Ricordare Benedetto XVI nel modo giusto – 2°parte

Io considero la lotta per la nuova presenza della ragionevolezza della fede come un compito impellente della Chiesa nel nostro secolo. La fede non può ritirarsi nel proprio guscio di una decisione ormai non più fondata, ridursi a una sorta di sistema simbolico in cui ci si ingabbia, ma che alla fine resterebbe solo una scelta casuale tra tante altre visioni della vita e del mondo. Essa ha bisogno dello spazio grande della ragione aperta, ha bisogno di confessare il Dio creatore, poiché senza questa confessione anche la cristologia si rimpicciolisce, e finisce per parlare solo indirettamente di Dio, riferendosi a una particolare esperienza religiosa che, però, è necessariamente limitata e diventa un’esperienza tra tante altre.” (Card. Joseph Ratzinger “Vi ho chiamato amici”. La compagnia nel cammino della fede pagg. 97-113. vedi qui il testo integrale)

  • Indubbiamente Benedetto XVI viene a trovarsi fra due fuochi incrociati. Criticato dalle frange più estreme del mondo tradizionalista, da loro accusato pure di eresia; odiato e fortemente osteggiato dalla presenza numerosa progressista e modernista dentro la Chiesa, che lo accusa di essere un integralista.
  • Eletto a settantotto anni, sa di essere l’ultimo pontefice ad aver partecipato al Vaticano II, l’evento innegabilmente più rilevante per la Chiesa Cattolica del XX secolo. E’ mala fede accusarlo di voler fare marcia indietro circa i testi conciliari, citati invece in quasi tutti i suoi discorsi, ma è anche in mala fede chi lo accusa di essere un eretico. Più di una volta ha manifestato la sua fedeltà agli insegnamenti del Vaticano II, anche se, probabilmente, le polemiche che ne sono scaturite lo hanno ferito e profondamente segnato, come dirà egli stesso nell’ultima intervista uscita nel settembre 2016. Riguardo al concilio, Ratzinger ha sempre pensato di dover lasciare un’eredità indiscutibile alle generazioni future, che invece di demolirlo devono studiarlo onestamente, traendone il buono, trasformandolo da oggetto di rottura a fonte di unità.

Con queste parole abbiamo analizzato, nella prima parte, vedi qui: Ricordare Benedetto XVI nel modo giusto –1°parte … una serie di “contestazioni” a Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, sia in bene quanto in male, sia pro quanto contro.

Si legga anche questo aggiornamento: Papa Francesco visita Benedetto per i 95 anni

Vediamo ora di approfondire altri aspetti, compresa la spinosa questione della RINUNCIA. Chi la vuole capire, la capisca! Nessuno ha DESTITUITO o costretto, o ricattato Benedetto XVI e nessuno può contestare la sua Rinuncia se non la Chiesa stessa, in futuro magari, ma nella situazione attuale questa Rinuncia è valida, senza se e senza ma, che piaccia o non piaccia e di conseguenza l’elezione del suo Successore è validissima, alla quale ed al quale Successore – Papa Francesco – lo stesso Benedetto XVI si rivolge confermandolo. Punto!

Scarica qui il testo in comodo pdf.

A quanti poi vanno vaneggiando di un messaggio cripto e misterico in tutti gli interventi di Benedetto XVI a cominciare dalla Rinuncia fino ad oggi, consigliamo di dedicarsi meglio a Topolino o a Paperinik, che sono meno dannosi….

Chiariti questi punti preliminari è evidente che, da nove anni ad oggi, Benedetto XVI viene usato, abusato e strumentalizzato da quanti hanno dato vita a “partiti di rivolta”, alle contestazioni e ad un rifiuto categorico al pontificato di Papa Francesco. Preservando il fatto che ognuno può pensarla come gli pare (anche noi), ciò che è fondamentale è rimanere coi piedi per terra ed evitare ogni fondamentalismo, evitare letture cripte o misteriche, evitare analisi che non hanno alcun fondamento nella realtà dei fatti, ma che sono solo il frutto di opinioni personali, rispettabili quanto si vuole, ma anche contestabili per dovere alla verità. Il punto centrale su cui focalizzare nel modo corretto una discussione seria è il titolo di EMERITO…. Un Papa “emerito” non esiste e non può sussistere con un Papa regnante e non esistono “due Papi”… Cerchiamo allora di chiarire.

Ratzinger è sempre stato di quella corrente che cercava, appunto, una APERTURA verso una sorta di PENSIONAMENTO anche del Papa (aspetto che non piaceva però a Giovanni Paolo II), dopo che Paolo VI inventò L’EMERITO ossia, mettere a riposo il Vescovo diocesano che ha compiuto i 75 anni. Di questa innovazione tuttavia, chiariva Paolo VI, non poteva avvalersi il Vescovo di Roma il quale infatti, in un conclave alla cui partecipazione ed elezione possono partecipare cardinali oltre i 75 anni e fino agli 80, l’eletto E’ IL SOMMO PONTEFICE che tale rimane o fino al momento per una Rinuncia legittima, oppure per l’avvenuta morte, compisse anche 100 anni. Il Vescovo di Roma non è un “primus-inter-pares (letteralmente significa “primo tra i pari”, conosciuta anche come eresia febroniana dal vescovo Febronio e comunque è prerogativa del Patriarca di Costantinopoli con giurisdizione sulle altre comunità Ortodosse e non del Vescovo di Roma – e si vede già nel Concilio di Calcedonia: il Papa non approva il canone 28 del Concilio – quello che definisce la giurisdizione di Costantinopoli come Nuova Roma –, accettato subito dai greci…) con e come gli altri Vescovi Diocesani o Patriarchi.. insomma, il suo ruolo è UNICO, la sua elezione è unica così come il suo regnare è unico dal momento che a nessuno è dato di delegittimarlo, a meno che non sia riconosciuto quale usurpatore, antipapa.

Benedetto XVI nel suo “rimanere papa in altro modo” – come ebbe a dire più volte in quel febbraio 2013 – affermò anche, nell’ultimo saluto a Castel Gandolfo il 28 febbraio 2013: “Voi sapete che questo mio giorno è diverso da quelli precedenti; non sono più Sommo Pontefice della Chiesa cattolica: fino alle otto di sera lo sarò ancora, poi non più. Sono semplicemente un pellegrino che inizia l’ultima tappa del suo pellegrinaggio in questa terra…“, finendo per alimentare, suo malgrado (cioè le sue parole vengono strumentalizzate), complottismi vari che non hanno alcuna ragion d’essere, tanto son limpide queste parole che altri, però, che non riescono ad accettare papa Francesco e la Rinuncia di Benedetto, devono per forza parlare di “messaggi criptici” …

Ratzinger credeva e crede ancora oggi (e possiamo dire anche erroneamente), la legittimità di un ruolo del papa dimissionario EMERITO… piaccia o non piaccia, e questa situazione non vede e non gode al momento alcuna ufficialità di pronunciamento papale, ossia non c’è stato dal 2013 ad oggi alcun pronunciamento “ex-cathedra” che letteralmente significa: “Dalla cattedra” che nella dottrina cattolica designa la condizione d’infallibilità del pontefice nelle definizioni dogmatiche e dottrinali,  che egli dà in materia di fede e di morale, atta a modificare l’istituzione del Papa, che è divina…

E dunque.. la situazione è per tanto che il Papa regnante è Papa Francesco, riconosciuto tale da Benedetto XVI in diverse occasioni (nonché da non sottovalutare, da tutto il Collegio cardinalizio e dai Vescovi), e che lui, Benedetto XVI resta, momentaneamente ed in modo unico e anomalo, nel suo ruolo da EMERITO, una sorta di pensionamento di un Papa che decide di rinunciare al papato, mantenendo tutti gli “onori” ma senza più “oneri”, una situazione che viene tollerata ma non dogmatizzata.

Per quanto questa situazione sia unica e nuova nella Chiesa e nella sua bimillenaria storia papale, e per quanto noi stessi affermiamo che è una situazione ANOMALA e per nulla teologicamente corretta, come spiega il cardinale Brandmuller del quale suggeriamo di scaricare questo pdf, e dove afferma:

  • Comunque la rinuncia del papa è possibile (can.332 §2). Ciò non significa che sia senz’altro anche moralmente lecita. Per la liceità, invece, ci vogliono motivi oggettivi, istituzionali, orientati verso il bonum commune Ecclesiae, non motivi personali..”
  • e laddove c’è chi usa questa Rinuncia per DIVIDERE IL MUNUS PETRINO, Brandmuller afferma: “Dal punto di vista pastorale, invece, sembra particolarmente urgente
  • combattere l’errore – ampiamente diffusosi nella situazione creata con la rinuncia di Benedetto XVI – di ritenere che attraverso la rinuncia, il Ministero del Successore di Pietro sia spogliato del suo carattere unico e sacro e messo sullo stesso piano di funzioni democratiche temporanee… (..) Come già detto, la rinuncia di un papa presuppone – e al contempo crea – una situazione ecclesiale pericolosissima. Non mancano in questo momento persone o gruppi seguaci del papa rinunciatario i quali, scontenti dell’accaduto, potrebbero minacciare l’unità della Chiesa e persino provocare uno scisma.(..) Del resto, riprendendo il giudizio sopramenzionato: la rinuncia del papa è possibile e si è fatta. Ma è da sperare che non succeda mai più

…dovrà essere dunque la Chiesa a chiarire il tutto e ciò avverrà in futuro… ma, nel momento storico che stiamo vivendo, la situazione è questa e viverla con i complottismi o gli schieramenti partitici (io sto con Benedetto, ecc…) non risolve nulla ed anzi peggiora la confusione, l’ansia, l’incertezza.. e non è compito di alcuno delegittimare un Pontefice regnante, riconosciuto tale dal predecessore che, in un modo sorprendente e PROVVIDENZIALMENTE a noi incomprensibile, è vivente e può confermarlo come lo ha confermato.… Questi sono i fatti, l’unica realtà davanti alla quale, invece di dividere nella Chiesa, sarebbe più sano accettare i propri limiti e sottomettersi a questi fatti.

Quale ultimo atto compiuto da Benedetto XVI in comunione con Papa Francesco è stato il 25 marzo 2022 quando si è unito a lui e ai vescovi del mondo nella preghiera per la Consacrazione della Russia ed Ucraina. A causa dello stato di salute fragile, lo ha fatto in privato, non è stato presente alla cerimonia di Consacrazione nella Basilica di San Pietro. Lo ha spiegato mons. Gänswein con una email inviata all’agenzia di stampa cattolica. Il motivo è stato anche un altro: Benedetto XVI non voleva che i riflettori mediatici venissero puntati su di lui, quel giorno… e a quanti hanno ritenuto invalida questa Consacrazione oppure che la “presenza spirituale” di Benedetto l’avrebbe confermata, ad entrambi diciamo loro di stare attenti a non idolatrare un Papa da una parte, e di non sostituirsi al Cielo dall’altra… Non vi è altro da vaneggiare sui fatti… si legga anche qui: de Mattei risponde ad Antonio Socci...

Ad una persona che ci chiedeva che male ci sarebbe nel volersi dire “seguaci di Benedetto XVI” abbiamo spiegato che basta essere chiari con il pensare e il parlare, ossia: un conto è riconoscere il Papa regnante e legittimo – papa Francesco –  ed essere al tempo stesso “discepoli del Magistero di Benedetto XVI”; altra cosa è delegittimare il Papa regnante, papa Francesco, per sentirsi “seguaci” di Benedetto riconoscendolo come regnante… Nel primo caso è legittimo e fattibile, nel secondo caso, ovviamente, no! E si incorre per altro in una scomunica “ipso-facto”… come del resto insegna il Diritto Canonico:

  • Can. 332 – §1. Il Romano Pontefice ottiene la potestà piena e suprema sulla Chiesa con l’elezione legittima, da lui accettata, insieme con la consacrazione episcopale. (..)
  • §2. Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti.

La scomunica (dal latino tardo excomunicare, «escludere dalla comunità dei fedeli») è la punizione destinata a un cattolico che abbia peccato gravemente sul piano morale o su quello della fede. Comporta l’esclusione dal diritto di ricevere o amministrare i sacramenti e, quindi, dalla comunità dei fedeli (cioè la Chiesa). Il provvedimento decade con l’assoluzione, che lo scomunicato può ottenere se dimostra un sincero pentimento. Esistono due gradi di scomunica, una maggiore che colpisce i cosiddetti vitandi (coloro che vanno evitati a causa di gravi errori e a loro volta scomunicati dalla Chiesa), e una minore che colpisce i tolerati (i tollerati, ossia, hanno peccato sì, ma non sono stati scomunicati perché non sussiste ancora una situazione grave).

Si definiscono latae sententiae (sentenze emesse) quelle scomuniche (automatiche) nelle quali si incorre solo per il fatto di aver commesso alcuni peccati particolarmente gravi e non è necessario che vengano esplicitamente comminate da un ente ecclesiastico. Alcuni dei peccati per i quali si incorre in scomuniche di  questo tipo sono la profanazione dell’Ostia e del Vino consacrati per la comunione; la violenza fisica contro il pontefice e la negazione alla sua elezione (qui si veda la Professio Fidei di cui parleremo più avanti); l’ordinamento di un vescovo senza l’approvazione del papa; l’aborto; l’eresia, che consiste nella contestazione di dogmi ufficiali della religione cattolica; lo scisma, cioè la separazione dall’autorità della Chiesa di Roma; l’apostasia, cioè l’abiura pubblica e solenne del proprio credo…

Non riteniamo per tanto fattibile e credibile che, Benedetto XVI, possa aver voluto spingere i fedeli e i sacerdoti verso la grave situazione di una scomunica, ponendoci tutti contro il suo Successore. Il fatto che nel Canone sopra citato, sulla Rinuncia sia esplicitamente scritto: “non si richiede invece che qualcuno la accetti … a quanto pare sembra irrilevante per queste persone che continuano ad arrampicarsi sugli specchi perché non intendono accettarla. Abbiamo anche fatto presente che se avessimo avuto – per ipotesi – non uno ma ben tre Papi “Emeriti” ed uno regnante, avremo avuto tanti partiti quanti i Papi a riposo… il che sarebbe stato non solo una contraddizione in termini, ma ridicolo da una parte e gravissimo dall’altra. Basterebbe davvero chiedersi se, Benedetto XVI, possa essere contento di questa situazione o possa aver voluto deliberatamente creare un partito che lo riconosca ancora regnante, contro il suo Successore.

Riguardo ad alcuni particolari quali la “veste bianca” mantenuta da Benedetto XVI, questa scelta (discutibile appunto, come sottolineava il cardinale Brandmuller) è racchiusa in quell’uso ed abuso dell’EMERITO… un Vescovo diocesano, infatti, che compiuto il 75° anno di vita si ritira, resta ovviamente legittimamente con la propria veste da vescovo. Ma come abbiamo spiegato all’inizio, ciò non è fattibile, all’emerito Vescovo di Roma il quale, cessando per Rinuncia il ruolo di Pontefice, torna semmai ad essere Vescovo e quindi con la talare da vescovo e non da Papa. A chi va affermando che ci fu la risposta riportata da Tornielli a riguardo del fatto che il papa “non trovò nell’armadio una talare nera”… si deve riconoscere di non aver colto, all’epoca, LA BATTUTA IRONICA di mons. Gänswein il quale volle dare una risposta provocatoria a chi affermava che Benedetto XVI non aveva alcun diritto di continuare a portare la talare bianca…

A quanti invece affermano che Benedetto XVI continua a firmarsi “P.P.”… E’ FALSO! L’unico caso avvenuto in questi nove anni non fu per volere di Benedetto XVI ma fu la Casa Editrice Cantagalli a fare uso della firma completa, stampata, di Benedetto XVI con il “PP.” Per le due Collane da loro pubblicate “I Sacramenti” – vedi qui – e “Per Amore” – vedi qui – una raccolta, appunto dalle Omelie di Benedetto e perciò ritennero naturale, loro, postare in copertina la firma completa dell’Autore poiché si trattava di testi redatti da Pontefice. Questa risposta ottenemmo noi stessi telefonando alla segreteria della Cantagalli, chiedendo loro lumi sulla vicenda. Ci fu così confermato che non avevano concordato sulla copertina… Il fatto è che a volte le risposte e le cose sono assai più semplici di quel che si pensa e non vi è dietro alcun mistero e nessun complotto… Mentre è altamente dimostrato che tutti gli interventi di Benedetto XVI in questi nove anni recano sempre il titolo di “Emerito” a piè di Lettera, che accompagna il nome che ha voluto tenere…

Altra FALSITA’ è infine collegata all’uso dell’anello da parte di Benedetto XVI per il quale, affermano queste persone che farneticano, trattasi di anello PAPALE… A comprendere questo ulteriore inganno, consigliamo di leggere in questo articolo la storia dei TRE ANELLI usati da Ratzinger-Benedetto XVI, spiegato anche da lui stesso. Il nuovo anello che Benedetto XVI indossa dal 28 febbraio 2013 è una copia di quello donato da Paolo VI ai Padri conciliari nel dicembre 1965, in occasione della chiusura del Concilio Vaticano II. Una copia perché all’epoca, quando Paolo VI lo fece come dono ai Vescovi al Concilio, Ratzinger NON era vescovo… semplice!

Quindi si mettano l’animo in pace quanti fanno uso persino di certe presunte “apparizioni” e “messaggi dal cielo” (sicuri che sono dal cielo?) per delegittimare papa Francesco e idolatrare al tempo stesso Benedetto XVI, definendolo IL KATECHON della situazione

Il Katéchon, termine greco, del verbo κατέχω, katécho, che significa “trattenere, arrestare, impedire“, è tratto da San Paolo: «Ora voi sapete ciò che lo trattiene affinché sia manifestato a suo tempo. Infatti il mistero dell’empietà è già in atto, soltanto c’è chi ora lo trattiene, finché sia tolto di mezzo.» (2Tess.2,6-7) è volutamente criptico… dal momento che non esiste alcuna spiegazione alla frase: “Ora voi sapete ciò che lo trattiene“. E’ evidente però che san Paolo deve averne parlato alla comunità, ma ciò che disse non è stato riportato da nessuna parte, in tal senso, dissero anche i Padri come anche sant’Agostino, il brano è cripto, e non si hanno spiegazioni chiare. Ciò che si può dire è di come la funzione di questo misterioso Katéchon, consiste nel trattenere il “Figlio dell’Iniquo” sino a quando non si rivelerà il suo tempo. Nel momento presente della comunità paolina di ieri e della Chiesa oggi, il Katéchon è ancora operante e viene descritto come una forza-potenza di genere neutro. Tanto i tempi dell’avvento dell’Anticristo, quanto i tempi dell’opera katechonica sono incerti e questo deriva dal fatto che solo Dio stabilisce la temporalità di simili eventi. Ed è incontrovertibile che l’anti-messia si paleserà solo quando il potere che lo trattiene verrà messo da parte…

Attribuire così il Katéchon alla figura di Benedetto XVI, contro papa Francesco, non è corretto, è idolatrare Benedetto stesso, è offenderlo perché la Rinuncia è stata un atto indiscutibile della sua volontà e libero arbitrio. Dunque, se Benedetto XVI ha liberamente rinunciato (e al momento non c’è una prova contraria, ma solo opinioni e supposizioni), il Katéchon non può essere lui.

San Giovanni Crisostomo nella “Quarta Omelia” afferma che il Katéchon non può che essere “l’Impero Romano, con il Diritto“. Per il Crisostomo, il Diritto Romano (che è la legge naturale) “trattiene” la prevaricazione delle forze del male.. quando gli Stati e le Nazione avrebbero messo da parte la legge naturale che è Legge Divina, sarebbe iniziato il tempo delle leggi “inique”, per ultimo dunque, il Katéchon, verrà definitivamente impedito, lasciando ogni libertà all’AntiCristo.

Ma c’è dell’altro. San Paolo afferma che c’è un ostacolo che impedisce la manifestazione dell’Anticristo, in lingua greca è indicato in due modi o katéchon (maschile) e to katéchon (neutro). Il secondo, secondo San Tommaso d’Aquino è la sottomissione alla Chiesa Romana. Il primo è il Papa, Vicario di Cristo. Fino a quando il Papa sarà riconosciuto, rispettato e ubbidito, l’ostacolo sussisterà. Ma se il Papa viene disconosciuto, messo da parte, rigettato o eliminato, scompare l’ostacolo e l’Anticristo sarà libero di manifestarsi. Padre Pio ha tenuto tutti sottomessi alla Chiesa e al Papa. (cfr. L’ultima messa di Padre Pio. L’anima segreta del santo delle stigmate, di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, Piemme, pp. 21-22).

Si può pensare come si vuole, per carità, qui nessuno ha un monopolio o una esclusiva dogmatica, ma non si può ignorare che c’è chi agisce contro la Chiesa sulla base di false teorie contro papa Francesco, fino ad usare e strumentalizzare Benedetto XVI ponendolo contro il suo Successore. Si tratta ovviamente ed unicamente di un’operazione mediatica e certamente diabolica per la sua perversione atta ad ingannare persino gli eletti in una grande apostasia dalla Chiesa, come ci rammenta sempre san Paolo. Si legga anche qui: Benedetto XVI interviene sulla grave crisi nella Chiesa – aprile 2019

D’altra parte, fin quasi dalle origini del cristianesimo e lungo tutto il Medioevo, l’escatologia era stata contraddistinta dalla convinzione (già espressa da Paolo nella «Lettera ai Romani», capitoli 9-11) che, prima della Parusia, anche gli Ebrei si sarebbero convertiti; e che il ritardo di questa conversione fosse dovuto proprio alla loro ostinazione nel perseverare nell’errore. Come possiamo vedere l’argomento è molto complesso e non è risolvibile attribuendo a Benedetto la funzione di Katéchon, contro il suo Successore… Teniamo infine presente che, in un mondo come questo, quanto è mediaticamente rilevante sembra avere molto più peso di quanto è realmente, e in questo senso il passo in avanti, contro cioè la Chiesa Cattolica, c’è già stato. Chi ne è cosciente attore, chi pedina, chi vittima? A queste domande non sta a noi rispondere, né lo potremmo facilmente. A noi basta sapere che ci si vuole far entrare in una nuova epoca della vita della Chiesa (e questa è la discussione sul Modernismo penetrato nella Chiesa), e contemporaneamente farci sprofondare in una nuova era anticristica, e faremo bene a tenerci saldi alla dottrina definita dalla Chiesa Cattolica, Apostolica e Romana, a non lasciarci trasformare in seminatori di zizzania, a non diventare noi apostati dalla Chiesa, non è questo che vorrebbe Benedetto XVI, non è questo che ha voluto con la sua Rinuncia.

Nel 1998, il cardinale Ratzinger, in qualità di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, pubblicò, aggiungendola, una Nota Illustrativa alla Professio fidei del 1989  (Professione di fede – vedi qui), nella quale si spiega che la legittimità di un’elezione papale (che la Chiesa accetta come legittima, come nel caso di Papa Francesco), deve essere ritenuta de fide, sulla base della infallibilità del Magistero della Chiesa. Nella Nota, il cardinale Ratzinger spiega la natura dell’assenso dovuto alle verità contenute in ciascuna delle rispettive categorie, e descrive le conseguenze del non prestarvi l’assenso richiesto. La legittimità di un’elezione papale rientra nella seconda categoria, come fatto dogmatico. Ecco come il cardinale Ratzinger descrive la seconda categoria di verità:

“La seconda proposizione della Professio fidei afferma: “Fermamente accolgo e ritengo anche tutte e singole le verità circa la dottrina che riguarda la fede o i costumi proposte dalla Chiesa in modo definitivo“.

La nota prosegue spiegando precisamente quali verità sono contenute nella seconda categoria e (avete indovinato) vi include la legittimità dell’elezione di un Papa:

  • “Le verità relative a questo secondo comma possono essere di natura diversa e rivestono quindi un carattere differente per il loro rapportarsi alla rivelazione. Esistono, infatti, verità che sono necessariamente connesse con la rivelazione in forza di un rapporto storico [c.d. “fatti dogmatici”] […] Con riferimento alle verità connesse con la rivelazione per necessità storica, che sono da tenersi in modo definitivo, ma che non potranno essere dichiarate come divinamente rivelate, si possono indicare come esempi la legittimità dell’elezione del Sommo Pontefice […]”.

E qual è la conseguenza del negare una verità ben esposte nella Professio Fidei? Spiega il cardinale Ratzinger:

Chi le negasse, assumerebbe una posizione di rifiuto di verità della dottrina cattolica e pertanto non sarebbe più in piena comunione con la Chiesa cattolica” …

Quindi, secondo il commento ufficiale alla Professione di Fede del 1989, emesso dal Cardinale Ratzinger come Prefetto della CdF, chi rifiuta di dare un assenso definitivo alla legittimità dell’elezione del Sommo Pontefice è colpevole della negazione di una dottrina cattolica, e quindi non è più “in piena comunione con la Chiesa cattolica” o, detto diversamente, si è da sé tagliato fuori dalla Chiesa.

Inutile dire che non viene fatta eccezione alcuna per coloro che rifiutano un’elezione che la Chiesa ha accettato come legittima sulla base delle loro speculazioni personali circa presunte dimissioni forzate, conclavi irregolari, interpretazioni private del diritto canonico e simili come la “mafia di Sangallo”.. chiaro? Questo perché l’accettazione da parte della Chiesa della legittimità di un’elezione papale è un atto infallibile. Se il Magistero accetta l’elezione di un Papa, questa deve essere definitivamente ritenuta legittima sulla base dell’infallibilità della Chiesa. Diverso è poi discutere sul comportamento dell’eletto, sulle leggi che emana, sul governo della Chiesa, sul suo personale magistero e sugli atti… L’elezione di un Papa, infatti, rientra in quella “connessione con la rivelazione per necessità storica, da tenersi in modo definitivo, ma che non potrà essere dichiarata come divinamente rivelata…”, per questo, criticare le azioni e gli atti di un Pontefice, si può fare, delegittimarlo, no!

Vediamo ora la profezia di Ratzinger del 1969 sul futuro di una «Chiesa della Fede» e «quel piccolo gregge di credenti» – vedi anche qui.

La profezia sul futuro di una «Chiesa della Fede» e «quel piccolo gregge di credenti» concluse un ciclo di cinque lezioni radiofoniche, che l’allora professore di teologia Joseph Ratzinger svolse nel 1969. Dopo aver rotto con gli amici teologi il laico Hans Küng, il domenicano (poi scomunicato, autore del Catechismo Olandese condannato da Paolo VI) Edward Schillebeeckx e il gesuita Karl Rahner sull’interpretazione del Concilio Vaticano II, iniziano nuove amicizie con i teologi gesuiti Hans Urs von Balthasar e Henri de Lubac, modernisti ma più moderati, con i quali darà vita alla rivista Communio… Nelle cinque lezioni il teologo e futuro Papa in quel complesso 1969 tracciava la propria visione sul futuro dell’uomo e della Chiesa.

È soprattutto l’ultima lezione, nel giorno di Natale del 1969 ai microfoni della Hessischer Rundfunk, ad assumere i toni della profezia.

Ratzinger paragonava l’era attuale con quella di Papa Pio VI, rapito dalle truppe della Repubblica francese e morto in prigionia nel 1799. La Chiesa si era trovata allora alle prese con una forza che intendeva estinguerla per sempre, aveva visto i propri beni confiscati e gli ordini religiosi dissolti. Una condizione non molto diversa, spiegava, potrebbe attendere la Chiesa odierna, minata dalla tentazione di ridurre i preti ad “assistenti sociali” e la propria opera a mera presenza politica.

Quello che il Professor Ratzinger delineava, era «un processo lungo, ma quando tutto il travaglio sarà passato, emergerà un grande potere da una Chiesa più spirituale e semplificata». Ecco la traduzione italiana delle parole di Ratzinger, rispondendo alla domanda di coloro che si chiedevano cosa sarebbe diventata la Chiesa in futuro durante la trasmissione radiofonica del 25 dicembre 1969:

“(…) Dobbiamo essere cauti nei nostri pronostici. Quello che ha detto Sant’Agostino è ancora vero: l’uomo è un abisso; nessuno può prevedere quello che uscirà da queste profondità. E chiunque creda che la Chiesa sia non solo determinata dall’abisso che è l’uomo, ma raggiunga l’abisso più grande, infinito, che è Dio, sarà il primo a esitare con le sue predizioni, perché questo ingenuo desiderio di sapere con certezza potrebbe essere solo l’annuncio della sua inettitudine storica. (…)

  • Il futuro della Chiesa può risiedere e risiederà in coloro le cui radici sono profonde e che vivono nella pienezza pura della loro fede. Non risiederà in coloro che non fanno altro che adattarsi al momento presente o in quelli che si limitano a criticare gli altri e assumono di essere metri di giudizio infallibili, né in coloro che prendono la strada più semplice, che eludono la passione della fede, dichiarandola falsa e obsoleta, tirannica e legalistica, tutto ciò che esige qualcosa dagli uomini, li ferisce e li obbliga a sacrificarsi.
  • Per dirla in modo più positivo: il futuro della Chiesa, ancora una volta come sempre, verrà rimodellato dai santi, ovvero dagli uomini le cui menti sono più profonde degli slogan del giorno, che vedono più di quello che vedono gli altri, perché la loro vita abbraccia una realtà più ampia. La generosità, che rende gli uomini liberi, si raggiunge solo attraverso la pazienza di piccoli atti quotidiani di negazione di sé. Con questa passione quotidiana, che rivela all’uomo in quanti modi è schiavizzata dal suo ego, da questa passione quotidiana e solo da questa, gli occhi umani vengono aperti lentamente. L’uomo vede solo nella misura di quello che ha vissuto e sofferto. Se oggi non siamo più molto capaci di diventare consapevoli di Dio, è perché troviamo molto semplice evadere, sfuggire alle profondità del nostro essere attraverso il senso narcotico di questo o quel piacere. In questo modo, le nostre profondità interiori ci rimangono precluse. Se è vero che un uomo può vedere solo col cuore, allora quanto siamo ciechi!

In che modo tutto questo influisce sul problema che stiamo esaminando? Significa che tutto il parlare di coloro che profetizzano una Chiesa senza Dio e senza fede sono solo chiacchiere vane.

Non abbiamo bisogno di una Chiesa che celebra il culto dell’azione nelle preghiere politiche. È del tutto superfluo. E quindi si distruggerà. Ciò che rimarrà sarà la Chiesa di Gesù Cristo, la Chiesa che crede nel Dio che è diventato uomo e ci promette la vita dopo la morte. Il tipo di sacerdote che non è altro che un operatore sociale può essere sostituito dallo psicoterapeuta e da altri specialisti, ma il sacerdote che non è uno specialista, che non sta sugli spalti a guardare il gioco, a dare consigli ufficiali, ma si mette in nome di Dio a disposizione dell’uomo, che lo accompagna nei suoi dolori, nelle sue gioie, nelle sue speranze e nelle sue paure, un sacerdote di questo tipo sarà sicuramente necessario in futuro.

  • Facciamo un altro passo. Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diventerà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. Non sarà più in grado di abitare molti degli edifici che aveva costruito nella prosperità. Poiché il numero dei suoi fedeli diminuirà, perderà anche gran parte dei privilegi sociali. In contrasto con un periodo precedente, verrà vista molto di più come una società volontaria, in cui si entra solo per libera decisione. In quanto piccola società, avanzerà richieste molto superiori su iniziativa dei suoi membri individuali.
  • Scoprirà senza dubbio nuove forme di ministero e ordinerà al sacerdozio cristiani che svolgono qualche professione. In molte congregazioni più piccole o in gruppi sociali autosufficienti, l’assistenza pastorale verrà normalmente fornita in questo modo. Accanto a questo, il ministero sacerdotale a tempo pieno sarà indispensabile come in precedenza. Ma nonostante tutti questi cambiamenti che si possono presumere, la Chiesa troverà di nuovo e con tutta l’energia ciò che le è essenziale, ciò che è sempre stato il suo centro: la fede nel Dio Uno e Trino, in Gesù Cristo, il Figlio di Dio fattosi uomo, nell’assistenza dello Spirito, che durerà fino alla fine. Ripartirà da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza che rimetterà la fede e la preghiera al centro dell’esperienza e sperimenterà di nuovo i sacramenti come servizio divino e non come un problema di struttura liturgica.

Sarà una Chiesa più spirituale, che non si arrogherà un mandato politico flirtando ora con la sinistra e ora con la destra. Essa farà questo con fatica. Il processo infatti della cristallizzazione e della chiarificazione la renderà povera, la farà diventare una Chiesa dei piccoli, il processo sarà lungo e faticoso, perché dovranno essere eliminate la ristrettezza di vedute settaria e la caparbietà pomposa. Si potrebbe predire che tutto questo richiederà tempo.

Il processo sarà lungo e faticoso, come lo è stata la strada dal falso progressismo alla vigilia della Rivoluzione Francese – quando un vescovo poteva essere ritenuto furbo se si prendeva gioco dei dogmi e insinuava addirittura che l’esistenza di Dio non fosse affatto certa – al rinnovamento del XIX secolo. Ma dopo la prova di queste divisioni uscirà da una Chiesa interiorizzata e semplificata una grande forza. Gli uomini che vivranno in un mondo totalmente programmato vivranno una solitudine indicibile. Se avranno perduto completamente il senso di Dio, sentiranno tutto l’orrore della loro povertà. Ed essi scopriranno allora la piccola comunità dei credenti come qualcosa di totalmente nuovo: lo scopriranno come una speranza per se stessi, la risposta che avevano sempre cercato in segreto.

A me sembra certo che si stanno preparando per la Chiesa tempi molto difficili. La sua vera crisi è appena incominciata. Si deve fare i conti con grandi sommovimenti. Ma io sono anche certissimo di ciò che rimarrà alla fine: non la Chiesa del culto politico, che è già morto, ma la Chiesa della fede. Certo essa non sarà più la forza sociale dominante nella misura in cui lo era fino a poco tempo fa. Ma la Chiesa conoscerà una nuova fioritura e apparirà come la casa dell’uomo, dove trovare vita e speranza oltre la morte. La Chiesa cattolica sopravvivrà nonostante uomini e donne, non necessariamente a causa loro, e comunque abbiamo ancora la nostra parte da fare. Dobbiamo pregare e coltivare la generosità, la negazione di sé, la fedeltà, la devozione sacramentale e una vita centrata in Cristo.” (Joseph Ratzinger)

Interpretare contro Papa Francesco, queste “profezie”, non ha alcun senso e non sarebbe neppure onesto dal momento che, artefice ed anche un poco responsabile di tanti cambiamenti e nel sostenere egli stesso il concetto di una “nuova Chiesa” (con le nuove amicizie con i teologi Hans Urs von Balthasar e Henri de Lubac), non c’è dubbio che, si avvererà o meno quanto da lui “visto”, è certo che lo abbia visto perché quei teologi lo volevano vedere, vedere la “Nuova Chiesa”… – vedi anche qui – e non è neppure detto che, ciò che ha “visto” non possa essere, invece, la grande tribolazione della Chiesa vista dai Santi, dalla Beata Emmerich per esempio, una Chiesa che piaceva agli innovatori, ma che non era “nei progetti di Dio”.

Attendiamo fiduciosi il Trionfo del Cuore Immacolato di Maria certi piuttosto che ciò che seguirà, sarà certamente la volontà di Dio e per noi e per la Sua Chiesa, sulla quale le “porte degli inferi non prevarranno”, mai!

A Joseph Ratzinger, Benedetto XVI, va il nostro ringraziamento per la sua dedizione alla Chiesa e la nostra Preghiera.


AGGIORNAMENTO 14 aprile 2022 da Aldo Maria Valli:

Alcuni fra i canonisti che hanno studiato il testo della rinuncia di Benedetto XVI sottolineano che il papa distingue tra il munus (potremmo dire l’essere papa) e il ministerium (il fare il papa). Non voglio entrare in questa distinzione, rispetto alla quale, del resto, nemmeno gli esperti concordano. Osservo che, in ogni caso, Benedetto XVI ha sempre detto di aver rinunciato al pontificato ed ha egli stesso invitato a convocare un conclave per eleggere il successore. Non vedo margini per poter parlare di vizio di volontà, senza contare che Ratzinger dopo la rinuncia ha sempre riconosciuto Bergoglio come legittimo papa regnante. Tutto ciò non toglie che si debba indagare sul ruolo avuto dalla cosiddetta Mafia di San Gallo nel mettere oggettivamente in difficoltà Benedetto XVI, fino a porre le condizioni per la rinuncia.

AGGIORNAMENTO 8 aprile 2022

A quasi 95 anni, il segretario di Benedetto XVI lo dice in buona salute da Aleteia

Il Papa emerito compirà 95 anni il prossimo 16 aprile, Sabato Santo. Il segretario particolare, mons. Gänswein, parla del suo stato di salute.

Il Papa emerito è «fisicamente debole, ma il suo spirito funziona ancora perfettamente bene», assicura il suo segretario particolare, l’arcivescovo tedesco Georg Gänswein, in un’intervista al settimanale italiano Oggi pubblicato il 7 aprile 2022. Benedetto XVI compirà 95 anni il 16 aprile, data che quest’anno cade di sabato santo. 

Il segretario del Papa emerito spiega, nella conversazione con il popolare settimanale, che Benedetto XVI continua a vivere secondo il proprio ritmo «metodico», anche se «i suoi movimenti sono lenti» e «deve riposarsi di più». La concelebrazione della messa alle 7:30 apre ogni giornata del Papa emerito; poi lo stesso si prende regolarmente del tempo per ascoltare della musica stando seduto in poltrona. Il segretario precisa che Benedetto XVI ha «anche ripreso la sua abituale passeggiata nei giardini vaticani». 

Mons. Gänswein torna anche, durante l’intervista, sulla confusione attorno al documento pubblicato nel gennaio scorso attorno alla gestione degli abusi sessuali nella diocesi di München-Freising, della quale Joseph Ratzinger era stato arcivescovo dal 1977 al 1982. Un errore commesso dai redattori del testo che doveva difendere il Papa emerito aveva suscitato scalpore in Germania. Avevano infatti menzionato l’assenza del cardinal Ratzinger nel corso di una riunione tenutasi nel 1980 a proposito di un prete che doveva sottoporsi a una terapia in seguito a conclamati reati di pedofilia, mentre invece era presente. 

«Dopo una verifica minuziosa, l’errore è stato corretto e la sua presenza confermata», assicura mons. Gänswein. Egli constata però che questo dibattito «si è trasformato in un attacco contro il Papa emerito, considerato da alcuni un bugiardo», cosa che gli ha causato grandi «sofferenze». Il Segretario se ne rattrista: 

Nel mondo tedesco c’è una corrente di pensiero che cerca di attaccare il pontificato e l’opera teologica di Ratzinger, e anche di ferirne la persona. 

Archbishop Georg Gänswein

Leggi anche:Mons. Gänswein: «Benedetto XVI è un “ostacolo” per il Synodaler Weg» 

Papa Francesco si recherà a trovare Benedetto XVI per il suo compleanno 

Mons. Gänswein torna anche sulle relazioni tra il Papa emerito e papa Francesco, qualificando di accusa «offensiva e ridicola» l’idea che il monastero Mater Ecclesiæ, suo luogo di residenza dal maggio 2013, serva ad accogliere «pellegrinaggi di anti-bergogliani»: 

La polemica è stata montata ad arte da quanti hanno interesse, anche nella Chiesa, a creare contrasti. 

Il Segretario anticipa anzi che è prevista una visita di papa Francesco al predecessore, proprio in occasione del suo compleanno. 

Il Papa emerito non è più uscito dal Vaticano dal suo viaggio in Germania, dal 18 al 22 giugno 2020, durante il quale si era recato al capezzale del fratello Georg, allora ospedalizzato e che sarebbe deceduto il 1º luglio successivo. Benedetto XVI ne era rientrato molto affaticato, e nell’estate 2020 aveva sofferto anche del “fuoco di sant’Antonio”. 

Il suo stato di salute aveva allora ispirato una certa inquietudine, ma poi il Pontefice emerito si è ristabilito e ha ricominciato a ricevere visite. Il 28 novembre 2020, in particolare, aveva ricevuto i nuovi cardinali presenti a Roma per il concistoro convocato da papa Francesco. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 


La lettera del Papa – che si firma EMERITO – per il monaco cistercense deceduto in Austria che era stato con lui docente all’Università di Ratisbona. «Tra tutti i miei colleghi e amici, lui era il più vicino a me»
20 ottobre 2021

La lettera è su carta intestata. E in alto si legge: «Benedictus XVI. Papa emeritus».
È indirizzata a Reinhold Dessl, abate dell’abbazia cistercense di Wilhering in Austria, nella diocesi di Linz. Nel testo dattiloscritto il Pontefice emerito ricorda con parole toccanti il collega professore di Ratisbona, Gerhard Winkler, anche lui monaco cistercense, deceduto nelle scorse settimane all’età di 91 anni. La «notizia della morte mi ha profondamente colpito. Tra tutti i miei colleghi e amici, lui era il più vicino a me», scrive Ratzinger che di anni ne ha 94.
Quindi aggiunge: «La sua allegria e la sua profonda fede mi hanno sempre attratto. Ora ha raggiunto l’aldilà, dove certamente molti amici lo aspettano».
Poi la frase che ha avuto una grande eco sulla stampa di lingua tedesca che ha reso noto la missiva: «Spero di potermi unire presto a loro».
Infine il saluto: «Sono legato a lui e alla comunità monastica di Wilhering in preghiera».
E in coda la firma di Benedetto XVI.
Gerhard Winkler era stato dal 1983 al 1999 professore di storia della Chiesa all’Università di Salisburgo, mentre in precedenza, dal 1974, aveva insegnato all’Università di Ratisbona, proprio negli anni in cui Ratzinger era docente di dogmatica e di storia dei dogmi nello stesso ateneo di cui il futuro Pontefice sarebbe stato anche vice-preside.


Un altra Lettera ufficiale per un messaggio personale dal “Papa monaco” al “Popolo Summorum”, vedi qui, la carta è intestata anche qui: «Benedictus XVI. Papa emeritus» e firmata col nome da papa…


Note sulla corrispondenza il Card. Brandmüller e Benedetto XVI SULLA SCELTA DELL’EMERITO

LA DISPUSTA SI SPOSTA NON PIU’ SULLA RINUNCIA – che è valida – MA SULLA SCELTA DI BENEDETTO XVI NELL’USO DELL’EMERITO… una situazione creata da Paolo VI per i Vescovi diocesani, ma non valida per il Vescovo di Roma, per ovvie ragioni… l’uso del termine Emerito, per un papa, è ciò che ha scatenato dubbi e perplessità sulla validità della Rinuncia. Se un Papa, ritirandosi, resta emerito come i Vescovi diocesani, genera confusioni, come spiegato dal cardinale Brandmuller e non è accettabile. Lo si spiega bene in questo articolo del 2017. Qui la fonte originale.

Nel bel mezzo di una delle tempeste più violente che stanno travolgendo l’attuale situazione ecclesiale, in maniera chiaramente non fortuita, sono apparse sulla stampa due lettere che Benedetto XVI ha scritto al Card. Brandmüller nel novembre 2017 e la cui autenticità sembra essere fuori discussione, dal momento che sono state pubblicate dallo stesso cardinale..
Alcuni dei nostri lettori ci hanno chiesto un commento che non si limitasse alla superficie – o al dibattito ideologico cui abbiamo assistito -, ma che analizzasse il messaggio che Papa Benedetto, come più volte lo ha chiamato anche Francesco, ha lanciato e rilanciato specialmente in merito alla nozione di “Papa emerito” (non ancora chiarita) ed alle circostanze delle rinuncia cui si fa allusione con un parallelo sconcertante (la prigionia nazista, eventualmente prevista da Pio XII). Della questione in generale ci occupammo nel giugno 2016 (Che tipo di “dimissioni” sono quelle di Benedetto XVI?), articolo cui rinviamo e che sembra trovare conferme in queste rivelazioni del 2017, in cui tornano i riferimenti a titoli che un rinunciatario al Papato non dovrebbe più avere e a un potere che non potrebbe più esercitare.
Nella lettera del 9 novembre 2017, rispondendo ad una critica del Card. Brandmüller sul fatto che “la costruzione di Papa emerito [è] una figura che non esiste nella totalità della storia della Chiesa”, Papa Benedetto non nega trattarsi di una novità, ma quasi si interroga lui stesso e quasi chiede anche l’avviso dell’interlocutore, noto storico della Chiesa. Fa poi un parallelo – appunto assai inquietante – con Pio XII e la sua previsione della prigionia da parte dei nazisti. Papa Pacelli previde infatti un suo ritorno al cardinalato non appena fosse stato fatto prigioniero.

A questo punto Papa Ratzinger scrive: “Se questo semplice ritorno al Cardinalato sarebbe stato possibile, non lo sappiamo”. In questo passaggio a nostro avviso non si sta parlando di una impossibilità metafisica – chiunque sappia un po’ di teologia o di storia della Chiesa sa che ciò è possibile -, ma sembra quasi che Papa Ratzinger stia dicendo che colui che rinuncia al Sommo Pontificato potrebbe non avere poi nessun potere sul ruolo e sull’eventuale giurisdizione che il rinunciatario può attribuire a se stesso. “Rinominare” al cardinalato potrebbe spettare in effetti solo al successore. E ci sembra che il dubbio teologico-canonico invocato verta proprio su questa eventuale “competenza esclusiva” del successore sul Cardinalato del predecessore.

Ma Papa Ratzinger va oltre e – nel passaggio successivo della citata lettera – fuga ogni dubbio sul fatto che egli sia “ridiventato” solo un Cardinale: “Nel mio caso, sicuramente non avrebbe avuto senso semplicemente reclamare un ritorno al Cardinalato”. Viene addotta una ragione mediatica che, di per sé, non sembra molto cogente; forse le ragioni profonde dell’impossibilità del semplice ritorno al Cardinalato sono infatti anche altrove. O forse si paventavano devastanti campagne mediatiche.
Egli aggiunge quindi una frase la cui interpretazione non è scontata: “con il Papa Emerito ho cercato di creare una situazione in cui sono assolutamente inaccessibile ai media e in cui è del tutto chiaro che esiste un solo Papa”. Anche se, di fatto, due persone distinte sembrano portare in parte lo stesso titolo e gli stessi simboli.

Una riflessione s’impone a questo punto, sulla quale torneremo alla fine dell’articolo. Ovvero se Benedetto XVI di sicuro non è tornato ad essere un Cardinale e se la rinuncia al munus è “piena”, vuol dire che Egli è ora soltanto un Vescovo, tra l’altro privo di giurisdizione sia su un gregge determinato che su qualsiasi altro determinato battezzato. Ma così sembra non essere, come vedremo in conclusione.
E’ poi stata resa nota la lettera del 23 novembre 2017.
Facciamo notare che vengono pubblicate solo le lettere di cui Benedetto è autore, mentre possiamo solo fare deduzioni in merito ai testi del Card. Brandmüller, il quale tra l’altro a detta del destinatario sembra essersi impegnato a non tornare sull’argomento. Appare quindi non impossibile pensare che l’autore della divulgazione degli scritti non sia Sua Eminenza, come forse troppo rapidamente sostenuto.

Un capitolo a parte sono i riferimenti ad una “fine del mio pontificato”, in un contesto che quasi sembra prolungarlo in certo modo fino ad oggi, e ad un giudizio – dato nel 2017 – del “mio pontificato nel suo insieme”. I toni sembrano essere quelli di chi, sinceramente afflitto per l’attuale situazione ecclesiale, eserciti tuttavia un ruolo che non è solo quello – niente affatto giurisdizionale – della preghiera. Segue poi nel testo il riferimento (esplicito, documentato e con tanto di editore, luogo e data di pubblicazione) ad un libro in parte già noto, ma che dopo tale divulgazione sarà destinato a più ampia circolazione.
Si tratta di “La rinuncia” di Fabrizio Grasso [1], un testo che viene evocato in apparenza principalmente in relazione alla situazione di “agitazione” ecclesiale creatasi, ma che ha una tesi di fondo che non può qui esser taciuta. Qual è infatti la tesi di fondo di tale libro che Papa Benedetto ha definito a tal proposito “emblematico”?
Secondo le parole del suo autore: “la tesi [del libro] è che essendoci di fatto due Papi il ministero si è o allargato o diviso, quindi l’autorità e la potestà si sono moltiplicate o divise, ma sia nel caso che queste si siano moltiplicate o divise c’è in atto, e lo vediamo tutti i giorni, lo vediamo nei giornali, un dispositivo politico che fa sì che Benedetto e Francesco vengono percepiti come amico o nemico, a seconda delle sensibilità di chi guarda e di chi legge i gesti dei due Papi e le dichiarazioni dei due Papi, questo significa che essendoci due Papi, ed essendosi smembrata l’autorità e la potestà che era primazia di un solo Pontefice la rappresentazione di Gesù Cristo come soggetto politico come soggetto storico viene meno, perché non sappiamo più a chi fare riferimento per questa potestà e per questo potere” (abbiamo conservato lo stile orale della dichiarazione) [2].

Precisiamo che l’autore del libro “emblematico” Fabrizio Grasso, sottolinea anche altrove che parlando di “due Papi” si riferisce principalmente all’agitata situazione politica che si è creata “de facto” e non necessariamente “de iure”. Le sue affermazioni ed altri passaggi della sua tesi possono essere condivisi solo parzialmente, ma non sono necessariamente in contraddizione con quanto affermato da Papa Ratzinger ovvero sulla possibilità di un solo Papa; rinviano piuttosto alla domanda centrale ovvero che, se de facto si è creata una confusione quasi ci fossero due Papi, è perché de iure è avvenuto qualcosa di assai singolare, come in fondo rilevava anche Brandmüller.

Papa Ratzinger prosegue e, dopo un’ammonizione a non valutare frettolosamente e superficialmente l’insieme del Suo Pontificato a causa della triste situazione della Chiesa oggi, sembra anche alludere – intelligenti pauca – a quanto già disse mons. Gänswein a proposito del “Pontificato d’eccezione”, il che sembra rimandare ad una situazione straordinaria per la Chiesa sotto molti aspetti, non ultimo quello della potestas e del suo esercizio.

La chiusa di questa seconda lettera va letta attentamente con tutto ciò che essa implica:
“Con la mia Benedizione apostolica sono
Tuo
Benedetto XVI”.

Ora come noto la Benedizione Apostolica è qualcosa di ben documentato nella storia e nella prassi della Chiesa, che ha istituito un’Elemosineria che dell’impartizione di essa si occupa su mandato giurisdizionale del Papa, che viene demandata dal solo Sommo Pontefice a Vescovi e sacerdoti per circostanze straordinarie, ma chiunque ne sia l’ultimo ed immediato dispensatore materiale non è che uno strumento del potere pontificio a lui stabilmente o transitoriamente trasmesso [3].
Benedizione Apostolica è quindi sinonimo di Benedizione Papale e può essere impartita solo dal Sommo Pontefice sui suoi soggetti sui quali esercita la giurisdizione conferitagli da Cristo. Colui che è stato Papa, ma che sarebbe tornato ad essere un semplice Vescovo e che, per sua stessa ammissione, non è nemmeno ridiventato Cardinale, non solo di norma non benedice un Cardinale che è un suo Superiore quanto al potere della giurisdizione, ma di sicuro non impartisce la Benedizione Apostolica.
Facciamo poi notare l’importanza dell’aggettivo “mia”: non si tratta infatti di una semplice Benedizione Apostolica che – su delega papale – un prelato può impartire, ma si tratta della “mia Benedizione Apostolica” (la quale di per sé comporta anche ordinariamente l’indulgenza plenaria). Ed è in sé un esercizio di giurisdizione, giurisdizione personale di chi la sta impartendo. Altrimenti non si può dire “mia”, ma solo “apostolica” o “papale”.

Gli elementi su cui ragionare non scarseggiano, inclusa la visita sistematica dei Cardinali novelli a Sua Santità Benedetto XVI. Ma a prescindere dalla possibilità teologica e canonica di alcune eventualità di condivisione del potere papale, già invocate nel discorso di Mons. Ganswein sul “ministero allargato” e dalla possibilità della distinzione tra “munus” e “ministerium” (cfr. Che tipo di “dimissioni” sono quelle diBenedetto XVI?), questa lettera fa emergere una domanda : quale potere giurisdizionale del Beato Apostolo Pietro bisogna aver trattenuto per sé perché una Benedizione sia al contempo propria (“mia”) e soprattutto “Apostolica”?

NOTE

1 – F. Grasso, La Rinuncia. Dio è stato sconfitto?, Catania 2017.
2 – Presentazione del libro di Fabrizio Grasso “La rinuncia. Dio è stato sconfitto?” (Algra Editore), 5 settembre 2017, http://www.radioradicale.it/scheda/518241/presentazione-del-ibro-di-fabrizio-grasso-la-rinuncia-dio-e-stato-sconfitto-algra.
3 – Cfr. Paenitentiaria Apostolica, Enchiridion indulgentiarum, Roma 1999, normae 7 e 18; concessiones 4 e 12; CIC (1917), can 468, § 2; CIC (1983), can. 530, § 3; Rituale Romanum, Roma 1952, Tit. VI, Cap. VI, p. 230 e ss.


La rinuncia al Pontificato di Benedetto XVI, per dirimere ogni dubbio

Con questo breve articolo, voglio soffermarmi maggiormente su quello che è un tema ancora largamente dibattuto e che ho potuto approfondire in vari studi che ho fatto in questi anni. La rinuncia al pontificato, che ritengo essere un argomento ancora non del tutto esplorato.
Sappiamo tutti quanta confusione e con quanta supponenza oggi certi personaggi scrivano il falso, magari in buona fede, sulla rinuncia di papa Benedetto. Non voglio entrare nel merito del perché, tali personaggi si spingano ad ipotizzare fantasiose ricostruzioni degne solo delle pagine di Dan Brown, ma piuttosto, da studioso dei canoni mi limiterò ad analizzare da un punto di vista strettamente canonistico la liceità e la validità della rinuncia al pontificato di papa Benedetto.

L’attuale legislazione sulla rinuncia
Il Codice di diritto canonico, al canone 332 paragrafo 2 [1] dice che per la validità della rinuncia è richiesta la plena libertate e che questa sia debitamente manifestata, per debitamente manifestata dobbiamo rifarci al canone 189 paragrafo 1 che dice: “La rinuncia, perché abbia valore, sia che necessiti di accettazione o no, deve essere fatta all’autorità alla quale appartiene la provvisione dell’ufficio di cui si tratta, e precisamente per iscritto oppure oralmente di fronte a due testimoni”.

La rinuncia di Benedetto XVI, resa pubblica l’11 febbraio 2013 ha assolutamente soddisfatto queste due condizioni. È stata fatta nel contesto di un Concistoro Ordinario pubblico (c’erano più di due testimoni quindi); tuttavia qualcuno potrebbe fare un’obiezione dicendo che la piena libertà consta della sfera personale di un individuo, ovvero riguarda il più intimo rapporto dell’uomo con Dio. In altre parole, nessuno può sapere con assoluta certezza se Benedetto XVI abbia rinunciato liberamente.

Al diritto canonico non interessa indagare nei meandri più personali dell’uomo, al diritto canonico interessa ciò che è possibile provare, ciò che attiene al piano razionale. Fare congetture è sempre rischioso e poco professionale, in qualsiasi ambito e si rischia di non giungere alla verità.

Rationabiliter la rinuncia di papa Benedetto è validissima, poiché egli con un atto personale di volontà, in questo caso verbalmente e per iscritto, ha dichiarato di voler liberamente rinunciare, e dato che nessuna autorità deve accettarla, quest’ultima diventa esecutiva dal momento stesso in cui viene pronunciata (nel caso di Celestino V) o da una data prestabilita (come nel caso di Benedetto) 17 giorni dopo. Non solo, ma Benedetto XVI si è spinto oltre, ha dato una spiegazione per “giustificare” il suo atto: “per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato” [2]. Dunque tutte le condizioni sono state soddisfatte e ampiamente.

Munus, ministerium, a cosa ha rinunciato Ratzinger?
Altro mito da sfatare, è la polemica, senza senso, di alcuni che asseriscono che Benedetto XVI abbia volutamente rinunciato al ministerium e non al munus, in altre parole avrebbe rinunciato a fare il papa e non all’essere papa.
Questa distinzione che non risulta applicabile per la figura del Romano Pontefice trova invece accoglimento in Lumen gentium, laddove distingue tra munus ed esercizio della potestas in materia di ufficio episcopale. Questa distinzione nell’ufficio episcopale si fonda sulla duplicità della trasmissione del potere: sacramentale, quanto all’ordine sacro e alla consacrazione episcopale che su quello si fonda (munus); e giuridica, quanto al conferimento della missione canonica e la conseguente libertà nel suo esercizio (ministerium – potestas).

In forza della suddetta distinzione tra potestas ordinis e potestas iurisdictionis, si ammette la figura del vescovo emerito, il quale, perduta la potestas iurisdictionis conserva il munus episcopale che era stato trasmesso per via sacramentale, non più libero tuttavia nell’esercizio dopo l’avvenuta rinuncia. Volendo semplificare il tutto, pensiamo a un padre che, raggiunti gli ottant’anni non ha più la forza per fare il padre, quindi per occuparsi fattivamente dei figli, pur non occupandosene più rimane comunque padre, il suo essere padre non viene meno per il solo fatto di non esercitarne più il ruolo.

Possiamo dire quindi che la ratio che ha motivato la previsione legale del canone 185 [3] del vigente Codice, che istituisce la figura dell’emeritato per chiunque abbia ricoperto nella Chiesa un ufficio, e poi “per raggiunti limiti d’età o per rinuncia accettata lo lascia”, la definirei “affettiva o paternalistica”, poiché non si vuol “cancellare” o dimenticare quella parte di vita spesa in quel determinato servizio e che al quale, in qualche maniera, vi si rimane legati seppur nominalmente, anche se privi del munus regiminis a quell’ufficio connesso. In ultimo, non è possibile dunque, nella figura del Romano Pontefice, distinguere il munus dal ministerium.

Dalla rinuncia al Papa emerito
La assoluta novità introdotta da Benedetto XVI è proprio il titolo e lo status da lui creati. Il titolo di papa emerito infatti, non ha precedenti nella bimillenaria storia della Chiesa. Benedetto XVI ha autonomamente deciso e coniato il nuovo titolo e il susseguente status di papa emerito.
Come è solito di Ratzinger, egli stesso ci ha detto il perché di questa scelta, e lo fa in una missiva indirizzata al Cardinale Brandmüller, nella quale si legge: “con il papa emerito ho cercato di creare una situazione nella quale io fossi per i media assolutamente inaccessibile e nella quale fosse pienamente chiaro che c’è un solo papa”.

Il titolo di emerito è frutto dell’assise conciliare, con il Motu Proprio Ecclesiae Sanctae, Paolo VI stabiliva che i vescovi diocesani ed equiparati al compimento dei 75 anni di età dovessero presentare la rinuncia al governo pastorale e una volta accettata, questi avrebbero mantenuto lo stesso titolo seguito dalla parola emerito.
Come avevo già accennato prima per la questione del munus, anche con il titolo di emerito, si è inteso tutelare il legame che continua a sussistere sul piano spirituale, giuridico e affettivo tra il vescovo e la sua sede dopo la rinuncia. Su questa base, molti e sicuramente più autorevoli canonisti, avevano proposto di attribuire a Ratzinger il titolo di vescovo emerito di Roma, già papa o addirittura di un suo ritorno nel gremio del collegio cardinalizio, tuttavia mi chiedo se questa equiparazione sul piano strettamente giuridico non rischi di estendersi anche a una equiparazione sul piano ideologico, pensando il Romano Pontefice come un qualsiasi vescovo diocesano. Sul piano sacramentale non muoviamo dubbio alcuno, ma da un punto di vista giuridico e canonico così non è. Dal momento della valida elezione e dell’accettazione, l’eletto al soglio pontificio abbandona ipso facto il collegio cardinalizio e il suo status, per assumerne uno nuovo che lo pone in maniera nuova e specialissima in un ufficio primaziale.

Quindi nel momento della rinuncia, il papa come qualsiasi altro vescovo assume il titolo di emerito, ma non di vescovo emerito, proprio per il rischio che questo possa non essere del tutto esaustivo della portata dell’ufficio da lui precedentemente assunto, bensì quello di papa emerito, più adatto a trasmettere al popolo di Dio la portata e la “cattolicità” del ministero petrino. In questo modo è chiaro che vi è un solo papa, (il regnante) ma risulta anche chiaro che il ministero petrino non può essere ad tempus, scriveva Ratzinger: “Il “sempre” è anche un “per sempre” – non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo”.

Se c’è un esercizio attivo vi è anche un esercizio passivo, che, slegato dalla potestas iurisdictionis rimane esclusivamente quello che il professore Valerio Gigliotti chiama il munus mysticum, ovverosia: “Quod ad me attinet etiam in futuro vita orationi dedicata Sanctae Ecclesiae Dei toto ex corde servire velim”. Per quanto mi riguarda, anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio [4].

Mi piace concludere con una conversazione tratta da “l’avventura di un povero cristiano di Ignazio Silone” [5]:

– Il Santo padre dunque ci abbandona. Com’è possibile? Non è una fuga? [chiede un chierico ai confratelli lì riuniti],
– No figlio mio, non è una fuga, è un atto di coraggio, un gesto di lealtà verso se stesso e verso gli altri [rispose fra Ludovico],
– Non è mai accaduto nulla di simile [replicò un altro chierico],
– Non è del tutto esatto. [gli replicò fra Ludovico] Nella storia della Chiesa la parola mai è fuori luogo. Tutto l’umanamente accadibile, vi è già accaduto. Il solo fatto sovrumano è che essa esista ancora.

Note
[1] Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti.
[2] Declaratio consultabile al sito: https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2013/february/documents/hf_ben-xvi_spe_20130211_declaratio.html
[3] A colui, che perde l’ufficio per raggiunti limiti d’età o per rinuncia accettata, può essere conferito il titolo di emerito.
[4] Declaratio consultabile al sito: https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2013/february/documents/hf_ben-xvi_spe_20130211_declaratio.html
[5] Ignazio Silone, L’avventura di un povero cristiano, Mondadori, 1968, pp. 172-173.

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”
(S. Giovanni Paolo II)

(Fonte: https://www.voxcanonica.com/2021/12/06/la-rinuncia-al-pontificato-di-benedetto-xvi-per-dirimere-ogni-dubbio/ )


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Il 5 febbraio del 2016 l’ arcivescovo Georg Gänswein ha presentato il libro di Marco Mancini: “ Benedetto XVI un Papa totale”.

Ecco come il suo segretario personale ha tracciato le line guida del pontificato e della vita del Papa emerito.

Primo filo conduttore: L’evangelico servizio petrino

Il pontificato di Benedetto XVI è stato in primo luogo contrassegnato dalla sua vigorosa e ferma richiesta di adoperarsi affinché al centro della vita della Chiesa tornasse ad esserci una realtà della quale solo la Chiesa conserva l’identità: la parola di Dio!

 Essa di certo non risiede semplicemente in un passato lontano, in un mero ricordo storico; piuttosto la Parola parla al e nel nostro presente e ci sollecita nel vissuto personale e quotidiano.

Benedetto XVI si è dedicato alla parola di Dio con la coscienza che, come ha detto poco dopo la sua elezione, egli non si proponeva alcun programma di governo, per lo meno non così come lo si intende comunemente; piuttosto egli ha dichiarato inequivocabilmente: “Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia” (Benedetto XVI, Omelia della Santa Messa per l’inizio del ministero petrino del Vescovo di Roma, 24 aprile 2005).

Poiché Benedetto ha visto come compito primario del suo ministero quello di vincolare l’intera Chiesa alla parola di Dio e di garantirne l’obbedienza ad essa, egli era anche cosciente del fatto che il suo primo dovere consisteva nel vivere lui stesso nell’obbedienza esemplare. E poiché ha amato così tanto la Sacra Scrittura e ha guidato gli uomini con l’annuncio e la predicazione alla conoscenza del Vangelo, il suo servizio petrino avrebbe dovuto essere caratterizzato come un pontificato in tutto e per tutto evangelico. Per questo motivo, nell’ ultima udienza generale, con la quale si è congedato come vescovo di Roma, Benedetto ha potuto confessare con franchezza, di essere stato accompagnato sempre nel suo ministero di successore di Pietro dalla solida coscienza “che la Chiesa crea la sua vita a partire dalla parola di Dio” (Benedetto XVI, Discorso all’Udienza generale del 27 febbraio 2013).

Papa Benedetto ha inteso e concepito il suo pontificato secondo il significato che ad esso attribuiva Sant’Ignazio di Antiochia, il quale nella sua Lettera ai Romani (circa nell’anno 110), ha indicato e vissuto la Chiesa di Roma come colei che ha la “presidenza nell’amore”, e questo nella convinzione che la presidenza nella fede e nella sua dottrina deve essere anche e soprattutto presidenza nell’amore. Perché una fede senza amore non sarebbe fede nel Dio biblico; la dottrina della Chiesa raggiunge i cuori degli uomini solo se conduce all’amore.

Riluce qui il motivo più profondo, per cui nel pensiero e nell’operare di Benedetto XVI verità e amore non sono termini in contraddizione; piuttosto si esigono e alimentano vicendevolmente, poiché la verità senza l’amore può diventare brutale e l’amore senza verità può diventare banale. Papa Benedetto ha, per questo, riassunto nella loro unità inscindibile la verità della fede nell’amore di Dio per l’uomo e nell’amore dell’uomo verso Dio e verso i suoi fratelli, ponendo tutto il suo pontificato al servizio dell’annuncio di questa fede. Poiché egli ha guidato la Chiesa principalmente attraverso la sua dottrina, del suo pontificato in futuro, come eredità, resterà senz’altro il suo magistero, che ha esercitato non solo con le sue tre encicliche – Deus caritas estSpe salviCaritas in veritate -, ma anche nel corso delle udienze generali con le sue profonde catechesi sugli apostoli e soprattutto su San Paolo, sui Padri della Chiesa e sui grandi teologi e le grandi teologhe nella storia della Chiesa, sul sacerdozio, sulla preghiera e sulla fede.

Secondo filo conduttore: Il servizio alla verità, alla ragione e alla bellezza della fede

Papa Benedetto, nel suo ricco magistero, non ha mai perso di vista la fede dei semplici. Egli era piuttosto convinto che la verità della fede si manifesta in ultima analisi ai semplici e ai cuori umili e può essere colta solo con gli occhi della fede, come lui stesso ha detto nel suo messaggio “Urbi et Orbi” del Natale 2010: “Se la verità fosse solo una formula matematica, in un certo senso si imporrebbe da sé. Se invece la Verità è Amore, domanda la fede, il ‘sì’ del nostro cuore” (Benedetto XVI, Messaggio “Urbi et Orbi”, 25 dicembre 2010).

Per poter essere e rimanere una fede umana, la fede cristiana deve quindi cercare continuamente il dialogo con la ragione umana. Il dialogo tra fede e ragione è stato particolarmente a cuore a Benedetto XVI, poiché egli era profondamente convinto che esse dipendano l’una dall’altra e solo nel dialogo reciproco possono essere superate le patologie della ragione e possono essere evitate le malattie della fede. Perché senza la fede la ragione minaccia di diventare unilaterale e unidimensionale; e senza la ragione la fede minaccia di nascondere la sua verità e di diventare fondamentalista. Questi temi sono stati continuamente chiamati in causa anche nel corso dei suoi oltre venti viaggi apostolici all’estero e in Italia, e soprattutto negli incontri con il mondo della cultura, della scienza e della politica. Così facendo egli ha offerto spunti essenziali per una riflessione profonda sulla fede e sulla sua forza illuminante per la convivenza tra gli uomini.

Con la convinzione che la domanda di Dio è di fondamentale significato per le questioni che attengono al futuro dell’umanità. Con la sua fondamentale omiletica, Papa Benedetto ha inteso contribuire a tenere viva la questione di Dio nelle società moderne.

Il dialogo tra fede e ragione per Benedetto XVI è stato essenziale soprattutto perché Dio stesso è logos e l’intera creazione è testimone di quella ragione. Il logos non è solo una ragione matematica, ma ha anche un cuore ed è amore. Da ciò Papa Ratzinger ha tratto la seguente conclusione: “La verità è bella, verità e bellezza vanno insieme: la bellezza è il sigillo della verità” (Benedetto XVI, Discorso per la chiusura degli Esercizi Spirituali della Curia Romana, 23 febbraio 2013).

È stata davvero un’esigenza del cuore di Benedetto XVI la coltivazione del dialogo con l’arte, in quanto mondo della bellezza, ma anche e soprattutto egli si è adoperato per portare alla luce la bellezza della fede stessa, per far sì che della fede non si parlasse soltanto, ma che essa soprattutto venisse celebrata.

Terzo filo conduttore: Riforma silenziosa dal centro della fede

Da quanto detto si capisce il valore fondamentale che ha avuto la liturgia non solo nel suo servizio petrino, ma soprattutto nel pensiero di questo fine teologo, come egli stesso ha riconosciuto: “Così come ho imparato ad intendere il Nuovo Testamento come l’anima della teologia, così ho colto la liturgia come il suo motivo di vita, senza la quale quella inaridisce.” (Joseph Ratzinger, La mia vita, Milano 1997, 64).

Papa Benedetto si è impegnato soprattutto perché la liturgia fosse celebrata nella sua bellezza, poiché essa è celebrazione della presenza e dell’opera del Dio vivente e perché essa vuole condurci cioè al e nel mistero di Dio. Questo vale in particolare per la celebrazione dell’Eucaristia, che per Benedetto è il gesto di adorazione più elementare e grande della Chiesa e che scaturisce continuamente da essa. Per questo motivo la Messa non è semplicemente un accadere isolato nella Chiesa: la Chiesa è nella sua essenza celebrazione eucaristica e vive nella comunione dell’Eucaristia.

Agli occhi di Papa Benedetto è dalla liturgia che deve derivare ogni riforma della Chiesa, perché solo essa può essere un rinnovamento della fede che parte dal centro, perché nel suo senso originario la riforma è un processo spirituale strettamente imparentato con la conversione. In considerazione di ciò va inteso in tutta la sua drammaticità il fatto che proprio un Papa per il quale non ha ponderato l’apparenza esteriore, quanto l’essere interiore della Chiesa e il suo rinnovamento, si sia dovuto occupare nel corso del suo pontificato di così tanti problemi emersi a livello d’opinione pubblica, come Vatileaks, fino alla particolarmente dolorosa piaga della pedofilia esplosa proprio nell’anno sacerdotale. Tutto ciò possiamo però leggerlo in chiave provvidenziale se consideriamo che solo un Papa cui interessi il rinnovamento interiore della Chiesa e che sia a conoscenza anche dell’abisso del peccato e del male presente nella Chiesa stessa può essere in grado di rimuovere da essa così tanta sporcizia.

Papa Benedetto ha usato e consumato molta energia al servizio di questa, per così dire, silenziosa riforma della Chiesa. Con grande sensibilità, egli ha preso in considerazione la situazione critica della fede soprattutto, ma non solo, in Europa, e così facendo si è convinto che la riforma della Chiesa deve iniziare con un rinnovamento della fede che parta dal suo nucleo centrale. Per lui la promozione di una nuova evangelizzazione nelle società moderne ha rappresentato un suo desiderio fondamentale e facendola propria egli ha anche accolto una delle richieste decisive del Concilio Vaticano II, a cui come teologo ha partecipato ed alla cui stesura dei testi ha collaborato e che gli è servito come permanente cornice di riferimento del suo magistero. Benedetto XVI è stato un Papa coerentemente legato al Concilio Vaticano Secondo. È uno dei suoi grandi meriti, dunque anche parte dell’eredità del suo pontificato, il fatto che egli si sia occupato intensamente dell’interpretazione autentica del Concilio e della sua ricezione nella Chiesa, che l’abbia difesa dalle molteplici messe in discussione e, in risposta a quelle correnti di parte progressista e tradizionalista che nel Concilio Vaticano II salutano o lamentano una rottura con la tradizione, abbia sostenuto il concetto dell’ermeneutica della riforma nella continuità.

Quarto filo conduttore: Dialogo al servizio della Pace

Con fedeltà indefettibile al Concilio, Papa Benedetto ha posto l’accento su quei temi che in maniera particolare hanno a che fare con il dialogo della Chiesa con il mondo moderno, cioè il dovere ecumenico, il dialogo interreligioso e la libertà religiosa. A Papa Benedetto è stato particolarmente a cuore il dialogo ecumenico. Sebbene dopo quasi cinquant’anni il movimento ecumenico nella Chiesa cattolica non avesse potuto raggiungere l’unità visibile dei cristiani, e piuttosto quell’obiettivo nel frattempo fosse diventato sempre meno chiaro e oggi l’ecumenismo si trovi in una situazione tutt’altro che facile, Benedetto XVI si è mantenuto fermo sul dovere ecumenico della Chiesa cattolica e ha curato in particolare il dialogo dell’amore. Ha dedicato tanto tempo ad incontri con rappresentanti di altre Chiese e comunità ecclesiali, incontri che sono stati continuamente ideati, promossi e cercati, realizzando già in questo modo un primato ecumenico.

Anche dopo la sua rinuncia al pontificato, la maggior parte delle voci del mondo religioso, nella grande ecumene dell’orbe, ha espresso il proprio loro apprezzamento ed il proprio ringraziamento per la sua apertura e ha sottolineato soprattutto il chiaro e limpido messaggio del suo magistero.

Oltre all’ecumenismo, Benedetto ha promosso anche il dialogo interreligioso. Questo ha trovato un particolare significato nell’incontro di Assisi nell’ottobre 2011, dove egli ha voluto convocare le Chiese cristiane, le altre religioni e anche gli agnostici, per sensibilizzare tutti all’impegno per la ricerca sempre nuova di pace nel mondo ed insieme alla testimonianza pubblica che la sorella gemella della religione è la pace e invece non può essere in alcun modo la violenza.

Gettando uno sguardo retrospettivo, ha il suo bel significato anche il fatto che l’ultimo viaggio apostolico del suo pontificato lo abbia condotto in Libano, dunque in Medio Oriente, dove egli ha portato speranza a uomini che soffrono a causa di violenza e terrore e si è adoperato per la pace in quella regione duramente provata.

Per quanto riguarda l’intenso impegno di Papa Benedetto per il rispetto della libertà religiosa, occorre ricordare un’iniziativa che purtroppo non ha trovato molta risonanza, ma che rappresenta una bella testimonianza della sua preoccupazione di pastore. Penso alla poderosa lettera ai cattolici nella Repubblica Popolare della Cina, da lui scritta già nel corso del suo terzo anno di pontificato, con la quale ha espresso la sua preoccupazione per la Chiesa in quel grande paese. Questo esempio mostra quanto Papa Benedetto, che pure si è definito volentieri Vescovo di Roma e come tale ha operato in tanti incontri nella sua diocesi, avesse sempre di fronte agli occhi l’universalità della Chiesa cattolica.

Quinto filo conduttore: Un Pontificato cristocentrico

Nonostante tutte queste prospettive, non sono ancora stati qui accennati né il cuore decisivo del pontificato di Benedetto XVI, né la sua più bella eredità. Essa consiste nella testimonianza cristocentrica: nel suo annuncio e nel suo operare, poiché la parola di Dio, cui il Papa ha rivolto la sua particolare attenzione, è per lui più di tutto ciò che è scritto. La parola di Dio è il Cristo stesso, che è e deve essere al centro della Chiesa e della sua vita. Considerato sotto questa luce, è cristiano colui che crede in Gesù Cristo e vive un’amicizia personale con Lui. Anche e proprio per questo motivo un Papa non può precedere Cristo e voler stabilire egli la via che solo Cristo stesso ha definito. Come ogni cristiano, piuttosto, anche e propriamente il Papa, deve seguire Cristo, anteponendolo alla propria persona e ai propri interessi.

In questo permanente rimando a Cristo e all’annuncio cristocentrico si potrà vedere il motivo più profondo per cui Papa Benedetto ha sottratto al logorante lavoro quotidiano del servizio petrino il tempo e l’energia per scrivere il suo libro in tre volumi su Gesù di Nazareth. Come allora Pietro a Cesarea di Filippi, a nome di tutti gli apostoli, ha testimoniato Cristo come “Messia, Figlio del Dio vivo”, così anche Benedetto, come successore di Pietro, ha voluto confessare la sua personale professione di fede in Cristo nell’odierna Cesarea di Filippi per convincere gli uomini della verità e della bellezza della fede cristiana per introdurli ad un rapporto personale con il Signore. Nella testimonianza del Papa per Gesù Cristo si rendono ancora una volta visibili il significato e la necessità del servizio petrino nella Chiesa.

Illuminato dalla luce della fede, il ministero papale appare come dono dello Spirito Santo alla Chiesa e possiamo essere dunque grati anche per gli otto anni nei quali Benedetto XVI ha esercitato il suo servizio petrino.

Quanto Papa Francesco si trovi in coerente continuità con Papa Benedetto e continui a costruire sul fondamento della stessa eredità lo mostra la sua prima enciclica Lumen fidei, la cui versione originaria è stata scritta da Papa Benedetto, ma in seguito essa è stata fatta propria da suo Successore. Il fatto che i Papi abbiano la stessa responsabilità e tuttavia la curino con diversi accenti e in maniera personale, senza voler imitare il predecessore, lascia intravedere anche una particolare bellezza della nostra Chiesa cattolica.

Anche con la scelta del giorno ultimo del suo servizio, fatta con particolare sensibilità e in modo che potesse celebrare la sua ultima messa pubblica nel mercoledì delle Ceneri, Benedetto XVI ha lasciato intendere ancora una volta quale sia stata la centralità del suo messaggio: ciò che più conta nella vita ecclesiale è la conversione a Gesù Cristo e il volgersi verso la Pasqua, con la quale il cristianesimo ha senso, altrimenti viene meno.

Per questo motivo l’ultima parola dobbiamo ascoltarla da Papa Benedetto stesso, ed è quella con la quale ci ha affidato la sua preziosa eredità nel senso più spirituale: nella nostra ricerca sulla figura di Gesù, la risurrezione è il punto decisivo. “Gesù è esistito soltanto nel passato o invece esiste anche nel presente? L’una o l’altra risposta dipendono dalla risurrezione. Nel rispondere ‘sì’ oppure ‘no’ a quella domanda, non ci si pronuncia su di un singolo avvenimento accanto ad altri; ci si pronuncia sulla figura di Gesù come tale” (Joseph Ratzinger, Opera omnia, Volume 6/1, Gesù di Nazaret. La figura e il messaggio. Città del Vaticano 2013, 661).

Sesto filo conduttore: La rinuncia al ministero petrino come simbolo dell’intero Pontificato

Il 19 aprile 2005, dopo la sua elezione, Papa Benedetto nel primo saluto pubblico si è presentato come “semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore.”

Il 28 febbraio 2013 invece ha rinunciato al suo ministero di vescovo di Roma, al suo ufficio di successore di Pietro, perché le sue forze non gli sono sembrate più sufficienti per esercitare in maniera adeguata il servizio petrino.

Egli ha deciso questa rinuncia, come lui stesso ha detto espressamente, dopo averla verificata con la sua coscienza al cospetto di Dio. Il fatto che la sua rinuncia si sia incentrata su di una decisione di coscienza offre già un primo cenno ad un importante aspetto del suo pontificato, poiché Papa Benedetto non ha solo ascoltato costantemente la sua coscienza, ma si è anche occupato per l’intera vita della tematica e delle problematiche della coscienza, in particolare della relazione tra coscienza e potere: proprio per questo è diventato quella figura di riferimento che pur nel silenzio ha potuto svolgere un immenso effetto.

Che Benedetto XVI, fortemente radicato nella grande tradizione della Chiesa e di essa profondo conoscitore, con la sua rinuncia all’ufficio abbia compiuto un passo nella Chiesa completamente nuovo ed oggi non ancora interamente discernibile e neppure comparabile con quello di Papa Celestino V, è essenzialmente in relazione con la sua persona e con la sua comprensione dell’ufficio del servizio nella Chiesa. Come Teologo, come Vescovo, come Cardinale e infine come Papa non ha mai posto la sua persona in primo piano ma piuttosto ha visto se stesso interamente a servizio del compito che gli era stato affidato. In questo tratto caratteristico si motiva e si comprende come egli, nel momento in cui la sua persona non era più nella condizione di percepire con coscienza l’onerosa e gravosa diaconia cui era stato chiamato, potesse rimetterlo in altre mani; una convinzione questa già espressa nell’intervista rilasciata a Peter Seewald: “Quando il pericolo è grande non si può scappare. Ecco perché questo sicuramente non è il momento di dimettersi. È proprio in momenti come questo che bisogna resistere e superare la situazione difficile. Ci si può dimettere in un momento di serenità, o quando semplicemente non ce la si fa più. Ma non si può scappare proprio nel momento del pericolo e dire: se ne occupi un altro. Quando un Papa giunge alla chiara consapevolezza di non essere più in grado fisicamente, psicologicamente e mentalmente di svolgere l’incarico affidatogli, allora ha il diritto ed in alcune circostanze anche il dovere di dimettersi” (Benedetto XVI, Luce del mondo. Il Papa, La Chiesa e i segni dei tempi. Una conversazione con Peter Seewald, Città del Vaticano 2010, 53).

 Alla luce di tutto ciò, la sua rinuncia va colta come un gesto così coraggioso e profetico, quanto umile. Tuttavia vedere in quel gesto la vera eredità del suo pontificato sarebbe del tutto sbagliato, limitante, riduttivo e forviante. Si può comprendere piuttosto la sua rinuncia solo se la si considera sullo sfondo dei suoi quasi otto anni di pontificato e sotto la luce che quel gesto illumina ed esprime nel suo intero servizio petrino. Visto sotto quest’ottica e in questa chiave interpretativa, abbiamo di fronte a noi la cifra di un pontificato significativo che certamente farà storia.

Papa Benedetto, l’umile lavoratore nella vigna del Signore, è rimasto nel recinto di Pietro. In silenzio, pregando: per la Chiesa, per i fedeli, per il mondo e per il Suo Successore.

Il meritevole libro di Marco Mancini si chiude con una significativa citazione di Papa Francesco con la quale vorrei anch’io concludere questo mio contributo, che ha le note dell’affetto, della venerazione e della gratitudine verso questo grande della Chiesa del nostro secolo: “In questi anni di Pontificato ha arricchito e rinvigorito la Chiesa con il Suo magistero, la Sua bontà, la Sua guida, la Sua fede, la Sua umiltà e la Sua mitezza. Rimarranno un patrimonio spirituale per tutti! Il ministero petrino, vissuto con totale dedizione, ha avuto in Lui un interprete sapiente e umile, con lo sguardo sempre fisso a Cristo, Cristo risorto, presente e vivo nell’Eucaristia. La accompagneranno sempre la nostra fervida preghiera, il nostro incessante ricordo, la nostra imperitura e affettuosa riconoscenza. Sentiamo che Benedetto XVI ha acceso nel profondo dei nostri cuori una fiamma: essa continuerà ad ardere perché sarà alimentata dalla Sua preghiera, che sosterrà ancora la Chiesa nel suo cammino spirituale e missionario” (Papa Francesco, Primo discorso al Collegio cardinalizio dopo l’elezione a Pontefice).