1. Come viene concepita la Fede cattolica di solito?
Come un sistema di varie credenze che hanno vari oggetti; sono opinioni di ordine naturale, non-verificabili e mutabili; opinioni che ci aiutano a comportarci in modo giusto. Come tale la Fede è messa sullo stesso livello delle altre religioni; l’uomo pretende il diritto di scegliere la religione che a lui sembra giusta, e rinunzia ad imporre la propria Fede o religione sugli altri.
Questa concezione, diffusa oggigiorno anche tra cattolici, si oppone all’insegnamento costante della Chiesa cattolica. La Chiesa insegna che la Fede è un insieme di dottrine unite dal loro oggetto che è Dio: Dio come è di per Sè Stesso. Queste dottrine non sono opinioni di ordine naturale, non-verificabili e mutabili: bensì costituiscono una conoscenza sovrannaturale e certa (e perciò evidente) di Verità immutabili; non semplicemente ci aiutano a comportarci in modo giusto, ma piuttosto sono necessari a questo fine e poi per raggiungere il cielo. Perciò occorre l’evangelizzazione per insegnare la Fede, e, data l’occasione, il martirio per difenderla.
Per tutti questi motivi la Fede cattolica non può essere messa sullo stesso livello delle altre religioni. L’uomo non ha il diritto di scegliere la religione come si sente, ma piuttosto il dovere di scegliere quella che è vera. A questo fine ci è data la libertà e per questo fine deve adoperare la sua intelligenza e la sua volontà in modo adeguato, e così facendo raggiungerà la Fede cattolica.
Vediamo qua due visioni distinte della natura della Fede: una visione falsa e una visione giusta.
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Come si può caratterizzare la visione falsa? E’ quel soggettivismo radicale diffuso dallo spirito moderno, che rende difficile il capire ragionamenti logici e persino lo stesso concetto della Verità oggettiva, rendendola soggettiva.
La visione giusta della Fede, invece, ci fornisce materia ampia e ragionamenti oggettivi che conducono l’uomo ad incontrarsi con Dio.
Gesù dice: conoscerete la verità e la verità vi farà liberi -…
La Fede è una virtù teologale, assieme alla Speranza e la Carità. Nelle parole del Catechismo Maggiore di san Pio X (859-860): ‘La Fede, la Speranza, e la Carità si chiamano virtù teologali, perché hanno Dio per oggetto immediato e principale, e ci sono infuse da Lui. Le virtù teologali hanno Dio per oggetto immediato, perché con la Fede noi crediamo in Dio, e crediamo tutto ciò che Egli ha rivelato; con la Speranza speriamo di possedere Dio; con la Carità amiamo Dio e in Lui amiamo noi stessi e il prossimo’.
La definizione di san Paolo (Ebr. XI 1) è: ‘La Fede è sostanza delle cose che si sperano e convinzione delle cose che non si vedono.’
In sintesi, Nostro Signore Gesù Cristo è l’oggetto della Fede: Lui stesso, Che ha detto: ‘Io sono la Verità, la Via e la Vita’, è la Verità che è l’oggetto della nostra Fede; la Via certa e sicura (senza di me non potete fare nulla); è la nostra stessa Vita eterna.
Le sedicenti ‘altre’ fedi o religioni, presentano altre visioni della realtà incompatibili con la visione cattolica.
San Paolo dice nella Seconda epistola ai Corinzi (6.16): ‘Quale unione tra la luce e le tenebre? Quale intesa tra Cristo e Beliar, o quale collaborazione tra un fedele ed un infedele? Quale accordo tra il tempio di Dio e gli idoli?’
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2. FIDES ET RATIO – Fede e ragione
La ragione e la Fede sono compatibili. Il Concilio Vaticano I, nella Costituzione Dei Filius, dichiara: ‘Benchè la Fede sia sopra la ragione, non è in nessun senso contrario ad essa, e non può darsi mai qualsiasi reale disaccordo tra la Fede e la ragione, poiché il Dio che rivela i misteri della Fede e la infonde in noi è lo stesso che ha infuso il lume della ragione nell’animo umano; Dio non può quindi negare Se stesso, né la verità contraddire la verità’.
Dunque, la ragione e la Fede sono due tipi di luce: il primo naturale, il secondo sovrannaturale. Esse ci prestano aiuto per attraversare, per così dire, la notte oscura di questo mondo. Non sono incompatibili: sono solo distinte. I loro oggetti sono anche diversi: sono due tipi di verità: il primo naturale, il secondo sovrannaturale. Non sono incompatibili perché, questi due tipi di verità, appartengono alla stessa realtà, all’una, unica realtà che coopera al bene dell’Uomo.
Diamo l’esempio di un cammino attraverso un bosco durante la notte: la luna ci mostra il bosco e la torcia ci mostra il cammino dentro al bosco: si tratta di due luci compatibili ma diverse, che ci mostrano entrambe un’unica realtà: il bosco.
La Fede non è un insieme di credenze come nelle altre religioni; non è un’esperienza o sentimento che viene da dentro l’uomo come pretendono i Modernisti; ma è una Luce, una conoscenza data da Dio, data dalla Grazia.
Cosa ci mostra questa luce? il suo oggetto non è una fabbricazione dell’uomo o del demonio, come nell’Induismo per esempio; non è una fabbricazione mescolata con la Verità, come l’Islam per esempio; non è una verità parziale come il giudaismo, ma, come abbiamo esposto, è la Verità tutta intera che è Dio Stesso.
MA ATTENZIONE a chi impone la sola ragione superiore alla Fede.
Con la definizione del Concilio Vaticano I: ‘La Fede è una virtù sovrannaturale per mezzo della quale, con l’aiuto e sotto l’ispirazione della divina grazia, crediamo essere veri i misteri rivelati da Dio. Questo non per l’intrinseca verità delle cose intelligibili alla luce naturale della ragione, ma per l’autorità del Dio rivelante che non può né ingannarsi né ingannare’,
vediamo qui che non è la ragione, bensì l’autorità di Dio, che è il motivo della Fede. Questo motivo lo chiamiamo interno e sovrannaturale. Il fatto che non è la ragione il motivo della Fede, ci distingue dai ‘razionalisti’, che pretendono che la sola ragione sia affidabile, che la sola ragione sia il metodo per raggiungere la Verità assoluta, che non ci sia altra via alla verità, che non ci sia una Luce superiore, e che non ci sia altra Verità superiore a quella che la ragione può raggiungere.
Noi invece professiamo che la ragione non è l’unico mezzo affidabile per raggiungere la Verità; che c’è un altro mezzo, cioè per raggiungere la Verità assoluta, e questo è la Fede; che c’è l’autorità di Dio; che c’è una Luce superiore, cioè Gesù Cristo; e che c’è una Verità superiore, cioè la Grazia, i Sacramenti che compongono la nostra Fede.
Quando riflettiamo un attimo, vediamo che con la sola ragione non abbiamo la certezza assoluta su molte cose: non sappiamo, per esempio, con certezza assoluta quasi nulla della nostra vita, della morte: non sappiamo con certezza assoluta per esempio sull’origine del mondo o quando finirà. Se la ragione non può darci la certezza assoluta di tante cose nella nostra vita, dunque, come dovrebbe darci una tale conoscenza sulla Verità assoluta che è Dio stesso?
Possiamo concludere che la ragione non è – da sola – un fondamento sicuro quando si tratta della Verità assoluta. Perché la ragione possa raggiungere la Verità assoluta, abbiamo bisogno della Fede, che i razionalisti non apprezzano, forse perchè non è soggettiva ed umilia, sanandola, una coscienza anarchica.
QUI IL PRIMO TESTO IN VIDEO CATECHESI
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3. CREDIBILITA’ E VOLONTA’ della Fede in cui crediamo
Qualcuno potrebbe obiettare, chiedendo: come sappiamo che il contenuto della Fede provenga davvero da Dio e che la Bibbia e l’insegnamento della Chiesa non siano soltanto delle fabbricazioni dell’uomo? L’evidenza sta nei miracoli, nelle profezie, e nella natura della Chiesa stessa, nella sua lunga storia bimillenaria. Questi elementi costituiscono un secondo motivo di credibilità che chiamiamo ‘esterno’ e ‘naturale’. Il primo motivo, l’autorità di Dio, essendo interno e sovrannaturale, è il motivo determinante dell’atto di Fede, mentre il secondo motivo, essendo esterno e naturale, ha un ruolo piuttosto corroborativo.
Nostro Signore Gesù Cristo conferma le Sue parole con segni e miracoli e i Suoi santi hanno fatto lo stesso. La conversione di quasi tutto quanto il mondo dal paganesimo a Cristo e la santificazione di tante anime, malgrado le concupiscenze della natura caduta che si oppongono all’ascesi e dottrina cattolica, è un miracolo che attesta altrettanto la Verità di questa predicazione; come anche la propagazione della Chiesa, la sua unità e stabilità invincibili, nonostante le continuate tempeste.
La Chiesa cattolica predica Dio Amore che si dà fino alla morte di Croce per noi: la Chiesa cattolica ci da la spiegazione più profonda della vita umana e di ciò che c’è di più profondo in essa, cioè, la sofferenza e l’amore, il perdono dei peccati, lo stesso concetto del perdonare. Non è un caso se tanti detti e proverbi usati e definiti “saggezza popolare” provengano tutti dai Vangeli, dalla civiltà Cristiana! Nessun’altra cosiddetta ‘fede’ o ‘religione’ è paragonabile con il cattolicesimo in questi riguardi, e nessun’altra proclama alcuna di queste verità che non abbia preso dal cattolicesimo.
Citiamo di nuovo il Concilio Vaticano I: ‘La Fede è una virtù sovrannaturale per mezzo della quale, con l’aiuto e sotto l’ispirazione della divina grazia, crediamo essere veri i misteri rivelati da Dio. Questo non per l’intrinseca verità delle cose intelligibili alla luce naturale della ragione, ma per l’autorità del Dio rivelante che non può né ingannarsi né ingannare’.
Vediamo che ciò che ci induce a credere non è né ragionamento fine a se stesso, né l’evidenza dell’oggetto della Fede, bensì la volontà. La spiegazione per ciò è che le verità che sono l’oggetto della Fede non sono evidenti in sè come le verità naturali, per esempio 2+2=4, e dunque non sono sufficienti per condurre l’intelletto all’assenso. C’è bisogna quindi di un atto della volontà per sollecitare quell’assenso.
Diceva sant’Agostino agli eretici del suo tempo: “non crederei neppure ai Vangeli, se non me lo dicesse la Chiesa Cattolica“, tornando così alle virtù teologali.
La Fede, anche se non è conseguenza di ragionamenti, non è per questo irrazionale né un annullamento della ragione, bensì ragionevole. San Paolo la chiama ‘un ossequio ragionevole’ (Rom.12.1).
La Fede è libera: si può accettare o no. ‘Se qualcuno vuole fare la volontà di Dio, lui conoscerà la dottrina’, dice il Signore (Gv.7.17), e Ludolfo il certosino commenta: ‘O discorso pieno di consolazione! Venite dunque, ignoranti che non conoscete la dottrina, per illuminarvi. Dio non chiede che una cosa: la semplice disposizione del cuore: Se qualcuno volesse, conoscerà. Non dite: ‘Non so dove è la verità, ed ignoro ciò che Dio chiede di me’. Volete e basta! Volete, e conoscerete!’
Possiamo dunque concludere che la Fede si basa sulla certezza (Gesù dice io sono la Verità), la certezza della credibilità ed in questo senso è inoltre ragionevole (Gesù dice io sono la Via e la Vita), anche se non dipende dalla sola ragione.
Ma proprio per questo motivo la Fede esige l’umiltà ed il sacrificio: il sacrificio dell’intelletto. Esige in particolare il sacrificio del desiderio di conoscere tutto solo da sé stessi, con la superba pretesa di “essere come Dio” se non, addirittura, esserGli superiore.
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4. LA FEDE E’ PER TUTTI? E’ un dono? E chi non crede?
Ci sono persone che dicono che vorrebbero credere, ma non possono. Cosa devono fare? Innanzi tutto a nessuno è impedita la Verità, tutti devono conoscere il contenuto della Fede, principalmente nostro Signore Gesù Cristo Stesso. Ricordiamoci della parola di san Giovanni (19, 34.35): ‘uno dei soldati gli colpì il costato con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera, e egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate’.
E scrive ancora (GV.20,30-31): ‘Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome’.
Poi devono vivere in un modo che corrisponda alla Fede. Questo, però, può essergli difficile, perchè le persone che fanno fatica a credere sono tipicamente figli del Mondo, e il Mondo si oppone diametralmente alla Fede. Per di più, il Mondo è peccaminoso e sottomette i suoi figli ai suoi propri modi di pensare e di agire, ottenebrandogli la intelligenza, cosi che trovano quasi impossibile uscire dal suo dominio o scorgere ‘la luce del vangelo della gloria di Cristo che è immagine di Dio’ (2Cor.4,4). Da queste persone viene richiesto un atto coraggioso di volontà, che ammonta a una vera e propria conversione: riconoscendo che esiste fuori loro stessi un principio più grande di loro, e umiliandosi ed assoggettandosi a questo principio, che è niente altro che Dio Stesso.
In un tale caso, e anche generalmente, occorrono l’umiltà e l’obbedienza per credere. Questa è ‘L’ubbidienza alla Fede’ di cui parla san Paolo (Rm.1,5). Per ciò i superbi ed i disubbidienti non accetteranno la Fede.
Ma la Fede non è solo una possibilità per tutti, bensì anche un dovere: un dovere per ogni uomo, perché Dio ‘vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità’, che è la Fede (1Tim.2.4). PRINCIPIO E’ CHE: l’uomo non ha il diritto di non credere, o di credere ciò che vuole lui. Non ha neanche il diritto di credere ‘secondo la sua coscienza’ intesa, nel senso sbagliato, o nell’anarchia dei suoi sentimenti. Piuttosto ha il dovere di credere secondo la sua coscienza intesa nel senso giusto, come un’applicazione di principi morali oggettivi su un atto concreto, in questo caso sull’atto della Fede. Il concetto e principio della libertà (libero arbitrio) si esplicita in questa scelta: o con Dio o contro di Lui, non c’è la via di mezzo e non ad un dio qualsiasi, ma a Gesù Cristo.
Per questo, chi non crede, fallisce nel suo dovere. Anzi, come dice il Signore: ‘Chi non crederà sarà condannato’ (Mc.16.16), ed in un altro luogo: ‘Se non credete che Io Sono, morirete nel vostro peccato.’ (Gv.8.24). Sant’Agostino commenta: ‘Cosa bisogna credere? Bisogna credere che Gesù è: ‘quia Ego Sum’, che Egli è Colui Stesso che ha detto a Mosè: ‘Ego Sum Qui Sum’: bisogna confessare la Sua Divinità’.
L’atto di Fede è libero, dunque, e bisogna essere libero perché Dio vuole che l’uomo Lo ami, e solo un atto libero può costituire l’amore e l’atto di amore è l’atto di Fede che illumina la mente con la Verità divina, così che l’uomo in seguito possa amare Dio pienamente e in tutte le cose.
E’ perciò, la Fede, un atto di amore a Dio; un atto di sacrificio: un sacrificio di ciò che è la facoltà la più alta e la più nobile dell’uomo, cioè l’intelligenza: è un sacrificio dell’intelligenza a ciò che è ancora più alto e più nobile di essa, cioè la Verità assoluta e definitiva che è Dio Stesso. Questo sacrificio conduce ad un secondo sacrificio, ossia della volontà al Bene assoluto e definitivo che è Dio stesso. E così la Fede conduce alla Carità, che è un sacrificio di tutto ciò che non è Dio, per santificare l’uomo e per condurlo alla felicità eterna in Dio.
qui secondo video del testo in catechesi
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5. l’Immutabilità della Fede e il Modernismo
Talvolta qualcuno dirà: ‘Comunque la Chiesa è molto cambiata’ e pensiamo subito al suo insegnamento ed alla sua liturgia. In quale senso, dunque, è cambiato l’insegnamento?
Fino, forse, a cinquant’anni fa, la Gerarchia nella Chiesa presentava una visione della realtà, a cui abbiamo accennato nei capitoli scorsi di Dio Uno e Trino, assolutamente trascendente e sovrannaturale, al di sopra di tutto il creato; Che elargisce sugli uomini la grazia sovrannaturale, illuminando la loro conoscenza con la Fede, e accendendo la loro volontà con la Carità, affinchè l’uomo si possa elevare ed unire a Lui quaggiù e nel Cielo, anche attraverso l’uso della ragione, dono anch’esso di Dio.
A questo fine ha istituito la Chiesa, a cui ha affidato la Grazia dei Sacramenti, e tutte le verità soprannaturali della Fede e della morale (vediamo i dieci comandamenti), di cui l’uomo ha bisogno per il suo viaggio attraverso il deserto di questo mondo, la “valle di lacrime” come supplichiamo nella Salve Regina.. Coloro che seguono questa strada, la porta stretta che è il Cristo stesso, apparecchiata per loro da Dio, raggiungeranno il Cielo; coloro che non la seguiranno, rifiutandola, finiranno nell’Inferno. La strada che conduce al Cielo è stretta e richiede ascesi e mortificazione, anche se porta con se la pace e la più profonda felicità possibile in questo mondo; la strada che conduce all’Inferno è larga invece, non richiede sforzi e porta con se piaceri, ma piaceri passeggeri che cedono poi alla tristezza e spesso alla disperazione.
Da circa cinquant’anni, invece, molti uomini nella Chiesa presentano un’altra visione della realtà: La Grazia, il peccato e l’ordine sovrannaturale non sono più menzionati. La Fede cattolica sarebbe secondo loro un sistema di credenze sullo stesso livello di quello dei protestanti, o di quello di qualsivoglia religione. La Fede prettamente cattolica non sarebbe più necessaria per raggiungere il Cielo, né l’appartenenza alla Chiesa cattolica: il Battesimo sarebbe una mera convenzione, e la Chiesa solo un raggruppamento di persone con le stesse credenze, alla pari di altri gruppi non cattolici. Non sarebbe necessaria neppure la Carità intesa quale conversione al Cristo, ma basterebbe l’amore in senso assai vago e indefinito, come si rivela nell’ecumenismo, o nel dialogo con i non credenti.
Questo amore e la gioia a cui conduce, costituiscono un vangelo ‘positivo’ opposto ad un vangelo ‘negativo’ che si interessa alla mortificazione, al peccato, e all’Inferno. In sostanza: il vangelo positivo sarebbe quello SOGGETTIVO, interpretato a seconda delle mode del momento, che si sostituisce al vangelo per loro negativo che è la vera Rivelazione di un Dio certamente scomodo perché oggettivo sul piano della Grazia e dei Sacramenti, del peccato, della conversione e della stessa sorte degli uomini.
L’insegnamento è dunque cambiato? Quale insegnamento è giusto: quello tradizionale o quello moderno? O forse l’insegnamento tradizionale era giusto allora, ma ormai l’insegnamento moderno è giusto? Diamo un esempio: la Fede e la Carità sono necessarie alla salvezza, o non lo sono? Oppure, erano necessarie nel passato, ed ora non lo sono più? Oppure la loro dottrina è mutabile?
La risposta è chiara come la luce: l’insegnamento tradizionale, bimillenario della Chiesa è giusto e quello moderno è falso. La Fede e la Carità sono necessarie per la salvezza e lo saranno sempre. I Modernisti che insegnano dottrine opposte non possono cambiare l’insegnamento cattolico. Non c’è dunque cambiamento ne sviluppo nel contenuto del dogma. Se sentiamo qualcuno rigettare una dottrina tradizionale o proclamare una nuova; se lo sentiamo parlare di sviluppo, di cambiamento, o di novità, possiamo già sapere che ciò che propone non è cattolico. Di fatti per i Padri della Chiesa il ‘nuovo’ è proprio l’essenza dell’eresia. Come scrive l’Apostolo (Gal.1.9): ‘Se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema!’
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6. La Fede e l’eresia: il Protestantesimo
La parola ‘eresia’ viene dal greco hairesis che significa ‘scelta’ e consiste nello scegliere ciò che si vuole credere, piuttosto che di accettare tutto ciò che Dio rivela tramite la Chiesa. Questa scelta si distingue per la sua falsità: è una scelta falsa, un esercizio falso del libero arbitrio, in quanto è una scelta della falsità piuttosto della verità: ossia della verità che è l’oggetto della Fede. Questa scelta (nel caso di un’eresia formale) si distingue inoltre per la sua superbia, perché è un rifiuto di sottomettersi all’autorità di Dio e della Chiesa, e di umiliare l’intelletto davanti alla Fede. Cos’è esattamente l’eresia? Il codice di Diritto Canonico afferma: ‘Vien detta eresia, l’ostinata negazione, dopo aver ricevuto il battesimo, di una qualche verità che si deve credere per Fede divina e cattolica, o il dubbio ostinato su di essa’.
Ora il termine tecnico per la verità di cui si tratta qui è ‘dogma’. Il dogma è una verità divinamente rivelata, che viene proposta dal magistero della Chiesa da credere come tale. Ricordiamo che il Concilio Vaticano I dichiara: ‘Si deve credere per Fede divina e cattolica tutto ciò che è contenuto nella parola di Dio, scritta o tramandata, e che dalla Chiesa viene proposto da credere come divinamente rivelata, sia con un giudizio solenne sia nel magistero ordinario e universale’.
Questo giudizio solenne può essere dato o dal Papa o da un Concilio ecumenico, e costituisce la definizione del dogma (ricordiamo che l’ultimo dogma proclamato è stato quello dell’Assunta al Cielo da parte di Pio XII nel 1950). Il magistero ordinario e universale, invece, consiste nell’insegnamento costante della Chiesa, ad esempio nei catechismi promulgati dall’episcopato (prima del fenomeno del Modernismo).
Il criterio per sapere che una determinata dottrina appartenga al magistero ordinario e universale della Chiesa (come alla Tradizione orale in genere,) è che la dottrina sia trasmessa ovunque, in ogni tempo, e da tutti. Bisogna precisare che l’eresia, quanto a una verità sola della Fede, comporta con se la perdita totale della Fede, perchè rigettare o dubitare in modo ostinato di una sola verità, è rigettare l’autorità di Dio su cui si basa la Fede intera.
Precisiamo ora la questione del Protestantesimo.
L’eresia si distingue in eresia formale ed eresia materiale.
L’eresia formale viene definita nel Codice con il termine ‘ostinato’, o ‘pertinax’ in latino: negazione ostinata, dubbio ostinato, pertinace. L’eresia materiale, invece, è la negazione o dubbio non ostinato di una verità di Fede. In altre parole un’eresia formale comprende non solo un errore dell’intelletto, ma anche un atto deliberato della volontà, mentre un’eresia materiale comprende solo un errore dell’intelletto.
Un esempio di eresia formale è la negazione di Martin Lutero che la santa Messa è un sacrificio; un esempio di eresia materiale è la negazione del primato del Papa da parte di un protestante cresciuto nell’ignoranza, che sarebbe pronto a correggere questo errore, se ne fosse adeguatamente istruito.
L’eresia è la negazione di una verità rivelata della Fede, di un dogma. Tipicamente la Chiesa condannava l’eresia con l’anathema dichiarando, per esempio: ‘Se qualcuno dicesse che i Sacramenti della nuova legge siano più o meno di sette, anathema sit’ (concilio di Trento s.7, can.1); ‘anathema sit’ significa ‘sia escluso’, ed esprime il fatto che un eretico formale è escluso dalla Chiesa cattolica, che non appartiene ad essa, per sua colpa. E’ perciò un’opera di misericordia da parte della Chiesa, anzi un dovere grave, di dire a questa persona che lei sta nell’errore e di escluderla dalla comunione, affinchè possa pentirsi e tornare alla vera strada, all’Ovile santo. In breve, se non abbiamo capito il significato dell’eresia e dell’anatema, non scorgiamo la gravità, è perché non abbiamo capito il significato della Fede, o forse – Dio non voglia – siamo già coinvolti nell’eresia protestante e Modernista.
qui il terzo video del testo in catechesi
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7. La Fede protestante non è cristiana
Usiamo questo breve spazio per alcuni chiarimenti all’audio precedente sulla Fede e l’eresia protestante.
L’eredità del pensiero di Lutero la troviamo non solo nelle sette protestanti, ma da circa cinquant’anni anche in Seno della stessa Chiesa Cattolica e nella mentalità moderna in generale. Tra i cattolici d’oggi, questo pensiero protestante, lo troviamo nelle dottrine, talvolta mescolate con dottrine cattoliche, sull’autointerpretazione della Sacra Scrittura, in quegli atteggiamenti del concepire la Chiesa come istituzione di uomini e come ‘peccatrice’, e del concepire la Santa Messa come ‘cena, banchetto’ ove il sacerdote funge meramente da ‘presidente’, quasi fosse il protagonista del rito con l’assemblea, dove si balla senza più curarsi della Divina Presenza Reale di Gesù Ostia-Santa, per non parlare degli altri Sacramenti sviliti e ridotti ad una fede spirituale senza più LA GRAZIA.
Riscontriamo inoltre un soggettivismo radicale diffuso tra cattolici che non riescono a comprendere che la Fede è oggettivamente vera, e che la dobbiamo proclamare ed insegnare come tale, e invece cercano la comunione con altre confessioni o religioni nel nome di una ecumania indefinita e vaga; un soggettivismo radicale che si oppone ai concetti di dogma, eresia, ed anatema; un individualismo che cerca un diretto rapporto con Dio in tutto, prescindendo dalla Chiesa, dal sacerdozio o dai Sacramenti, in particolar modo la santa Messa domenicale e la Confessione. Alla luce di queste, seppur brevissime considerazioni, risulta difficile trovare il motivo per cui un cattolico possa oggi lodare Martin Lutero (e il protestantesimo), magnificarlo o definirlo “cristiano”.
Alcuni, infatti, lodano Lutero per una sua sincerità, fiducia, chiarezza su cui basa le sue dottrine, e la sua coscienziosità, ma tali qualità non hanno alcun valore se non si rapportano alla realtà oggettiva: il Vero oggettivo, ed il Bene oggettivo. Per Lutero non fu così, perché nella sua dottrina egli sostituisce la verità oggettiva con la sincerità; recide, taglia la Fede stessa dai criteri oggettivi che a queste danno valore: recide la fiducia dall’autorità di Dio e della Chiesa, recide la chiarezza dalle proprietà intrinseche della verità, e recide la coscienziosità dalla legge morale oggettiva a cui è ordinata. Ne consegue che sincerità, fiducia, la Fede stessa, chiarezza, e coscienziosità divengano meri stati mentali soggettivi, emotivi dell’individuo e moralmente indifferenti. Questi elementi rappresentano così solamente ulteriori manifestazioni del suo soggettivismo radicale e di un pensiero per nulla cristiano tanto che giunse ad affermare: ‘Pecca fortiter, Sed crede fortius-Pecca pure fortemente, ma sii ancora più forte nella tua Fede’…
No, non possiamo ascoltare Lutero e neppure chiunque oggi lo esalti. Il vero bene scaturito dalla rivoluzione protestante è quello che Dio, nella Sua misericordia infinita, si è degnato di trarre da tanti e così grandi mali: il grande bene che fu il Sacro Concilio di Trento, che ha codificato e stabilito per Sempre il Rito Romano della Santa Messa e ha definito dogmaticamente la Fede Divina e Cattolica sulla Sacra Scrittura, sulla Tradizione, sul Peccato Originale, sulla Giustificazione tramite Fede e opere, sui meriti, sui Sette Sacramenti, sul Purgatorio, sul Culto dei Santi e sulle Indulgenze, così che tutti i Cattolici di tutte le epoche successive potessero godere di quell’inesauribile fonte di grazia e di santità che è Catechismo Romano, e che potessero conoscere queste Verità eterne, accettarle in spirito di devota sottomissione e umiltà, e vivere Secondo queste per la gloria del Dio Trino ed Uno e per la salvezza delle loro anime.
Su Lutero si legga anche qui: Alle origini della protesta: Lutero https://cooperatores-veritatis.org/2014/10/31/alle-origini-della-protesta-lutero/
8. La Fede e la predestinazione
I cattolici credono nella predestinazione? La risposta potrebbe sorprendervi.
di Nicholas Senz – pubblicato il 14/03/19 da Aleteia
Eccoci davanti a uno dei misteri più profondi della Chiesa cristiana
Viviamo in un mondo di gratificazione istantanea e brevi intervalli di attenzione. “Se non otterrò la risposta in 280 caratteri non voglio ascoltarla”, sembra dire la mentalità prevalente. Quando si tratta di complesse questioni di fede, però, a volte la risposta breve può essere fuorviante.
L’ho sperimentato di recente durante una presentazione sulla Divina Provvidenza. Quando mancavano tre minuti allo scadere del tempo che mi era stato assegnato qualcuno ha alzato la mano dicendo: “Come si collega alla predestinazione?”
Ho cercato di eludere la domanda dicendo che non potevo esaurire il concetto in soli tre minuti, ma i presenti mi hanno pregato di dire qualcosa, e allora ho risposto: “Va bene. I cattolici credono alla predestinazione? Ovviamente sì!”
Tante sopracciglia si sono alzate, e una confusione silenziosa si è diffusa nella sala. Era un gruppo abbastanza catechizzato e riuscivo a immaginare cosa stessero pensando tutti i presenti.
“È un dogma della fede cattolica che i salvati, gli eletti, sono predestinati da Dio alla salvezza”, ho continuato. “Emerge chiaramente dalla Scrittura, dalla Tradizione e dall’insegnamento costante della Chiesa”.
“E il libero arbitrio?”, ha chiesto qualcuno.
“Ve l’avevo detto che non avrei potuto spiegarlo in tre minuti!”, ho replicato, promettendo una presentazione esauriente sul tema la settimana successiva.
Di fatto, la predestinazione è un’idea cattolica, e una parola cattolica. Ho tutta l’intenzione di reclamare ciò che è nostro.
La Scrittura esprime molto chiaramente l’idea che quelli che vengono salvati sono “chiamati” (Romani 8, 28), che Dio “ci ha eletti prima della creazione del mondo” (Efesini 1, 4) e che gli eredi di Cristo erediteranno il regno preparato per loro “fin dalla fondazione del mondo” (Matteo 25, 34).
È quindi un dogma di fede che Dio, per eterna risoluzione della sua volontà, abbia predestinato certi uomini alla beatitudine eterna.
Sappiamo che siamo salvati solo mediante il dono della grazia di Dio. Sappiamo che Dio conosce da sempre chi verrà salvato e chi no. Cosa significa? Che Dio dona la sua grazia solo ad alcuni e non ad altri? Che sceglie semplicemente a caso chi verrà salvato? Per dirla senza mezzi termini, se Dio predestina alcune persone per il Paradiso, non significa forse che predestina anche alcuni per l’Inferno?
Su questo punto la Chiesa è ferma: “Dio non predestina nessuno ad andare all’inferno; questo è la conseguenza di una avversione volontaria a Dio (un peccato mortale), in cui si persiste sino alla fine” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1037). È un sollievo sentirlo!
Maria, nata «senza macchia»: il suo ruolo era predestinato?
Il Catechismo sottolinea che è possibile allontanarsi volontariamente da Dio, anche se la Chiesa non insegna che qualche persona particolare sia all’Inferno. Non sappiamo mai come opera la misericordia di Dio nella vita di una persona, perfino al momento della morte. Ad esempio, però, il Catechismo nota che a Erode e Pilato viene permesso da Dio di rifiutare la sua grazia. Il giovane ricco se ne va triste perché aveva molti beni. Sono persone che si sono evidentemente allontanate da Gesù, almeno per un po’, ma è stata una loro libera scelta, non una scelta di Dio.
E tuttavia ci sembra di trovarci in un vicolo cieco: sappiamo che la grazia di Dio è un puro dono e non si può guadagnare, e ad ogni modo sembrerebbe fondamentalmente ingiusto che Dio non doni la sua grazia a qualcuno in modo arbitrario, al di là di qualsiasi considerazione delle sue azioni – se ci lamentiamo di non aver ricevuto quel dono, non stiamo forse dicendo che ci era dovuto? Come uscire da questo circolo vizioso?
La Chiesa afferma anche inequivocabilmente che Dio offre a tutti una grazia sufficiente – ovvero la grazia sufficiente per volgersi a Lui e allontanarsi dal peccato. In altri termini, Dio offre a tutti la possibilità di salvarsi.
Questo problema del rapporto tra grazia e libero arbitrio, tra dono di Dio e le nostre scelte, è sempre stato uno dei misteri più profondi della fede cristiana. Sono state proposte molte teorie diverse relative a come funzioni questo rapporto (tomismo, molinismo, congruismo, tra le altre), ma nonostante le complessità e i misteri possiamo essere sicuri del fatto che Dio predestina i salvati al Cielo, ma non predestina nessuno all’Inferno. È questo l’errore di Giovanni Calvino e di altri riformatori protestanti, che di fronte al mistero della grazia hanno deciso erroneamente che l’Inferno poteva essere la volontà di Dio per certe anime. Non è affatto così!
La predestinazione è un argomento profondo che tocca molti aspetti della fede, e non si può spiegare in 3 minuti o 800 parole. Mentre lottiamo con questo mistero, possiamo comunque fare affidamento su queste sagge parole del Dottore della Grazia, Sant’Agostino:
Dio, che ti ha creato senza di te, non può salvarti senza di te (Discorso 169)
Dio è buono, e Dio è giusto. Può salvare una persona senza opere buone, perché Egli è buono, ma non può condannare nessuno senza opere malvagie, perché Egli è giusto (Contro Giuliano).
La sua misericordia ci precede in tutto, ma assentire o dissentire dalla chiamata di Dio è una questione di volontà (Lo Spirito e la lettera 34, 60)
qui il quarto video del testo in catechesi
Trasmettere la fede ai bambini: 5 cose inefficaci (e 3 che invece funzionano)
Christian Smith è uno dei sociologi e divulgatori religiosi più influenti negli Stati Uniti. È stato professore di sociologia per 12 anni presso l’Università della Carolina del Nord a Chapel Hill, e dal 2006 è professore presso l’Università Cattolica di Notre Dame, Indiana.
Smith da protestante, cresciuto in una famiglia presbiteriana, è diventato cattolico, attraverso una vera e propria ricerca spirituale snodatasi tra varie esperienze: quelle compiute nelle chiese anabattiste, poi anglicane, è approdato dopo 13 anni di «molte letture, conversazioni, riflessioni, domande, discussioni, riconsiderazioni e preghiere» alla chiesa cattolica di cui l’ha conquistato «l’autorità e l’unità e la ricchezza della sua dottrina sociale». Da brillante sociologo e convinto cattolico, ha fornito una serie di consigli sul modo efficace in cui trasmettere la fede ai propri figli.
Innanzitutto presentarla come una priorità vera e propria. Inoltre, è necessario, afferma, un discorso continuativo sulla fede, che non si riduca al semplice giorno di domenica, ma che venga portato avanti per tutta la settimana. Smith parla per esperienza: ha infatti raccontato di aver goduto, da giovane, della formazione di un ottimo gruppo di maestri nella fede, cosa che oggi, sottolinea, non è comune.
Peraltro, Smith ha analizzato la fede dei bambini, dei giovani e degli adolescenti, negli Stati Uniti, dal punto di vista sociologico, nei suoi libri Soul Searching, Souls in Transition, Youth Catholic America e Lost in Transition.
In essi presenta un quadro che rispecchierebbe, a suo dire, la realtà in merito all’approccio alla fede degli americani. La maggior parte degli americani che credono in Dio, soprattutto quelli sotto i 35 anni, non sono in realtà, sostiene, né cattolici, né protestanti, né ebrei: sono dei “deisti moralisti terapeutici” (MTD, in inglese), espressione coniata da Smith stesso e che negli ultimi dieci anni utilizzano sempre più analisti ed evangelizzatori.
I “deisti moralisti terapeutici” hanno poco o nessun interesse per Gesù, la Bibbia, il peccato o il rapporto personale con Dio. Sia che vadano in parrocchia, sia che seguano il culto protestante o ebraico, le loro convinzioni sono fondamentalmente le 5 seguenti:
Dio esiste, ha creato e ordinato il mondo e veglia sulla vita degli esseri umani. Dio, inoltre, vuole che siamo buoni e gentili: a questo si ridurrebbe il messaggio della Bibbia e della maggior parte delle religioni. Lo scopo della vita è sentirsi bene con sé stessi ed essere felici. Ancora, Dio non dovrebbe interferire nella nostra vita, tranne se gli chiediamo aiuto per risolvere un problema. Infine, le brave persone vanno tutte, automaticamente in paradiso quando muoiono.
Insomma la visione generale del Creatore, dei “deisti moralisti terapeutici” è quella di un Essere lontano, vigilante, risolutore, che non si preoccupa di salvare gli uomini dal peccato, ma che garantisce a tutti la vita eterna. E in tutto questo non viene preso nemmeno in considerazione il bisogno di convertirsi, data la visione quasi “irenica” della religione che emerge da tale concezione.
Smith, inoltre, fa notare che il “teismo moralistico terapeutico”, come prevedibile, si trasmette con una certa facilità negli Stati Uniti. Invece ciò che oggi non viene trasmesso in modo né naturale né culturale è il vero cristianesimo, nemmeno di genitore in figlio, perché richiede uno sforzo cosciente. Infatti, in un’intervista su CruxNow.com nel gennaio 2020, il sociologo ha specificato cosa funziona e cosa no, sulla base della sua ricerca sociologica, nel modo di trasmettere la fede, oggi.
Innanzitutto non va bene che i genitori siano troppo passivi, che non facciano nessuno sforzo per trasmettere la fede. Il secondo metodo fallimentare è il contrario del primo, ovvero genitori troppo autoritari «Devono essere genitori propositivi, ma non invadenti», spiega il sociologo. Ancora, limitarsi a “dare l’esempio”, ma senza parlare di fede in casa «Non funziona per modellare la fede e la pratica religiosa dei bambini senza che i genitori parlino loro spesso del motivo per cui credono e praticano; i bambini hanno bisogno di sentire i loro genitori parlarne, non solo sperimentarlo», insiste Smith.
Altrettanto sbagliato è predicare senza “razzolare”, ovvero dire al bambino che andare a Messa la domenica o digiunare è molto importante, salvo poi vedere che i genitori non mettono in pratica nulla di ciò che dicono. L’incoerenza non funziona. Anche illudersi che basti lasciar fare alla scuola o alla parrocchia è inefficace: la scuola e la parrocchia, in realtà, da sole non bastano quando si tratta di trasmettere la fede ai bambini. Né i campi scuola, né i ritiri o le catechesi funzionano senza i genitori, perché è fondamentale che i bambini vedano che i genitori sono quelli che danno l’esempio e guidano il processo.
Al contrario, le 3 cose che funzionano nel trasmettere la fede ai figli sono: che la fede venga trasmessa come una priorità «Deve essere una priorità nella vita dei loro genitori; devono fare della loro vita il modello che vorrebbero che i loro figli abbracciassero», avverte il sociologo. Ma anche parlare ai figli della fede durante la settimana è importantissimo: «È assolutamente essenziale che i genitori parlino di religione ai propri figli, non solo una volta alla settimana, ma regolarmente, durante tutta la settimana. Parlare ai bambini di questioni religiose durante tutta la settimana è uno dei meccanismi più potenti per trasmettere loro la fede. Quando i genitori non parlano mai, o raramente, di religione in termini personali, inviano ai loro figli il forte messaggio che non si tratta di una cosa veramente importante».
Infine è efficace mostrare sia affetto che ferma autorità coi ragazzi, in quanto non sono efficaci né i genitori passivi, né quelli troppo autoritari, né quelli troppo permissivi. Coloro che trasmettono bene la fede sono coloro che esprimono affetto ai bambini, e allo stesso tempo sono esigenti, ma lasciando anche che i ragazzi interiorizzino ed elaborino una propria visione della fede e dei valori.
***
Un Sacerdote mette in guardia dagli 8 errori più frequenti che colpiscono la fede
La fede: più volte è attaccata, aggredita in certi casi. Ma Cristo c’è sempre e non abbandona mai ciascuno di noi. Per la fonte, qui.
Quante volte, specie nei momenti di maggiore difficoltà, la prima cosa che facciamo è proprio quella di abbandonare la fede, pensando che la colpa di tutto ciò che ci accade sia proprio di Dio.
Ma è realmente così? Un sacerdote ci aiuta a non commettere questo grave errore, e lo fa attraverso alcuni consigli.
La nostra fede è sempre retta?
Una fede retta, salda e forte. Pensiamo sia soltanto un qualcosa che i Santi hanno avuto ma, in realtà, così non è. Ciascuno di noi, a modo suo, alimenta la propria fede attraverso la preghiera, i gesti di carità…ma non sempre riusciamo a mantenerla forte così proprio come facevano i Santi.
Allora, per noi, non è possibile avere la stessa forza di fede? In realtà no, basta non cadere in determinati errori che possono portarci ad avere una visione distorta della fede e cadere così, nella tentazione di lasciarla ed abbandonarla, poi, definitivamente. Come fare allora? Un sacerdote ci dà alcuni consigli su quali sono gli 8 errori che possono colpire la nostra fede.
Lui è Monsignor Charles Pope e ci descrive, passo passo, attraverso un suo articolo pubblicato sulla rivista “National Catholic Register” proprio su questi errori da non commettere per vivere nel mondo più sano la nostra fede.
8 consigli per rafforzare la nostra fede
Il primo di questo è quello che ci spiega che la misericordia di Dio non fa riferimento al nostro pentimento: “Oggi per molti il termine ‘misericordia’ significa ‘Dio è d’accordo con quello che sto facendo’. (…) Questo errore è molto diffuso e conduce al peccato di presunzione, che è contrario alla speranza” – spiega.
Il secondo è quello di andare a guardare quanto possa esser difficile la parola di Gesù, ma in realtà è molto più semplice, immediata e diretta di quello che si pensa: “Nel Nuovo Testamento per dialogo si intende il dare testimonianza del Vangelo: “Oggi non è chiaro se la conversione sia davvero un obiettivo”.
Perché si ha paura della croce?
Il terzo riguarda la paura di molti, anche uomini di Chiesa, di affermare che, qualche volta, la via della croce è necessaria percorrerla per rafforzare la fede: “Molti cattolici, inclusi preti e vescovi, hanno paura quando fanno notare le esigenze della croce. Quando il mondo protesta: ‘Stai dicendo che chi ha attrazione per lo stesso sesso non può sposarsi [ecc.], ma deve vivere un tipo di celibato?’ La risposta onesta è: ‘Sì’.
Il quarto è quello di guardare all’amore con la gentilezza: “La gentilezza è un aspetto dell’amore. Ma lo è anche il rimprovero, la punizione, la lode. (…) Invece di mantenere la propria posizione e insistere sul fatto che contrapporre l’amore alla verità sia una falsa dicotomia, la maggior parte dei cattolici si arrende”.
Il quinto pone l’attenzione sul concetto dell’universalismo: “La convinzione che la maggior parte delle persone, se non tutte, alla fine saranno salvate. Ciò è contrario agli insegnamenti di Cristo sulla salvezza e rappresenta un pericolo reale per i fedeli, in quanto produce “pochissima urgenza tra i cattolici di evangelizzare o addirittura di vivere la fede”.
Il sesto parla di tolleranza: “Spesso oggi si identifica la tolleranza con l’approvazione. (…) Invece di annunciare con gioia e zelo la verità rivelata da Dio, molti adottano una falsa tolleranza che o è indifferente alla verità o addirittura afferma l’errore”.
Il settimo pone l’accento su quanto la vita del mondo possa non convivere insieme con la fede, cosa che invece è possibile: “Quando la fede entra in conflitto con qualche categoria mondana, indovina quale tende a cedere? (…) Tutto ciò equivale a un tragico capovolgimento di ruoli in cui il mondo e le sue nozioni annullano il Vangelo. Deve essere il mondo invece ad essere convinto dallo Spirito Santo”.
L’ultimo guarda all’uomo e al suo mettersi sempre al centro di tutto, anche durante la liturgia: “L’emarginazione di Dio è evidente non solo nella liturgia, ma anche nella vita parrocchiale, che spesso è piena di attivismo radicato nelle opere di misericordia corporali, e presta poca attenzione a quelle spirituali” – conclude il sacerdote.
Ogni tanto…facciamoci caso.
Se la fede è un dono di Dio, come mai si rischia di non essere salvati se non la si possiede?
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Quesito
Padre carissimo,
Dio la benedica per il santo aiuto spirituale che da’ a tutte le nostre anime in ricerca del Signore.
Ho una domanda a cui non riesco a dare risposta: è comune commentare che la fede sia un dono di Dio e lo stesso Gesù nel vangelo dice che chi viene a lui è perché’ è stato illuminato dal Signore nostro Dio.
Ma nello stesso tempo chi non ha fede “rischia” di non essere salvato.
Come si coniugano le 2 cose? Voglio dire se la fede è un dono, per quale motivo chi non ce l’ha ne ha una colpa?
La ringrazio per la risposta e la ricordo nelle mie preghiere
Risposta del sacerdote
Carissimo,
1. la fede di cui noi parliamo non è la fede umana. È la fede teologale.
Noi prestiamo tantissimi atti di fede umana: crediamo al medico, crediamo ai negozianti, crediamo alle informazioni che ci vengano date…
Questi atti di fede umana partono e dipendono soltanto da noi.
La fede teologale invece ha come oggetto le realtà di ordine soprannaturale, che l’uomo non vede.
Può aderire a queste realtà solo se Dio si rivela e solo se Dio lo attrezza interiormente a dare il suo consenso.
Per questo la fede teologale è dono di Dio.
2. Che sia dono di Dio viene ricordato chiaramente dalla Sacra Scrittura.
Gesù dice: “Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato” (Gv 6,44) e “nessuno può venire a me se non gli è concesso dal Padre mio” (Gv 6,65).
I credenti sono coloro che Gesù ha ricevutocome donodal Padre: “Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori” (Gv 6,37).
3. Anche negli Atti degli Apostoli c’è un riferimento chiaro all’azione preveniente della grazia.
Si legge che a Filippi “c’era ad ascoltare anche una donna di nome Lidia, commerciante di porpora, della città di Tiàtira, una credente in Dio, e il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo” (At 16,14).
Dio non ha fatto violenza a Lidia, ma le ha dato la forza di aderire.
È lei che ha acconsentito e l’adesione è stata un suo atto personale.
Ma questo atto è stato sollecitato e confortato dalla grazia.
4. Il dono della fede Dio lo offre a tutti perché vuole salvare tutti.
Infatti “Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità” (1Tm 2,4).
E poiché “senza la fede è impossibile essergli graditi” (Eb 11,6) ne segue che Dio la fede la offre a tutti.
5. La fede è essenziale per la salvezza perché è solo per mezzo della fede che noi conosciamo l’obiettivo finale e i mezzi per raggiungerlo.
Ora tanto l’obiettivo quanto i mezzi sono di ordine soprannaturale.
Se non si conosce l’obiettivo e se non si fruisce dei mezzi di ordine soprannaturale che Dio ci ha dato è impossibile entrare in quella realtà di ordine soprannaturale che è Dio, il paradiso.
Per questo il Signore ha detto: “Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo; chi non crederà, sarà condannato” (Mc 16,16).
E: “In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio” (Gv3,5). Qui si allude chiaramente al battesimo e alla sua assoluta necessità.
Il Regno di Dio è una realtà divina e soprannaturale e si entra in esso “mediante il lavacro di rigenerazione nello Spirito Santo” (Tt 3,5).
6. Gesù ha detto anche che “chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato” (Gv3,18).
È già condannato perché è nelle tenebre.
Come avere la fede è la stessa cosa di un paradiso anticipato, così il non averla e la privazione di questo stesso paradiso.
È già una condanna.
Ciò non significa che non abbia la possibilità della conversione. Il Signore preme accanto ad ogni persona per essere accolto
7. Di chi è la colpa se qualcuno non ha la fede?
Non è certo perché Dio non l’abbia voluta dare, perché vuole donarla a tutti.
L’unica risposta è questa: c’è stato qualche impedimento a riceverla.
L’impedimento può essere causato dai peccati del soggetto che hanno ottenebrato la sua mente per cui Gesù ha detto,: “La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie” (Gv 3,19).
Oppure perché gli uomini si sono lasciati appesantire da “dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita”( Lc 21,34).
Ma la colpa potrebbe venire anche dall’esterno, come ad esempio a causa di un mancato annuncio oppure per un annuncio deformato per cui più che il rifiuto del vero Dio c’è il rifiuto di una falsa immagine di Dio.
Oppure ancora, e purtroppo non di rado, a motivo della contro testimonianza dei credenti.
Per cui il giudizio non tocca noi a darlo
Ti ringrazio del prezioso ricordo nelle tue preghiere.
Lo contraccambio volentieri e ti benedico.
Padre Angelo
Ogni singola anima creata è particolare e diversa dalle altre oppure inizialmente sono tutte uguali?
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Quesito
Gentile Padre Angelo,
le scrivo per chiederle in merito alla creazione delle anime umane da parte di Dio al momento del concepimento.
Il mio dubbio è questo: ogni singola anima creata è particolare e diversa dalle altre (esprimendo un particolare aspetto dell’immagine di Dio) oppure è una sorta di a priori uguale alle altre che solo incarnandosi in una datità biologica data dai genitori acquisisce la sua individualità?
Ciò che ci rende dissimili gli uni dagli altri deriva solo dai geni oppure anche da un’anima che già prima di essere infusa è particolare e unica?
La ringrazio molto per la sua disponibilità e la saluto cordialmente
Marco
Risposta del sacerdote
Caro Marco,
1. Come prima cosa per i nostri visitatori è necessario ricordare che cosa si intende per anima.
Anima è ciò che dà la vita.
L’anima è il principio vitale, ciò da cui si parte per ricevere la vita.
2. Pertanto tutti gli esseri viventi sono animati.
La differenza tra un albero vivo e un albero secco o morto è proprio questa. Nel primo c’è il principio vitale, nel secondo no.
Ugualmente la differenza tra un animale vivo e un animale morto è proprio questa: che il primo è animato, il secondo è cadavere.
La stessa cosa va detta anche dell’uomo.
3. I principi vitali, e cioè le anime, però sono diversi per essenza: in alcuni casi l’anima è soltanto vegetativa, come avviene nella realtà che noi chiamiamo vegetali.
In altri casi ci troviamo di fronte ad un animale dotato di sensi oltre che di vita vegetativa. Allora parliamo di anima o di principio vitale sensitivo.
In altri casi il principio vitale non è soltanto vegetativo o sensitivo, ma intellettivo, razionale. Questo è il caso delle anime umane.
Secondo il linguaggio di Aristotele, ripreso anche da San Tommaso, questo principio vitale viene chiamato anche principio formale perché qualifica specificamente una determinata realtà.
Per questo viene detto che l’anima è la forma del corpo: perché fa sì che quel corpo sia vivente.
4. Pertanto le anime si distinguono per essenza: alcune sono solo vegetative, altre sono anche sensitive, altre infine anche razionali.
Possiamo dunque già trarre una conclusione: le anime umane – per quanto attiene alla loro essenza o natura – sono tutte uguali.
Ci domandiamo ora, ed è questo il tuo quesito, se oltre ad essere della medesima natura siano anche distinte l’una dall’altra.
5. Per dirimere la questione è necessario tenere presente che l’anima umana è dotata di intelletto, sicché l’anima umana è un principio intellettivo.
Se noi affermassimo che le anime umane sono tutte uguali dovremmo dedurre che unico e identico sia l’intelletto per tutti. Con la conclusione che l’unico intelletto pensa in maniera diversa a seconda dei soggetti in cui è ricevuto.
Questa era la tesi attribuita al filosofo arabo Avicenna.
E con questo si viene a dire che l’anima dei singoli non sarebbe immortale perché immortale sarebbe l’unico intelletto numericamente identico per tutti.
6. Quando San Tommaso si pose la presente questione, iniziò così: “Non è assolutamente possibile che ci sia un intelletto solo per tutti gli uomini” (Somma teologica, I, 76, 2).
E argomenta: “E ciò è evidente se l’uomo fosse solo intelletto. Infatti in tal caso se Socrate e Platone avessero un unico intelletto, Socrate e Platone non sarebbero che un solo uomo; e non si distinguerebbero tra loro se non per qualcosa di estraneo alla loro essenza.
Ma in tal caso la distinzione tra Socrate e Platone sarebbe come quella esistente tra l’uomo vestito con la tunica e il medesimo uomo vestito con la cappa: cosa questa del tutto assurda” (Ib.).
Ugualmente è chiaro che se l’intelletto fosse unico, avremmo un unico agente principale che agisce simultaneamente in più strumenti, più o meno come il medesimo soggetto umano agisce con una mano oppure con l’altra.
7. Sicché bisogna dire che l’anima, poiché è il principio vitale di quel determinato e specifico corpo, viene creata da Dio singolarmente distinta dalle altre anime perché è la forma sostanziale di quel determinato corpo.
Ogni anima è una sostanza spirituale distinta da ogni altra anima.
Ne è prova che mediante l’intelletto ognuno di noi ha la consapevolezza di essere un essere unico, irripetibile.
E questo non solo per il DNA la cui composizione cromosomica è un unicum nella storia, ma principalmente a motivo dell’autocoscienza in forza della quale ognuno di noi non avverte soltanto dei pensieri che si susseguono, ma sente di essere il soggetto di quei pensieri.
In altre parole sa di pensare in maniera distinta da qualsiasi altro.
E poiché le azioni seguono la natura dell’essere, si deduce che ogni anima viene creata come soggetto pensante distinto da qualsiasi altro.
Pertanto ogni anima è una irradiazione singolare della gloria di Dio.
Con l’augurio che possiamo esserlo sempre anche nel nostro operare, ti benedico e ti ricordo nella preghiera.
Padre Angelo
Vorrei chiederti alcune cose in merito alla giustificazione che mi stanno tormentando da tanto tempo
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Quesito
Caro Padre Angelo,
grazie per il lavoro che svolgi sul sito Amici Domenicani.
Vorrei chiederti alcune cose in merito alla giustificazione, che mi stanno tormentando da tanto tempo. Potresti spiegarmi che cosa vuol dire San Paolo con la frase: “Noi riteniamo infatti che l’uomo è giustificato per la fede indipendentemente dalle opere della legge” (Rm 3,28)?
Partiamo da un concetto: che cosa vuol dire “giustificazione”? Coincide con la salvezza, oppure ne è parte? Inoltre, per “Legge”, s’intendono anche i 10 Comandamenti? Se così fosse, perché la Chiesa c’insegnerebbe che dobbiamo rispettarli per essere salvati (non è una critica, ma un dubbio)? Non si dice altrove che non siamo più sotto la Legge, ma sotto la Grazia (se non ricordo male)? E perché Gesù dice che non la Legge non passerà?
L’affermazione di San Paolo, inoltre, non contraddice San Giacomo, quando parla della fede e delle opere? A quali tipi di opere si riferisce San Giacomo: a quelle della Legge, oppure quelle della “legge evangelica” (semmai fosse corretto parlare di un simile concetto), oppure alle opere di carità? Infine, perché la Chiesa c’insegna che la salvezza viene sia dalla fede che dalle opere?
Grazie: come vedi sono assai confuso e, sebbene abbia parlato con sacerdoti assai competenti, questi concetti non mi entrano in testa e mi sembra soltanto di vedere ancora contraddizioni (anche se ho fede che non sia così).
Risposta del sacerdote
Carissimo,
1. la parola giustificazione può trarre in inganno.
Si parla di giustificazione di un’assenza scolastica, e allora s’intende il motivo che scusa l’assenza.
In teologia invece giustificare ha il significato proprio che deriva dalla parola latina justum facere, che significa rendere giusto.
2. Se poi si ricorda che la giustizia nella Sacra Scrittura non è semplicemente sinonimo di onestà ma è anche sinonimo di santità allora diventa chiaro il significato di questa parola usata spesso da San Paolo: giustificazione significa rendere santo.
3. E se per santità s’intende la partecipazione alla vita divina, è altrettanto chiaro che nessuno diventa santo con le sue sole opere, come diceva Pelagio, ma solo perché Dio gli comunica la sua vita santa.
4. Uno degli errori più gravi di Lutero è stato quello di pensare che l’uomo con il peccato originale abbia perso del tutto la libertà.
Ho già avuto occasione di ricordare di recente che nel Servo arbitrio Lutero dice che la volontà umana è come una bestia da soma posta fra due cavalieri: “Se la cavalca Dio, vuole e va dove Dio vuole (…). Se invece la cavalca Satana, vuole e va dove Satana vuole. E non è nella sua facoltà scegliere o cercarsi uno dei due cavalieri” (m. lutero, Il servo arbitrio, in Opere Scelte, 6, a cura di e. de michelis pintacuda, Claudiana, Torino 1993, p. 125).
L’uomo non partecipa per nulla a quest’azione di Dio che per altro non cambia l’uomo, ma lo lascia tutto corrotto e peccatore.
In un testo di teologia cattolica scritto quando non c’era ancora il clima ecumenico ho letto queste precise parole: “I protestanti moderni hanno abbandonato questa stravagante esegesi e si sono avvicinati alla interpretazione cattolica”.
5. Secondo la teologia cattolica la grazia non è una pura benevolenza esterna di Dio che lascia l’uomo corrotto nel peccato, come diceva Lutero, ma è una realtà soprannaturale che inerisce ontologicamente nell’anima e trasforma l’uomo così da renderlo da ingiusto giusto, da nemico amico, da peccatore santo.
Il Concilio di Trento, polemizzando con Lutero dice che “l’essenza della giustificazione è la giustizia di Dio, non semplicemente perché Egli è giusto, ma perché ci rende giusti; infatti da lui siamo rinnovati nello spirito della nostra mente, e non soltanto sembriamo giusti, ma lo siamo realmente ricevendo ognuno in sé la sua giustizia secondo la misura in cui lo Spirito Santo si partecipa ai singoli secondo la sua volontà (1 Cor 12,11) e secondo la disposizione e cooperazione personale di ognuno” (DS 1529).
6. Chiarito che cosa s’intende per giustificazione secondo i protestanti e secondo i cattolici (la pensano come i cattolici anche gli ortodossi) vengo alle altre domande.
Mi chiedi se la “giustificazione” coincida con la salvezza.
Sì, è proprio così, perché la giustificazione mentre rimette (non copre soltanto, come dicono i protestanti) i peccati, nello stesso tempo infondendo in noi la santità divina (la grazia) rinnova interiormente l’uomo e lo rende santo e amico di Dio.
7. Per “legge” in San Paolo s’intende l’osservanza della legge, di tutta la legge, compresa quella dei dieci Comandamenti.
Le azioni buone dell’uomo da sole non possono meritargli l’infusione della vita santa di Dio.
Questa rimane sempre un dono, essendo di ordine soprannaturale.
Le opere, e cioè l’osservanza dei dieci comandamenti e le opere di carità, sono necessarie per custodire la vita santa di Dio dentro di noi.
Gesù ha detto: “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama” (Gv 14,21) e “Se uno mi ama, osserverà la mia parola” (Gv 14,23).
San Giovanni nella sua prima lettera scrive: “Chi dice: «Lo conosco», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la verità” (1 Gv 2,4).
Non è possibile conservare la vita santa di Dio commettendo il peccato.
Non è possibile essere santi e amici di Dio e trasgredire gravemente la sua legge.
È proprio come dice il vangelo di oggi, giovedì della prima settimana di avvento: “Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7,21).
8. Chiedi ancora che cosa significhi che “non siamo più sotto la Legge, ma sotto la Grazia (se non ricordo male)”.
Devo dire che ricordi bene, perché sono le parole di San Paolo in Rm 6,14.
Qui per legge san Paolo intende anche la legge cerimoniale, come la circoncisione, l’offerta dei sacrifici, le purificazioni varie, i pellegrinaggi a Gerusalemme. E anche l’osservanza dei comandamenti.
Ebbene tutte queste pratiche che possono far dire di una persona che è osservante, non conferiscono ancora il perdono dei peccati, che viene solo dal Sacrificio di Cristo e dal suo Sangue, né conferiscono la grazia dello Spirito Santo che abita in noi.
La remissione dei peccati e la vita divina sono esclusivamente dono di Dio.
Ci vengono solo dal sacrificio di Gesù Cristo.
Ma noi custodiamo questa vita divina amando Dio (i primi tre comandanti del decalogo) e amando il prossimo (gli altri sette).
9. “E perché Gesù dice che non la Legge non passerà?”
Qui il Signore dice di non essere venuto ad abolire la legge ma di portala a compimento.
Il compimento della legge è Lui: i comandamenti sono la strada da percorrere per conservarci nelle sue vie.
10. “L’affermazione di San Paolo, inoltre, non contraddice San Giacomo, quando parla della fede e delle opere? A quali tipi di opere si riferisce San Giacomo: a quelle della Legge, oppure quelle della “legge evangelica” (semmai fosse corretto parlare di un simile concetto), oppure alle opere di carità?”
San Giacomo dice chiaramente quali sono le opere quando scrive: “Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo?
Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, che giova?
Così anche la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa” (Gc 2,14-17).
Dice la stessa cosa di San Paolo il quale afferma: “Perché in Cristo Gesù non è la circoncisione che vale o la non circoncisione, ma la fede che si rende operosa per mezzo della carità” (Gal 5,6).
11. “Infine, perché la Chiesa c’insegna che la salvezza viene sia dalla fede che dalle opere?”.
Perché la fede ci apre alla conoscenza di Dio.
La carità invece ci apre ad accoglierlo dentro di noi: “Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (1 Gv 4,16).
Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo
Dopo aver letto di non angustiarci per nulla e che la pace di Cristo custodirà i nostri cuori, non avendo ricevuto la pace ho tralasciato la pratica religiosa
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Quesito
Caro Padre Angelo,
Le scrivo per avere il Suo consiglio e supporto per la mia vita spirituale, che è allo sbando.
Da più di un anno, si è compromesso il rapporto con il Signore, che era sempre stato buono.
Cresciuto nella diocesi di …, sono sempre stato impegnato in Parrocchia e in Diocesi e sono stato responsabile della pastorale giovanile e presidente diocesano dell’Azione Cattolica. Anche dopo il mio trasferimento in diocesi di … a seguito del mio matrimonio, ho continuato nel mio impegno parrocchiale e fino al lockdown di marzo 2020 portavo la Comunione agli ospiti della locale casa di riposo come ministro straordinario.
Ciò che mi manda in crisi è aver a che fare con la sofferenza, non solo nella mia vita familiare, ma nel mondo (Auschwitz, Covid, guerre, persone che muoiono di fame, etc.).
Le varie sofferenze e prove che hanno colpito la mia famiglia (anche a causa del Covid) hanno determinato sentimenti di paura e rabbia, trasformatasi poi in un sordo rancore.
A luglio 2020 ho smesso di andare a Messa e poi anche di pregare: da troppo tempo mi sembra che il mio grido e la mia preghiera fossero inascoltati; non mi sono stati concessi né un po’ di luce, né un po’ di pace, né una qualche minima consolazione a lenire le tante sofferenze che mi hanno prostrato.
Nel grande buio che sto attraversando, ho conservato almeno la fedeltà e la perseveranza nel rispettare quanto mi ha suggerito, nel febbraio scorso, un anziano Sacerdote di Bologna, per molti anni penitenziere della Cattedrale: la lettura quotidiana di un brano del Nuovo Testamento (dopo i Vangeli e gli Atti, sto leggendo l’epistolario paolino), ma senza giovamento, anzi trovando nella Scrittura ulteriori motivi per protestare.
Mi pongo la stessa domanda dell’autore della Lettera ai Romani: “C’è forse ingiustizia da parte di Dio? (Rm 9,14). Ma la risposta che mi viene naturale è differente. Mi sembra che non solo ci siano ingiustizie, ma siano troppe e troppo grandi, innanzitutto nella storia e nel mondo.
Per quanto riguarda la mia vicenda personale, la Scrittura mi fornisce le parole per una prima obiezione: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto” (Lc 15,29).
Non ho mai pensato che si potessero evitare sofferenze e tribolazioni, ma mi rammarico che, nel momento della prova, mi pare di non aver ricevuto almeno qualche segno di consolazione, che ingenuamente mi aspettavo.
Una delle frasi che amavo di più di tutta la Scrittura suona per me, ora, come una promessa non mantenuta: “Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù” (Fil 4, 6-7). Mi è pesato non il fatto di non essere esaudito, ma di non aver ricevuto questa pace, facendomi sentire come ripudiato ed emarginato.
Non so davvero che cosa fare per ritrovare la fiducia. Capisco che non esistono ricette a buon mercato ma Le chiedo ugualmente qualche consiglio, anche perché sono quasi sul punto di interrompere ogni canale di comunicazione con il Signore e di fare etsi Deus non daretur dato che l’attuale situazione mi sta lasciando troppo avvilito.
La ringrazio e La saluto con tanta stima.
Davide
Risposta del sacerdote
Caro Davide,
solo oggi sono giunto alla tua mail del 3 novembre 2021. Mi dispiace e te ne domando scusa.
1. Ti sei arrestato nella vita spirituale di fronte alla presenza del male.
Vivi l’esperienza dei discepoli di Giovanni i quali si erano scandalizzati nel vedere il Messia, atteso con grande potenza e gloria, nell’umiltà della vita umana, senza un tetto dove poter dormire.
Ad essi che erano andati per chiedergli se era lui colui che doveva venire, Gesù, dopo aver mostrato con i miracoli che si erano compiute le profezie nei suoi confronti, conclude: “E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!” (Mt 11,6).
Avrebbero visto il Cristo in ben altre condizioni: arrestato e ammanettato come un malfattore, crocifisso in mezzo a due ladroni come se lui fosse il peggiore.
Eppure era proprio questa la strada che doveva percorrere per compiere la redenzione.
2. Nella preghiera al termine dell’Angelus diciamo: “Infondi nel nostro spirito la Tua grazia, o Padre; Tu, che nell’annunzio dell’angelo ci hai rivelato l’incarnazione del Tuo Figlio, per la Sua passione e la Sua croce guidaci alla gloria della risurrezione”.
Gli chiediamo di giungere alla gloria della risurrezione partecipando alla sua passione da sua croce.
Negli Atti degli Apostoli si legge che Paolo e Barnaba confermavano i discepoli e li esortavano a restare saldi nella fede «perché – dicevano – dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni»” (At 14,22).
3. Alligna in tutti noi la tentazione tipica degli ebrei dell’Antico Testamento di attendere dal Messia una benedizione di ordine temporale.
Gesù Cristo invece dice: “Cercate innanzitutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato in sopraggiunta” (Mt 6,33).
Attraverso la voce dell’autore della lettera agli ebrei ricorda che “non habemus hic manentem civitatem” (non abbiamo di qua un’abitazione permanente”; Eb 13,14).
4. Dopo aver letto San Paolo che dice: “Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù” (Fil 4, 6-7) ti attendevi la pace.
Non avendo la ricevuta, sei rimasto deluso.
Dimenticavi però che la pace che Cristo è venuto a portare non coincide con l’assenza di pensieri o di preoccupazioni.
Gesù, la sua persona, la sua presenza in noi, è la nostra pace
San Paolo dice che Cristo è la nostra pace perché è “colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne” (Ef 2,14).
5. Per fruire di questa presenza è necessario che tutto sia puro nella nostra vita: ci vuole purezza nella nostra mente, nel nostro cuore (sentimenti) e nel nostro corpo.
La via della pace è l’umile confessione sacramentale, che mediante l’infusione della grazia attua il lavacro della nostra anima.
Una volta conformati ai sentimenti di Cristo è possibile avere la pace dentro di noi nel medesimo modo in cui Cristo l’aveva sulla croce.
È questo quanto voleva manifestare il beato Angelico quando dipingeva i suoi crocifissi. Lo strazio è in San Domenico che piange ai piedi della croce. Piange per quelli che non accolgono Cristo e i suoi meriti preziosissimi.
Ma Cristo, sebbene in croce, è nella pace. Anzi è la pace.
Con l’augurio che questo possa attuarsi in tutti noi, ti benedico ti auguro un felice proseguimento delle feste natalizie e ti ricordo nella preghiera.
Padre Angelo
È necessario che all’interno della Chiesa si sappia rendere ragione della nostra fede anche con argomentazione logica e razionale
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Quesito
Caro padre Angelo,
mi hanno detto che adatto troppo le cose su quello che imparo sui libri (era una provocazione rivoltami per dirmi che c’è un aspetto anche irrazionale della fede). Vorrei rispondere a chi dice una cosa del genere. Sono giudicato di dare alla fede una costruzione logica e di valutare le cose anche su quello che insegna la Chiesa e la Scrittura perché ho sperimentato che ciò che insegna è vero. Allora volevo chiederle che testi, che cosa posso portare a chi pensa che la fede non sia anche una conoscenza da dover approfondire. La Chiesa cosa insegna a proposito della formazione dei cristiani, della loro fedeltà e del loro approfondimento della verità, anche dal punto di vista razionale? A volte sembra che la propria esperienza di fede sia più importante di quello che insegna Dio con la sua Rivelazione…
Le assicuro le mie preghiere
Con affetto
Risposta del sacerdote
Carissimo,
1. A questo proposito di quanto mi chiedi ti riporto il pensiero di Leone XIII espresso l’enciclica Aeterni Patris (4.8.1879).
Con questa enciclica il Papa intendeva sottolineare l’importanza della filosofia sia per l’approfondimento teologico sia per confutare le obiezioni che vengono mosse alla fede cristiana pur rimanendo sul piano cosiddetto razionale o filosofico.
2. Per Papa Leone l’argomentazione razionale o filosofica è fondamentale introduzione alla teologia: “Se usata rettamente, serve in certo qual modo a spianare ed a rafforzare la via alla vera fede, e ad apparecchiare convenientemente gli animi dei suoi discepoli a ricevere la rivelazione; onde, non senza ragione, fu detta dagli antichi, “istituzione preparatoria alla fede cristiana” (Clemente Alessandrino, Stromata, I, 16), “preludio ed aiuto del cristianesimo” (Origene, Ad Gregorium Thaumaturgum) , “pedagogo al Vangelo” (Clemente Alessandrino, Stromata, I, 5).
3. Rifacendosi alle affermazioni di Sant’Agostino per cui l’intelligenza cerca la fede per trovare una risposta superiore (intellectus quaerens fidem) e la fede cerca l’intelligenza per comprendere la ragionevolezza dei tuoi contenuti (fides quaerens intellectum), papa Leone ricorda che “Dio ha acceso nella mente umana il lume della ragione che è in grado di essere “principio, nutrimento, forza e difesa” (Sant’Agostino, De Trinitate, XIV, 1) della fede stessa.
4. L’indagine razionale aiuta a rendere più ragionevole e più luminosa la nostra fede. Non c’è niente di irragionevole in quanto Dio ci propone a credere. San Pietro ricorda che dobbiamo essere in grado di rendere ragione della speranza che è in noi” (1 Pt 3,15).
Dice Papa Leone: “Non sono poi da passare sotto silenzio, né da stimare di poco conto, la conoscenza più accurata e più ampia delle cose che si credono, e la comprensione un po’ più limpida, per quanto è possibile, degli stessi misteri della fede, che Agostino e gli altri Padri hanno lodata e si sono studiati di conseguire, e che lo stesso Concilio Vaticano ha giudicata fruttuosissima”.
5. Inoltre, “alla filosofia compete difendere con ogni diligenza le divine verità rivelate, e opporsi a coloro che ardiscono contrastarle.
Pertanto torna a gran vanto della filosofia essere considerata baluardo della fede e sicuro bastione della religione.” La dottrina del Salvatore, come attesta Clemente Alessandrino, è certamente perfetta in sé, e non è bisognosa di alcun aiuto essendo virtù e sapienza di Dio. La filosofia greca, unendosi ad essa, non rende più potente la verità, ma indebolisce le argomentazioni dei sofisti contro di lei e respinge le ingannevoli insidie tese contro la verità: pertanto fu detta siepe della vigna e trincea nel bisogno”.
Per la verità, come i nemici del nome cattolico, volendo combattere la religione, il più delle volte prendono dalla filosofia gli strumenti della loro guerra, così i difensori della sacra dottrina traggono dal seno della filosofia molte cose a difesa delle verità rivelate. Né è da ritenere piccolo trionfo per la fede cristiana che le armi nemiche, industriosamente trovate dall’umana ragione per nuocerle, siano dalla stessa ragione respinte con efficacia e agevolmente.
Tale forma di combattimento religioso, usata dallo stesso Apostolo delle genti, viene ricordata da San Girolamo nella lettera a Magno: “Paolo, duce dell’esercito cristiano ed oratore invitto, trattando la causa di Cristo rivolta con arte in argomento della fede anche una casuale epigrafe, giacché aveva imparato dal vero Davide a strappare dalle mani dei nemici la spada ed a troncare il capo del superbissimo Golia col suo stesso ferro”.
La stessa Chiesa non solamente consiglia che i maestri cattolici piglino dalla filosofia questo aiuto, ma lo ordina apertamente. Infatti il Concilio Lateranense V, dopo avere definito “essere del tutto falsa ogni asserzione contraria alla verità della fede illuminata, perché il vero non può contraddire al vero”, ingiunge ai dottori in filosofia di esercitarsi diligentemente nel confutare i fallaci argomenti, essendo certo, come attesta Agostino, che “se la ragione che si porta è contro l’autorità della divina Scrittura, per quanto sia acuta, essa inganna sotto apparenza di verità, perché è impossibile che sia vera”.
6. Giovanni Paolo II in Fides et ratio riprende i medesimi motivi.
Innanzitutto quello della fede che cerca l’intelletto (credo ut intelligam) per conoscere ulteriormente.
Un esempio a tutti: “l’uomo non riesce a comprendere come la morte possa essere fonte di vita e di amore” (FR 23).
La Rivelazione non si mette sul piano della filosofia portando argomenti scientifici. Ma mette dinanzi il mistero della morte e della risurrezione di Cristo perché “Dio ha scelto ciò che nel mondo è nulla per ridurre a nulla le cose che sono” (1 Cor 1, 28). Sicché “la Croce può dare alla ragione la risposta ultima che essa cerca.
Non la sapienza delle parole, ma la Parola della Sapienza è ciò che san Paolo pone come criterio di verità e, insieme, di salvezza” (FR 23).
7. Ugualmente cerchiamo di comprendere le verità che crediamo: “intelligo ut credam”.
“Questa verità, che Dio ci rivela in Gesù Cristo, non è in contrasto con le verità che si raggiungono filosofando. I due ordini di conoscenza conducono anzi alla verità nella sua pienezza. L’unità della verità è già un postulato fondamentale della ragione umana, espresso nel principio di non-contraddizione. La Rivelazione dà la certezza di questa unità, mostrando che il Dio creatore è anche il Dio della storia della salvezza. Lo stesso e identico Dio, che fonda e garantisce l’intelligibilità e la ragionevolezza dell’ordine naturale delle cose su cui gli scienziati si appoggiano fiduciosi, è il medesimo che si rivela Padre di nostro Signore Gesù Cristo” (FR 32).
8. Non a tutti viene chiesto di essere teologi.
Ma è necessario che all’interno della chiesa vi siano persone preparate che sappiano mostrare la ragionevolezza della nostra fede e vanifichino gli argomenti opposti.
Per cui è un dono per la comunità che tu sappia integrare con un carisma particolare la fede dei semplici.
Augurandoti una fruttuosa festa dell’Immacolata, ti benedico e ti ricordo nella preghiera.
Padre Angelo
