocca un altro cliché della teologia contemporanea, secondo la quale il cristianesimo primitive sarebbe stato profano. Mi dispiace, è una grossa sciocchezza. Il cristianesimo non voleva in alcun modo essere una religione profana. Una fede profana in Dio non esiste affatto. Il cristianesimo primitivo certamente considerava sacro tutto ciò che è destinato al culto e appartiene a Dio. Non appena sulla tavola viene offerto, per la prima volta, il sacrificio cristiano, questa tavola diviene un oggetto sacro e non più profano. Non può più essere utilizzata per altre circostanze che non siano il culto. Lo stesso avviene per lo spazio sacro. Sicuramente anche i cristiani avevano fin dall’inizio degli spazi sacri. Per loro era estremamente importante entrare letteralmente nel santuario per l’Eucaristia, a differenza dei pagani che stavano sempre solo fuori dal tempio, perché solo i sacerdoti potevano entrare all’interno. La novità del cristianesimo non consisteva nel rinunciare allo spazio sacro, ma nel fatto che ora tutti potevano entrare in questo spazio sacro, perché i cristiani, infatti, non offrivano più sacrifici cruenti, ma soltanto il sacrificio incruento dell’Eucaristia, che si poteva compiere nella chiesa.

Ancora una domanda sull‘altare: il cosiddetto “altare del popolo” trova un reale riscontro nell’archeologia?

«Si e no. A partire dal Concilio si è diffuso l’enorme malinteso che, nella chiesa primitiva, il sacerdote guardasse il popolo. Salvo pochissime eccezioni, non è stato così. Nei primi secoli, l’altare era solitamente posizionato libero ai quattro lati, ma il sacerdote stava davanti all’altare con il volto rivolto verso oriente. L’Eucaristia ha anche elementi dialogici, ma questi costituiscono solo l’introduzione alla preghiera. La preghiera deve essere sempre rivolta ad est. Ci sono alcune chiese – anche a Roma – con la facciata rivolta ad est, e in questi casi il sacerdote deve stare dietro l’altare e guardare verso il popolo. Ma il punto non è che la comunità debba ammirare la bellezza del sacerdote, ma che il sacerdote debba pregare verso est, verso Cristo, Sole di giustizia. Il modello moderno di liturgia, nello stile di un evento di intrattenimento religioso, ha poco a che fare con la serietà delle prime chiese».

Interno della Basilica di San Clemente a Roma

Un’altra idea diffusa ritiene che il “cristianesimo primitivo” fosse essenzialmente a-cultuale; le prime comunità sarebbero state caratterizzate dalla carità fraterna, dalla preghiera, ma non da veri e propri riti cultuali.

Si, anche questo è un errore di valutazione. In fondo, queste affermazioni sono tutte proiezioni moderne che nascono dall’illuminismo. Ci siamo messi in testa di pensare al cristianesimo primitivo in base alle nostre idee moderne. Ma il culto e un elemento essenziale di ogni religione. I cristiani hanno avuto l’Eucaristia domenicale. Certamente dovevano gradualmente abituarsi. I pagani, infatti, non avevano liturgie settimanali. Quindi ci volle del tempo per far sì che i cristiani si abituassero al ritmo settimanale. Hanno anche dovuto abituarsi ai riti propri, che hanno molti elementi provenienti dal giudaismo. Ad essere decisive e indubitabile e che il cristianesimo sia una religione sacrificale, non un insegnamento morale. L’illuminismo ha trasformato Cristo in un maestro morale e ha abolito il suo sacerdozio (lettera agli Ebrei)! Ci dobbiamo svincolare da queste abitudini mentali di un illuminismo agnostico. Abbiamo bisogno di leggere il Nuovo Testamento e i primi testi così come sono scritti, non con i nostri pregiudizi teologici moderni. Si tratta di riscoprire nuovamente molte cose antiche. L’amore fraterno non si oppone a questo, anzi. Il culto cristiano include la raccolta di denaro per poter sostenere i poveri. La comunità cristiana riunisce tutti i battezzati di una città, quindi persone povere e ricche, libere e non libere, semplici e intelligenti. Nei primi secoli c’era un’unica comunità in ogni città, nessuna chiesa domestica. C’era un solo servizio di culto pubblico per tutti.

La Norma Patrum e la Chiesa primitiva sono stati i riferimenti di molte riforme avvenute dopo il Vaticano II. Ha prevalso la storia o l’ideologia?

In effetti, molta ideologia e oggi ancora in atto, purtroppo. Ognuno sceglie ciò che gli piace dalla Chiesa primitiva. C’è un ampio spazio per la manipolazione, specialmente quando si tratta della nostra odierna comprensione della liturgia, dell’Eucaristia e della Chiesa. Molto di ciò che oggi viene giustificato con la Chiesa primitiva e solo una proiezione moderna. Un piccolo chiarimento storico in più sarebbe molto utile a riguardo.

(Il Timone, 01-2022)


Troppe scuse, oggi, per non andare alla Messa – Cosa sta accadendo?

Il Cattolico sta perdendo, sempre di più, la bellezza di partecipare al momento più importante. La paura, gli impegni o addirittura le condizioni climatiche possono arrivare a condizionare il nostro sì pieno a Gesù? Partecipare all’Eucarestia, alla Santa Messa è il momento essenziale della vita di un cristiano. Possiamo davvero rinunciarci?

Quante scuse per non andare alla Messa
Molto spesso, diamo la colpa all’orario che non si concilia con i nostri tanti impegni, oppure alle condizioni meteo non favorevoli e, non in ultimo, molti parroci hanno ancora il timore di contagi da Covid. Tante possono essere le scuse per non partecipare a Messa la domenica. Certo: ci sono casi in cui una persona davvero ne è impedita, e può capitare o starci di non poter partecipare.
Ma quando è una cosa recidiva, una vera e propria “scusa” non motivata da vere esigenze, inizia ad esser un vero e proprio “difetto” per la vita del cristiano. Oggi, grazie anche alle moderne tecnologie e, dopo un anno di pandemia, sono molte le parrocchie che, per varie vicissitudini, trasmettono in streaming, sulle loro pagine social, la Santa Messa dimenticando, però, che anche per gli ammalati – la Messa attraverso uno schermo – NON SODDISFA IL PRECETTO: per gli ammalati e quanti per ragioni vere ed autentiche, ascoltano la Messa attraverso i social o la TV, usufruiscono DELL’ESSERE ESONERATI DAL PRECETTO… ossia, ricevono quella misericordia da parte della Chiesa a non incorrere nel peccato di non aver fatto il PRECETTO, ma non che si soddisfa il precetto…

“Prima era solo per gli anziani”
Se prima era solo una prerogativa delle celebrazioni del Santo Padre e sulle reti nazionali, adesso sta diventando una moda comune. Un teologo così spiega: “Padre, domenica faceva freddo, ho pensato che la Messa potevo anche guardarla in Tv”. È una frase che ormai sento sempre più spesso, da quando, a causa della pandemia da Covid-19, si è diffusa la pratica di vedere la Santa Messa attraverso i canali social o in televisione. Fino ad oggi era una pratica molto diffusa tra gli anziani e tra coloro che, giustamente, per motivi di salute, non possono recarsi in Chiesa. Per loro, la televisione e la radio hanno svolto davvero un servizio importante”.
E su questo, non possiamo dargli torto, tanto che è una concessione della Chiesa la quale, per altro, si fa Lei stessa garante di quell’assenza FISICA degli ammalati che non possono andare alla Messa fisicamente, concedendo, appunto, questo “indulto” che non soddisfa il precetto, ma UNISCE l’ammalato alla Preghiera della Chiesa.
Ma, come dicevamo prima, anche a causa della pandemia, sono in molti coloro che hanno davvero perso il senso di partecipare alla Messa domenicale.
“L’aspetto più evidente è che seguendo la Messa a distanza non possiamo nutrirci del Corpo e Sangue del Signore”. In fondo è così: Gesù ci invita all’Eucaristia, per condividere la sua Parola e permetterci di avvicinarci alla sua Mensa, nella Chiesa. E di certo, da casa, via tv o social, questo non è possibile. È come se perdessimo la parte più bella ed importante della Messa che, un ammalato infatti, vive come INDULTO e soffrendo per non potersi unire fisicamente, offrendo al Signore – per mezzo della Chiesa – la sua offerta e la Comunione Spirituale.

Se non partecipiamo fisicamente alla Messa, perdiamo UN EVENTO importante.
“L’Eucaristia non è un affare privato del parroco, che noi semplicemente sosteniamo andando a Messa, ma siamo COINVOLTI con lui che celebra in Nome di Cristo, per mezzo della Chiesa, ciascuno secondo la sua vocazione”. Siamo chiamati, per mezzo del BATTESIMO, alla responsabilità della PARTECIPAZIONE alla Sacra Liturgia, al coinvolgimento per essere UNITI su quella patena che il sacerdote – per mezzo del Cristo presente Vivo e Vero – OFFRE AL PADRE “in soave odore di sacrificio perfetto”…

“Se la Messa è così noiosa, la colpa è nostra”, così spiegava il cardinale di New York Timothy Dolan.

  • Quante volte voi genitori l’avete sentito dire dai vostri figli la domenica mattina? Quante volte i nostri insegnanti e i nostri catechisti l’hanno sentito mentre preparavano i bambini per la Messa? E, ammettiamolo, quante volte noi stessi ce lo siamo detti?
    Cosa dire di fronte a una frase così infelice e quasi sacrilega? Beh, innanzitutto: “No, non è così!”. Uno può trovare la Messa noiosa, ma è un problema suo, non della Messa.
    Ci sono nella vita diverse attività importanti che sono “noiose”: le visite dal dentista possono essere tali; le persone che hanno malattie ai reni mi dicono che una dialisi tre volte alla settimana non è un’esperienza entusiasmante; andare a votare non è il massimo del divertimento. Tutte e tre le cose sono però importanti per il nostro stare bene e il loro valore non dipende dal grado di soddisfazione con cui le facciamo. La Messa è ancora più importante per la salute della nostra anima rispetto agli esempi citati.
    La noia è un nostro problema e, dicono i sociologi, lo è perché siamo ormai abituati a esperienze mordi e fuggi, a fare zapping con il telecomando quando sbadigliamo di fronte a un programma.
    Grazie a Dio, il valore di una persona o di un evento non dipende dal fatto che possano “annoiare” o meno, qualche volta. La gente e gli avvenimenti importanti non esistono per emozionarci, saremmo dei narcisi o dei ragazzini viziati se lo pensassimo!
    Questo è vero in particolar modo per il Santo Sacrificio della Messa. Noi crediamo che ogni Messa è il rinnovarsi dell’avvenimento più importante e decisivo che sia mai accaduto: l’eterno, infinito sacrificio di lode di Dio Figlio a Dio Padre su una croce, sul Monte Calvario, in un venerdì chiamato “santo” (in inglese “good”, buono, ndr).
  • Pensiamoci un attimo: anche i soldati romani erano “annoiati” quando deridevano Gesù e si giocavano a dadi la sua tunica, l’unica cosa che possedeva.
    Secondo, non andiamo a Messa per cercare uno svago, ma per pregare. Se i fiori sull’altare sono belli, se la musica è piacevole, se l’aria condizionata funziona, se la predica è corta e significativa, se attorno ci sono volti amici… tutto questo di certo aiuta. Ma la Messa è efficace anche se tutte queste cose mancano (e spesso purtroppo è così!).
    Perché la Messa non riguarda noi, ma Dio. E il valore della Messa viene dalla nostra semplice ma profonda convinzione, basata sulla fede, che per un’ora, la domenica, siamo parte di qualcosa che “va al di là”, siamo innalzati verso l’eterno, siamo partecipi di un mistero, unendoci a Cristo nel rendimento di grazie, nell’amore, nel sacrificio di espiazione che offre eternamente al Padre. Quello che fa Gesù funziona sempre e non è mai noioso. La Messa non è un tedioso compito che assolviamo per Dio, ma un miracolo che Gesù compie con e per noi.
    Un signore mi ha raccontato che quando era ragazzo il cuore della settimana era per lui il pranzo di famiglia alla domenica. Il cibo era buono perché lo cucinava sua mamma e la tavola era felice perché suo padre era sempre presente.
    Anche dopo essersi sposato e aver avuto dei figli, alla domenica a pranzo andava con tutta la famiglia da sua madre e da suo padre. Quando i figli sono cresciuti gli hanno chiesto se era proprio “necessario” andarci, perché a volte lo trovavano “noioso”. “Sì, dobbiamo” rispondeva lui, “perché non andiamo per il cibo, ma per l’amore, perché il papà e la mamma sono là”.
    Aveva le lacrime agli occhi mentre lo ricordava, perché quando i suoi genitori erano invecchiati le portate effettivamente non erano più così buone e la compagnia non era più così brillante. Nonostante tutto non era mai mancato una volta: quel pranzo aveva un significato speciale, anche se le lasagne erano bruciate o suo padre si addormentava a tavola.
    E ora, diceva, avrebbe dato qualsiasi cosa per essere ancora là, perché sua mamma era morta e suo padre era in una casa per anziani.
    Così adesso sono lui e sua moglie a preparare il pranzo della domenica e spera che i suoi tre bambini un giorno vi porteranno le loro mogli e i loro figli.
    Lo stesso vale per il pranzo della domenica della nostra famiglia spirituale: la Messa.
    Alcuni pensano che una partita allo Yankee Stadium sia noiosa, altri pensano lo stesso della musica country. Secondo molti l’amicizia, il volontariato, la famiglia, la lealtà e l’amore per la patria sono cose “del passato”, che non “prendono” più. Bene: sono loro ad avere un problema!
    E poi mi vengono a dire che la Messa è “noiosa”…

Spiega così mons. Nicola Bux, del quale segnialiamo il bellissimo libro, vedi qui: “Come andare a Messa e non perdere la fede…”
L’uomo che prega è l’uomo per eccellenza: è l’atto supremo di autocoscienza della fede. Il culto è l’atto più grande che egli possa compiere, perché lo ricollega all’origine, a Colui che è il creatore e il salvatore dell’uomo.
Ma il culto cattolico, soffre attualmente dello squilibrio tra la forma comunitaria, cresciuta a dismisura dopo il Concilio, e la forma personale, annichilita di fatto proprio dal soverchio comunitarismo, che uccide la partecipazione devota. Questo è uno dei problemi, che il cardinal Robert Sarah, nuovo prefetto della Congregazione per il Culto Divino, dovrebbe affrontare. La forma comunitaria, infatti, esprime la comunione, che non è una fusione: l’altro rimane un altro, non viene assorbito né diminuito, analogamente al mistero della Trinità: un solo Dio, una sola natura divina, ma allo stesso tempo tre persone.
Soprattutto, poi, il culto serve a far incontrare Dio all’uomo: è la sua mission, serve a introdurre l’uomo alla Presenza divina: questo, oggi, nel tempo della scristianizzazione, non è più evidente. Presenza evoca qualcosa a cui avvicinarsi, quasi toccare, ma che mi supera, perché sono peccatore. Allora, scatta la reazione di Pietro: «Allontanati da me, perché sono un peccatore». Presenza evoca il “sacro”: la liturgia è sacra, a motivo della Presenza divina. E questo “sacro” sembra crollato, travolgendo nella crisi anche la Chiesa, come ha scritto Benedetto XVI.
Così, molti cattolici, in specie i giovani, evadono pian piano dalle ‘liturgie-intrattenimento’ – litur-tainment, le chiamano in America, dove il sacerdote imita il conduttore televisivo, – e ricercano il mistero nel maestoso rito bizantino o nel sobrio rito romano antico. Molti vescovi cominciano ad accorgersi del fenomeno. È un nuovo movimento liturgico, nell’attuale passaggio di generazione. Beato chi se ne sarà accorto in tempo! Di tutto questo, la Congregazione per il Culto Divino deve tener conto.
Questa Congregazione, però, è anche preposta alla “disciplina dei sacramenti”. E qui suoneremo un tasto dolente: ovvero l’indisciplina diffusa, la mancanza di fedeltà al rito, che può anche toccare la validità stessa dei sacramenti (cfr. Giovanni Paolo II,Vicesimus Quintus Annus, 1988), inficiando nella liturgia i diritti di Dio, nonché dei fedeli. Nella liturgia, la fede e la dottrina, infatti, sono mediate dal rito: per preces et ritus, dice la Costituzione liturgica (n.48); la fedeltà ai riti e ai testi autentici della liturgia è una esigenza della lex orandi che deve essere conforme alla lex credendi. Il rito, infine, scandisce il tempo della musica e struttura lo spazio dell’arte, rendendole capaci di comunicare all’uomo il ‘sacro’, perciò queste possiedono una dimensione apostolica, missionaria e apologetica.

I canoni del Concilio di Trento sul santissimo sacrificio della Messa sintetizzano, in poche linee, la dottrina perenne della Chiesa:

Can. 1. Se qualcuno dirà che nella Messa non si offre a Dio un vero e proprio sacrificio, o che essere offerto significa semplicemente che Cristo ci viene dato in cibo: sia anatema.
Can. 2. Se qualcuno dirà che con le parole: “Fate questo in memoria di me” [Lc 22,19; I Cor 11,24] Cristo non ha costituito i suoi apostoli sacerdoti o non li ha ordinati perché essi e gli altri sacerdoti offrano il suo corpo e il suo sangue: sia anatema [cf * 1740].
Can. 3. Se qualcuno dirà che il sacrificio della Messa è solo un sacrificio di lode e di ringraziamento, o una semplice commemorazione del sacrificio offerto sulla croce, e non un sacrificio propiziatorio; o che giova solo a chi lo riceve; e che non deve essere offerto per i vivi e per i morti, per i peccati, le pene, le soddisfazioni e altre necessità: sia anatema [cf *1743].
Can. 4.Se qualcuno dirà che col sacrificio della Messa si bestemmia o si attenta al sacrificio di Cristo consumato sulla croce: sia anatema [cf. *1743].
Can. 5. Chi dirà che celebrare le messe in onore dei santi e per ottenere la loro intercessione presso Dio, come la chiesa intende, è un’impostura: sia anatema [cf. *1744].
Can. 6. Se qualcuno dirà che il canone della Messa contiene degli errori, e che, quindi, bisogna abolirlo: sia anatema [cf *1745].
Can. 7. Se qualcuno dirà che le cerimonie, i paramenti e gli altri segni esterni di cui si serve la chiesa cattolica nella celebrazione della Messa, sono piuttosto provocazioni dell’empietà, che manifestazioni di pietà: sia anatema [cf *1746].
Can. 8. Se qualcuno dirà che le Messe nelle quali solo il sacerdote si comunica sacramentalmente sono illecite e, quindi, da sopprimere: sia anatema [cf 1747].
Can. 9. Se qualcuno dirà che il rito della chiesa romana, secondo il quale parte del canone e le parole della consacrazione si profferiscono a bassa voce, è da condannarsi; o che la Messa deve essere celebrata solo nella lingua del popolo; o che nell’offrire il calice l’acqua non deve essere mischiata col vino, perché ciò sarebbe contro l’istituzione di Cristo: sia anatema [cf *1746; *1748s].

Incontro per l’Unità Cattolica – 15 gennaio 2012

Intervento di Monsignor Athanasius Schneider
Vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Santa Maria d’Astana,
Segretario della Conferenza dei vescovi cattolici del Kazakhstan

Per parlare correttamente della nuova evangelizzazione è indispensabile portare innanzitutto il nostro sguardo su Colui che è il vero evangelizzatore, Nostro Signore Gesù-Cristo il Salvatore, il Verbo di Dio fatto uomo. Il figlio di Dio è venuto su questa terra per espiare e riscattare il più grande peccato, il peccato per eccellenza. E questo peccato per eccellenza dell’umanità consiste nel rifiuto di adorare Dio, nel rifiuto di riservargli il primo posto, il posto d’onore. Questo peccato degli uomini consiste nel fatto che non si presta attenzione a Dio, nel fatto che non si possiede più il senso delle cose, nel fatto che non si vuol vedere Dio, nel fatto che non ci si vuole inginocchiare davanti a Dio.

Di fronte ad un simile atteggiamento, l’incarnazione di Dio è imbarazzante, ugualmente e di riflesso imbarazzante è la presenza reale di Dio nel mistero eucaristico, imbarazzante la centralità della presenza eucaristica di Dio nelle chiese. L’uomo peccatore vuole in effetti mettersi al centro, tanto all’interno della Chiesa che al di fuori della celebrazione eucaristica, vuole esser visto, vuol farsi notare.

È la ragione per cui Gesù eucaristia, Dio incarnato, presente nei tabernacoli sotto la forma eucaristica, si preferisce piazzarLo di lato. Anche la rappresentazione del Crocifisso sulla croce in mezzo all’altare al momento della celebrazione di fronte al popolo è imbarazzante, perché il viso del prete se ne troverebbe nascosto. Dunque l’immagine del Crocifisso al centro come pure Gesù eucaristia nel tabernacolo similmente al centro dell’altare, sono imbarazzanti. Conseguentemente la croce e il tabernacolo sono piazzati di lato. Durante la celebrazione, chi assiste deve poter osservare in permanenza il viso del prete, di colui a cui piace mettersi letteralmente al centro della casa di Dio. E se per sbaglio Gesù eucaristia è quanto meno lasciato nel suo tabernacolo al centro dell’altare, perché il ministero dei beni culturali persino sotto un regime ateo, ha vietato di spostarlo per ragioni di conservazione del patrimonio artistico, il prete, spesso durante tutta la celebrazione liturgica, gli gira senza scrupolo le spalle.

Quante volte bravi fedeli adoratori del Cristo, nella loro semplicità ed umiltà, avranno esclamato : « Benedetti voi, Monumenti storici! Per lo meno voi ci avete lasciato Gesù al centro della nostra Chiesa. »

È solo a partire dall’adorazione e dalla glorificazione di Dio che la Chiesa può annunciare in maniera adeguata la parola di verità, cioè evangelizzare. Prima che il mondo ascoltasse Gesù, il Verbo eterno fattosi carne, predicare e annunciare il regno, Gesù ha taciuto e ha adorato per trent’anni. Ciò resta per sempre la legge per la vita e l’azione della Chiesa così come di tutti gli evangelizzatori. « È dal modo di curare la liturgia che si decide la sorte della Fede e della Chiesa», ha detto il cardinal Ratzinger, nostro attuale Santo Padre e Papa Benedetto XVI. Il concilio Vaticano II voleva richiamare alla chiesa la realtà e l’azione che dovevano prendere il primo posto nella sua vita. È ben per questo che il primo documento conciliare è dedicato alla liturgia. In esso il concilio ci dà i seguenti principi: Nella Chiesa e da qui nella liturgia, l’umano deve orientarsi al divino ed essergli subordinato, ed anche ciò che è visibile in rapporto all’invisibile, l’azione in rapporto alla contemplazione, e il presente in rapporto alla città futura, alla quale aspiriamo (cf.Sacrosanctum Concilium, 2). La nostra liturgia terrestre partecipa, secondo l’insegnamento del Vaticano II, al pregustare la liturgia celeste della città Santa, Gerusalemme (cf. idem, 2)

Per questo, tutto nella liturgia della Santa Messa deve servire ad esprimere in maniera più netta la realtà del sacrificio di Cristo, cioè le preghiere di adorazione, di ringraziamento, d’espiazione, che l’eterno Sommo-Sacerdote ha presentato al Padre Suo.

Il rito e tutti i dettagli del Santo Sacrificio della Messa devono incardinarsi nella glorificazione e nell’adorazione di Dio, insistendo sulla centralità della presenza del Cristo, sia nel segno e nella rappresentazione del Crocifisso, che nella Sua presenza eucaristica nel tabernacolo, e soprattutto al momento della consacrazione e della santa comunione. Più ciò è rispettato, meno l’uomo di pone al centro della celebrazione, meno la celebrazione somiglia ad un circolo chiuso, ma è aperta anche in maniera esteriore sul Cristo, come una processione che si dirige verso di lui col prete in testa, più una tale celebrazione liturgica rifletterà in modo fedele il sacrificio d’adorazione del Cristo in croce, più ricchi saranno i frutti provenienti dalla glorificazione di Dio che i partecipanti riceveranno nelle loro anime, più il Signore li onorerà.

Più il sacerdote e i fedeli cercheranno in verità durante le celebrazioni eucaristiche la gloria di Dio e non la gloria degli uomini, e non cercheranno di ricevere la gloria gli uni dagli altri, più Dio li onorerà lasciando partecipare la loro anima in maniera più intensa e più feconda alla Gloria e all’Onore della Sua vita divina. Nel momento attuale e in diversi luoghi della terra, sono numerose le celebrazioni della Santa Messa delle quali si potrebbero dire le seguenti parole, inversamente alle parole del Salmo 113,9: « A noi, o Signore, e al nostro nome dai gloria » ed inoltre a proposito di tali celebrazioni si applicano le parole di Gesù : « Come potete credere, voi che ricevete la vostra gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo ? » (Giovanni 5, 44).

Il Concilio Vaticano II ha emesso, riguardo ad una riforma liturgica, i seguenti principi:

  1. Durante la celebrazione liturgica, l’umano, il temporale, l’attività, devono orientarsi al divino, all’eterno, alla contemplazione e avere un ruolo subordinato in rapporto a questi ultimi (cf. Sacrosanctum Concilium, 2).
  2. Durante la celebrazione liturgica, si dovrà incoraggiare la presa di coscienza che la liturgia terrestre partecipa della liturgia celeste (cf. Sacrosanctum Concilium, 8).
  3. Non deve esserci alcuna innovazione, dunque alcuna nuova creazione di riti liturgici, soprattutto nel rito della messa, tranne se ciò è per un frutto vero e certo in favore della Chiesa, e a condizione che si proceda con prudenza sul fatto che eventuali forme nuove sostituiscano in maniera organica le forme esistenti (cf. Sacrosanctum Concilium, 23).
  4. I riti della Messa devono esser tali che il sacro sia espresso più esplicitamente (cf.Sacrosanctum Concilium, 21).
  5. Il latino deve essere conservato nella liturgia e soprattutto nella Santa Messa (cf.Sacrosanctum Concilium, 36 e 54).
  6. Il canto gregoriano ha il primo posto nella liturgia (cf. Sacrosanctum Concilium, 116).

I padri conciliari vedevano le loro proposizioni di riforma come la continuazione della riforma di S. Pio X (cf. Sacrosanctum Concilium, 112 e 117) e del servo di Dio, Pio XII, e in effetti, nella costituzione liturgica, la più citata è l’enciclica Mediator Dei di papa Pio XII.

Papa Pio XII ha lasciato alla Chiesa, tra gli altri, un principio importante della dottrina sulla Santa liturgia, e cioè la condanna di ciò che chiama archeologismo liturgico, le cui proposizioni coincidevano largamente con quelle del sinodi giansenista e protestantizzante di Pistoia del 1976 (cf. « Mediator Dei », n° 63-64) e che di fatto richiamano le idee teologiche di Martin Lutero.
Perciò già il Concilio di Trento ha condannato le idee liturgiche protestanti, specialmente l’esagerata accentuazione di banchetto nella celebrazione eucaristica a detrimento del carattere sacrificale, la soppressione dei segni univoci della sacralità in quanto espressione del mistero della liturgia (cf. Concilio di Trento, sessio XXII).

Le dichiarazioni liturgiche dottrinali del magistero, come nel caso del Concilio di Trento e dell’enciclica Mediator Dei, che si riflettono in una prassi liturgica secolare, anzi da più di un millennio, costante e universale, queste dichiarazioni dunque, fanno parte di quell’elemento della santa tradizione che non si può abbandonare senza incorrere in grandi danni sul piano spirituale. Queste dichiarazioni dottrinali sulla liturgia, il Vaticano II le ha riprese, come può constatarsi leggendo i principi generali del culto divino nella costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium.

Come errore concreto nel pensiero e nell’azione dell’archeologismo liturgico, il papa Pio XII cita la proposizione di dare all’altare la forma di una tavola (cf. Mediator Dei n° 62). Se già papa Pio XII rifiutava l’altare a forma di tavola, si immagini come avrebbe a fortiori rifiutato la proposizione di una celebrazione come intorno ad una tavola « versus populum » !

Se la Sacrosanctum Concilium al n° 2 insegna che, nella liturgia, la contemplazione deve avere la priorità e che tutta la celebrazione della messa deve essere orientata verso i misteri celesti (cf. idem n° 2 et n° 8), vi si trova un’eco fedele della seguente dichiarazione di Trento che diceva: « E perché la natura umana è tale, che non facilmente viene tratta alla meditazione delle cose divine senza piccoli accorgimenti esteriori, per questa ragione la chiesa, pia madre, ha stabilito alcuni riti, che cioè, qualche tratto nella messa, sia pronunziato a voce bassa, qualche altro a voce più alta. Ha stabilito, similmente, delle cerimonie, come le benedizioni mistiche; usa i lumi, gli incensi, le vesti e molti altri elementi trasmessi dall’insegnamento e dalla tradizione apostolica, con cui venga messa in evidenza la maestà di un sacrificio così grande, e le menti dei fedeli siano attratte da questi segni visibili della religione e della pietà, alla contemplazione delle altissime cose, che sono nascoste in questo sacrificio.» (sessio XXII, cap. 5).

I citati insegnamenti del magistero della Chiesa e soprattutto quello di Mediator Dei sono stati riconosciuti senza alcun dubbio anche dai padri conciliari come pienamente validi; di conseguenza essi devono continuare ancor oggi ad essere pienamente validi per tutti i figli della Chiesa.

Nella lettera indirizzata ai vescovi della Chiesa cattolica unita al Motu proprio Summorum Pontificum del 7 luglio 2007, il papa fa questa dichiarazione importante: « Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso ». Dicendo questo, il papa esprime il principio fondamentale della liturgia che il Concilio di Trento e papa Pio XII hanno insegnato.

Se si guarda senza idee preconcette e in maniera obbiettiva la pratica liturgica della stragrande maggioranza delle chiese in tutto il mondo cattolico nel quale è in uso la forma ordinaria del rito romano, nessuno può negare in tutta onestà che i sei principi liturgici menzionati dal Concilio Vaticano II sono rispettati poco o niente addirittura. Ci sono un certo numero di aspetti concreti nell’attuale pratica liturgica dominante, nel rito ordinario, che rappresentano una vera e propria rottura con una pratica religiosa costante da oltre un millennio. Si tratta dei cinque usi liturgici seguenti che si possono considerare come le cinque piaghe del corpo mistico liturgico di Cristo. Si tratta di piaghe, perché rappresentano una violenta rottura col passato, perché mettono apertamente meno l’accento sul carattere sacrificale che è quello centrale ed essenziale della messa, mettono avanti il banchetto; tutto ciò diminuisce i segni esteriori dell’adorazione divina, perché esse mettono meno in rilievo il carattere del mistero in ciò che ha di celeste ed eterno.

In ordine a queste cinque piaghe, si tratta di quelle che – ad eccezione di una (le nuove preghiere dell’offertorio) – non sono previste nella forma ordinaria del rito della messa, ma sono state introdotte in modo deplorevole dalla pratica.

La prima piaga, la più evidente, è la celebrazione del sacrificio della messa in cui il prete celebra volto verso i fedeli, specialmente durante la preghiera eucaristica e la consacrazione, il momento più alto e più sacro dell’adorazione dovuta a Dio. Questa forma esteriore corrisponde per sua natura più al modo in cui ci si comporta quando si condivide un pasto. Ci si trova in presenza di un circolo chiuso. E questa forma non è assolutamente conforme al momento della preghiera ed ancor meno a quello dell’adorazione. Ora questa forma, il concilio Vaticano II non l’ha auspicata affatto e non è mai stata raccomandata dal magistero dei papi post-conciliari. Papa Benedetto XVI nella sua prefazione al primo tomo della sua Opera Omnia scrive: «l’idea che sacerdote e popolo nella preghiera dovrebbero guardarsi reciprocamente è nata solo nella cristianità moderna ed è completamente estranea in quella antica. Sacerdote e popolo certamente non pregano uno verso l’altro, ma verso l’unico Signore. Quindi guardano nella preghiera nella stessa direzione: o verso Oriente come simbolo cosmico per il Signore che viene, o, dove questo non fosse possibile, verso una immagine di Cristo nell’abside, verso una croce, o semplicemente verso il cielo, come il Signore ha fatto nella preghiera sacerdotale la sera prima della sua Passione (Giovanni 17, 1). Intanto si sta facendo strada sempre di più, fortunatamente, la proposta da me fatta alla fine del capitolo in questione nella mia opera: non procedere a nuove trasformazioni, ma porre semplicemente la croce al centro dell’altare, verso la quale possano guardare insieme sacerdote e fedeli, per lasciarsi guidare in tal modo verso il Signore, che tutti insieme preghiamo. ».

La forma di celebrazione in cui tutti portano il loro sguardo nella stessa direzione (conversi ad orientem, ad Crucem, ad Dominum) è anche evocata dalle rubriche del nuovo rito della messa (cf.Ordo Missae, n. 25, n. 133 et n. 134). La celebrazione che si dice « versus populum » certamente non corrisponde all’idea della Santa Liturgia tal quale è menzionata nelle dichiarazioni di Sacrosanctum Concilium n°2 e n° 8.

La seconda piaga è la comunione sulla mano diffusa dappertutto nel mondo. Non soltanto questa modalità di ricevere la comunione non è stata in alcun modo evocata dai Padri conciliari del Vaticano II, ma apertamente introdotta da un certo numero di vescovi in disobbedienza verso la Santa Sede e nel disprezzo del voto negativo nel 1968 della maggioranza del corpo episcopale. Solo successivamente papa Paolo VI l’ha legittimata controvoglia, a condizioni particolari.

Papa Benedetto XVI, dopo la Festa del Corpus Domini 2008, non distribuisce più la comunione che a fedeli in ginocchio e sulla lingua, e ciò non soltanto a Roma, ma anche in tutte le chiese locali alle quali rende visita. Attraverso ciò egli donò all’intera Chiesa un chiaro esempio di magistero pratico in materia liturgica. Se la maggioranza qualificata del corpo episcopale, tre anni dopo il concilio, ha rifiutato la comunione nella mano come qualcosa di nocivo, quanti più Padri conciliari l’avrebbero fatto ugualmente!

La terza piaga, sono le nuove preghiere dell’offertorio. Esse sono una creazione interamente nuova e non sono mai state usate nella Chiesa. Esse esprimono meno l’evocazione del mistero del sacrificio della croce che quella di un banchetto, richiamando le preghiere del pasto ebraico del sabato. Nella tradizione più che millenaria della Chiesa d’Occidente e d’Oriente, le preghiere dell’offertorio sono sempre state espressamente incardinate al sacrificio della croce (cf. p. es. Paul Tirot, Storia delle preghiere d’offertorio nella liturgia romana dal VII al XVI secolo, Roma 1985). Una tale creazione assolutamente nuova è senza nessun dubbio in contraddizione con la formulazione chiara del Vaticano II che richiama « Innovationes ne fiant … novae formae ex formis iam exstantibus organice crescant » (Sacrosanctum Concilium, 23).

La quarta piaga è la sparizione totale del latino nell’immensa maggioranza delle celebrazioni eucaristiche della forma ordinaria nella totalità dei paesi cattolici. È una infrazione diretta contro le decisioni del Vaticano II.

La quinta piaga è l’esercizio dei sevizi liturgici di lettori e di accoliti donne, così come l’esercizio degli stessi servizi in abito civile penetrando nel coro durante la Santa Messa direttamente oltre lo spazio riservato ai fedeli. Quest’abitudine non è giammai esistita nella Chiesa, o per lo meno non è mai stata la benvenuta. Essa conferisce alla messa cattolica il carattere esteriore di qualcosa di informale, il carattere e lo stile di un’assemblea piuttosto profana. Il secondo concilio di Nicea vietava già, nel 787, tali pratiche, redigendo questo canone: « Se qualcuno non è ordinato, non gli è permesso fare la lettura dall’ambone durante la santa liturgia », (can. 14). Questa norma è stata costantemente rispettata nella Chiesa. Solo i suddiaconi o i lettori avevano il diritto di fare la lettura durante la liturgia della Messa. Al posto dei lettori e accoliti mancanti, sono uomini o ragazzi in veste liturgica che possono farlo, e non donne, essendo un dato di fatto che il sesso maschile sul piano sacramentale dell’ordinazione non sacramentale dei lettori ed accoliti, rappresenta simbolicamente il primo legame con gli ordini minori.

Nei testi del Vaticano II, non è fatta alcuna menzione della soppressione degli ordini minori e del suddiaconato, né dell’introduzione di nuovi ministeri. Nella Sacrosanctum Concilium n° 28, il concilio fa la differenza tra « minister » e « fidelis » durante la celebrazione liturgica, e sancisce che l’uno e l’altro hanno diritto di fare ciò che loro spetta in ragione della natura della liturgia. Il n° 29 meziona i « ministrantes », cioè gli addetti al servizio dell’altare che non hanno ricevuto alcuna ordinazione. In opposizione a costoro ci sarebbero, scondo i termini giuridici dell’epoca, i «ministri », cioè coloro che hanno ricevuto un ordine maggiore o minore che sia.

Con il Motu proprio Summorum Pontificum, Papa Benedetto XVI afferma che entrambe le forme del Rito romano sono da guardare e trattare con lo stesso rispetto, perché la Chiesa rimane la stessa prima e dopo il Concilio. Nella lettera che accompagna il Motu proprio, il Papa auspica che le due forme si arricchiscano reciprocamente. Inoltre, auspica che nella nuova forma “appaia, più di quanto non sia avvenuto finora, il senso del sacro che attira molte persone verso il vecchio rito.”

Le quattro ferite liturgiche o usi infelici (celebrazione versus populum, comunione nella mano, totale abbandono del latino e del canto gregoriano e l’intervento delle donne per il servizio di lettura e quello di accolito) non hanno di per sé nulla a che fare con la forma ordinaria della Messa e sono inoltre in contraddizione con i principi liturgici del Vaticano II. Se si ponesse fine a questi usi, si ritornerebbe al vero insegnamento del Vaticano II. E allora le due forme del Rito romano si avvicinerebbero enormemente così che, almeno esternamente, non si dovrebbe constatare una rottura fra di loro e, quindi, nessuna rottura tra la Chiesa di prima del Concilio e quella del dopo.

Per quel che riguarda le nuove preghiere dell’Offertorio, sarebbe auspicabile che la Santa Sede le sostituisca con le preghiere corrispondenti della forma straordinaria o almeno che permetta il loro uso ad libitum. Così, non è solo esteriormente, ma interiormente, che la rottura tra le due forme sarebbe evitata. La rottura nella liturgia, è appunto quel che la maggior parte dei padri conciliari non ha voluto ; lo testimoniano gli atti del Concilio, perché in duemila anni di storia della liturgia nella Santa Chiesa, non c’era mai stata rottura liturgica e, pertanto, non deve mai essercene. Invece ci deve essere una continuità come deve essere per il Magistero.
È per questo che c’è bisogno oggi di nuovi Santi, di una o più Santa Caterina da Siena. Abbiamo bisogno della “vox populi fidelis” che reclama la soppressione di questa rottura liturgica. Ma il tragico della storia, è che oggi, come al momento dell’esilio di Avignone, una larga maggioranza del clero, soprattutto del clero alto, si accontenta di questo esilio, di questa rottura.

Prima che possiamo aspettarci frutti efficaci e duraturi dalla nuova evangelizzazione, deve innanzitutto instaurarsi un processo di conversione all’interno della Chiesa. Come si può chiamare gli altri a convertirsi fino a quando, tra chi la reclama, nessuna conversione convincente a Dio non è ancora avvenuta perché, nella liturgia, non sono sufficientemente rivolti a Dio, sia interiormente che esteriormente? Si celebra il sacrificio della Messa, il sacrificio di adorazione di Cristo, il più grande mistero della fede, l’atto di adorazione più sublime in un cerchio chiuso, guardandosi a vicenda.

Manca la necessaria “conversio ad Dominum“, anche esternamente, fisicamente. Perché durante la liturgia si tratta Cristo come se non fosse Dio e non Gli si mostrano i segni esterni chiari di un’adorazione dovuta a Dio solo, non solo nel fatto che i fedeli ricevono la Santa Comunione in piedi ma che la prendono nelle loro mani come un cibo ordinario, prendendolo e mettendolo loro stessi in bocca. C’è il pericolo di una sorta di arianesimo o un semi-arianesimo eucaristico.

Una delle condizioni necessarie per una fruttuosa nuova evangelizzazione sarebbe la testimonianza di tutta la Chiesa sul piano del culto liturgico pubblico, osservando almeno questi due aspetti del culto divino, vale a dire:

  1. Che su tutta la terra la Santa Messa sia celebrata, anche nella forma ordinaria, nella “conversio ad Dominum“, interiormente e necessariamente anche esternamente.
  2. Che i fedeli pieghino il ginocchio davanti a Cristo al momento della Santa Comunione, come San Paolo lo domanda, evocando il nome e la persona di Cristo (cfr. Phil 2, 10) e che Lo ricevano con il più grande amore e il massimo rispetto possibile, come è suo diritto in quanto Vero Dio.

Dio sia lodato, Papa Benedetto ha iniziato, con due misure concrete, il processo di ritorno dall’esilio avignonese liturgico, attraverso il Motu proprio Summorum Pontificum e la reintroduzione del rito tradizionale per la comunione.

C’è ancora molto bisogno di preghiera e forse di una nuova Santa Caterina da Siena perché seguano gli altri passi, in modo da guarire le cinque piaghe sul corpo liturgico e mistico della Chiesa e perché Dio sia venerato nella liturgia con lo stesso amore, rispetto, senso del sublime che hanno sempre rappresentato la realtà della Chiesa e del suo insegnamento, specialmente attraverso il concilio di Trento, papa Pio XII nella sua enciclica Mediator Dei, il concilio Vaticano II nella sua costituzione Sacrosanctum Concilium e papa Benedetto XVI nella sua teologia e liturgia, nel suo magistero liturgico pratico e nel Motu proprio citato.

Nessuno può evangelizzare se non ha prima adorato, e parimenti se non adora in permanenza e non dà a Dio, il Cristo Eucaristia, la vera priorità nella maniera di celebrare e in tutta la sua vita. In effetti, per riprendere le parole del card Joseph Ratzinger : « È nel modo di trattare la Liturgia che si decide la sorte della Fede e della Chiesa ».


7 dritte per evitare che i tuoi figli pensino «che noia andare a Messa»

Il Timone ha condotto e pubblicato da poco  una grande indagine sulla fede nella quale, peraltro, si sono esaminati i motivi per cui la gente dice di aver smesso ad andare a Messa. Quali sono questi motivi? Basta leggere l’ultimo numero della rivista (qui per abbonarsi)  ma possiamo anticipare che la “rigidità dottrinale” e gli “scandali del clero”, cioè le ragioni richiamate spesso dai grandi media come quelle principali di allontanamento dalla messa, non sono affatto le ragioni più importanti.. Ciò detto, proprio perché è difficile poi uno a Messa ci torni in età adulta, ecco qualche consiglio per fare in modo che i bambini non perdano questo legame. Su Religion en libertad  ne vengono elencati 7.

1º «Non smettere di seminare» e pregare per i propri bambini. Non importa quanti anni abbiano, padre Adolfo, sacerdote e influencer, incoraggia i genitori a meditare la parabola del regno dei cieli e del seminatore e a metterla in pratica con i propri figli che stanno smettendo la pratica della fede «Cari genitori, continuate a seminare , non stancatevi mai. Lasciate che Gesù stesso stesso porti frutto, affidate i vostri figli a Dio perché Lui è il loro padre davanti a voi. Non smettete di seminare, perché essi, a loro volta sono i primi responsabili della fede, dell’amore e della speranza nei loro figli».

2º «L’importanza della coerenza» Padre Silva, padre Domenech e padre Bronchalo, tre sacerdoti del programma Red de Redes, hanno sottolineato in più occasioni che i bambini «sono vere telecamere  costantemente puntate verso di noi» e che «per questo la coerenza è molto importante». Bronchalo avverte che, per esempio, è inutile parlare tutto il giorno di beneficenza ma poi rifiutare un favore a chi te lo chiede, oppure portare i bambini in chiesa ma poi inveire contro qualcuno a tavola.

Domenech spiega anche che non si abbandona la pratica della Messa da un momento all’altro, ma che «si inizia con molto poco, un passo alla volta». Ad esempio, quando sono i genitori stessi a non andarci la domenica: «Questo è insegnare ai figli che andare a Messa è relativo e smonta la scala di valori che i genitori stessi stanno costruendo». È un approccio che comprende tutto, anche i viaggi: «Andrai in vacanza dove sai che non potrai partecipare alla Messa? Ti assicuri di evitare quei posti? In questo modo i tuoi figli si mettono in testa che la pratica religiosa è così importante che può portare anche a rinunciare a visitare un Paese».

3º «Genitori, perché andate a Messa. Come genitori porsi questa domanda e chiedersi anche se i nostri figli ci vedono come un modello, oppure se mostriamo di andare a Messa unicamente per obbligo anziché per un autentico rapporto con Dio e con la nostra comunità di fede.

4º «Non tutto è divertente… ma aiuta sempre». Creare un clima di gioia è importante e non solo durante o dopo la Messa, anche prima.Ad esempio, alzarsi presto per preparare delle frittelle per colazione oppure fare cose  divertenti o ascoltare la musica preferita dei propri figli mentre vanno a Messa. Tutto questo serve a creare dei buoni ricordi legati alla celebrazione eucaristica e alla propria infanzia.

5º «Andare a Messa non è negoziabile» L’esperta di educazione, giornalista e mamma Theresa Civantos Barber  dice di aver sempre spiegato alla sua giovane figlia che andare a Messa “non è negoziabile”.  “Lasciare che i bambini scelgano se andare o meno a Messa fin dalla più tenera età, ha senso quanto lasciare che scelgano di allacciarsi le cinture di sicurezza, lavarsi i denti o mangiare verdure. Andare a Messa la domenica dovrebbe essere trasformata, sottolinea Civantos Barber, non solo in un’abitudine, ma in un’abitudine non negoziabile della propria famiglia.

 6º «Spiegare i “perché». Il fatto che la Messa venga presentata come qualcosa di non negoziabile non significa che sia una questione su cui non vi si possa ragionare su. La stessa Civantos Barber ricorda che in più di un’occasione sua figlia le ha detto che non vuole andare a Messa perché “è una seccatura”. Una delle risposte della giornalista alle lamentele di sua figlia è stata: «Dio ci ha regalato ogni minuto della nostra vita. Migliaia di ore per divertirci, giocare e divertirci. Ci chiede solo di dargli un’ora alla settimana per andare a Messa» E adesso, racconta, la Messa è una delle attività preferite della sua settimana.

7º «Portare i bambini a Messa senza imitare il clima “da scuola materna”». Emma Follett, una giovane mamma laureata in Giornalismo e Teologia, sostiene che è fondamentale spiegare ai bambini, anche quando sono piccoli, ciò che si sta vivendo durante la celebrazione. Tanto che ella stessa racconta, che non amava quando il suo bambino si addormentava durante la Messa, cosa che alcuni genitori, invece, considerano una “fortuna”.

Non va neanche bene, sostiene, che nelle parrocchie si ricrei un clima da “asilo”, con bambini che corrono e fanno chiasso, perché lo scopo di portarli con sé a Messa è spiegare loro che «lì c’è Gesù». Si tratta di sette consigli preziosi che ci spingono anche a porci domande su cosa significhi la coerenza della nostra fede in primis, per poter poi trasmettere le risposte ai nostri figli e soprattutto, sono spunti di riflessione che ci portano a meditare  sull’importanza e lo spazio che ha la fede stessa nella nostra vita e in quella dei nostri figli. (Fonte foto: Facebook)

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Ho sentito dire un po’ di tempo fa che si possono dedicare le Messe a delle particolari intenzioni. Che cosa si deve fare praticamente?

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Quesito

Salve,
Ho sentito dire un po’ di tempo fa che si possono dedicare le Messe a delle particolari intenzioni.
Mi piacerebbe chiedere ad un sacerdote che conosco se può aggiungere alle intenzioni una mia richiesta, ovvero di aiutare le persone (i miei cari in particolare) a convertirsi.
Mi dispiace infatti restare a guardare senza riuscire a fare granché.
È una cosa che si può fare? Se sì, è gratuito o occorre dare una piccola offerta alla Chiesa per sostenerla?
E per farla basta semplicemente chiedere o serve fare altro per aggiungerlo alle intenzioni?


Risposta del sacerdote

Caro Matteo,
1. La celebrazione della Santa messa altro non è che il rendere presente il sacrificio di Cristo in mezzo a noi.
Ora il sacrificio di Cristo è la sorgente di ogni benedizione, cioè di ogni dono e di ogni grazia.

2. Per questo i cristiani fin dall’inizio celebrano la Santa Messa essenzialmente per quattro motivi.
Il primo: col sacrificio di Cristo noi offriamo a Dio la giusta adorazione per la sua grandezza.
Non c’è atto di adorazione più grande che quello della messa.
In segno di questo al termine della preghiera eucaristica il sacerdote dice: “per Cristo in Cristo e con Cristo, a te Dio Padre onnipotente nell’unità dello Spirito Santo ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli”.
Se si soppesano queste parole una per una ci si accorge subito dell’enorme portata di tale atto di adorazione.
Congiunti a Cristo e al suo sacrificio, uniti all’amore infinito dello Spirito Santo, diamo a Dio ogni onore e gloria.
E concludiamo dicendo che vogliamo che “ogni onore e gloria” gli siano dati per tutti i secoli dei secoli.
È il cosiddetto fine latreutico o di adorazione.

3. Il secondo fine è di ringraziamento.
Lo ringraziamo per tutti i benefici che Dio ci ha dato e in particolare per l’incarnazione, morte, risurrezione e ascensione al cielo del Nostro Signore Gesù Cristo.
La Messa è il grazie più bello che si possa dare a Dio Padre perché ci si congiunge con Gesù Cristo e al grazie che Egli ha pronunciato nell’ultima cena.
È un grazie che ha un valore e un merito infinito.
A Messa noi ringraziamo il Padre per tutti i doni che ci ha dato. E lo ringraziamo con il grazie più bello e a lui più gradito, qual è quello di Gesù Cristo.
È il cosiddetto fine eucaristico o di ringraziamento della Santa Messa.
E poiché talvolta riceviamo grazie che ci stanno particolarmente a cuore, alcuni fedeli opportunamente fanno celebrare una Santa Messa in rendimento di grazie per la grazia ricevuta.
San Tommaso ricorda che il dire grazie dispone l’anima a ricevere altre grazie.

4. Il terzo fine è di espiazione dei peccati.
Non si può dimenticare che la Santa Messa è il memoriale della passione del Signore e che nella sua passione Cristo ha espiato i nostri peccati.
È il cosiddetto fine soddisfatorio.
Molte persone giustamente fanno celebrare la Santa Messa in suffragio delle anime del Purgatorio o anche per ottenere la grazia della conversione per qualche persona in particolare.

5. Il quarto fine è di implorazione di grazie.
Tutte le grazie di cui abbiamo bisogno Gesù Cristo ce le ha già meritate con la sua passione, che viene resa presente e operante sull’altare durante la Santa Messa.
In tal modo Cristo per mezzo della Santa Messa mette davanti a noi la sorgente di ogni benedizione.
È il cosiddetto fine impetratorio.
Per questo molte persone fanno celebrare delle Sante Messe per ottenere qualche grazie particolare.

6. Mi piace ricordare che il papà di Santa Teresa di Gesù Bambino quando vide che la sua bambina era in fin di vita e ormai vicino alla morte decise di far celebrare una novena di Sante Messe e accompagnò questa richiesta con un’offerta molto grande, con diverse monete d’oro.
Proprio nell’ultimo giorno della novena, che coincise con la festa di Pentecoste, Teresa improvvisamente guarì.

7. Così proprio con la testimonianza del papà di Santa Teresa di Gesù bambino veniamo al discorso dell’offerta.
Perché i fedeli accompagnano la richiesta della celebrazione la Santa Messa secondo le loro intenzioni con un’offerta?
Perché in questo modo sentono di unirsi al sacrificio di Gesù Cristo in maniera più forte, più concreta, più coinvolgente perché si uniscono con un sacrificio personale.
Puoi certamente chiedere al sacerdote di ricordare qualche tua particolare intenzione durante la celebrazione della messa. Lo puoi fare senza dargli alcun offerta. Il sacerdote ti ricorderà volentieri.

8. Ma, per far celebrare la Messa secondo le tue intenzioni (la cosa è ben diversa da un semplice ricordo) la Chiesa ti consiglia di unirti più strettamente al sacrificio di Cristo con un sacrificio personale.
Il sacrificio personale è quello dell’offerta.
L’esempio del papà di Santa Teresa è molto eloquente. Non si è limitato a chiedere di ricordarsi nella Messa. In questo modo il suo coinvolgimento sarebbe stato più ideale che reale.
Aveva bisogno di una grazia grande. E ha voluto accompagnare una richiesta così grande con un sacrificio personale altrettanto grande.

9. Scendendo alle determinazioni pratiche, puoi far celebrare Sante Messe per qualsiasi intenzione.
Ad esempio: in onore della Santissima Trinità. Oppure in onore di uno dei vari misteri della vita (la sua Natività, la sua passione, la sua morte, la sua risurrezione)
Oppure puoi far celebrare delle Messe in onore della Madonna o di qualche santo: perché il Signore li glorifichi ulteriormente concedendo loro di dispensare grazie su grazie alla Chiesa e a te in particolare, che fai celebrare quella Santa Messa.
Puoi far celebrare la Santa Messa in suffragio di qualche defunto. Il più delle volte la gente fa così.
Ma puoi farlo celebrare anche per la conversione dei peccatori o di qualche persona in particolare.
Infine puoi far celebrare una Santa Messa per le tue intenzioni particolari. Non è necessario che tu le manifesti al sacerdote.

10. Stabilito questo da parte tua, devi presentarti al sacerdote e chiedergli se può celebrare una Santa Messa secondo le tue intenzioni.
Queste intenzioni le puoi tenere segrete, oppure gliele puoi manifestare, soprattutto se si tratta di suffragio perché allora nella Messa viene menzionato anche il nome del defunto e i presenti possono pregare per lui.
Puoi indicargli anche una data e lui dirà se in quel giorno non è già impegnato con altre intenzioni. Diversamente ne indicherai un’altra.
L’offerta gliela puoi dare subito oppure anche al termine della Messa celebrata.

11. Per avere un’indicazione sulla quantità dell’offerta, non attenerti al minimo come se si andasse a comprare qualche cosa.
Il mio consiglio è quello di andare sempre al largo nella generosità, convinto che il Signore farà altrettanto nei nostri confronti.

Ti benedico e ti ricordo nella preghiera.
Padre Angelo

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