Cosa significa pregare sempre ed incessantemente? E perché la tentazione?
Preghiamo mai chiedendo a Gesù di convertirci veramente?
La risposta sembrerebbe scontata, ma non è così…
Gesù ci ricorda che: “senza di me non potete fare nulla” (Gv.15,1-8).
Gesù compie una rilettura dell’immagine della vigna, attribuendo a sé stesso l’essere “la vera vite”, ed ai propri discepoli quella dei tralci che, rimanendo nel solco tracciato dalla sua Parola, porteranno molto frutto. Sette volte, in quattro versi, Gesù insiste nel dirci che dobbiamo rimanere in lui. Il perché è semplice e decisivo: “Senza di me non potete fare nulla”. Non dice che faremmo male o a metà le cose, ma proprio che non faremmo nulla. Questa è la verità della nostra vita. Da soli siamo invincibilmente sterili di tutto. La fertilità non nasce da noi stessi, semplici canali dove passa l’acqua, ma da Gesù, la sorgente. Noi siamo i tralci, lui è la vite. Per questo è vitale rimanere attaccati a lui. L’esistenza cristiana è Gesù. In lui ha origine, sviluppo e compimento ogni missione affidata ai discepoli. Fuori di lui è il non senso, come pale di mulino che girano a vuoto senza riuscire a macinare.
Quando Gesù afferma quel “Rimanere”, non vuol dire stare fermi, anzi! È l’atteggiamento del discepolo che ha fede e amore nel suo Signore, che conosce la fatica della ricerca e l’impegno personale per far somigliare la propria vita a quella del Maestro. Il suo insegnamento è perciò chiarissimo: non bastiamo a noi stessi, né siamo la fonte della nostra gioia, anzi, non siamo la fonte di nulla; non possiamo darci la pienezza della vita da noi stessi. Senza la vite il tralcio è secco; non è lui la vigna e da solo non avrà mai grappoli. La vite è il suo tutto. Dobbiamo perciò “rimanere” stabili in questa “vite” in tutto ciò che facciamo: dalla preghiera alle opere.
- Video catechesi con il testo:
Gesù stesso ci spiega il perché: perché se si rimane in Lui, tutto allora è possibile: “Quello che volete, chiedetelo”. La preghiera, così, non è più un mezzo per costringere o piegare Dio a noi come accadeva prima dell’Incarnazione di Dio ma dice, ora, la nostra adesione incondizionata alla volontà di Dio, come Gesù stesso ci insegnerà nel Pater Noster, dopo che gli stessi discepoli gli chiedono: “insegnaci a pregare!”, come mai questa richiesta? Eppure quel popolo ben conosceva il pregare, conosceva i Salmi e Gesù stesso aveva imparato a pregare come loro. Cosa, dunque, fa ora la differenza? Perché ora c’è Lui, il nostro intercessore ed Avvocato presso il Padre, perché solo con Lui penseremo con le sue parole e chiederemo da dentro la Sua volontà. È pura gioia vedere e desiderare ogni cosa nella luce di Dio, pregare affinché ogni nostro desiderio sia il desiderio di Dio per la nostra salvezza. Chi pregherà diversamente non otterrà nulla, come spiega l’apostolo (Gc.4,1-10):
“Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per soddisfare cioè le vostre passioni. Gente infedele! Non sapete che l’amore per il mondo è nemico di Dio?.. Dio resiste ai superbi, agli umili invece dà la sua grazia. Sottomettetevi dunque a Dio; resistete al diavolo, ed egli fuggirà lontano da voi. Avvicinatevi a Dio ed egli si avvicinerà a voi. Peccatori, purificate le vostre mani; uomini dall’animo indeciso, santificate i vostri cuori. Riconoscete la vostra miseria, fate lutto e piangete; le vostre risa si cambino in lutto e la vostra allegria in tristezza. Umiliatevi davanti al Signore ed egli vi esalterà.”
“La conversione – spiega così Don Luigi Maria Epicoco dal Vangelo (Lc.5,27-32) – non è innanzitutto un’iniziativa nostra, ma di Gesù stesso. Allora riconosciti peccatore e bisognoso ed è sicuro che Egli è già pronto a chiamarti. È la presunzione di sentirsi migliori che ci taglia fuori dalla Grazia di Dio…“
E dice ancora Don Epicoco:
“Quando pensiamo alla conversione siamo abituati a leggere questo evento come un evento che nasce dal basso della decisione di una persona che magari avendo toccato il fondo, decide di cambiare, di ricominciare, di lasciarsi rimettere in piedi.
Ma la verità è che la conversione non è innanzitutto un’iniziativa nostra, ma bensì di Gesù stesso. Ecco perché la storia di Levi nel brano del vangelo di oggi ce lo ricorda in maniera nitida:
Dopo ciò egli uscì e vide un pubblicano di nome Levi seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi!». Egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì.
È Gesù a uscire, è Gesù a vedere, è Gesù a chiamare. Solo alla fine Levi risponde lasciando tutto, alzandosi e seguendolo. È bello pensare che prima ancora della mia decisione di cambiare c’è un’iniziativa di Gesù a rendere possibile la mia conversione.
Ecco perché dovremmo pregare chiedendo a Gesù di convertirci, di provocare la nostra libertà, di renderla in un certo senso possibile. Solo se Lui ci chiama noi possiamo rispondere. Ma siamo certi che Egli ci voglia chiamare?
Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi, dice Gesù. Allora riconosciti peccatore e bisognoso ed è sicuro che Egli è già pronto a chiamarti. È la presunzione di sentirsi migliori che ci taglia fuori dalla Grazia di Dio.”
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Considerazioni e conclusione
Tra le esperienze più significative e feconde che Gesù stesso vuol farci sperimentare, è quella di sentirsi guariti e liberati da un male che, diversamente, ci tormenta, ci rende inquieti, come ricorda sant’Agostino: “e il nostro cuore è inquieto fino a quando non riposa in Te mio Signore e mio Dio“. L’essere peccatori e nel peccato, ci rende inquieti.
La gioia di Levi infatti si traduce da una grande gioia interiore, ad una festa che gli permetterà di condividere le sue ricchezze anche con coloro che ancora non sono stati raggiunti dal tocco dello Spirito Santo. Gesù, destinatario del banchetto offerto, non si metta alla porta per controllare se gli invitati siano degni di partecipare o meno. Si presume, infatti, che chi vorrà entrare a questa festa, sia mosso da qualcosa di grande che non è solo curiosità ma anche desiderio di provare ciò che ha provato Levi. Ma sia chiaro che Gesù, appunto, non baratta la conversione con il cibo e la gioia dello stare insieme, non fa compromessi con la dottrina.. In casa di Levi c’è spazio per tutti: sanati e malati festeggiano insieme la liberazione di Levi e ci si può, però, autoescludere come è l’esempio dei farisei. Sono gli unici infatti ad avere il cuore ancora troppo indurito per poter abbracciare con umiltà, la gioia di Levi nell’aver ricevuto quella misericordia.
Dunque tutto ciò che è buono e di edificante e sanante, viene da Dio, da Gesù… da noi la scelta di accogliere questa grazia oppure autoescluderci dalla grazia.
La conversione di Levi, perciò, ci riguarda tutti nei modi in cui è avvenuta: la rottura del rapporto con Dio causata dal Peccato Originale, viene ricomposta dal Verbo fatto carne, da Gesù, il Dio fatto Uomo. Nell’uomo è rimasto quell’essere “creati ad immagine di Dio“, perciò l’uomo è sempre in ricerca della verità.
Questa ricerca è ciò che dobbiamo curare in noi e chiedere incessantemente, senza stancarci mai… perché è in questa ricerca che Gesù, che conosce i nostri cuori, sente le nostre necessità e si muove così a compassione, risponderà con il dono della conversione… è, infatti, in Mt.6,24-34 che Gesù afferma in modo chiaro: “Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di sé stesso. A ciascun giorno basta la sua pena.”
Nessuno sdoppiamento può renderci felici, nessuna doppia personalità può migliorare la nostra condizione, nessun asservimento alle cose è compatibile con gli insegnamenti del Signore, dobbiamo perciò fare una scelta ed imparare a chiedere, nella preghiera per mezzo dello Spirito Santo, ciò che è più conveniente a noi: LA CONVERSIONE… tutto il resto delle necessità materiali ci sarà dato in aggiunta e allora, con il salmista possiamo dire: “Solo in Dio riposa l’anima mia”.
L’iniziativa è sempre di Dio, ANCHE NELLA TENTAZIONE (leggere Giobbe aiuta) perché solo Lui – Onnipotente ed Onnisciente – ci conosce nell’intimo, ma a noi spetta il chiedere, san Girolamo scrive: «L’apostolo ci raccomanda di pregare sempre, e per i santi anche il sonno stesso è orazione» (Epistola 22, 37) infatti, dopo san Luca 18,1-8, è san Paolo che più degli altri si fa eco del precetto di Gesù sulla preghiera continua, perché spesso esorta i fedeli a metterlo in pratica; per esempio, a quelli di Tessalonica: pregate incessantemente[1Ts.5,17]; e a quelli di Efeso: pregate incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito[Ef.6,18]. San Paolo ce ne dà poi un esempio quando dice che prega continuamente per i suoi notte e giorno, di continuo [1Ts.3,10; cfr.2Ts.1,11; Rm.1,10; 1Cor.1,4; Fil.1,4; 1Ts.1,3]… Occorre pregare sempre, senza stancarsi mai, Dio che è Padre ascolterà, ricordando però che i tempi di Dio non sono i nostri e che solo Lui sa quando e come è conveniente soddisfare le nostre richieste e in quale modo.
Ecco perché dobbiamo pregare chiedendo a Gesù di convertirci, di provocare la nostra libertà, ecco ancora quel “non indurci alla tentazione”, per renderla in un certo senso possibile, come una provocazione che ci smuove l’anima e allora sì, spinge Dio a rispondere.…
Stiamo sempre attenti, perciò, perché la preghiera non sboccia in conseguenza della capacità di usare un metodo più o meno appropriato, ma unicamente in conseguenza della capacità di essere obbedienti ed umili, i due segni di riconoscimento del vero e necessario pentimento, per essere ascoltati da Dio.
La concentrazione necessaria alla preghiera non deriva tanto dallo sforzo di esaminare se stessi o di attenzione mentale ascoltando se stessi, ma dalla intensità del nostro pentimento verso Dio, dal lucido riconoscimento del nostro essere poveri e bisognosi, dalla cui condizione si sprigiona, allora, la stessa “preghiera della Chiesa” che ripetiamo ogni giorno, per esempio, attraverso il breviario, le devozioni, il Rosario.. ne parlammo qui con l’aiuto di sant’Alfonso Maria de Liguori sull’aridità spirituale… vedi anche video uno; vedi video due.
Talvolta, però, non siamo sinceri davanti a Dio (ancor meno davanti agli altri e spesso davanti a noi stessi). Qui si annida LA TENTAZIONE, l’essere tentati, come insegna sant’Agostino che a breve vedremo. Dove non c’è sincerità non c’è intimità e dove manca intimità, laddove si avanza auto giustificandosi nella malattia di cui siamo afflitti, l’incontro è freddo e banale e non può che essere sterile. Imparare ad essere sinceri, fino in fondo, senza barare, è la credenziale necessaria alla porta del cielo.
Per imparare a pregare fruttuosamente è perciò necessario disporsi alla lotta spirituale, alla lotta contro ogni tipo di ‘pensiero’ che mira a possedere il nostro cuore alienandolo.
La vedova che “lotta” con il giudice (Lc.18,1-8), non si distrae dalla sua supplica. Diversamente da quanto ci si immagina, la preghiera, per diventare spontanea e forte, deve prima essere tenace. Non è così facile pazientare con il proprio cuore, accettare i suoi tempi, i tempi di Dio, in tutta pace, come insegna sant’Alfonso de Liguori. Questo esige una “lotta” contro la tentazione di desistere, del lasciar perdere non vedendo subito i risultati, nel sospetto che la preghiera incessante sia alla fin fine inutile. E’ qui che entra in gioco l’aiuto dello Spirito Santo (Rm.8,26-27) “lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio.”
Vediamo in tutto questo che non è così agevole entrare nel proprio cuore per poterlo offrire fiduciosamente tutto a Dio, certi del suo soccorso.
“Diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai” (Lc.18,1), perché?
Immediatamente prima di questo versetto troviamo la cosiddetta “piccola apocalisse” in cui Gesù annuncia il suo ritorno alla fine dei tempi portando così a compimento il disegno del Padre. Ora qui egli ricorda, proprio in vista di questo tempo di attesa, la necessità di non desistere dalla preghiera di modo che il cuore rimanga sempre vigile. Per questo Gesù domanda: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?“. (Lc.18,1-8)
Ricordiamo come la raccomandazione di “pregare sempre e pregare senza stancarsi” è una costante nei Vangeli, negli Atti come anche molte volte nel resto della Scrittura. Il testo sottolinea la “necessità” della preghiera. In greco viene utilizzata la parola “dein” che nel nuovo testamento è quasi sempre posta in relazione alla passione vista come passaggio obbligato per il compimento della missione del Messia. Usandola qui si ricorda alla comunità che la preghiera è un momento indispensabile per chi desidera seguire fedelmente i passi del Maestro senza disertare dalla croce.
Si accenna infine alla preghiera vissuta ossia: “pregare senza stancarsi”. Qui Luca riporta una espressione tipicamente paolina: “mē enkakéin” che significa “senza lasciar cadere le braccia, senza scoraggiarsi”. Sembra qui che il testo ci rimandi alle braccia alzate di Mosè che intercedeva per la salvezza del popolo impegnato in battaglia. Nel linguaggio paolino con tale espressione non si fa dunque tanto riferimento alla stanchezza fisica, quanto ALLA TENTAZIONE dell’abbandonare le armi da parte di un soldato durante il combattimento, il disertare il campo in preda allo scoraggiamento e alla paura, che ci rammenta: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?“.
In effetti, tutta la questione qui analizzata seppur brevemente, non punta solo sulla necessità della preghiera, quanto sulla certezza in Dio che, nonostante ciò sembri a noi un ritardo, farà alla fine giustizia ai suoi fedeli, esaudirà le preghiere rivolte alla salvezza delle anime, risponderà alle necessità materiali, Egli ci aprirà il cuore e ci convertirà.
Scrive san Giovanni Climaco nella sua “Scala”: Non ci stanchiamo di pregare il Signore, noi tutti che siamo ancora in balia delle passioni: per questa via dell’orazione passarono tutti coloro che dalla passionalità giunsero all’impassibilità. Quando è parecchio tempo che preghi non dire: non ho guadagnato nulla! Perché hai guadagnato abbastanza: qual dono più sublime che aderire al signore e perseverare con lui in questa adesione continuamente?… L’amore del soldato verso il re lo mostra il tempo della guerra: l’amore del monaco verso Dio lo prova il tempo dell’orazione e il rimanere alla sua presenza.….
DAI “DISCORSI” DI SANT’AGOSTINO, VESCOVO (Serm. 2, 3)
Dio tenta l’uomo, perché l’uomo conosca se stesso
Sappia dunque la vostra carità che la tentazione di Dio non ha lo scopo di far conoscere a lui qualcosa che prima gli era nascosto, ma di rivelare, tramite la sua tentazione, o meglio provocazione, ciò che nell’uomo è occulto. L’uomo non conosce se stesso come lo conosce Dio, così come il malato non conosce se stesso come lo conosce il medico. L’uomo è un malato. Il malato soffre, non il medico, il quale aspetta da lui di udire di che cosa soffre. Perciò nel salmo l’uomo grida: Mondami, Signore, dalle mie cose occulte 9. Perché ci sono nell’uomo delle cose occulte allo stesso uomo entro cui sono. E non vengono fuori, non si aprono, non si scoprono se non con le tentazioni. Se Dio cessa di tentare, il maestro cessa di insegnare. Dio tenta per insegnare, mentre il diavolo tenta per ingannare. Costui, se chi è tentato non gliene dà l’occasione, può essere respinto a mani vuote e deriso. Per questo l’Apostolo raccomanda: Non date occasione al diavolo 10. Gli uomini danno occasione al diavolo con le loro passioni. Non vedono, gli uomini, il diavolo contro il quale combattono, ma hanno un facile rimedio. Vincano se stessi interiormente e trionferanno di lui esternamente. Perché diciamo questo? Perché l’uomo non conosce se stesso, a meno che non impari a conoscersi nella tentazione. Quando avrà conosciuto se stesso, non si trascuri. E se trascurava se stesso quando non si conosceva, non si trascuri più una volta conosciutosi.
IN BREVE…
La onnipotente tua mano non è lontana da noi neanche quando noi siamo lontani da Te… O Signore, tu colpisci, ma per risanare; ci uccidi, perché non si muoia lontani da Te. (Confess. 2, 2) Se la nostra preghiera è tutto questo, allora non c’è preghiera che non venga esaudita. Dio cerca adoratori “in spirito e verità” (Gv.4), non dei ‘consumatori’, ‘utenti’, ‘fruitori’, ‘clienti’, termini che ben si addicono a quanti ricercano, usando le parole di san Francesco di Sales, “le consolazioni di Dio e non il Dio delle consolazioni“.
Si legga anche qui: Santa Caterina da Siena: pregare per i peccatori e la forza del Preziosissimo Sangue di Gesù – Cari Sacerdoti, pregare contro gli iniqui si può: lo dice DIO! –
– Il Pater Noster meditato da santa Teresa d’Avila: https://cooperatores-veritatis.org/2020/06/30/il-pater-noster-meditato-da-santa-teresa-davila/
– Pater Noster: non un problema di traduzione ma di comprensione e preghiera: https://cooperatores-veritatis.org/2017/12/07/pater-noster-non-un-problema-di-traduzione-ma-di-comprensione/ –
San Cipriano spiega il significato della Preghiera del Padre Nostro: https://cooperatores-veritatis.org/2020/08/11/san-cipriano-spiega-il-significato-della-preghiera-del-padre-nostro/
– Padre Nostro: quella traduzione che divide già la Chiesa: https://cooperatores-veritatis.org/2018/11/21/padre-nostro-quella-traduzione-che-divide-gia-la-chiesa/
– Commento al Padre nostro di San Tommaso d’Aquino: non indurci…: https://cooperatores-veritatis.org/2018/11/16/commento-al-padre-nostro-di-san-tommaso-daquino-non-indurci/
– Per Sacerdoti e Laici dal Dialogo e dalle Lettere di Santa Caterina da Siena: https://cooperatores-veritatis.org/2021/04/25/per-sacerdoti-e-laici-dal-dialogo-e-dalle-lettere-di-santa-caterina-da-siena/