La Rosa d’oro è un fiore in metallo prezioso che è offerto come onorificenza pontificia riservata a personaggi insigni, a chiese o a santuari mariani, come segno di speciale distinzione. Il dono della Rosa d’oro è un gesto antico, riservato al Pontefice e mai caduto in disuso. La Rosa d’oro viene benedetta dai Papi la quarta domenica di Quaresima, detta domenica Laetare o domenica della Rosa e viene consegnata dai Papi a sovrani, a stati esteri o a santuari come segno di speciale benevolenza.
Alcune curiosità.
La prima Rosa d’oro di cui si ha notizia donata ad una persona, la troviamo per Fulcone d’Angers (Folco D’Angiò), per aver dato ospitalità a Papa Urbano II (1088 – 1099);
mentre la prima Rosa d’oro donata ad una Chiesa la troviamo al Convento di San Domenico di Perugia, che la ricevette nel 1304 da Benedetto XI (1303 – 1304), ma fu ben presto venduta per provvedere alla necessità dei poveri. Molte furono, poi, inviate alle cattedrali dove i Pontefici erano stati in precedenza vescovi.
Benché le prime notizie sulla rosa d’oro papale risalgono al 1049, la sua origine è senz’altro più antica: in quell’anno, infatti, nell’esentare dalla giurisdizione del vescovo del luogo il monastero di Heiligenkreuz (Santa Croce) presso Woffenheim, in Alsazia, per porlo sotto la protezione speciale di San Pietro, Leone IX (1049-1054) chiedeva che la badessa dello stesso inviasse ogni anno, a lui e ai suoi successori, una rosa d’oro «fabbricata come è solito farsi» (sicut fieri solet); il fiore aureo doveva giungere a Roma otto giorni prima della IV domenica di Quaresima, poiché in quel giorno il Papa aveva l’abitudine di portare la rosa (consuete portari in IV Dominica). Difficile dire quando sia stato introdotto l’uso di donare il prezioso gioiello: certo è che nel 1097 Urbano II offrì in dono la rosa d’oro al conte Folco d’Angiò.
Dopo la metà del XVII secolo, la Rosa d’Oro diventerà sempre più un dono destinato ai santuari mariani, alle regine o a personalità femminili, preferendosi per gli uomini altre distinzioni cavalleresche, in particolare lo stocco pontificio, che si benediceva a Natale: segno, anche questo, del mutare della percezione del valore simbolico del rito.
Il 5 aprile 1937, la regina Elena moglie di Vittorio Emanuele III di Savoia riceve la Rosa d’Oro della Cristianità concessa da Papa Pio XI, oggi conservata nel Museo della Basilica di San Giovanni in Laterano.
La rosa d’oro viene benedetta dai papi la quarta domenica di Quaresima, detta domenica Laetare o domenica della rosa e viene consegnata dai papi a sovrani, a stati esteri o a santuari come segno di speciale distinzione; in questo caso fu consegnata alla serva di Dio Elena, che venne definita da Papa Pio XI “Signora della Carità benefica”. L’ultima ad averla ricevuta è stata Carlotta del Lussemburgo (1896 – 1985), granduchessa, dono di Pio XII nel 1956.
L’uso, da parte dei Papi, di concedere in dono la rosa d’oro s’è perpetuato fino all’epoca moderna, anche se quasi tutti gli antichi esemplari sono andati perduti: si conosce la forma di quella che Innocenzo IV donò ai canonici di San Giusto di Lione grazie a un disegno settecentesco, mentre la più antica tra quelle superstiti — un tempo della cattedrale di Basilea e oggi a Parigi, al Musée de Cluny – è trecentesca. Il cardinale domenicano Vincenzo Maria Orsini, il quale fu per trentott’anni arcivescovo di Benevento e che anche dopo essere assurto al trono di Pietro con il nome di Benedetto XIII (1724-1730) mantenne il titolo di arcivescovo del capoluogo sannita, nell’anno santo del 1725 donò la rosa d’oro a quella chiesa cattedrale: «Aggiungerò — scriveva Moroni nel suo Dizionario — che tuttora si conserva nel suo tesoro, visitato da Pio IX nel 1849». Ebbene, la bella notizia è che nonostante lo scempio perpetrato nell’ultimo conflitto mondiale, quando i bombardieri statunitensi — i quali fecero in città tremila vittime — rasero al suolo l’antica basilica, il gioiello è sopravvissuto, con qualche danno, fino ai nostri giorni e tuttora è visibile al pubblico nel locale Museo diocesano. (fonte)
Nel 2017, a Fatima, Papa Francesco ha portato al santuario la terza Rosa d’oro, dopo quella che era stata donata da Paolo VI e da Benedetto XVI.
E in generale, nel corso degli ultimi anni, la rosa d’oro è stata portata, sempre come dono del Papa, quale segno di devozione mariano in diversi santuari: Aparecida, Luján, Guadalupe, Loreto, Czestochowa, Roio, Nostra Signora de la Cabeza (Spagna), Nostra Signora del Socorro de Valencia (Venezuela), Nostra Signora de la Caridad del Cobre (Cuba), Nostra Signora di Guadalupe (Messico).
Il primo Pontefice a concedere una Rosa d’Oro alla Madonna di Fatima è stato Paolo VI nel novembre 1964, la quale fu depositata nel santuario nel 1965 dal suo legato, il cardinale Fernando Cento.
Invece il primo Papa a deporre personalmente la Rosa d’Oro ai piedi della Madonna di Fatima è stato Benedetto XVI nel maggio 2010 in occasione del decimo anniversario della beatificazione dei pastorelli Jacinta e Francisco Marto. Ed è ancora lui, in quanto Pontefice a portare di persona la Rosa d’oro al Santuario alla Madonna del Rosario di Pompei il 19 ottobre del 2008 e ancora:
- Nostra Signora della Concezione di Aparecida in Brasile, in occasione del suo pellegrinaggio il 12 e 13 maggio 2007;
- Nostra Signora della Misericordia di Savona;
- Nostra Signora della Guardia di Genova durante la visita pastorale in Liguria del 17 e 18 maggio 2008;
- Santuario di Nostra Signora di Bonaria di Cagliari, durante la sua visita pastorale del 7 settembre 2008.
- Madonna di Roio in occasione della sua visita nelle zone colpite dal terremoto dell’Aquila, il 28 aprile 2009.
Da parte sua e fatto assai curioso, papa Giovanni Paolo II, che visitò il santuario portoghese di Fatima ben tre volte — nel 1982, 1991 e 2000 — non portò questo dono… ma regalò alla Madonna di Fatima la pallottola estratta dai chirurghi dal suo addome dopo l’attentato del 13 maggio 1983 — proprio il giorno della festa della Madonna di Fatima –, che poi venne incastonata nella corona della Vergine mentre poi l’ha inviata una (pare sia l’unica nel suo Pontificato) alla Madonna nera del Santuario di Częstochowa (Polonia) nel 1982. (altre Fonti)
Ma il vero significato della Rosa d’oro è più antico e molto cristologico.
Di questo sacro oggetto papa Innocenzo III dice:
«[…] L’ufficio liturgico odierno è tutto pieno di letizia, tutto ricolmo di esultanza, tutto traboccante di gioia. “Rallegrati, – dice – Gerusalemme, e riunitevi voi che l’amate: gioite ed allietatevi voi che foste tristi, per poter esultare e saziarvi al seno della vostra consolazione”. Ogni clausola del discorso sovrabbonda di giocondità, risuona di gioia, inculca allegria. “Rallegrati, Gerusalemme, gioite ed allietatevi, per esultare e saziarvi”. Codesto giorno rappresenta infatti la carità che segue l’odio, la gioia che segue la tristezza, la sazietà che segue la fame. La carità che segue l’odio, donde: “Rallegrati, Gerusalemme e riunitevi, voi tutti che l’amate”; la gioia che segue la tristezza, donde: “Gioite ed allietatevi, vi che foste tristi”; la sazietà che segue la fame donde: “Saziatevi della vostra consolazione”. Queste tre cose parimenti sono rappresentate nelle tre proprietà di questo fiore, che vi mostriamo. La carità è rappresentata nel colore; la giocondità nell’odore; la sazietà nel sapore. La rosa infatti più che gli altri fiori diletta per il suo colore, rianima col suo odore e ristora col suo sapore: diletta lo sguardo, rianima l’olfatto, ristora il giusto.
Però siccome “lo spirito vivifica e la carne non giova a nulla” (Joann. VI, 64), passiamo dalle cose carnali a quelle spirituali. Codesto fiore significa infatti quel Fiore che nel Cantico dei Cantici dice di se stesso: “Io sono il fiore del campo e il giglio delle convalli” (Cant. II, 1); e di cui dice il Profeta: “E spunterà un pollone dalla radice di Jesse, e un fiore dalla radice di lui si innalzerà” (Isa. XI, 1). Questo è veramente il fiore dei fiori perché è il Santo dei santi, che più che gli altri fiori, cioè più che gli altri santi, diletta lo sguardo col suo colore perché è “il più bello dei figli degli uomini” (Ps. XLIV, 2) ed “in lui gli Angeli desiderano fissare lo sguardo” (1Petr. I, 12). Egli rianima l’olfatto col suo odore, perché “migliori sono del vino le tue mammelle, che spiran fragranza di ottimi unguenti” (Cant. I, 1) ed infatti lo hanno amato le fanciulle poiché “corrono dietro il profumo dei tuoi unguenti” (Cant. I, 3). Egli ristora il gusto col suo sapore perché il pane che egli dà è la sua “carne per la vita del mondo” (Joann. VI, 52), ed ha in sé “ogni delizia, ed ogni soave sapore” (Sap. XVI, 20). Egli è colui che, secondo quanto avete udito nel Vangelo, da cinque pani e due pesci ha sfamato cinquemila uomini (Joan VI, 1-15).
In questo fiore triplice è la materia: l’oro, il muschio, il balsamo. Ma solo mediante il balsamo il muschio è unito all’oro. E questo perché nel Cristo la sostanza è triplice: la divinità, il corpo e l’anima. E solo mediante l’anima il corpo è unito alla divinità, per il fatto che la natura divina è così tanto sottile che non sarebbe stata possibile che le fosse unito il corpo, formato dal fango della terra, senza la mediazione dell’anima razionale. Chi poi porta questo fiore è vicario del Salvatore, ossia è il Romano Pontefice, successore di Pietro, vicario di Gesù Cristo. Gesù infatti disse a Pietro: “Seguimi”, che non si deve intendere non tanto a riguardo del martirio, quanto nell’ordine del magistero. “Tu – gli disse – ti chiamerai Cefa” (Joann. I, 42), che significa “capo”. Per cui il capo (Cefa) dal Capo (Cristo) come Pietro dalla Pietra (Cristo). E “capo della donna è l’uomo, capo dell’uomo è Cristo, capo di Cristo è Dio” (1Cor. XI, 3). Come infatti la pienezza dei sensi abbonda nel capo, e nelle altre membra risiede una qualche parte di questa pienezza, così gli altri sono chiamati a partecipare della sollecitudine (per la Chiesa), tuttavia il solo Pietro è assunto nella pienezza della potestà, perché sia manifesto che sia il vicario di colui che di se dice nel Vangelo: “Mi è stata data ogni pienezza in cielo ed in terra” (Matth. XXVIII, 18). Donde Gesù disse a Pietro: “Ogni cosa legherai sulla terra, sarà legata in cielo; e ogni cosa che scioglierai sulla terra sarà sciolta anche in cielo” (Matth. XVI, 19). […]»
(Innocenzo III (1161 – 1216), Sermo XVIII in Dominica Laetare sive de rosa, PL 217, 394C-395C)
(fonte)
Eugenio III (1145-1153) e, dopo di lui, Alessandro III (1159-1181) accentuarono il simbolismo cristico della rosa, cogliendovi un chiaro riferimento alla Passione e Risurrezione del Signore. La Passione, secondo Papa Bandinelli, era simboleggiata dal colore rubeo che tingeva il metallo aureo, mentre la Risurrezione dal profumo emanato dal fiore, capace di disperdere ogni fetore così come la fragranza della Risurrezione del Signore disperde il fetore di ogni peccato.
Nel riprendere i temi esposti dal suo predecessore, Onorio III (1216-1227) insistette sulla persona del Papa; nel suo atto di portare in quel giorno la rosa d’oro, bisognava infatti considerare il tempo, il luogo e la persona: il tempo, vale a dire a metà della Quaresima; il luogo, cioè la basilica di Santa Croce, con ciò che essa stava appunto a significare; la persona, poiché a portare la rosa era «il Sommo Pontefice, successore di Pietro e vicario di Gesù Cristo, che è il Re dei re e il Signore dei signori e viene significato dalla rosa».
L’uso, da parte dei Papi, di concedere in dono la rosa d’oro s’è perpetuato fino all’epoca moderna, anche se quasi tutti gli antichi esemplari sono andati perduti: si conosce la forma di quella che Innocenzo IV donò ai canonici di San Giusto di Lione grazie a un disegno settecentesco, mentre la più antica tra quelle superstiti — un tempo della cattedrale di Basilea e oggi a Parigi, al Musée de Cluny – è trecentesca. Il cardinale domenicano Vincenzo Maria Orsini, il quale fu per trentott’anni arcivescovo di Benevento e che anche dopo essere assurto al trono di Pietro con il nome di Benedetto XIII (1724-1730) mantenne il titolo di arcivescovo del capoluogo sannita, nell’anno santo del 1725 donò la rosa d’oro a quella chiesa cattedrale: «Aggiungerò — scriveva Moroni nel suo Dizionario — che tuttora si conserva nel suo tesoro, visitato da Pio IX nel 1849». Ebbene, la bella notizia è che nonostante lo scempio perpetrato nell’ultimo conflitto mondiale, quando i bombardieri statunitensi — i quali fecero in città tremila vittime — rasero al suolo l’antica basilica, il gioiello è sopravvissuto, con qualche danno, fino ai nostri giorni e tuttora è visibile al pubblico nel locale Museo diocesano.
Come quella trecentesca conservata a Parigi, la sua forma è costituita da un fascio di rose: in origine erano sedici, alcune con gemme incastonate, sormontate – così attesta un inventario del 1726 – da una croce di cristallo di rocca «con finimento di filograno di argento indorato attorno, dentro della quale vi è collocato un gran pezzo del legno della Santa Croce». Al di là del suo pregio artistico quale esempio d’alta oreficeria, il gioiello ha un indubbio valore storico, capace di riportare alla memoria un uso da tempo cessato e comunque in grado di rivelare ancora la forza che immagini e simboli della Chiesa medievale hanno esercitato nel corso dei secoli.
Qualche appunto – di Francesco G. Tolloi – dal Blog “Rerum Liturgicarum”
Era anticamente buona ed utile regola identificare e denominare le domeniche utilizzando le prime parole dell’Introito proprio del giorno. Tale uso è rimasto ancora, perlomeno abbastanza diffuso, per quanto concerne la terza domenica d’Avvento (Gaudete) e la quarta domenica di Quaresima (Laetare), circa la quale intendo qui soffermarmi. Il Missale romanum indica la stazione alla Basilica della Santa Croce, la “sessoriana”.
Stando all’opinione del beato Schuster, l’individuazione della Statio in tale basilica è da ricercarsi in un processo imitativo della costumanza orientale; nella Chiesa Greca vi è infatti una domenica della “Grande Quaresima” deputata in modo particolare a commemorare il vivificante legno della Croce; in Occidente – seppure con uno spostamento temporale, visto che il rito greco celebra tale mistero la terza domenica – si sarebbe scelta questa domenica con conseguente ubicazione della Stazione alla Sessoriana in considerazione dalla particolare importanza e preziosità delle reliquie della Passione ivi convenientemente serbate ma un altro motivo è sicuramente il riferimento chiaro dell’Introito, come vedremo, alla santa Gerusalemme di cui la basilica romana è immagine. Sempre secondo il Beato, questa particolare solennità che la Chiesa di Roma riserva e tributa alla quarta domenica di Quaresima, potrebbe ricondursi all’antico caput jejunii – di matrice appunto schiettamente romana – di tre settimane prima della Pasqua [1].
In ogni caso, stante la configurazione della Quaresima, anche un approccio superficiale e distratto potrebbe consentire di evincere con immediatezza le caratteristiche di letizia e di gioia, non fosse altro per l’uso – sebbene facoltativo – del colore rosaceo [2] in luogo del viola e per il festoso incipit dell’Introito le cui parole – mutuate dal profeta Isaia (66, 10-11) spronano a sentimenti di tripudio: Gerusalemme, e per trasposizione la Chiesa, deve rallegrarsi, deve saziarsi alle fonti della sua consolazione. All’invito di Isaia fa degna eco il versetto del Salmo 121 (1): Laetatus sum in his quae dicta sunt mihi, in domum Domini ibimus.
Se volessimo per un istante considerare gli antichi rigori quadragesimali ancora di più riusciremo a penetrare appieno nei sentimenti più autentici di questa domenica che permette un ristoro al penitente, in un periodo ormai prossimo alla contemplazione dei misteri principali della nostra redenzione e della nostra fede. Letizia dunque, ma anche sprone a compiere gli ultimi sforzi, è proprio in questo contesto – sapientemente definito dai segni liturgici – mi pare di poter inquadrare il singolare rito della benedizione della Rosa d’oro, compiuta dai Pontefici, che sembrerebbe voler alludere a un premio che nel contempo è un pegno a perseverare nelle virtù in considerazione delle quali si è fatti oggetto di tale altissimo riconoscimento.

d’Austria Carolina Augusta
(Vienna, Kunsthistorisches Museum)
La costumanza di benedire la Rosa d’oro affonda le sue radici nell’alto Medioevo; se ne ha testimonianza durante il pontificato di papa Leone IX (+ 1054). Il Moroni [3] ci precisa che – in realtà – all’epoca del menzionato pontefice essa fosse già stata in vigore, nell’affermarlo egli poggia la sua opinione sul Catalano [4].
Mi è parso utile ed interessante riportare la descrizione che ne fa l’informatissimo Francesco Cancellieri nel XVIII secolo: proprio di questo Autore il citato Moroni si dichiara più volte discepolo.
Prima di lasciare lo spazio a questo illustre Testimone, desidero spendere qualche parola – anche se poi il Cancellieri fornirà la sua descrizione – circa questo manufatto: la Rosa d’oro, se inizialmente era concepita solo e semplicemente come un fiore, ha assunto nei secoli una certa quale ampiezza di forme. Nella sua foggia originaria essa era un fiore fabbricato col metallo prezioso, alle volte essa veniva colorata di rosso proprio per imitare il fiore. Più tardi la colorazione di rosso fu accantonata, preferendo incastonare un rubino. La forma più conosciuta parrebbe rimontare all’epoca successiva a Sisto IV (+1484) [5]: essa si compone di una fronda fiorita, con ramo spinoso e più boccioli, tutti realizzati in oro. Il fiore principale ha una piccola coppa con relativo coperchio o una semplice lamina forata: in essa – durante la benedizione – il Sommo Pontefice andrà a introdurre il balsamo ed il muschio evocanti la fragranza del fiore preso a modello per il manufatto. La realizzazione della Rosa d’oro è sempre stata affidata alle sapienti mani di artisti di altissimo livello, tra i tanti esempi che potrei portare citare ricorderò quella realizzata dal Bernini per conto di papa Alessandro VI [6].
Quanto a questa mia trascrizione del Cancellieri, preciso che ho rispettato l’uso delle maiuscole, abbreviazioni, corsivi e punteggiatura dell’Autore. Per comodità ho ridotto le note a piè di pagina del testo originario, con riferimenti bibliografici, inserendole nel corpo del testo e identificandole con delle parentesi. Alla fine del testo mi soffermerò su alcuni aspetti che ritengo utili.
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Capo VII.
Quarta Domenica di Quaresima.
Cappella Papale e Benedizione della Rosa d’oro. [7]
Questa mattina canta Messa un Cardinal Prete. L’Altare è ornato con otto Statue d’argento, se la Cappella si fa alla Sistina, e con tredici, se si fa alla Paolina al Quirinale. Tutto il S. Collegio viene in Sottana, Mozzetta, e Mantelletta di color Rosa secca, come nella terza Domenica dell’Avvento, colle Cappe violacee.
Il Papa ancora viene in Piviale di color rosaceo, consimile al colore del Trono, ed anche il Celebrante co’ sacri Ministri. Il Diacono porta la Dalmatica, e il Suddiacono la Tonicella, e non già le Pianete piegate. Poichè tutta la Messa di questo giorno eccita all’allegrezza, interponendosi dalla Chiesa questo giubilo spirituale, per ristorare i Fedeli dall’afflizione del digiuno.
Il Papa unge col Balsamo del Perù, e col muschio, e benedice la Rosa d’oro nella stanza de’Paramenti, prima di venire in Cappella. Il Vaso col suo coperchio, in cui si contiene il Balsamo, è di argento. L’altro che serve pel muschio, è di avorio con piede, e coperchio simile, guarnito d’argento dorato, con un dente, o lingua serpentina impietrita nella Coppa.
Un picciolo Cucchiarino d’oro con uno Zaffiro in breccia incastrato nel mezzo serve per pigliare il Muschio, ed un altro di argento dorato per prendere il balsamo.
Varj sono stati i disegni, che si sono usati in diversi tempi, de’ vasi, o de’ piedi per questa Rosa. Presentemente ha un piede triangolare col suo balaustro, sopra di cui sorge un ramo spinoso con varie Rose, ed una in cima più grande, in cui v’ha una picciola Crate, o sia Lamina forata, dove il Papa nella benedizione pone il balsamo, e il Muschio. Tanto il piede, nelle cui tre facciate v’è lo stemma del Papa, quanto il Ramo, e le Rose, sono tutte d’oro.
Dopo che la Rosa è stata benedetta vien portata in Cappella da un Chierico di Camera in Cotta, e Rocchetto, che la consegna a mons. Sagrista, il quale la colloca sopra l’Altare sotto la Croce, d’onde la rileva, per farla riportare dal medesimo Chierico di Camera, dopo la Messa, nella stanza de’ Paramenti, in una picciola Mensa fra due Candelieri. Poi si ripone, e si conserva per regalarsi a qualche Personaggio, come ha fatto il Regnante Pontefice all’Arciduchessa di Austria Maria Cristina, ed alla di lei Sorella Arciduchessa Amalia.
L’Introito si canta in contrapunto. Sermoneggia il P. Procurator Generale de’ Carmelitani. Il mottetto Cantemus Domino dopo l’Offertorio, è di Matteo Simonelli, con seconda parte. Il Deo gratias si canta.
Questa Domenica viene frequentemente chiamata Domenica Laetare, dall’Introito preso dalle parole d’Isaia (LXVI. 10). Dicesi ancora Dominica panum dall’Evangelio, in cui si narra la prodigiosa moltiplicazione de’ pani nel Deserto. Ma più communemente si appella Dominica Rosae, Rosarum, o de Rosa, dalla Rosa d’oro, che per antichissimo uso il Papa suol benedire in questo giorno.
Il P. Calmet (In Probatione Historica Lotharingiae Tom. I, col. 427) è stato il primo a scuoprire la vera origine del Rito, che ha dato questo nome alla presente Domenica. S. Leone IX ereditò fra’ suoi beni patrimoniali il Monastero di S. Croce in Alsazia, e vendicollo in libertà, assoggettandolo immediatamente alla S. Sede. E per eternare la memoria di questa esenzione, gl’impose il tributo annuo di una Rosa d’oro di due oncie, da portarsi in mano da lui, e da’ suoi successori nella quarta Domenica di Quaresima, celebrando nella Basilica di S. Croce di Gerusalemme. E così sotto il nome di Tributo, o Censo pagato da un Monastero posto in libertà, venivasi a simboleggiare la misteriosa allegrezza del Popolo d’Israello, liberato dalla schiavitù Babilonica, a cui si allude nel lieto uffizio di questo giorno.
Nel breve corso di un mezzo Secolo, queto semplice Tributo di un Monastero esente divenne regalo degno de’ Principi. Poichè si legge presso Dachery (T.X. Spicilegii p. 396), e Luca Olstenio (Colleg. Rom. P. 11. P. 222), che questo Fiore fu regalato nel 1096 da Urbano II, dopo la celebrazione del Concilio di Tours, a Fulcone Conte d’Angers, il quale grato di quest’onore fissò, che dovesse esser portato da sè, e da’ suoi successori nel giorno delle Palme.
Nel 1230 s’introdusse il costume di aggiungere a questa Rosa le qualità esterne del suo Fiore, tingendo l’oro di rosso, e spargendola di muschio; e di spiegarsi il mistero del colore, e dell’odore della Rosa naturale, dallo stesso Pontefice con un Sermone, per l’istruzione del Popolo, come ci attestano il Canonico Benedetto (In Ord. XI. num. 36), il Diploma di Alessandro III, che la regalò a Ludovico VII Re di Francia (T.X. Concil. p. 1360. E in T. IV. Hist. Francor. a pg. 768) e il Durando (Rational. lib. cap. 53 num. 10). Ma sopra tutto ce ne convince il Sermone d’Innocenzo III su questo argomento.
Sappiamo poi da Cencio Camerario (Ord. XII. num. 17), che nello stesso Secolo XII s’ incominciò ad aggiungere al muschio anche il balsamo. Sembra, che si cessasse di colorir l’oro, quando s’introdusse l’uso di collocare un Rubino in mezzo alla Rosa, per renderla più preziosa, senza alterarne le qualità, come poi si è sempre praticato, anche quando si è ridotta la semplice Rosa ad un Ramo di Rose vago, e fiorito, come or lo vediamo. Questa variazione dev’esser seguita prima di Sisto IV, che un anno in vece della Rosa, benedisse una Quercia d’oro, rappresentante il suo Stemma, che mandò in dono alla Cattedrale di Savona sua Patria. Pio II sermoneggiò sopra la Rosa, secondo l’antico costume, che però, come apparisce da Pietro Amelio (Ord. XV. num. 48), era già divenuto arbitrario, e poi andò affatto in disuso.
Ma benchè si variassero le circostanze, che accompagnavano le qualità della Rosa, si conservò l’uso di mandarla in dono a qualche Principe, ovvero di regalarla a qualche nobile Personaggio, che si trovasse in quel dì presente alla Sacra Funzione. Questi per lo più era il Prefetto di Roma (Felix Contelorius de Praefecto Urbis. Romae 1631. 4. Gaet. Cenn del Prefetto di Roma a tempo de’Re, e della Repubblica, a tempo degli Augusti, e Re d’Italia, e sotto i Rom. Pontefici. nel T. I. delle sue Dissert. Postume p. 269), vestito di scarlatto, o di porpora, colle calze di color oro, che accompagnava a piedi il Papa, che cavalcando portava la Rosa in mano fino al Palazzo Lateranense, dove smontava, e ivi baciandogli i piedi, ricevea il dono della Rosa.
Convien però avvertire, che non tutti ebbero questa Rosa benedetta, come molti han creduto, quasi che sia tanto antica la Rosa d’oro, quanto la sua benedizione. Questa certamente non può attribuirsi nè a Urbano V, nè ad Innocenzo IV, a cui sia assegna dall’Autore della sua vita, a cui si assegna dall’Autore della sua vita, seguito dal Martene (De Rit. Ant. Diss. XIX num. XVII); ma è posteriore a Niccolò V, giacchè niuna menzione di questa benedizione si fa negli Ordini da noi citati, e la prima volta che si nomina, è nel Cerimoniale di Cristofaro Marcello. Paolo III tolse l’uso, introdotto da Paride de Grassi sotto Giulio II, Leone X, e Clemente VII, di ungerla col Crisma; e il Rito prescritto dal suddetto Cerimoniale di ungerla col balsamo, di sovrapporvi il muschio, di benedirla, ed’ incensarla, è perseverato fino a’ nostri tempi. […]
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Qualche mio appunto… (Francesco G. Tolloi)
Relativamente al luogo, si legge la benedizione avveniva – all’epoca dell’Autore – nella “stanza de’ Paramenti” (la c.d. Sala del Pappagallo); l’uso rimonta al periodo successivo la “cattività avignonese”, i Sommi Pontefici ritornando nell’Urbe e trovando le storiche chiese in mal partito introdussero l’uso delle celebrazioni nelle loro cappelle. La benedizione della Rosa d’oro avveniva anticamente alla basilica Sessoriana (statio del giorno). Qualora fosse presente in Roma l’Imperatore per ricevere l’incoronazione, la cerimonia avveniva nella basilica di S. Maria in Cosmedin [8].
Al principio del testo, riferendosi all’abito che gli eminentissimi signori Cardinali portano alla cappella di questo giorno, il Cancellieri riferisce l’utilizzo – per l’abito talare, la mantelletta e la mozzetta – del colore rosaceo, più precisamente del color rosa secca.
Esso è una variante dell’abito di penitenza di cui si serba il colore violaceo nella cappa. Sino al 1969 [9], i cardinali disponevano, tra gli altri, di un abito da portarsi (qui procedo con una semplificazione) nei tempi di penitenza e nelle circostanze luttuose. Detto abito è violaceo, o più precisamente paonazzo con fodere, orlature, bottoni e asole di color rubino o cremisi [10]. Sarà non di meno utile notare che – durante il pontificato di Papa Pio XI – il colore paonazzo viene definito con precisione ed è lo stesso anche per i Vescovi e i Prelati, ciò pose fine all’utilizzo delle tante varietà che erano proliferate e sussistevano [11]. Ripromettendomi di ritornare prima o poi sull’argomento, voglio precisare che la tonalità del paonazzo varia in base alla proporzione con cui vengono composti i due colori di base ossia il blu e il rosso. Dal XVI secolo sino al principio del XIX, notiamo che la nuance vira palesemente al bluastro, un tanto deriva dall’interazione di due coloranti ossia l’indaco naturale e la cocciniglia domestica; solo nel corso del XIX secolo, in cui si fa utilizzo di coloranti di natura sintetica, apre la strada verso un processo che porterà all’uniformizzazione del colore [12]. Quanto ai vestimenti di rosa secca usati dagli eminentissimi cardinali in questa domenica – e nella domenica Gaudete – va precisato che erano in seta marezzata [13]. Il loro uso iniziò a decadere verso la fine del pontificato del beato Pio IX, non essendoci stata un’abolizione, si ha contezza dell’utilizzo da parte di qualche Cardinale – limitatamente alla propria chiesa titolare e, come è ovvio alle due domeniche ricordate – sino all’epoca di Pio XI [14]. La citata Istruzione della Sacra Congregazione Ceremoniale (v. nt. 10) non fa menzione di questi abiti rosacei stante la desuetudine degli stessi.
Circa il rito di benedizione [15], l’Autore ci riporta l’uso, poi caduto, di ungere il manufatto col Crisma. Il Moroni sottolinea l’influsso su Giulio II, Leone X e Clemente IX del cerimoniere Cristoforo Marcello; la rimozione di tale uso – operata da papa Paolo III – muove dalla considerazione che l’Unzione col Crisma compete alle consacrazioni e non alle benedizioni [16].
Relativamente agli usi della Cappella papale sul sito del Collegium Divi Marci: ho già avuto modo di parlarne; ad esso rimando per approfondimenti e per riferimenti bibliografici.
Quanto ai conferimenti della Rosa d’oro, rispetto quanto già lumeggiato dal Cancellieri, ricordo che essa – inizialmente conferita al Prefetto di Roma o “l’uso di mandarla in dono a qualche Principe, ovvero di regalarla a qualche nobile Personaggio, che si trovasse in quel dì presente alla Sacra Funzione”, come di ricorda l’Autore – fu anche concessa a città, nazioni, chiese e santuari insigni. Il sempre ben informato monsignor François Xavier Barbier de Montault fa memoria del conferimento della Rosa d’oro da parte di Benedetto XIV (Prospero Lambertini) alla sede metropolitana di Bologna della quale fu Arcivescovo; Clemente XIV la conferì alla nazione lusitana verso la quale nutriva particolare benevolenza tanto da far meritare al Sovrano l’appellativo di “Sua Maestà Fedelissima” [17]. A titolo di curiosità ricordo che l’ultimo personaggio di alto lignaggio di sesso maschile che ebbe a ricevere questo “regalo degno de’ Principi” fu il cento sedicesimo doge della Serenissima Repubblica Francesco Loredan, insignito del prestigiosissimo riconoscimento nel 1759 da papa Clemente XIII. Il conferimento divenne più raro tra i secoli XIX e XX, purtuttavia in seno ai camerieri segreti partecipanti laici uno era particolarmente deputato come “Portatore della Rosa d’oro”(la carica figurava, peraltro, nell’Annuario Pontificio sino gli anni Sessanta del Novecento).
È tra i conferimenti novecenteschi che mi sento di fare particolare memoria di quello riservato alla serva di Dio Elena Petrović-Njegoš del Montenegro, Regina d’Italia (+ 1952), insignita – in ragione della sua vita votata alla carità – da papa Pio XI nel 1937.
Chiedo al benigno lettore che ha avuto la pazienza di leggermi fino a qua, di recitare un’ Ave Maria con l’intenzione di poter presto venerare fra i beati questa splendida figura di donna cristiana.
Laetare Jerusalem!
Francesco G. Tolloi
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Note:
[1] A. I. SCHUSTER, Liber Sacramentorum. Notizie storiche e liturgiche sul Messale Romano, Torino – Roma, Marietti, 1933, vol. III, pp. 116 e ss..
[2] Sarà profittevole ricordare che il rosaceo è raccomandabile serbi una tonalità virante al violetto chiaro piuttosto che un “rosa puro”. Cfr.: G. BRAUN, I Paramenti Sacri. Loro uso storia e simbolismo, trad. Italiana G. Alliod, Torino, Marietti, 1914, p. 40. Il rosa – stando a mons. Gromier – esisteva a Roma già nel 1582, cfr.: L. GROMIER, Commentaire du Caeremoniale episcoporum, Paris, La Colombe, 1958, p. 348.
[3] G. MORONI, Dizionario di erudizione storico – ecclesiastica, Venezia, Emiliana, vol. LIX, p. 115.
[4] J. CATALANO, Sacrarum Caeremoniarum sive Rituum Ecclesiasticorum Sanctae Romanae Ecclesiae, Romae, De Rubeis, 1750, tomus I, tit. 7, cap. 3 (pp. 265 e ss.).
[5] G. MORONI, Dizionario di erudizione storico – ecclesiastica…, cit., p. 112.
[6] Per un sintetico approfondimento: B. BERTHOD – P. BLANCHARD, Trésors inconnus du Vatican. Cérémonial et Liturgie., Paris, L’amateur, 2011, pp. 299 e s..
[7] F. CANCELLIERI, Descrizione delle Cappelle Pontificie e Cardinalizie di tutto l’anno. Roma, Salvioni, 1790, pp. 247 e ss..
[8] N. DEL RE, Rosa d’oro, voce in Enciclopedia Cattolica, Roma, Ente per l’Enciclopedia Cattolica e per il Libro Cattolico, 1953, X, coll. 1344 e ss..
[9] Cfr.: SECRETARIA STATUS SEU PAPALIS, Instructio (Ut sive solliciti) 31 marzo 1969, in Acta Apostolicae Sedis, LXI, Romae, Polyglottis Vaticanis, 1969, pp. 334 e ss.. Tale istruzione – a firma del cardinale Amleto Cicognani – riforma totalmente, in direzione di una massiccia semplificazione (che di fatto corrisponde ad uno smantellamento), la materia degli abiti dei Cardinali, Vescovi e Prelati.
[10] SACRA CONGREGAZIONE CEREMONIALE, Norme Ceremoniali per gli Eminentissimi Signori Cardinali, Roma, Poliglotta Vaticana, 1943, pp. 3 e ss..
[11] SACRA CONGREGATIO CAEREMONIALIS, Decretum (Sacrae huic Congregationi), 24 giugno 1933, Romae, Polyglottis Vaticanis, 1933. Questo decreto – che qui cito nella edizione in mio possesso stampata singolarmente – riporta gli esempi della tonalità del paonazzo sia per il tessuto di seta che quello di lana.
[12] Cfr.: B. BERTHOD – P. BLANCHARD, Trésors inconnus du Vatican…, cit., p. 338.
[13] F. X. BARBIER DE MONTAULT, Le costume et les usages ecclésiastiques selon la tradition romaine, Paris, Letouzey et Ané, s.d. [1900], I, p. 275.
[14] Cfr.: B. BERTHOD – P. BLANCHARD, Trésors inconnus du Vatican…, cit., p. 299.
[15] Riporto integralmente la formula di benedizione. (V.) Adjutórium nóstrum in nómine Dómini. (R.) Qui fecit cælum et terram.(V.) Dóminus vobíscum. (R.) Et cum spíritu tuo. Orémus. Deus qui es lætítia et gáudium omnium fidélium, majestátem tuam supplíciter exorámus ut hanc Rosam odore visuque gratíssimam, quam hodiérna die in signum spiritúalis lætítiæ in mánibus gestámus, bene + dícere et sancti + ficáre tua pietáte dignéris, ut plebs tibi dicáta ex jugo Babilónicæ captivitátis edúcta, per Unigéniti Filii tui grátiam cæléstis Jerúsalem gáudium sincéris córdibus repræséntet. Et quia ad honórem nóminis tui Ecclésia tua hoc signo hodie exúltat et gáudet, tu ei, Dómine, verum et perféctum gáudium et grátiam tuam largiáris, ut per fructum boni óperis in odórem illíus floris tránseat qui de radíce Jesse prodúctus, flos campi, lílium convállium mystice prædicátur. Qui tecum vivit et regnat in unitate Spíritus Sancti Deus per omnia saécula saeculórum. (R.) Amen. Postea imponit incensum in thuribulo. Deinde Rosam ungit balsamo imponitque ei muscum: aspergit aqua benedicta et adolet incenso.
[16] G. MORONI, Dizionario di erudizione storico – ecclesiastica…, cit., p. 117.
[17] F. X. BARBIER DE MONTAULT, Les stations et dimanches de Carême a Rome, Rome, Spithoever, 1865, pp. 91 e ss..
Pubblicato da Francesco G. Tolloi











AGGIORNAMENTO:
Papa Francesco ha portato la ROSA D’ORO al Santuario Nazionale di Ta Pinu a Gozo1 a Malta nel Viaggio Apostolico 2-3 aprile 2022

