FESTA DI CRISTO RE
Due feste della regalità di Cristo.
Trovammo già all’inizio dell’Anno Liturgico una festa della Regalità di Cristo: l’Epifania. Gesù, nato da poco, si manifestava ai Re dell’Oriente e al popolo d’Israele come “il Signore, che tiene nella sua mano il regno, la potenza, l’impero” (Introito della Messa dell’Epifania). Accogliemmo allora “il Salvatore, che veniva a regnare su di noi” (ibid.) e con i Magi gli offrimmo i nostri doni, fede e amore.
Perché la Chiesa al declinare dell’Anno Liturgico ci fa celebrare un’altra festa della Regalità di Cristo, della sua regalità sociale e universale?
Il giorno dell’Epifania noi abbiamo conosciuto la natura della regalità, non meno della dignità del neonato Bambino. Ma, forse, ci siamo lasciati affascinare dalla stella che, brillando nel cielo di Betlemme, ci recava la luce della fede e ci faceva sperare più vivo splendore per l’eternità. Cantammo allora la venuta dei gentili alla fede nella persona dei Magi, giunti dal lontano Oriente ai piedi del Re dei Giudei.
Il laicismo.
Oggi la Chiesa ci fa riflettere sulle conseguenze della chiamata universale alla fede in Cristo. Le nazioni si sono convertite nel complesso al Signore, che con le conoscenze soprannaturali ha portato loro i benefici di una civiltà sempre ignorata dal mondo antico. Purtroppo, ormai da due secoli, un errore perniciosissimo tutte le rovina e in modo particolare rovina la Francia: il Laicismo. Consiste nella negazione dei diritti di Dio e di nostro Signore Gesù Cristo sulla società umana, sia privata e familiare che sociale e politica. Gli apostoli della nuova eresia hanno ripreso il grido dei Giudei deicidi: Non vogliamo che costui regni sopra di noi. Con l’abilità, la tenacia e l’audacia dei figli delle tenebre si sono sforzati di cacciare Cristo da ogni luogo, hanno dichiarata immorale la vita religiosa, hanno espulso i religiosi, hanno tentato, sebbene invano, di imporre una costituzione scismatica alla Chiesa, hanno separato la Chiesa dallo Stato, negato alla società civile il dovere di aiutare gli uomini a conquistare i beni eterni, scardinato la famiglia con la legge del divorzio, tolto il crocifisso dai tribunali, dagli ospedali, dalle scuole e hanno infine dichiarato intangibili le loro leggi, facendo dello Stato un Dio.
Scopo della festa.
Di fronte a “questa peste dei nostri tempi”, i Papi hanno alzata la loro voce. Ma continuando la marea a crescere, Pio XI approfittò dell’anno giubilare, per ricordare in modo solenne al mondo, con l’enciclica Quas primas del giorno 11 dicembre 1925, il pieno e totale potere di Cristo, Figlio di Dio, Re immortale dei secoli, su tutti gli uomini e tutti i popoli, in tutti i tempi. Perché l’insegnamento tanto necessario non fosse troppo presto dimenticato il Papa istituì, in onore della universale regalità di Cristo, una festa liturgica, che fu ad un tempo solenne ammonimento e riparazione per l’apostasia delle nazioni e degli individui, che all’insegna del laicismo tende a manifestarsi nella dottrina e nella vita. In tale festa, per disposizione del Sommo Pontefice, si rinnova la consacrazione del genere umano al Sacro Cuore.
I fedeli trovano nel Breviario o, in modo più semplice, nel Messale l’insegnamento della Chiesa sulla regalità sociale di Cristo, insieme ad incomparabili formule di preghiera, di lode, di riparazione e di domanda da usarsi nella festa. Ma l’enciclica del Papa espone l’insegnamento in tutta la sua ampiezza e noi la riassumeremo, invitando a leggere il testo integrale, affinché, conosciuti i diritti del Signore, si respinga il veleno del laicismo e si vada con confidenza al Cuore di Gesù, che nella sua regalità è soltanto amore e misericordia.
La triplice regalità.
I fedeli potranno vedere nella enciclica come Cristo è Re delle intelligenze, dei cuori e delle volontà; chi sono i sudditi di questo Re; il triplice potere che la regalità comporta e la natura spirituale della regalità stessa.
In senso metaforico si è stabilito da molto tempo l’uso di attribuire a Cristo il titolo di Re, per l’eccellenza ed eminenza delle sue singolari perfezioni, per le quali sorpassa tutte le creature. Ci si esprime così, per dire che egli è il Re delle intelligenze umane, non tanto per la penetrazione della sua intelligenza umana e della vastità della sua scienza, ma piuttosto perché è la Verità stessa e gli uomini devono cercare in lui la verità e da lui riceverla con sottomissione. Egli poi è detto Re delle volontà non solo perché alla santità assoluta della divina volontà corrisponde l’integrità e la sottomissione perfetta della sua volontà umana, ma anche perché, attraverso la mozione e l’ispirazione della grazia, sottomette la nostra libera volontà, facendo sì che il nostro ardore si infiammi per le azioni più nobili. Infine Cristo è Re dei cuori, a causa della sua carità, che sorpassa qualsiasi immaginazione, nonché della dolcezza e della bontà, che attirano le anime. Di fatto, nessun uomo fu mai amato, né lo sarà mai, come Cristo Gesù da tutto il genere umano.
Regalità, conseguenza dell’unione ipostatica.
“Ma, per addentrarci di più nell’argomento, tutti possono vedere che il nome e il potere di Re spettano a Cristo nel senso proprio del termine. È nella qualità d’uomo che Cristo ha ricevuto dal Padre la potenza, l’onore, la regalità, perché il Verbo di Dio, che è consostanziale al Padre, tutto possiede in comune col Padre e, per conseguenza il potere sovrano e assoluto su tutte le cose … La Regalità di Cristo poggia sopra l’unione mirabile che vien detta unione ipostatica. Ciò posto, gli angeli e gli uomini devono adorare Cristo in quanto è Dio, ma devono obbedire a lui e manifestargli sottomissione anche in quanto uomo, cioè, per il solo motivo dell’unione ipostatica Cristo ha avuto potere su tutte le creature… “.
Il triplice potere.
“La regalità di Cristo comporta un triplice potere: legislativo, giudiziario, esecutivo. Senza questi poteri non si concepisce alcuna regalità. I Vangeli non solo ci assicurano che Cristo ha confermato delle leggi, ma ce lo presentano mentre stabilisce delle leggi … Gesù dichiara inoltre che il Padre gli ha concesso un potere giudiziario … e il potere giudiziario implica il diritto di decretare per gli uomini pene e ricompense anche in questa vita. Il potere esecutivo deve poi essere attribuito a Cristo, perché l’obbligo di obbedire ai suoi ordini è per tutti necessario, avendo egli stabilito pene alle quali nessuno che sia colpevole potrà sottrarsi”.
Carattere della Regalità di Cristo.
“Che la Regalità di Cristo sia spirituale e si riferisca soprattutto alle cose spirituali… il modo stesso di agire di Cristo l’ha confermato… Davanti a Pilato Gesù dichiarò che il suo regno non è di questo mondo e, nel Vangelo, questo regno ci è presentato come un regno nel quale ci si prepara ad entrare con la penitenza e si entra soltanto per la fede e per il battesimo. Il Salvatore inoltre oppone il suo regno soltanto al regno di Satana e alla potenza delle tenebre; chiede ai suoi discepoli non solo di distaccarsi dalle ricchezze e da tutti i beni della terra, di praticare la dolcezza, di aver fame e sete di giustizia, ma anche di essere pronti alle rinunce e di portare la croce. Se Cristo Redentore si è comprata la Chiesa a prezzo del suo sangue e Cristo Sacerdote si offre perpetuamente vittima per i peccati degli uomini, chi non vede che la sua dignità regale deve avere il carattere spirituale di queste due funzioni di Sacerdote e di Redentore?
Sarebbe tuttavia errore negare che la regalità di Cristo si estenda alle cose civili, perché egli ha ricevuto dal padre un dominio assoluto, tale che si estende a tutte le cose create, le quali tutte sono sottomesse al suo dominio”.
LA MESSA
Mentre in cielo gli Angeli e i Santi adorano l’Agnello immolato proclamandolo Re, noi ci raccogliamo nella Chiesa, per rinnovare il mistero della immolazione di questo Agnello e per proclamare anche noi la sua universale regalità nella vita individuale, familiare, sociale e politica, in terra e nell’eternità.
L’Epistola è un cantico vero e proprio in cui l’Apostolo san Paolo, rapito, proclama che cosa è Cristo per Dio, per la creazione e per la Chiesa. Il Padre è invisibile, abita in una luce, in una inaccessibile regione; ma ecco appare in mezzo a noi, perché si fa uomo come noi, versa il suo sangue per noi, Colui che è sua immagine, che è nato da Lui, che è Dio come Lui.
Dio: La creazione è opera sua, tutto per Lui sussiste, in Lui noi abbiamo vita, il movimento e l’essere, tutto esiste per Lui.
Capo della creazione, è capo ancora della Chiesa, che è il suo corpo, la sua Sposa. Tra essi vi è unità di vita e la vita egli l’ha nella pienezza e la pienezza si dispensa senza esaurirsi. Viene da Lui ogni bellezza, viene da Lui ogni santità, come dalla sua sorgente.
Il Padre lo volle così, nel suo disegno volto a ricondurre tutte le cose all’unità primitiva e a pacificare, nel sangue del suo Figlio, tutto quanto esiste in cielo e in terra.
EPISTOLA (Col. 1, 12-20). – Fratelli: Ringraziamo Dio Padre, il quale ci ha fatti degni di partecipare alla sorte dei santi nella luce, e, liberandoci dall’impero delle tenebre, ci ha trasportati nel regno del suo diletto Figliolo, nel quale, mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione e la remissione dei peccati. Egli è l’immagine dell’invisibile Dio, il primogenito di tutte le creature, perché in lui sono state fatte tutte le cose, in cielo e in terra, visibili e invisibili, i Troni, le Dominazioni, i Principati, le Potestà; tutto è stato creato per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è avanti a tutte le cose e tutto sussiste in lui. Egli è il capo del corpo della Chiesa, lui che è il principio e il primogenito tra i morti, in ogni cosa, affinché sia il primo. Infatti piacque (al Padre) che in lui abitasse ogni pienezza (della divinità) e, facendo la pace mediante il sangue della sua croce, per mezzo di lui ha voluto riconciliare con sé tutte le cose, quelle che sono sulla terra e quelle che sono in cielo, in Gesù Cristo, Nostro Signore.
VANGELO (Gv. 18, 33-37). – In quel tempo: Pilato domandò a Gesù: Sei tu il Re dei Giudei? Gesù rispose: dici questo da te stesso, oppure altri te l’hanno detto di me? Disse Pilato: Sono forse Giudeo? La tua nazione e i grandi sacerdoti ti han messo nelle mie mani: che hai fatto? Rispose Gesù: Il mio regno non è di questo mondo; se fosse di questo mondo il mio regno, i miei ministri, certo, avrebbero combattuto perché non fossi dato nelle mani dei Giudei; ma il regno mio non è di quaggiù. Dunque tu sei Re? gli chiese allora Pilato. Gesù rispose: Tu lo dici, io sono Re. Sono nato per questo, e per questo sono venuto al mondo, a rendere testimonianza alla verità. Chi è per la Verità ascolta la mia voce.
Il dialogo tra Gesù e Pilato ci rivela il carattere spirituale e universale della Regalità del Messia, la sua origine e il suo fine: “Io sono nato e sono venuto nel mondo, per rendere testimonianza alla verità: chi è per la verità ascolta la mia voce”. Commentando questo testo, sant’Agostino ci rivela il disinteresse e la bontà del nostro Re: “Che cosa era per il Signore essere re d’Israele? Era forse qualcosa di grande per il Re dei secoli diventare re degli uomini? Cristo non è re d’Israele per esigere tributi, per armare di ferro dei battaglioni e per domare visibilmente i suoi nemici, ma è re d’Israele per governare le anime, per vegliare su di esse nell’eternità, per condurre al regno dei cieli quelli che credono, che sperano, che amano”.
Facciamo dunque vedere che siamo suoi sudditi dando a lui l’omaggio della nostra fede, della nostra confidenza e del nostro amore.
Meglio che nelle altre preghiere del santo sacrificio, nel Prefazio è proposta alla fede e alla pietà dei credenti l’esatta nozione teologica della regalità di Cristo. Come Figlio unico del Padre, al quale è coeterno e consostanziale, il Verbo incarnato comunica alla sua santa umanità, in virtù dell’unione ipostatica, la doppia unzione divina del Sacerdozio e della Regalità. In virtù del sacrificio redentore sull’altare della Croce, come per la nascita eterna, egli sottomette al suo indistruttibile imperio tutte le creature in un regno di Verità e di vita, di santità e di grazia, di giustizia, di amore, di pace” (P. de la Brière, Études, t. 186, p. 358).
PREFAZIO
È cosa davvero degna e giusta, equa e salutare renderti grazie in ogni tempo e in ogni luogo, o Signore santo, Padre onnipotente, Dio eterno, che ungesti con l’olio della letizia il tuo unico Figlio, nostro Signore Gesù Cristo, Sacerdote eterno e Re dell’Universo, perché immolando se stesso sull’altare della Croce, ostia immacolata e pacifica, compì il mistero sacro della redenzione dell’uomo e, sottomesse al suo impero tutte le creature, procurò alla tua immensa maestà un regno eterno e universale, regno di verità e di vita, regno di santificazione e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace. Per questo…
PREGHIAMO
O Dio onnipotente ed eterno che volesti restaurare ogni cosa nel tuo diletto Figliolo, Re dell’universo, fa’ che tutte le famiglie del mondo, disgregate a causa del peccato, si sottomettano alla sua soavissima autorità.
da: P. GUÉRANGER, L’anno liturgico. – II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. ROBERTI, P. GRAZIANI e P. SUFFIA, Alba, Edizioni Paoline, 1959, pp. 1210-1215.

RICORDIAMO CHE NEL RITO DI SEMPRE LA SOLENNITA’ DI CRISTO RE E’ L’ULTIMA DOMENICA DI OTTOBRE – con la nuova riforma liturgica del concilio Vaticano II questa Solennità è stata spostata a chiusura dell’Anno Liturgico a fine novembre.
Schuster, Liber Sacramentorum – La festa di Cristo Re
Testo raccolto da Giuliano Zoroddu (su RS)
Domenica antecedente alla solennità di tutti i Santi.
LA FESTA DEL REGNO MESSIANICO DEL SIGNOR NOSTRO GESÙ CRISTO
Il messianismo è essenzialmente un regno universale e glorioso, che viene inaugurato dal Cristo per la gloria di Dio e la salvezza del mondo. Su questo punto non v’è oscurità nelle sante Scritture, le quali mentre si mostrano pure tanto sobrie quando descrivono il carattere particolare del «Servo di Jahvè percosso per le iniquità nostre», sono invece prolisse nel narrarci le glorie dell’impero di Colui la cui fronte recingono mille diademi, e che sullo stesso lembo dell’ammanto reale reca scritta la sua dignità: Rex regum et Dominus dominantium.
Il santo Sacrifizio e l’Ufficio divino sono il tributo solenne, quotidiano che la Chiesa rende a Cristo in qualità di Pontefice e di Re. Le stesse feste liturgiche dell’Epifania, della Pasqua, dell’Ascensione, hanno per oggetto la venerazione dei misteri in cui più particolarmente Cristo si presenta a noi sotto forma di Re.
Nell’Epifania, egli in qualità di monarca si fa ricercare dai Magi sin dal più remoto Oriente, e riceve le primizie dell’adorazione delle potenze dell’orbe. Nella Pasqua, egli curva sotto i suoi piedi tutti gli imperi a lui avversi: curvat imperia, ed inaugura il regno Messianico trionfando della morte e del demonio. È appunto in qualità di Re e di supremo arbitro delle sorti del mondo, che Cristo, senza tener conto d’alcuna autorità statale, invia i suoi Apostoli a predicare ovunque liberamente l’Evangelium Regni, per tutto l’orbe. Data est mihi omnis potestas in caelo et in terra. Ite ergo; docete omnes gentes, baptizantes eos.
Nell’Ascensione infine, egli si asside definitivamente sul trono della divinità alla destra del Padre, ed il suo regno, come canta il Simbolo di Fede: cuius regni non erit finis.
Non ostante però tante e si solenni affermazioni della regia potestà di Cristo contenute nelle sante Scritture e nella divina Liturgia, pure da oltre un secolo e mezzo mena strage nel mondo civile un’esiziale eresia, che da alcuni venne detta liberalismo, da altri laicismo. Quest’errore è multiforme, ma tutto in sostanza si riduce a negare la supremazia di Dio e della Chiesa sulla società civile e sugli stati, i quali ufficialmente si proclamano indipendenti da qualsiasi altra superiore autorità; – libera Chiesa in libero stato – quando pure non giungano a quella frenesia di statolatria, che rivendica allo stato le prerogative divine, cui, come una volta all’idolo Moloch, vuolsi oggi sacrificato ogni altro diritto, cosi individuale, che familiare. – Lo stato è la suprema espressione dell’assoluto.
Come nel passato parecchie feste liturgiche hanno avuto origine dall’esplosione della fede della Chiesa per ribattere alcuni particolari errori allora massimamente in voga, cosi anche adesso la Sede Apostolica non ha ritenuto di poter popolarizzare più efficacemente la condanna del laicismo, che istituendo una solenne festa del regno Messianico di Cristo, quasi protesta, ammenda onorevole e riparazione, contro le usurpazioni della statolatria che ha riunito in vasta congiura: reges terrae et principes … in unum, adversus Dominum et adversus Christum eius.
Dai liturgisti si proponevano da principio varie date: la domenica fra l’ottava dell’Epifania, l’Ascensione, l’ottava del Sacro Cuore di Gesù; ma parve miglior consiglio di non fondere questa festa con alcun’altra preesistente, per darle invece un carattere affatto particolare, con una sede speciale nel Messale. Finalmente, fu assegnata alla nuova solennità la domenica che precede la festa di tutti i Santi, per metterla in relazione cosi coll’Uficio del primo di di novembre, che col concetto stesso che informa quella celebrità collettiva di tutti i Santi, nella quale noi veneriamo la Gerusalemme celeste e l’inclita corte del Re della gloria. È ben giusto che la liturgia, quasi al termine del suo ciclo delle domeniche dopo Pentecoste, il quale appunto esprime le fatiche e le lotte della vita del tempo, prima di volgere lo sguardo in giro pei vari cori che adornano la «ecclesia primitivorum» e la città del cielo, tributi la propria adorazione a Colui ch’è il fino e la causa di tanta gloria, ed al quale i Santi tutti offrono la loro corona intonando il giulivo Alleluia.
Ecco il profondo motivo pel quale nell’Ufficio stesso di tutti i Santi, il primo responsorio del mattutino descrive il trono dell’Onnipotente, il cui strascico della veste ricopre, in segno di santificazione, il sacro tempio. Vidi Dominum sedentem super solium excelsum et elevatum … et ea quae sub ipso erant replebant templum.
L’introito deriva le sua antifona dal Cantico Apocalittico che Giovanni udì cantare dai Santi in Cielo: «All’Agnello che si è lasciato immolare, sia onore, gloria ed impero per tutti i secoli. Tutti esaltino la sua divinità e potenza». – L’esaltazione di Gesù Cristo, al dire di san Paolo, è in ragione della sua umiliazione per compiere l’ubbidienza del Divin Padre. Perciò anche Giovanni, prima di discorrere della gloria dell’Agnello, ricorda subito la sua santa Passione e dice che è stato immolato ed ucciso.
Segue il primo verso del salmo 71, che è spiccatamente messianico.
«0 Signore, dà al Re il tuo potere giudiziario, e conferisci al figlio del Re l’amministrazione della tua giustizia».
Ecco l’ufficio messianico conferito a Gesù nel tempo. Egli, siccome splendore della sostanza del Padre, governerà la Casa di David, sintanto che non avrà debellato i nemici e restituito in pace il regno di Dio. Vinti allora la morte e il demonio, la missione temporale del Cristo sarà terminata, ed egli, quale glorioso trionfatore, consegnerà al Padre lo scettro e la corona, quale trofeo della sua vittoria.
Preghiera.- «0 Signore, tu che volesti restaurare ogni cosa nella persona del tuo diletto Figliuolo, stabilendolo re universale del creato; deh! fa si che tutti i popoli, smarrita a cagione del peccato la pristina unità di famiglia, la ritrovino nell’unico e dolce regno inaugurato da Cristo per mezzo della Chiesa».
La colletta è ispirata a san Paolo, e perciò è veramente profonda.
L’unità della famiglia umana, anzi della creazione, è stata violata dal peccato, il quale è una forza disgregante. Iddio però ha voluto restaurare quest’unità primitiva, e l’ha fatto in grazia di Gesù Cristo, che egli ha stabilito centro e fine stesso della creazione, nuovo Adamo, dal quale tutte le genti possano derivare vita, unità e grazia.
La prima lezione deriva dall’Epistola ai Colossesi (i, 12-20), là dove san Paolo descrive il primato di Cristo sopra tutto il creato, il quale ritrova in lui la sua ragione di essere. Questo primato di Gesù si fonda sull’unione ipostatica della sua natura umana colla natura divina nell’unica persona del Verbo, ma è universale ed abbraccia, non pure gli uomini, ma anche gli Angeli, i quali da lui e per lui derivano la grazia e la gloria. Tale primato riguarda poi in particolar modo la Chiesa, sulla quale Cristo ha quell’efficace dominio di salute, quale nel composto umano esercita il capo sulle rimanenti membra del corpo.
Il responsorio graduale deriva dal Salmo 71, e descrive la vastità e la gloria del regno di Cristo. «Egli dominerà da un mare all’altro, dal Mediterraneo al mare Indiano, e dal fiume Eufrate sino agli ultimi confini della terra. E gli faranno adorazione tutti i re dell’orbe; tutti i popoli gli saranno soggetti».
Questa profezia consegue successivamente il suo compimento, man mano cioè che la Chiesa dilata le sue pacifiche conquiste tra le nazioni idolatre, ed il vangelo del Regno verrà predicato, giusta la promessa del Salvatore, in tutto quanto l’orbe. Nei secoli della storia della Chiesa, questo regno di Cristo è bensì perfetto ed assoluto in diritto, ma di fatto, è tuttavia contrastato ed in formazione. Esso però allora sarà pieno, definitivo e glorioso, dopo che vinta la morte nel giudizio finale, Gesù avrà esercitata solennemente sui rei la sua potestà giudiziaria, inaugurando invece per i giusti la vita immortale della beata resurrezione.
Il verso alleluiatico deriva da Daniele, (VII, 14) quando il Veggente descrive i vari regni che distinguono in altrettanti periodi la storia dell’umanità. «Il potere del Cristo sarà un potere eterno che non passerà mai, ed il suo regno non potrà essere mai più distrutto».
Si può di già osservare il parziale compimento di questo vaticinio, paragonando la storia quasi due volte millenaria della Chiesa, con tutti gli altri imperi e dinastie che passano, come le foglie che spuntano in primavera e cadono in autunno.
Nel doppio canto che segue l’Epistola, si è voluto far rilevare la triplice universalità del regno di Cristo. Dapprima quella locale: a mari usque ad mare, che abbraccia cioè tutto l’orbe. Quindi l’universalità dei sudditi: omnes reges … omnes gentes, comprendendo tutti quanti gli uomini, siano essi recinti di regio diadema, ovvero poveri parias giacenti nella polvere. Quindi finalmente, l’universalità di tempo: potestas aeterna … non auferetur, un potere cioè che non verrà mai meno.
La lezione del santo Vangelo deriva da san Giovanni (XVIII, 33-37), là dove Cristo innanzi al preside Pilato fa le sue solenni dichiarazioni circa la natura e l’origine del regno suo. Questo non deriva già i suoi diritti da questo mondo : «regnum meum non est hinc», ma comprende però anche questo mondo. Gesù non viene già a spodestare i sovrani della terra, ed a contrastare loro i territori su cui esercitano il dominio. Egli viene invece a dare all’umana società l’ultimo e più perfetto ordinamento, dettando nel Vangelo le norme supreme del vero e del retto che debbono dirigere e governanti e sudditi nell’esercizio dei loro mutui doveri. Dio è il fine soprannaturale dell’uomo.
Ora, è preciso compito della società civile e di chi la presiede, di collaborare colla Chiesa e di prestarle aiuto, nel campo, s’intende, proprio dell’autorità civile, perché la Chiesa stessa possa con più facilità e sicurezza compiere la sua divina missione di illuminare, santificare e governare le anime, stabilendo in esse il regno di Cristo.
Quest’alta potestà della Chiesa Cattolica e del Romano Pontefice sugli stati e sui loro monarchi, faceva parte, nel medio evo, del diritto internazionale dei popoli cristiani; cosi che più volte si videro i Papi deporre dal trono dei re immeritevoli di tale ufficio, e prosciogliere anche i sudditi dal giuramento di fedeltà già loro prestato.
L’antifona per l’offerta delle oblate, è tratta dal salmo secondo.
Gesù Cristo innanzi ai re ed ai popoli che tumultuano contro il suo disegno d’inaugurare il regno messianico per la salvezza del mondo, esibisce le sue credenziali, l’atto cioè solenne d’investitura che gli ha dato il Padre. In esso è detto: «Tu mi domanda, ed io ti darò in retaggio i popoli, ed in possesso, le regioni più lontane».
Preghiera sulle oliate.– «Ti offriamo, o Signore, l’Ostia che riconcilia con te l’umana famiglia, supplicandoti a far sì che Colui che adesso è vittima del nostro Sacrificio, egli, Gesù Cristo, nostro Signore, largisca a tutte le nazioni la grazia dell’unità e della pace».
Il prefazio è proprio e ricorda la ricchezza e lo slancio lirico delle antiche prefazioni. «Vere dignum … Qui Unigenitum Filium tuum Dominum nostrum Iesum Christum, sacerdotem aeternum et universorum regem, oleo exsultationis unxisti; ut seipsum in ara Crucis, hostiam immaculatam et pacificam offerens, redemptionis humanae sacramenta perageret; ut suis subiectis imperio omnibus creaturis, aeternum et universale regnum immensae tuae traderet maiestati; regnum veritatis et vitae; regnum sanctitatis et gratiae; regnum iustitiae, amoris et pacis. Et ideo…» [1].
Il concetto di Cristo Pontefice e Re, che riconquista e riconsegna al Divin Padre il regno della creazione che aveva da lui apostatato col peccato, affinché Dio sia in eterno tutto in tutti, è tolto da san Paolo. Il redattore ha tuttavia il merito d’aver dato alla sua bella composizione liturgica quel carattere lirico di vero cantico trionfale di ringraziamento, che costituiva già la caratteristica del primitivo hymnus eucaristico, come appunto chiamavasi la nostra anafora di consacrazione.
L’antifona per la Comunione già prelude all’effetto finale del Sacrificio Eucaristico, che termina colla divina benedizione. Gesù nella santa Comunione si asside come su di un trono nell’anima fedele, e la riempie di se stesso; egli che è il Benedetto delle genti, colui nel quale, giusta la promessa di Dio ad Abramo, tutti i popoli saranno benedetti (Salm. 28). «Il Signore s’assiderà qual sovrano sul trono eterno: egli darà al suo popolo una benedizione di pace».
Dopo la Comunione.- «Ora che abbiamo partecipato al cibo che nutre la vita immortale, ti preghiamo, o Signore, che quanti ci gloriamo qui in terra di militare sotto il regio vessillo del Cristo, possiamo giungere altresì ad essere con lui partecipi in cielo della gloria del suo regno».
Il vessillo regio di Gesù Cristo è la Croce: Dicite in nationihus: regnavit a ligno Deus; perché il regno di Cristo è ubbidienza, umiltà e sacrificio.
(Cardinale Alfredo Ildefonso Schuster OSB, Liber Sacrementorum. Note liturgiche e storiche sul Messale Romano. Vol. IX. I Santi nel Mistero della Redenzione (Le Feste dei Santi dalia Dedicazione di san Michele all’Avvento), Torino-Roma, 1932, pp. 65-70)
[1] È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Che il tuo Figlio unigenito, Gesù Cristo nostro Signore, hai consacrato con l’olio dell’esultanza: Sacerdote eterno e Re dell’universo: affinché, offrendosi egli stesso sull’altare della croce, vittima immacolata e pacifica, compisse il mistero dell’umana redenzione; e, assoggettate al suo dominio tutte le creature, consegnasse all’immensa tua Maestà un Regno eterno e universale, regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine