Esiste una differenza tra il peccato grave e quello mortale? Come possiamo agire?

È nota questa affermazione di Papa Pio XII: «Il peccato più grande nel mondo d’oggi consiste nel fatto che gli uomini hanno cominciato a perdere il senso del peccato»(Radio Messaggio del 26.10.1946)

«I peccati che portano più anime all’inferno sono i peccati della carne. Verranno mode che offenderanno molto Gesù. Le persone che servono Dio non devono seguire la moda. La Chiesa non ha moda. Gesù è sempre lo stesso. I peccati del mondo sono molto grandi.
Se gli uomini sapessero ciò che è l’Eternità, farebbero di tutto per cambiare vita.
Gli uomini si perdono, perché non pensano alla morte di Gesù e non fanno penitenza.
Molti matrimoni non sono buoni, non piacciono a Gesù, non sono di Dio». (Santa Giacinta di Fatima – vedi qui)

  • «Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dalla impudicizia, che ciascuno sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto non come oggetto di passioni e libidine, come i pagani che non conoscono Dio; che nessuno offenda e inganni in questa materia il proprio fratello… Dio non ci ha chiamati all’impurità, ma alla santificazione. Perciò chi disprezza queste norme non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che vi dona il suo santo Spirito» (1Ts.4,3-8; cf.Col.3,5-7; 1Tm.1,10). «Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o cupidigia, neppure se ne parli tra voi, come si addice a santi… Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro – che è roba da idolatri – avrà parte al regno di Cristo e di Dio. Nessuno vi inganni con vani ragionamenti: per queste cose infatti piomba l’ira di Dio sopra coloro che gli resistono. Non abbiate quindi niente in comune con loro. Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce» (Ef 5,3-8; cf. 4,18-19).
  • Si legga anche questo articolo catechetico: Ciò che era peccato ieri è peccato anche oggi.. il VI Comandamento, l’adulterio…

Non vi è pertanto alcuna “comunione dei Santi”, per quanti pretendono L’AMMUCCHIATA dei peccatori impenitenti, in Paradiso… vedi qui.

Secondo il Magistero della Chiesa il peccato mortale si identifica col peccato grave; ecco perché…

QUI IL VIDEO


Quesito
Caro Padre Angelo,
che differenza c’è tra peccato mortale e peccato grave? In teologia morale cambia qualcosa? O sono la stessa cosa? La ricordo nella preghiera
Alessandro

Risposta del sacerdote – vedi qui link ufficiale

Caro Alessandro,

1. è stato un gesuita, il Padre Fuchs, a distinguere tra peccato grave e peccato mortale. Lo disse in riferimento ad una questione particolare che passa sotto il nome di opzione fondamentale. In sostanza questo padre gesuita ha detto che se si commette un peccato in materia grave, con piena avvertenza della mente e deliberato consenso della volontà, ma non s’intende mutare l’opzione di fondo per Dio, il peccato non sarebbe mortale, ma grave. Come si vede, il peccato grave di fatto verrebbe a coincidere con un peccato veniale un po’ più consistente, ma sempre veniale.

2. Ci si accorge subito delle derive gravi di una tale affermazione. Uno potrebbe rubare senza voler cambiare la propria fede cristiana e allora il peccato non sarebbe più mortale. Potrebbe addirittura rubare “a fin di bene” e rafforzerebbe ancor più la propria opzione di fondo per Dio. Senza dire dei tanti peccati contro il sesto comandamento (adulterio fornicazione…. Vedi qui video di catechesi) in cui uno con la propria condotta (continua ad andare a Messa e a fare la Comunione) non muterebbe la propria opzione di fondo.

3. Purtroppo molti preti sono caduti in questa trappola insegnando cose sbagliate nonostante il Magistero della Chiesa fosse già intervenuto il 29.12.1975 con la dichiarazione Persona humana della Congregazione per la dottrina della fede. L’errore continuò a diffondersi e approdò anche al Sinodo dei Vescovi sulla confessione indetto da Giovanni Paolo II nel 1983.

Di nuovo il Papa condannò l’errore nell’esortazione postsinodale Reconciliatio et Penitentia nel 1984 quando disse: “Durante l’assemblea sinodale è stata proposta da alcuni padri una distinzione tripartita fra i peccati, che sarebbero da classificare come veniali, gravi, e mortali. La tripartizione potrebbe mettere in luce il fatto che fra i peccati gravi esiste una gradazione. Ma resta sempre vero che la distinzione essenziale e decisiva è fra peccato che distrugge la carità e peccato che non uccide la vita soprannaturale: fra la vita e la morte non si dà via di mezzo… Perciò, il peccato grave si identifica praticamente, nella dottrina e nell’azione pastorale della Chiesa, col peccato mortale” (RP 17).

4. Si noti che il Papa ha parlato di dottrina. Ora la dottrina della Chiesa non muta, ma si evolve in maniera omogenea, senza mai rinnegare il magistero precedente. Perciò il peccato grave s’identifica col peccato mortale, anche se tra i mortali evidentemente ce n’é qualcuno che è più grave di un altro.

5. Nel frattempo il Codice di Diritto Canonico aveva detto che “colui che è consapevole di essere in peccato grave, non celebri la Messa né comunichi al corpo e al sangue del Signore senza premettere la confessione sacramentale” (can 916). A proposito il Codice aveva usato la dizione di peccato grave. Perché se avesse scritto mortale si sarebbe potuto dire: il mio è grave ma non mortale. Ugualmente per il medesimo motivo il Codice di Diritto Canonico aveva detto che nel Sacramento della Riconciliazione o Penitenza vanno confessati “tutti i peccati gravi commessi dopo il Battesimo”(cfr. can. 988 – § 1).

6. Ma in maniera ancora più decisa Giovanni Paolo II ha ribadito la dottrina della Chiesa nell’enciclica Veritatis splendor. Qui, richiamando Reconciliatio et paenitentia, scrive: “Si dovrà evitare di ridurre il peccato mortale ad un atto di opzione fondamentale, come oggi si suol dire, contro Dio, concepito sia come esplicito e formale disprezzo di Dio e del prossimo sia come implicito e non riflesso rifiuto dell’amore. Si ha, infatti, peccato mortale anche quando l’uomo, sapendo e volendo, per qualsiasi ragione sceglie qualcosa di gravemente disordinato. In effetti, in una tale scelta è già contenuto un disprezzo del precetto divino, un rifiuto dell’amore di Dio verso l’umanità e tutta la creazione: l’uomo allontana se stesso da Dio e perde la carità. L’orientamento fondamentale può, quindi, essere radicalmente modificato da atti particolari” (VS 70, cfr. RP 17).

7. Il Papa poi riassume l’idea sbagliata di opzione fondamentale che è a monte della tripartizione dei peccati per darne la risposta precisa: “Nella logica delle posizioni sopra accennate, l’uomo potrebbe, in virtù di un’opzione fondamentale restare fedele a Dio indipendentemente dalla conformità o meno di alcune sue scelte e dei suoi atti determinati alle norme o regole morali specifiche. In ragione di un’opzione originaria per la carità, l’uomo potrebbe mantenersi moralmente buono, perseverare nella grazia di Dio, raggiungere la propria salvezza, anche se alcuni dei suoi comportamenti concreti fossero deliberatamente e gravemente contrari ai comandamenti di Dio, riproposti dalla Chiesa” (VS 68).

8. Ed ecco la risposta del Papa: “In realtà, l’uomo non si perde solo per l’infedeltà a quella opzione fondamentale, mediante la quale si è consegnato ‘tutto a Dio liberamente’. Egli, con ogni peccato mortale commesso deliberatamente, offende Dio che ha donato la legge e pertanto si rende colpevole verso tutta la legge (cfr. Gc 2,8-11); pur conservandosi nella fede, egli perde la ‘grazia santificante’, la ‘carità’ e la ‘beatitudine eterna’. ‘La grazia della giustificazione – insegna il Concilio di Trento -, una volta ricevuta, può essere perduta non solo per l’infedeltà, che fa perdere la stessa fede, ma anche per qualsiasi peccato mortale’” (VS 68).

9. Non va dimenticato che Gesù ha detto al giovane: “Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti” (Mt 19,17). S. Paolo poi ricorda che “tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male” (2 Cor 5,10).

10. Purtroppo di recente un filosofo ha detto che in teologia si distingue tra peccato grave e peccato mortale. Ma quest’affermazione è errata e rifiutata dal Magistero della Chiesa.

Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.

Padre Angelo

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Sullo stesso tema si legga anche qui: Oggi dicono che siamo liberi di peccare, o sbagliare: ma è davvero così?

Si legga anche qui: Dio abita “nel peccatore”?

Per concludere: Il peccato e la vera dignità della Persona Umana – vedi qui

«Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dalla impudicizia, che ciascuno sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto non come oggetto di passioni e libidine, come i pagani che non conoscono Dio; che nessuno offenda e inganni in questa materia il proprio fratello… Dio non ci ha chiamati all’impurità, ma alla santificazione. Perciò chi disprezza queste norme non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che vi dona il suo santo Spirito» (1Ts.4,3-8; cf.Col.3,5-7; 1Tm.1,10). «Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o cupidigia, neppure se ne parli tra voi, come si addice a santi… Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro – che è roba da idolatri – avrà parte al regno di Cristo e di Dio. Nessuno vi inganni con vani ragionamenti: per queste cose infatti piomba l’ira di Dio sopra coloro che gli resistono. Non abbiate quindi niente in comune con loro. Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce» (Ef 5,3-8; cf. 4,18-19).

E dunque, come fare la vera correzione fraterna?

“In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo. In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt.18,15-20)

In verità io vi dico; in verità io vi dico ancora…”, Gesù non accetta compromessi, ci ha dato il modo di come intervenire. Gesù non dà una nuova legge capace di risolvere i conflitti e di eliminare i peccati, bensì chiede che in mezzo alle tensioni, ai conflitti, alle contese e alle offese che inevitabilmente avvengono tra di noi, permanga il desiderio di comunione, la volontà di emendarsi lasciandosi aiutare, appunto, dalla Chiesa, Gesù responsabilizza TUTTI e verso tutti vuole che applichiamo la correzione da ogni errore. Quando avviene il peccato grave e manifesto, nella comunità cristiana occorre operare con fermezza, sapienza, pazienza e, soprattutto, con la carità.

Chi compie la correzione, deve avere il cuore di Gesù che perdona, non disprezza l’errante… ma si deve fare distinzione netta tra l’errante che non vuole farsi correggere, dall’errante pentito.

Gesù distingue nettamente tra una OFFESA alla persona (per la quale invita a porgere l’altra guancia Mt.5,38), dal peccato che coinvolge una comunità, e allora l’ammonizione sarà prima privata: va’ e ammoniscilo fra te e lui solo … se l’errante comprende e accetta la correzione, la questione si chiude li… ma, se l’errante persiste nell’errore, allora si chiamino dei testimoni, per risolvere il problema. Quindi, gli stessi testimoni devono essere irreprensibili e timorati di Dio, non degli opinionisti che potrebbero pretendere non tanto di correggere l’errante, quanto di discutere e mettere in discussione l’errore in questione.

Infine Gesù fa fare un altro passaggio ulteriore: se il recidivo persistesse ancora nell’errore, allora si chiami la comunità, ossia LA CHIESA… e, dice Gesù concludendo: “se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano..” è qui che scatta l’accusa di anatema (vedi Galati 1,1-10 o il caso dell’incestuoso ben descritto da san Paolo 1Cor.5,1-13), di eresia…, di scomunica.

Affermare oggi che Gesù queste sottigliezze non le vedrebbe più, è tradire il Vangelo.

Le opzioni apportate da Gesù, non sono delle prese giuridiche, rigide, tali ingiunzioni, come ricorda san Paolo nel caso citato nella 1Cor.5,1-13, vedi qui, sono piuttosto quella carità nella verità di squisito spessore evangelico, attraverso la quale salvare i fratelli nell’errore e, contemporaneamente, protegge LA COMUNITA’ dall’errore… Gesù dice che, se vengono esauriti tutti i tentativi di correzione fraterna e di riconciliazione, allora occorre prendere le distanze dal recidivo per conservare la pace e non incattivire ulteriormente il fratello, occorre in sostanza considerarlo come se fosse un appartenente alle genti (un pagano) o un pubblicano. Cioè uno che Gesù ama ed è disponibile a incontrare (cf. Mt 9,11; 11,19), un malato che abbisogna di essere guarito, un peccatore che necessita di perdono, ma che non può forzare, non può obbligare e al tempo stesso, però, non può continuare a vivere nella comunione… Chi corregge, infatti, non può pensare di dover sradicare la zizzania e salvare il buon grano (cf. Mt 13,24-30)! Va dunque tentato tutto il possibile affinché chi si è smarrito ritrovi la strada della vita e chi ha offeso il fratello ritrovi la via della riconciliazione.

Ed infine, il potere del legare e dello sciogliere – il potere delle chiavi, vedi qui, conferito da Gesù a Pietro (cf. Mt 16,19), è dato anche a ogni cristiano, nel suo proprio stato, affinché L’INTERA Chiesa eserciti il ministero della riconciliazione, sempre e con autorevolezza, sia per mezzo dei Ministri ordinati per mezzo del Sacramento della Riconciliazione, quanto attraverso ogni Discepolo che vivesse un ruolo in cui si deve applicare LA FEDE della Chiesa; nel Ministero non solo della Riconciliazione ma anche della convivenza sincera nella comunità o nella parrocchia. Questo potere è dato ai discepoli, Gesù stesso insegna: “non per giudicare ma per salvare il mondo” (cf.Gv 3,17), ma che per salvare è necessario correggere il fratello che sbaglia.

Anche nella sua Regola, san Benedetto, afferma su queste patologie vissute talvolta dalla comunità e che, esaurita ogni possibilità di correzione di un fratello che continua a dimorare nel peccato grave, non resta che pregare, rimettendo l’altro alla misericordia del Signore e alla potenza della grazia (cf. RBen 23-28), l’importante è che si preghi per l’errante e al tempo stesso SI INSEGNI DOVE DIMORA L’ERRORE. Anche la scomunica monastica prevista da Benedetto per il fratello peccatore che non si pente è una medicina: sì l’esclusione dalla tavola e dalla preghiera comune, ma mai esclusione totale del fratello, ricordando agli altri della comunità il motivo di questa esclusione dell’errante dalla vita comune… aspettando che il fratello si converta. Non basta infatti pregare gli uni “accanto” agli altri, ma è fondamentale che il vero cristiano preghi anche per gli erranti, per quelli che non sono più in comunione.

La Chiesa, così, ha tutto ciò che le serve per un’opera universale (cattolica) che si estende pure nell’intero cosmo, come ci indica la liturgia della Solennità di Cristo Re dell’universo. Da Roma la Chiesa si sarebbe irradiata ovunque e, a ragione, diceva Pio XII: «Roma sarebbe stata centro, non del potere, ma della fede» e il potere della Fede sta nella Verità con la Carità.

E per quanto a molti possa sembrare strano, Papa Francesco, citando Giovanni Paolo II nella enc. Ut unum sint n.18, incontrando i Protestanti della Società biblica, ha fatto una affermazione che ci interessa e che non venne riportata dai Media: «Siamo servitori della Parola di Riconciliazione che illumina, protegge e difende, guarisce e libera» ma sottolinea: «In materia di fede, il compromesso è in contraddizione con Dio che è Verità. Nel Corpo di Cristo, il quale è “Via, Verità e Vita”, chi potrebbe ritenere legittima una riconciliazione attuata a prezzo della verità?» (Udienza alla Delegazione dell’“United Bible Societies Relations Committee”, 05.10.2017).


Si può fare la Comunione senza essersi prima confessati?

Mi è capitato a volte di rinunciare a fare la Comunione, durante la Messa, pensando di avere qualche peccato da confessare. Una persona però mi ha fatto presente che non è necessario confessarsi ogni settimana e che, a meno di non avere sulla coscienza peccati gravi, fare la Comunione è comunque cosa buona perché l’Eucarestia è anche una medicina che guarisce dai peccati. Nel dubbio, cosa è meglio fare?
Lettera firmata – fonte Aleteia
Risponde don Gianni Cioli, docente di Teologia morale alla Facoltà teologica dell’Italia centrale

Per rispondere alla domanda mi pare opportuno attingere direttamente alla dottrina del Concilio di Trento che affrontò la questione in maniera dettagliata nella Sessione XIII (11 ottobre 1551) e più esattamente nel Decreto sul santissimo sacramento dell’eucaristia.
Nel secondo capitolo del decreto si legge: «Il Signore, quindi, nell’imminenza di tornare da questo mondo al Padre, istituì questo sacramento. In esso ha effuso le ricchezze del suo amore verso gli uomini, rendendo memorabili i suoi prodigi (Sal 110,4), e ci ha comandato (Cfr. Lc 22,19; 1Cor 11,24) di onorare, nel riceverlo, la sua memoria e di annunziare la sua morte, fino a che egli venga (1Cor 11,26) a giudicare il mondo. Egli volle che questo sacramento fosse ricevuto come cibo spirituale delle anime, perché ne siano alimentate e rafforzate, vivendo della vita di colui, che disse: Chi mangia me, anche lui vive per mezzo mio (Gv 6,58) e come antidoto, con cui liberarsi dalle colpe d’ogni giorno ed essere preservati dai peccati mortali» (DS 1638, il grassetto è mio).

Nel settimo capitolo del medesimo decreto a proposito Della preparazione necessaria per ricevere degnamente la santa eucaristia si dice, invece, che «…quanto più il cristiano percepisce la santità e la divinità di questo celeste sacramento, tanto più diligentemente deve guardarsi dall’avvicinarsi a riceverlo senza una grande riverenza e santità, specie quando leggiamo presso l’apostolo quelle parole, piene di timore: Chi mangia e beve indegnamente, mangia e beve il proprio giudizio, non distinguendo il corpo del Signore (1Cor 11,29). Chi, quindi, intende comunicarsi, deve richiamare alla memoria il suo precetto: L’uomo esamini se stesso (1Cor 11,28). E la consuetudine della Chiesa dichiara che quell’esame è necessario così che nessuno, consapevole di peccato mortale, per quanto possa credere di esser contrito, debba accostarsi alla santa eucaristia senza aver premesso la confessione sacramentale» (DS 1646-47, il grassetto è mio).
Sulla base questi testi mi pare non esservi alcun dubbio che la Chiesa ci esorti a fare sempre la comunione ogni volta che partecipiamo alla Messa, quindi come minimo tutte le domeniche, a meno di non essere consapevoli di aver commesso un peccato mortale. La Chiesa ci esorta a fare la comunione tutte le volte che è possibile perché ci ricorda che questo «cibo spirituale» ci libera dalle «colpe di ogni giorno» (cioè dai peccati veniali, come puntualizza anche il Catechismo della Chiesa cattolica) e ci preserva dai peccati mortali.

La Chiesa ovviamente non ci obbliga a fare le comunione tutte le domeniche, (l’obbligo esiste ma è limitato a una volta all’anno!), ma certo ci fa capire che rinunciare alla comunione significa privarsi di un grande aiuto spirituale che il Signore ci ha donato nella sua bontà, consapevole dei nostri bisogni.
Certo, proprio la consapevolezza della grandezza e della bellezza del dono ci spinge a non accostarci al Sacramento in una condizione indegna e quindi, come puntualizza il Concilio, ciascuno deve esaminare se stesso con sincerità e desiderio di conversione, e confessare i peccati gravi di cui avesse consapevolezza, soprattutto in vista della propria conversione e della vita eterna. Ma se uno non ha consapevolezza di aver commesso peccati gravi non dovrebbe aver timore di accostarsi all’eucaristia.
Questo naturalmente non toglie il valore della confessione frequente anche dei soli peccati veniali, che la Chiesa raccomanda, ma non la si dovrebbe collegare meccanicamente alla comunione.
L’importante è acquisire la disposizione ad esaminare con sincera onestà, ma senza scivolare nello scrupolo, la propria coscienza e a non peritarsi a ricorrere con sollecitudine al sacramento della penitenza qualora si avesse consapevolezza di essersi allontanati seriamente da Dio che è la pienezza della nostra vita.

Il problema è che è mancata nella Chiesa la capacità di educare i cristiani ad un esame di coscienza serio e sereno. In passato infatti, il timore di essere in peccato mortale portava i cristiani a ritenere che fosse necessario confessarsi ogni volta che intendevano accostarsi alla comunione, col risultato che alle messe domenicali, nonostante la dottrina incoraggiante del Concilio di Trento, facevano la comunione davvero in pochi. Oggi al contrario si ha l’impressione che molti di quelli che partecipano alla Messa, anche a giudicare dalla scarsità delle confessioni, si accostino, nonostante gli ammonimenti di Trento, alla comunione senza farsi grandi problemi circa i propri peccati e, più che altro, senza aver fatto alcun esame di coscienza. In entrambi casi è mancata, e manca, la capacità di discernere. In entrambi i casi si è rischiato, e si rischia, di perdere la gioia della conversione.
Una via da percorrere per superare la condizione di dubbio circa la propria reale condizione di peccato, a cui allude la lettrice, e per non cadere né in un atteggiamento di scrupolo, che vede il peccato mortale ovunque, né in quello di una superficialità che si autoassolve da ogni peccato, penso possa essere quella di intraprendere un serio percorso di direzione spirituale in grado di fornire sereni criteri di discernimento per camminare e convertirsi nella carità, sentendosi veramente amati da Dio. Egli non è un giustiziere che attende la nostra caduta per condannarci, ma è il Padre che ci attende con amore per correrci incontro e abbracciarci (cfr. Lc 15,20).

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8 consigli sull’esame della coscienza e per una santa confessione, offerti da san Francesco di Sales

La contrizione e la confessione sono così belle e così profumate, che cancellano la bruttezza e distruggono il lezzo del peccato

1.- Confessati devotamente e umilmente ogni otto giorni (al massimo 15) e, se puoi, ogni volta appena confessato fai la Comunione, anche se non avverti nella coscienza ben esaminata il rimorso di alcun peccato mortale. In tal caso, con la confessione, non soltanto riceverai l’assoluzione dei peccati veniali confessati, ma anche, con la Comunione, una grande forza per evitarli in avvenire e una grande chiarezza per distinguerli.

2.- Abbi sempre un sincero dispiacere dei peccati che confessi, per piccoli che siano, e prendi una ferma decisione di correggerti anche se a volte ti riesce difficile capire e non avverti un vero rimorso. Un conto è volersi dispiacere che è un atto della volontà, altro è il rimorso che si fa strada nella coscienza solo dopo aver deciso di non voler più peccare. Molti si confessano dei peccati veniali per abitudine, quasi meccanicamente, senza pensare minimamente ad eliminarli; e così per tutta la vita ne saranno dominati e perderanno molti beni e frutti spirituali. Ciò che conta infatti è l’atto della volontà a non voler più offendere il buon Dio!

3.- Non fare accuse generiche, come fanno molti, in modo meccanico, tipo queste: non ho amato Dio come era mio dovere; non ho ricevuto i Sacramenti con il rispetto dovuto, e simili. Ti spiego meglio il perché: dicendo questo tu non offri alcuna indicazione particolare che possa dare al confessore un’idea dello stato della tua coscienza; tutti i santi del Paradiso e tutti gli uomini della terra potrebbero dire tranquillamente la stessa cosa. Cerca piuttosto qual è la ragione specifica dell’accusa, una volta trovata, accusati della mancanza commessa con semplicità e naturalezza. Se, per esempio, ti accusi di non avere amato il prossimo come avresti dovuto, può darsi che si sia trattato di un povero veramente bisognoso che tu non hai aiutato come avresti potuto o per negligenza, o per durezza di cuore, o per disprezzo; cerca di capire bene il motivo, questo è importante, per il tuo pentimento e per la tua penitenza, così farai progresso spirituale ed imparerai la vera umiltà.

4.- Non accontentarti di raccontare i tuoi peccati veniali – o gravi che sieno – solo come un fatto; accusati anche del motivo che ti ha spinto a commetterli, con l’esame della coscienza devi capire a che livello sono i tuoi vizi e quale è quello che ti porta a commettere più e gravi peccati, a cominciare dai veniali perché, se trascuri questi, presto si giungono ai gravi. Ma anche rimanendo sol coi veniali, se trascurati, essi non ti permetteranno la crescita spirituale.

5.- Non dimenticarti, per esempio, di dire che hai mentito, ma senza coinvolgere nessuno; e chiarisci, se è stato per vanità, se era per vantarti o scusarti, o per gioco, o per cocciutaggine o per qualche vendetta o persino per invidia. La menzogna è spesso alimentata dall’orgoglio e dalla superbia e produce frutti velenosi, non ci sono piccole bugie che possano diventare meritevoli di grazia, il santo Padre Agostino ha scritto molto su questo peccato. (scarica qui il testo)

6.- Se hai peccato nel gioco, specifica se è stato per soldi, o per il piacere della conversazione, e così via. Dì se sei caduto molte volte in questa mancanza, perché la durata aumenta il peccato, perché c’è grande differenza tra una vanità passeggera e quella che si è stabilita nel nostro cuore da qualche tempo. Dì anche se sei rimasto per lungo tempo nel tuo male, perché, in genere, il tempo aggrava il peccato. C’è molta differenza tra la vanità di un momento, che ha occupato il nostro spirito sì e no per un quarto d’ora, e quella nella quale il nostro cuore è rimasto immerso per uno, due o tre giorni, trasformandosi in un vero vizio dal quale poi è difficile uscirne fuori!

7.- Bisogna esporre il fatto, il motivo e la durata dei nostri peccati; perché, anche se comunemente non siamo obbligati ad essere così esatti nel dichiarare i nostri peccati veniali, anzi non siamo nemmeno obbligati a confessarli, è pur sempre vero che coloro che vogliono pulire per bene l’anima per raggiungere più speditamente la santa devozione, devono avere molta cura di descrivere al medico spirituale il male, per piccolo che sia, se vogliono guarire. Quando si cade in una vanità, all’inizio è difficile accorgersi e spesso qualche azione anche se apparentemente buona, si dice, è viziata dallo spirito dell’orgoglio, della superbia, della rivalità, i quali finiscono per annullare ogni beneficio dell’opera buona in sé. Per questo il confessore per saper bene consigliare, deve tuttavia sapere dal penitente come stanno le cose (cfr.Ez.3,16-21).

8.- Non cambiare facilmente di confessore a seconda se soddisfi quello che ti vuoi sentire dire; prega assai affinché la Provvidenza ti faccia scegliere quello giusto e rendigli conto della tua coscienza nei giorni che avrai stabilito o che lui deciderà per te; e digli con naturalezza e franchezza i peccati commessi; di tanto in tanto, ogni mese o ogni due mesi, digli anche a che punto sei con le inclinazioni, benché in quelle non ci sia peccato; digli se sei afflitta dalla tristezza, dal rimpianto, se sei invece portata alla gioia, al desiderio di acquisire ricchezze, e simili inclinazioni. Seppur nessuno ti obbliga a fare ciò, è altrettanto chiaro che se al confessore non apri il tuo cuore e la tua anima, egli difficilmente potrà consigliarti per il tuo vero bene.

San Francesco de Sales, (1608). Introduzione alla vita devota. La santa confessione (capitolo XIX)


Perché determinati peccati vengono detti mortali?

Questo articolo è qui originale dal sito AmiciDomenicani

Quesito

Padre,
io ho parlato col mio confessore ma mi ha detto che quando si dice che il peccato mortale porta all’inferno, per inferno non si intende l’inferno vero sotto la città di Gerusalemme, ma la tristezza dell’anima sulla terra.


Risposta del sacerdote

Carissimo, 
1. dubito molto che il sacerdote ti abbia detto che l’inferno consiste nella tristezza dell’anima Sulla terra.
Perché alcuni compiono gravi crimini e peccati e non provano alcuna tristezza. Anzi, se ne vantano e se ne gloriano.
Dovremmo concludere che nel loro caso non si tratta di peccato mortale?
Probabilmente avrai capito male.
In ogni caso, se avesse detto quanto mi hai riportato, non solo si tratterebbe di un grave errore, ma porterebbe molto danno alle anime.

2. Alcuni peccati vengono detti mortali per due motivi:
primo perché fanno perdere la vita di grazia nell’anima;
secondo, perché chi muore in tale situazione rimane eternamente separato da Dio. In altre parole va all’inferno.
È quello che si legge nel Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica: “Il peccato mortale distrugge in noi la carità, ci priva della grazia santificante, ci conduce alla morte eterna dell’inferno se non ci si pente.
Viene perdonato in via ordinaria mediante i sacramenti del battesimo e della penitenza o riconciliazione” (n. 395).

3. L’inferno non è la tristezza dell’anima, ma è l’auto separazione eterna da Dio.
Ecco che cosa dice il Catechismo della Chiesa Cattolica: “Morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l’amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta.
Ed è questo stato di definitiva auto- esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola “inferno” (CCC 1033).
E ancora: “Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell’inferno, il fuoco eterno
La pena principale dell’inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l’uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira” (CCC 1035).

4. “Il peccato mortale è una possibilità radicale della liberta umana, come lo stesso amore. Ha come conseguenza la perdita della carità e la privazione della grazia santificante, cioè dello stato di grazia. 
Se non è riscattato dal pentimento e dal perdono di Dio, provoca l’esclusione dal Regno di Cristo e la morte eterna dell’inferno; infatti la nostra libertà ha il potere di fare scelte definitive, irreversibili. 
Tuttavia, anche se noi possiamo giudicare che un atto è in sé una colpa grave, dobbiamo però lasciare il giudizio sulle persone alla giustizia e alla misericordia di Dio” (CCC 1861). 

5. La Chiesa non ha mai insegnato che l’inferno si trova sotto la città di Gerusalemme, o sotto terra o in qualche parte della terra.
A questo proposito Sant’Agostino scrive: “In quale parte del mondo si trovi l’inferno penso che nessuno lo sappia, all’infuori di chi ne avuto una rivelazione dallo spirito di Dio” (De Civitate Dei, 20,16).
San Gregorio Magno, interrogato su questo, rispose: “Su tale argomento non oso pronunciarmi in alcun modo. Poiché alcuni hanno pensato che l’inferno sia in qualche parte della terra; altri invece pensano che sia sotto terra” (Dialoghi 4,44).

6. È stata la parola inferi, che significa sottoterra, in basso, a indurre a pensare che l’inferno sia localizzato.
Ma il magistero della Chiesa non ne ha mai parlato.
Anzi, il Catechismo della Chiesa Cattolica dicendo che l’inferno è “lo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati” (CCC 1033) esprime indirettamente il suo pensiero.
Più che di un luogo si tratta di uno statodi una condizione di vita.

7. Pertanto a questo proposito è preferibile ripetere con San Giovanni Crisostomo: “Non cerchiamo dove sia l’inferno, ma come evitarlo” (In Rom. hom., 31,5).

Con l’augurio più cordiale che tu possa stare sempre insieme con Cristo e con i beati in paradiso, ti benedico e ti ricordo nella preghiera.
Padre Angelo

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