In mille occasioni abbiamo sempre ribadito che – per comprendere l’ideale della nuova Chiesa di Papa Francesco – è necessario conoscere a fondo il gesuitismo Modernista. Se non si fa questo sforzo di sana conoscenza e di onestà intellettuale e di fede cattolica, è praticamente impossibile capire dove, un Papa gesuita ma Modernista, sta portando la Chiesa di oggi. Non a caso parliamo spesso di un Papa che sta “gesuitizzando la Chiesa”. Avete a disposizione un intero Dossier QUI con tanto di prove e fonti. Perciò… non accusateci di “antigesuitismo”, per favore! Amiamo sant’Ignazio di Loyola e tutti i santi Martiri Gesuiti che, di certo, non saranno contenti di quanto sta accadendo oggi nella Chiesa, non riconoscendosi essi stessi in questo modernismo dottrinale e in quella Fede Cattolica per la quale hanno dato la propria vita.
Il punto dolente per molti è però… che, questa gesuitizzazione della Chiesa, non delegittima il Pontefice regnante che lo sta attualizzando. NON siamo in “sedevacante”, mettetevi l’anima in pace… abbiamo un Papa e con questo Pontificato dobbiamo fare i conti, lavorare, discutere, mantenerci “Radicati nella Fede” contro ogni manipolazione e deformazione della sana Dottrina. Pregare per il Papa, confidare nelle promesse del Cristo sulla Sua Chiesa (una, santa, cattolica ed apostolica), confidare nel Trionfo del Cuore Immacolato di Maria lavorando, facendo ognuno la propria parte con carità nella Verità.
A breve riprende la seconda parte del sinodo (sulla sinodalità) avviato l’anno scorso e ne parlammo in lungo e in largo… ne abbiamo parlato qui; ne abbiamo parlato qui IN VIDEO; e ne riparleremo cominciando dall’editorialista del Remnant – rivista cattolica – il dott. Robert Morrison che ha pubblicato – vedi qui l’originale – una interessante sintesi sulla sinodalità imposta da Papa Francesco che vede le sue origini nella dottrina eretica di Tyrrell. Prima di leggere questo articolo, teniate a mente l’insegnamento seguente:
Dice sant’Agostino:
“La via che conduce alla vita buona e felice risiede nella vera religione, con cui si onora l’unico Dio e, con purissima pietà, si riconosce in Lui il principio di tutte le creature, per il quale l’universo ha un inizio, un compimento ed una capacità di conservazione. Da ciò emerge con maggiore evidenza l’errore di quei popoli che preferirono adorare una moltitudine di dèi anziché l’unico vero Dio, Signore di tutto; tale errore è in relazione al fatto che i loro sapienti, chiamati filosofi, pur appartenendo a scuole tra loro in contrasto, frequentavano i medesimi luoghi di culto. Non sfuggiva infatti né ai popoli né ai sacerdoti quanto fossero diverse le loro posizioni sulla natura degli dèi, dal momento che nessuno di essi aveva ritegno a rendere pubblica la propria opinione e, se possibile, faceva in modo da persuaderne gli altri; eppure tali sapienti, insieme ai loro seguaci, anch’essi di opinione diversa e perfino contraria, partecipavano tutti agli stessi riti sacri, in piena libertà. Ora, non si tratta di stabilire chi di loro abbia pensato in maniera più conforme al vero; di certo però, a quanto mi sembra, è abbastanza chiaro che essi, in materia di religione, con il popolo sostenevano una posizione, mentre in privato, ma con lo stesso popolo che ascoltava, ne difendevano un’altra. (..)
Posso tuttavia dire, con la massima sicurezza e con buona pace di tutti coloro che amano ostinatamente i loro libri, che non si può dubitare, in questi tempi segnati dal Cristianesimo, quale religione sia da preferire e costituisca la via per la verità e la felicità. (..)
Ma, quale che sia la presunzione dei filosofi, per chiunque è facile capire che la vera religione non va cercata tra coloro che condividevano con il popolo gli stessi culti, mentre nelle loro scuole, pur in presenza della medesima moltitudine, proclamavano dottrine diverse e persino opposte sulla natura degli dèi e sul sommo bene. Perciò, anche se l’insegnamento cristiano non avesse fatto altro che guarirci da questo unico grande vizio, nessuno potrebbe dire che non sia da celebrare con ineffabile lode. Le innumerevoli eresie, che si sono allontanate dalla discipline cristiana, attestano che sono esclusi dalla partecipazione ai sacramenti coloro che, intorno a Dio Padre, alla sua Sapienza e al Dono divino, pensano in modo diverso da come la verità richiede e cercano di convincerne gli altri. Così in effetti si crede e si insegna — cosa che è principio della salvezza umana — che la filosofia, cioè l’amore della sapienza, e la religione sono la stessa cosa, dal momento che non partecipano con noi ai sacramenti coloro di cui non condividiamo la dottrina. (..)
Di conseguenza, la vera religione non va cercata né nella confusione dei pagani né nella feccia degli eretici né nella fiacchezza degli scismatici né nella cecità dei Giudei, ma solo tra quelli che si chiamano cristiani cattolici, o ortodossi, ossia che ne custodiscono l’integrità e seguono la retta via…
Dobbiamo attenerci alla religione cristiana e alla comunione della sua Chiesa, che è cattolica ed è chiamata tale non solo dai suoi membri, ma anche da tutti i suoi nemici. Lo vogliano o no, infatti, gli stessi eretici e i sostenitori di scismi, quando parlano non fra loro ma con gli estranei, chiamano cattolica soltanto la Chiesa cattolica. Del resto, non riuscirebbero a farsi comprendere se non la distinguessero con il nome con cui è designata da tutto il mondo.”
(Sant’Agostino – De Vera Religione – CLICCA QUI per il testo integrale)
Ora leggiamo attentamente quanto segue:
La genealogia modernista del Sinodo di Francesco sulla sinodalità e le sue implicazioni
Di: Robert Morrison | Editorialista di Remnant
«Il Santo Popolo di Dio è stato messo in moto per la missione grazie all’esperienza sinodale… I semi della Chiesa sinodale stanno già germogliando!» (Cardinale Jean-Claude Hollerich, 14 giugno 2024)
Padre Dominique Bourmaud è andato alla sua ricompensa eterna il 4 settembre 2021, un mese prima che Francesco annunciasse la sua intenzione di “creare una chiesa diversa” con il Sinodo sulla sinodalità. Sorprendentemente, però, Padre Bourmaud è stato in grado di descrivere l’essenza della Chiesa sinodale nel suo libro del 2003, Cent’anni di modernismo :
“La Chiesa tirrenica è elastica come il suo dogma. ‘La nozione di un organismo ecclesiastico completo prodotto direttamente da un fiat divino il giorno della Pentecoste’ è pura fantasia. La Chiesa non è un’istituzione come l’impero ecclesiastico del Vaticano; è la vita di un popolo in progresso. L’ispirazione di Cristo ha messo in moto la Chiesa per prima; è sufficiente che mantenga quel movimento fino alla fine dei tempi. La Chiesa monarchica, romana, deve essere nettamente distinta dalla coscienza collettiva del Popolo di Dio, che è sempre sana e robusta, e che possiede veramente autorità e infallibilità.”
Come discusso di seguito, gli architetti del Sinodo sulla sinodalità potrebbero produrre una descrizione accurata e succinta del loro diabolico progetto semplicemente sostituendo “Tyrrellian” con “Sinodale” nella descrizione di Fr. Bourmaud della Chiesa Tyrelliana. In che modo Fr. Bourmaud ha previsto accuratamente la Chiesa sinodale più di vent’anni fa? Per capirlo, dovremmo considerare brevemente Fr. George Tyrrell.
Tyrrell era un gesuita modernista scomunicato che “sosteneva che le verità della fede devono essere riespresse in ogni epoca, anche se ciò significava contraddire le precedenti espressioni della fede”. I documenti del Sinodo di Francesco sulla sinodalità hanno descritto la Chiesa sinodale essenzialmente negli stessi termini della Chiesa tirreniana: è elastica, in via di sviluppo, in movimento e basata su una coscienza collettiva del Popolo di Dio.
L’articolo del 2019 di Charles Coulombe sul Catholic Herald — “Eretico della settimana: George Tyrrell” — offriva i seguenti dettagli:
“George Tyrrell (1861-1909) era il figlio postumo di un giornalista anglicano di Dublino. Cresciuto in povertà, si convertì nel 1879 e si unì ai gesuiti l’anno seguente. . . A quel tempo, la filosofia dominante nelle istituzioni gesuite era una specie di tomismo peculiare a loro stesse, mediato attraverso il filosofo gesuita del XVI secolo Francisco Suárez. In disaccordo con questa posizione, padre Tyrrell entrò in conflitto con altri membri della facoltà e nel 1896 fu trasferito a Farm Street, la celebre chiesa del suo ordine a Londra. Lì scoprì l’opera del filosofo francese Maurice Blondel, che lo influenzò pesantemente. Padre Tyrrell pubblicò un libro che attaccava la scolastica in generale nel 1899. Sosteneva che le verità della fede devono essere riespresse in ogni epoca, anche se ciò significava contraddire le precedenti espressioni della fede. . . Le sue opinioni, simili a quelle sostenute da un certo numero di gesuiti e domenicani in particolare, erano viste come un’erosione della natura immutabile del cattolicesimo. A padre Tyrrell fu chiesto di ritrattarle nel 1906; rifiutandosi di farlo, fu espulso dalla Compagnia di Gesù. L’anno seguente, papa san Pio X nel decreto Lamentabili e nell’enciclica Pascendi condannò queste idee, soprannominate “Modernismo”, come “sintesi di tutte le eresie” (VEDI QUI). Padre Tyrrell attaccò questi documenti sul Times di Londra, fu scomunicato nel 1908 e morì nel 1909.”
Quindi Tyrrell era un gesuita modernista scomunicato che “sosteneva che le verità della fede devono essere riespresse in ogni epoca, anche se ciò significava contraddire le precedenti espressioni della fede”. Era, in questo senso, proprio come i gesuiti modernisti di oggi, tranne per il fatto che era scomunicato. Se Francesco e i suoi compagni gesuiti modernisti stessero promuovendo le loro eresie durante il tempo di San Pio X, anche loro sarebbero stati scomunicati.
Quindi la “Chiesa tirrenica”, come l’ha espressa Padre Bourmaud, è la visione eretica di Tyrrell di ciò che dovrebbe essere la Chiesa cattolica. Incredibilmente, i documenti del Sinodo di Francesco sulla sinodalità hanno descritto la Chiesa sinodale essenzialmente negli stessi termini usati da Padre Bourmaud per descrivere la Chiesa tirrenica: è elastica, in via di sviluppo, in movimento e basata su una coscienza collettiva del Popolo di Dio.
Ecco, ad esempio, un passaggio dall’Instrumentum Laboris del Sinodo del 2023 , che San Pio X avrebbe condannato per le stesse ragioni per cui condannò le eresie di Tyrrell:
«Un termine così astratto o teorico come sinodalità ha così cominciato a incarnarsi in un’esperienza concreta. Dall’ascolto del Popolo di Dio emerge una progressiva appropriazione e comprensione della sinodalità “dall’interno”, che non deriva dall’enunciazione di un principio, di una teoria o di una formula, ma si sviluppa dalla disponibilità a entrare in una dinamica di parola, ascolto e dialogo costruttivi, rispettosi e oranti. Alla base di questo processo c’è l’accoglienza, sia personale che comunitaria, di qualcosa che è insieme un dono e una sfida: essere una Chiesa di sorelle e fratelli in Cristo che si ascoltano a vicenda e che, in questo modo, vengono gradualmente trasformati dallo Spirito».
Tutto nella Chiesa sinodale è dinamico e pronto a prorompere dai confini precedentemente accettati. L’unica vera certezza è che lo “Spirito” non guiderà mai la Chiesa sinodale a tornare a ciò che San Pio X avrebbe riconosciuto come cattolico.
Nella Chiesa sinodale, lo “Spirito” guida il Popolo di Dio — che include tutti i battezzati, non solo i cattolici — a trovare “nuove vie”. Di conseguenza, dobbiamo “coltivare disposizioni di libertà interiore, essendo aperti alla novità”. Con “novità”, gli architetti sinodali intendono generalmente “eresia”.
Nonostante la sua natura chiaramente eretica, solo una manciata di vescovi ha pubblicamente suggerito che ci fosse qualcosa di problematico nell’Instrumentum Laboris del Sinodo del 2023 , quindi è naturale che si verifichino analogie nell’Instrumentum Laboris del 2024 :
«Grazie alla guida dello Spirito, il Popolo di Dio, partecipe della funzione profetica di Cristo (cfr LG 12), «discerne i veri segni della presenza e del disegno di Dio negli avvenimenti, nelle esigenze e nei desideri che condivide con il resto dell’umanità contemporanea» (GS 11). Per questo compito ecclesiale di discernimento, lo Spirito Santo dona il sensus fidei , che può essere descritto come «la capacità istintiva di discernere le vie nuove che il Signore sta rivelando alla Chiesa» (Francesco, Discorso per il 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17 ottobre 2015). Il discernimento impegna quanti vi partecipano a livello personale e tutti quanti vi partecipano insieme a livello comunitario a coltivare disposizioni di libertà interiore, di apertura alla novità e di fiducioso abbandono alla volontà di Dio, per mettersi in ascolto reciproco per sentire «ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 2,7)».
Così, nella Chiesa sinodale, lo “Spirito” guida il Popolo di Dio — che include tutti i battezzati , non solo i cattolici — a trovare “nuove vie”. Di conseguenza, dobbiamo “coltivare disposizioni di libertà interiore, essendo aperti alla novità”. Con “novità”, gli architetti sinodali intendono generalmente “eresia”.
Tutto ciò è allarmante ma, in larga misura, la maggior parte di noi ha comprensibilmente ignorato il Sinodo intenzionalmente ridicolo sulla sinodalità, con tutta la sua eterodossia caricaturale. Quelli di noi che sono al sicuro nelle nostre comunità cattoliche tradizionali hanno poco di cui preoccuparsi dal Sinodo: non ci stanno ascoltando, e quindi perché dovremmo ascoltarli?
Allo stesso tempo, vale la pena ricordare che San Pio X condannò essenzialmente le stesse idee moderniste quando avevano una visibilità molto minore di quella che hanno ora con il Sinodo. Dio ha dato alla Sua Chiesa la vigile opposizione di San Pio X al modernismo non solo per il beneficio di coloro che erano in vita nei primi anni del 1900, ma per tutti noi. Eppure, come ha spiegato il vescovo Athanasius Schneider in una recente intervista , quelle idee moderniste sono dilaganti a Roma oggi:
“Il modernismo filosofico e teologico, che Papa Pio X condannò più di cento anni fa, si è realizzato in tutte le sue conseguenze devastanti nella vita della Chiesa dei nostri giorni. Inoltre, anche le autorità ecclesiastiche di alto rango ai nostri giorni stanno promuovendo questo modernismo con varie dichiarazioni e atti ufficiali.”
Ciò costituisce sia un insulto a Dio che un profondo pericolo per le anime. Tuttavia, come ha continuato a spiegare il vescovo Schneider, l’esistenza di queste idee moderniste (che vediamo così ampiamente sostenute nel Sinodo sulla sinodalità) consente a coloro che hanno la fede di servire Dio combattendo le eresie:
“Sant’Agostino dice che Dio è così buono che non permetterebbe il male in alcun modo se non fosse abbastanza potente da poter trarre del bene da ogni male (vedi Enchiridion , 11). Attraverso le eresie vengono anche resi manifesti coloro che sono buoni e saldi cristiani, e la loro fede risalta ancora di più… E Sant’Agostino ha spiegato ulteriormente: ‘Mentre la calda irrequietezza degli eretici suscita domande su molti articoli della fede cattolica, la necessità di difenderli ci costringe sia a investigarli più accuratamente, a comprenderli più chiaramente, e a proclamarli più seriamente; e la questione sollevata da un avversario diventa l’occasione di istruzione’ ( La città di Dio , 16:2). I malvagi esistono nella Chiesa, dice Sant’Agostino, sia affinché i fedeli possano esercitarsi nella pazienza o progredire nella saggezza (vedi ibid.).“
L’esistenza del Sinodo sulla sinodalità non è solo un segno patetico che Francesco e i suoi seguaci hanno sbagliato strada. Ci chiede anche di opporci agli errori del Sinodo, in linea con il nostro dovere di stato.
In questa luce, l’esistenza del Sinodo sulla sinodalità non è semplicemente un segno patetico che Francesco e i suoi seguaci hanno sbagliato strada. Ci chiede anche di opporci agli errori del Sinodo, in linea con il nostro dovere di stato. Il Sinodo è l’occasione d’oro per ogni chierico e teologo di servire Dio condannando caritatevolmente ma inequivocabilmente gli errori della Chiesa sinodale e affermando le verità cattoliche contrarie:
- Mentre il Sinodo afferma che le verità della fede possono evolversi fino ad assumere un significato diverso da quello che hanno sempre significato, noi affermiamo che le verità della fede sono immutabili.
- Mentre il Sinodo afferma che le verità della fede sono conosciute attraverso un processo di discernimento comunitario del Popolo di Dio, noi affermiamo che le verità della fede sono state date alla Chiesa da Dio.
- Mentre il Sinodo afferma che “tutti i battezzati” sono membri della Chiesa sinodale, noi affermiamo l’insegnamento di Papa Pio XII nella Mystici Corporis secondo cui “devono essere inclusi come membri della Chiesa solo coloro che sono stati battezzati e professano la vera fede”.
- Mentre il Sinodo promuove il falso ecumenismo proliferato dopo il Vaticano II, noi affermiamo che la Chiesa cattolica resta l’unica arca di salvezza.
- Mentre il Sinodo incoraggia i cattolici ad “accompagnare” i peccatori e i loro peccati , noi affermiamo che la vera carità consiste nell’insegnare alle anime che dobbiamo tutti sforzarci di vincere i nostri peccati se desideriamo servire Dio e salvare le nostre anime.
Per decenni, i cattolici tradizionali hanno dibattuto se la “chiesa conciliare” sia qualcosa di distinto dalla “Chiesa cattolica”, con alcuni cattolici che rifiutano di vedere una vera separazione. Ma Francesco e i suoi collaboratori hanno fatto di tutto per chiarire che la Chiesa sinodale è una “chiesa diversa”, quindi qualsiasi esitazione potessimo avere nel denunciare gli errori della “chiesa conciliare” è ora alleviata in larga misura con la Chiesa sinodale. I cattolici tradizionali possono legittimamente non essere d’accordo su cosa significhi nel contesto del fatto che gli aderenti alla Chiesa sinodale (come Francesco) siano in scisma con la Chiesa cattolica, ma dovremmo essere tutti in grado di concordare sul fatto che Dio non è onorato dal nostro silenzio mentre Francesco e gli architetti della Chiesa sinodale deridono apertamente Dio e la Chiesa cattolica con il loro spettacolo diabolico. Se amiamo Dio e la Sua Chiesa cattolica, dobbiamo combattere la Chiesa sinodale di Satana. Cuore Immacolato di Maria, prega per noi!
A ragione di quanto abbiamo letto, ricordiamo altri due articoli interessanti, il primo è il seguente:
Equivoci e forzature: il peggior gesuitismo di Martin
La relazione di James Martin a Dublino è veramente del peggior gesuitismo e addirittura oggettivamente diabolica. Inoltre non ha nulla da spartire con sant’Ignazio di Loyola. Per quattro motivi che evidenziano gli equivoci gravi nei quali il gesuita “omoeretico” è incappato al Meeting della famiglia. Vediamo perché.

Credo di essere tra i pochi domenicani che hanno letto con attenzione gli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola († 1556), di averne tratto ammirazione nonché utili insegnamenti e addirittura di aver sottolineato il testo con matite di diversi colori. Non mi ritengo dunque affetto da “sindrome antigesuitica”, ma proprio per questo so che esiste una perversione di certi elementi che generano poi la caricatura del gesuita in senso peggiorativo.
Questo per dire che la relazione di James Martin a Dublino “Come possono le parrocchie accogliere le persone LGBT?” è veramente del peggior gesuitismo e addirittura oggettivamente diabolica e, mi permetto di aggiungere, non ha nulla da spartire con sant’Ignazio di Loyola. “Oggettivamente diabolica” perché dice cose belle, giuste e pastoralmente praticabili, ma con studiata noncuranza pone qualche affermazione di principio e di metodo che scardina tutto e trasforma affermazioni che in se stesse potrebbero essere intese in senso positivo in affermazioni negative o per lo meno equivoche sia a livello teorico che pastorale.
Presupposta l’analisi Roberto Marchesini, vorrei collocarmi a un livello più pratico individuando alcuni grimaldelli attraverso i quali Martin apre le porte e scardina l’edificio.
PRIMO EQUIVOCO: la Chiesa (cattolica?) ha trattato male e tratta male le persone LGBT. Ecco un’affermazione sintetica: «Negli ultimi anni ho sentito storie aberranti di persone LGBT cattoliche che sono stati respinte dalle parrocchie». Naturalmente Martin porta qualche esempio, ma appunto “qualche” esempio. Ora, una affermazione così deve essere sostenuta da tanti esempi, molti di più di quelli portati, altrimenti siamo nella generalizzazione.
Oltre al numero maggiore di esempi da addurre, si tace sul comportamento di tantissimi preti che non discriminano le persone omosessuali, le trattano bene, indicano loro una via di salvezza nel sacramento della confessione e, quand’anche non le assolvano, non interrompono un buon rapporto pastorale e orante con loro. E poi vi sono iniziative diocesane. Giustizia vuole che si tenga conto di tutti costoro e non solo di qualche comportamento eccedente.
Inoltre non si può valutare il passato con le acquisizioni culturali del presente. Nel passato, certo anche a seguito della dottrina della Chiesa, il comportamento omosessuale era marginalizzato anche dalla società: le ipotesi sulla morte di Tchaikovsky († 1893) avvelenatosi su richiesta per mantenere la buona reputazione di un giovane amante, anche se non documentabili del tutto, testimoniano delle reazioni di allora circa l’omosessualità. La Chiesa viveva in questo mondo e non reagiva né più né meno della società. Anzi, nel caso di abilità tecnica non si andava troppo per il sottile e anche gli ecclesiastici si servivano del pittore Giovanni Antonio de’ Bazzi soprannominato… il Sodoma († 1549), nonché di altri sommi e chiacchierati come un Leonardo da Vinci († 1519).
Oppure di un Michelangelo Buonarroti († 1564), che affrescò la Cappella Sistina tra le proteste di diversi cardinali per quei nudi maschili troppo esibiti – e si sospettava il perché – e senza che il Papa Paolo III intervenisse. Il suo cerimoniere Biagio da Cesena († 1544), infatti, dopo aver litigato con Michelangelo per tutti quei nudi, si trovò – e si trova – dipinto lui stesso nudo, con le orecchie da asino e avvolto da un serpente che, insinuando la testa sotto l’inguine, gli mordeva il membro virile! Dunque andiamoci adagio prima di affermare che la Chiesa ha sempre trattato male le persone omosessuali o non ha apprezzato le loro doti in questo caso tecniche.
SECONDO EQUIVOCO: le persone LGBT «fanno parte della Chiesa tanto quanto papa Francesco, il loro vescovo o il loro parroco. Non si tratta di farli diventare cattolici: lo sono già». Certo che sono battezzate e il carattere rimane. Ma l’appartenenza alla Chiesa non è solo misurabile con un sì o un no: esiste anche una intensità del sì. E le persone omosessuali “attive” sono in una condizione di peccato oggettivo che, a meno di ritenerle tutte ingenue e cretine, nella normalità dei casi è anche un peccato soggettivo. E questo peccato non appartiene alla Chiesa e, considerata la persona nel suo insieme, rende più debole l’appartenenza alla Chiesa. Non si può ascoltare la Parola, cercare Dio, avvicinarsi a Gesù Cristo ecc., come sostiene Martin, restando attaccati a questi comportamenti. Si può invece e si deve supporre che papa Francesco, il vescovo, il parroco, non siano abitualmente in condizione di peccato grave, per cui la frase citata all’inizio del paragrafo, nella concretezza della vita cristiana risulta inammissibile. A meno di sostenere che gli atti omosessuali non sono peccato.
TERZO E FONDAMENTALE EQUIVOCO: «Non riducete i gay e le lesbiche alla vocazione alla castità che riguarda tutti noi cristiani. Le persone LGBT sono più della loro vita sessuale, ma alcuni sentono parlare solo di quella». Se così fosse, viene da pensare che le insistenze sulla castità rivolte a queste persone dalla pastorale di un tempo e di oggi derivano da pastori che non hanno il senso pastorale o addirittura risultano essere dei maniaci sessuali. La verità è più semplice: essendo diversi i peccati e i peccatori, a ogni peccatore si chiede di convertirsi dal peccato concreto in cui è immerso e non da tutti gli altri. Non si può partire unicamente da ciò che è buono e valido nella loro vita perché è appunto “quel peccato” che rischia di compromettere quanto c’è di buono arrestandone o deviandone la maturazione.
Si obietterà: santo cielo, è mai possibile che tutti i peccati si riducano al sesso e su questo sempre si debba insistere? No, ci sono peccati ben più gravi come l’omicidio, il cuore duro verso il prossimo, la superbia della vita, la bestemmia ecc. Ma quello del sesso è il peccato più facile e più diffuso ed è il grimaldello attraverso il quale si apre la porta di una vita difforme al progetto di Dio su di noi; il resto verrà dopo (lo disse persino santa Giacinta di Fatima, che lo venne a sapere dalla Vergine stessa, VEDI QUI). Sant’Atanasio, nella Vita di Antonio – sono reduce da un trasferimento e ho i libri ancora in scatola e non posso citare con esattezza, ma assicuro che così è – fa parlare il demonio che si lamenta di non aver sconfitto Antonio attraverso le armi che sono “sotto l’ombelico”, armi con le quali ha sconfitto tantissimi giovani. Dunque è “normale” l’insistenza sulla castità e ancora oggi sant’Atanasio lo conferma.
Ma non solo. Un pastore deve sin dall’inizio fare un “coming out pastorale”, cioè chiarire a chi gli sta davanti quale è il senso dell’accoglienza, precisando: “Caro/a, la via della salvezza alla quale Gesù Cristo ti chiama passa attraverso la castità, cioè l’astensione da atti omosessuali. Certo, potrai ricadere per fragilità e verrai a confessarti con il proposito di ricominciare. Gesù Cristo è contento della battaglia che stai iniziando e ti darà l’aiuto. Soprattutto, proibendoti questi atti, Dio non vuole limitare la tua felicità, ma condurti alla felicità vera».
Dunque il consiglio di Martin «Non riducete i gay e le lesbiche alla vocazione alla castità» va rigorosamente ribaltato con la frase appena formulata.
Se si crea questo contesto (ribaltato), allora tante positività che appaiono nella relazione di Martin possono essere accolte in senso giusto e proficuo: i valori delle persone omosessuali, la loro ricerca di Dio, una capacità maggiore di perdonare, doti tecniche al servizio della comunità ecc. Valga per tutte questa considerazione di Martin: «Dio le ama, e dovremmo amarle anche noi, e non di un amore avaro, obtorto collo, pieno di giudizi e di condizioni, solo con una parte del cuore: intendo di amore vero. E cosa significa amore vero? La stessa cosa che significa per chiunque: conoscerle nella complessità della loro vita, festeggiare con loro i momenti belli, soffrire con loro le amarezze, come farebbe un amico. E dirò di più: amarle come Gesù amava gli emarginati: follemente ed eccentricamente». Così come suonano, sono parole pienamente accettabili, ma nel contesto del coming out pastorale sulla castità. Se invece la proposta e l’esigenza della castità non è chiarita, in realtà non amiamo cristianamente le persone omosessuali e annunciamo loro un falso amore di Dio… e Dio ne chiederà conto.
QUARTO EQUIVOCO: qualche allegro stravolgimento della Scrittura. Martin conclude con un’icona evangelica: l’incontro di Gesù con Zaccheo in Lc 19,1-10 pensando «a Zaccheo come a un simbolo delle persone LGBT cattoliche». E qui iniziano una serie di allegorie, alcune delle quali stanno in piedi, mentre altre sono una frana.
Bene sottolineare che Zaccheo cercava di vedere Gesù e Gesù, saltando le persone normali e costituite in autorità, si rivolge a lui che era a suo modo marginale. A dire il vero, se il paragone calza nella seconda parte per la Chiesa, quanto alla prima parte tutti gli omosessuali che “fanno rumore” desiderano vedere Gesù? Ci sono forti dubbi…
Osserva giustamente Martin che «per Zaccheo, convertirsi significa dare ai poveri», perché è il contrario del suo peccato e così facendo non solo vi rimedia, ma esprime la verità della conversione. Applicato a chi pratica l’omosessualità, ci aspetteremmo un proposito di castità.
E invece «Zaccheo scende dall’albero; il testo greco ha un’espressione molto forte, statheis: mantenne la sua posizione»: che cosa significa se non che non ebbe l’intenzione di cambiare? E da qui è ovvio transitare alla considerazione che Gesù non gli propose di certo «terapie di conversione».
Infine Martin interpreta il tutto con una considerazione d’insieme che non ha nessun riscontro nel brano evangelico: «Il modello di Giovanni Battista (…) prevedeva che prima ci si convertisse, poi che si venisse accolti nella comunità. Per Gesù, prima viene la comunità, poi la conversione. L’accoglienza e il rispetto sono prioritari». No, è il contrario e ne fa fede il cammino penitenziale nonché l’attuale sacramento della Penitenza: proprio per essere accolti nella comunità nella quale c’è la salvezza si veniva e si viene perdonati dai peccati e, in antico “assolti” dalla penitenza in quanto le opere di penitenza compiute manifestavano la verità della conversione e dell’appartenenza alla Chiesa.
Insomma, pur non essendo gesuita ho provato a fare un discernimento sulle parole di un gesuita – operazione quasi surreale! – nel senso indicato dall’Apostolo: «Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono» (1Ts 5,21), fermo restando che «se in qualche cosa pensate diversamente, Dio vi illuminerà anche su questo» (Fil 3,15).
L’altro articolo viene dal Blog “La Scure d’Elia”, in un articolo del 2019
Il tradimento dei gesuiti
Corruptio optimi pessima.
Nel XVI secolo la propaganda protestante – anche grazie all’inescusabile ritardo di una Roma restia a riformarsi dalla sua scandalosa corruzione persino dopo il terribile sacco del 1527 – dilagò ovunque in Europa, in curie diocesane, corti principesche, università civili e facoltà teologiche. La novità faceva agevolmente presa su clero e intellettuali disgustati della condotta della corte papale e dei presuli latitanti che vi soggiornavano stabilmente, anziché stare alla guida del loro gregge. L’atteso concilio finalmente convocato a Trento, seppure in extremis, fu più volte interrotto per anni. A molti la situazione sarebbe potuta sembrare disperata, ma la Provvidenza aveva già suscitato santi vescovi e fondatori che fornissero gli strumenti della rinascita: gesuiti, teatini, barnabiti, cappuccini e tanti altri sul campo di battaglia; nelle retrovie, a sostenere i combattenti con la preghiera e l’offerta di sé, le carmelitane riformate e, più tardi, le visitandine.
Quelle forze, oggi, si sono in gran parte estenuate se non addirittura pervertite, a cominciare dai gesuiti, legati a tutti i principali movimenti sovversivi del XX secolo, dalla riconciliazione con la massoneria all’intesa con i comunisti, dal cinema corruttore al sincretismo religioso, dalla svolta antropologica alla teologia della liberazione, dai figli dei fiori al movimento omosessuale… Già san Carlo Borromeo, a suo tempo, aveva auspicato la soppressione di un’istituzione di cui, malgrado gli indubbi meriti e l’eccelsa santità del fondatore, nonché di tanti membri, presagiva fin da allora che avrebbe potuto prendere una piega preoccupante a causa di un potere sempre più vasto, capillare e incontrollabile, che poteva essere usato in bene come in male. Ma pure in tempi più recenti, dopo la clamorosa svolta dell’Ordine, che influenzò in modo decisivo il Concilio e i successivi sviluppi, Giovanni Paolo II, fin dall’inizio del suo pontificato, pensò di sopprimerli di nuovo con l’appoggio del fidato Ratzinger o per lo meno di effettuare un drastico intervento di riforma con l’allontanamento del famigerato padre Arrupe, amico dei gesuiti rivoluzionari sudamericani e apologeta di Teilhard de Chardin, esoterista e falso scienziato che aveva introdotto nella teologia cattolica la visione del mondo propria dell’occultismo cabalistico-massonico.
Non siamo in grado di ricostruire le trame occulte che possano spiegare l’incredibile metamorfosi – almeno nel complesso – dell’Ordine che rappresentava la punta di diamante della Chiesa Cattolica, non solo nel campo della teologia, ma anche nell’ambito della ricerca scientifica. Sta di fatto che, nel primo dopoguerra, si moltiplicano i contatti, miranti a stabilire un dialogo, tra singoli gesuiti e alti rappresentanti della massoneria, specialmente in Francia. Uno dei più fervidi promotori di tale incontro sarà, subito dopo il secondo conflitto mondiale, quell’Yves Marsaudon, membro del supremo consiglio delle logge francesi di tradizione scozzese, che frequenterà assiduamente il nunzio apostolico dell’epoca, monsignor Angelo Giuseppe Roncalli. È proprio in quegli anni, ma soprattutto a partire dalla morte (1955), che a dispetto delle condanne inizia il culto del pensiero di Teilhard de Chardin, convinto evoluzionista e adoratore di una materia divinizzata, considerata matrice di sviluppo dello spirito e grembo di gestazione di un Cristo cosmico in cui l’uomo dovrebbe trovare compimento qual essere sovrumano…
Questa visione tipicamente gnostica era valsa al gesuita, nel 1926, la rimozione dall’insegnamento e la proibizione di pubblicare, nonché il trasferimento in Cina. Laggiù aveva nondimeno avuto agio di approfondire le filosofie orientali (così congeniali alle sue idee) e di accreditarsi come paleontologo, fatto che gli aveva poi dato, in virtù di una fama artificiale, la possibilità di riciclarsi nelle università civili. La postuma aureola di riconciliatore della fede con la scienza non incantò però il cardinal Ottaviani, il quale nel 1958, pur senza metterle all’Indice, ordinò il ritiro delle sue opere da tutte le biblioteche religiose. Malgrado ciò ai riconoscimenti laici, specie in Francia e negli Stati Uniti, si associarono ben presto esplicite operazioni di riabilitazione ecclesiastica, a partire dal libro pubblicato nel 1962 da un altro gesuita sospetto, Henri de Lubac. Fu così che la gnosi teilhardiana – come più tardi ammesso da Josef Ratzinger – poté permeare in profondità il manifesto del rinnovamento conciliare, la Gaudium et spes. Non meraviglia affatto, a questo punto, che un cardinal Casaroli, nel 1981, ne abbia tessuto l’elogio in una missiva al futuro cardinal Poupard; è un po’ più imbarazzante, invece, che vi abbia fatto riferimento Benedetto XVI nell’evocare un’escatologica liturgia cosmica.
Senza una sotterranea manovra di promozione è inspiegabile come una simile ideologia allucinata, irrazionale e blasfema, basata sul rinnegamento della fede e sulla falsificazione dei dati scientifici, si sia imposta nella Chiesa Cattolica come catalizzatore del cristianesimo a venire. Gli evidenti tratti demoniaci, prima ancora che allo studio e alla pratica dell’esoterismo, scaturiscono da un’inquietante esperienza che il piccolo Pierre fece già nell’infanzia, quando, sentendosi attirato da una presenza panica che gli si rivelava nella natura, le acconsentì voluttuosamente, come racconterà egli stesso. Siamo obbligati a concludere che il Sant’Uffizio, per qualche ragione a noi ignota, non fu abbastanza severo nei confronti del teologo; un personaggio del genere, pochi secoli prima, avrebbe fatto la fine di un Giordano Bruno, suo parente stretto. Possiamo soltanto ammettere che i gesuiti deviati fossero già così potenti, all’interno della Curia Romana, da poter influenzare le decisioni di papa Pio XII; il suo confessore, d’altronde, non era forse il biblista Augustin Bea, fautore della riforma liturgica e dell’esegesi storico-critica, nonché sognatore di un concilio in cui la Chiesa rivedesse finalmente la sua dottrina sul giudaismo e sugli acattolici?
Alla dissoluzione dogmatica innescata da Teilhard e proseguita, seppur più discretamente, da de Lubac con la sostanziale riduzione della grazia alla natura, si affiancava la demolizione delle fonti della fede e della loro autorità. La Scrittura (ora trattata come un’opera letteraria qualunque) e la Tradizione (attestata in modo eminente dalla lex orandi) dovevano subire una sottile e pervasiva manipolazione dettata da “incontestabili” ragioni filologiche. L’École biblique di Gerusalemme – come chiunque può osservare nelle note della sua celebre Bibbia – si autorizzava allegramente ad alterare il textus receptus in base a mere illazioni e congetture di studiosi. Intanto il gesuita Stanislas Lyonnet, allievo di Bea e a sua volta maestro di Martini, dava il la allo stravolgimento della teologia biblica con un’interpretazione tendenziosa del peccato originale e della giustizia divina, ripensata come fedeltà di Dio alle proprie promesse ed epurata dell’aspetto retributivo, il quale è continuamente sottolineato, invece, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento (a titolo di esempio, cf. Sal 61, 13; Pr 24, 12; Mt 16, 27; Rm 2, 6; 1 Pt 1, 17; Ap 22, 12).
La reazione dei professori dell’Università Lateranense, capeggiati da Piolanti e Spadafora, in nome della retta dottrina ebbe per esito, nel 1962, la sospensione di Lyonnet dalla cattedra, presto resagli, nel 1964, per intervento di Paolo VI. Con questo avallo di fatto dell’interpretazione modernista dell’enciclica Divino afflante Spiritu di Pio XII, le porte dei seminari venivano spalancate alla nouvelle théologie, ormai libera di reinterpretare la Rivelazione in chiave esistenzialistica e di ridurre il Magistero a un’ermeneutica fra le altre, ineluttabilmente soggetta all’evoluzione culturale. Pochi si avvidero – facendosi perciò condannare all’ostracismo – del fatto che una tale legittimazione modificava i princìpi stessi della riflessione teologica, in tal modo consegnata allo storicismo con inevitabili esiti soggettivistici e relativistici. Non è risolutivo, in tale contesto, accanirsi a confutare singole innovazioni del Vaticano II (come la collegialità, l’ecumenismo e la libertà religiosa), né fermarsi alla condanna del modernismo da parte di san Pio X, dato che la sua riedizione è ben più perniciosa e ha prodotto una radicale mutazione della forma mentis cattolica. Il trionfo della prassi sulla teoresi è servito a imporre cambiamenti ingiustificati in nome dell’adattamento a mutate condizioni socio-culturali che sono frutto di una sotterranea pianificazione.
Sul fronte germanico, l’operazione di rilettura del dogma col filtro di filosofie incompatibili con la fede produceva frutti ancor più velenosi. Da una parte Karl Rahner, sulla linea kantiana, elaborava la sua teoria del cristianesimo anonimo (ovvero di un complesso di verità che sarebbero presenti, in forma trascendentale, in tutte le culture e che la fede cattolica non farebbe che portare in piena luce), con la conseguente dissoluzione della teologia nell’antropologia e l’annullamento della necessità, ai fini della salvezza, di appartenere alla Chiesa seguendone gli insegnamenti. Dall’altra Hans Urs von Balthasar (anch’egli gesuita, in un primo tempo), nel suo sforzo hegeliano di riconciliare Lutero con la dottrina cattolica, finiva con l’alterare quest’ultima in una personale costruzione estetizzante, fino ad accogliere l’assurda idea di un conflitto tra le Persone divine durante la Passione di Cristo. La concentrazione, ormai invalsa, sulla scelta del metodo e sull’approccio ermeneutico rende ciechi di fronte all’inconciliabilità di certi contenuti con la dottrina trasmessa. Che i due teologi, poi, siano assurti ad alfieri di due contrapposte ermeneutiche del Concilio, l’una progressista, l’altra conservatrice, non è altro che l’ennesimo inganno di una colossale mistificazione.
Arriviamo così a Giovanni Paolo II davanti al suo nodo gordiano, pronto a scioglierlo alla maniera di Alessandro, ma ignaro di un occulto pericolo. Il suo interessamento finanziario, mediante lo IOR, all’ascesa del sindacato Solidarność aveva appena coinvolto la Santa Sede nello scandalo del Banco Ambrosiano. Tale situazione metteva il Pontefice in una pericolosissima posizione di ricattabilità, effettivamente sfruttata da quel diabolico massone di Casaroli per bloccarlo sui gesuiti, come pure nella condanna dei regimi comunisti e nella consacrazione della Russia. Oltretutto, in ricompensa per l’appoggio occidentale alla rivoluzione polacca, si pretese il primo incontro sincretistico di Assisi, che, quale inizio di una lunga serie, costituì il riconoscimento di fatto della teologia dei gesuiti. Le erogazioni verso la Polonia, peraltro, continuarono sotto l’egida dell’IRI guidata da Romano Prodi, amico di famiglia – all’epoca – di un oscuro ausiliare di Reggio Emilia miracolosamente balzato, in pochi anni, a segretario della CEI, poi Vicario di Roma e Presidente della medesima.
Se Montini era imbevuto dell’umanesimo integrale del trasformista Maritain e del Cristo cosmico di Teilhard de Chardin, Wojtyła aveva una fede rocciosa e forgiata dalla vita sotto un regime del blocco sovietico, pur essendosi nutrito, negli studi, del personalismo franco-tedesco. Con un temperamento del genere, nessuno avrebbe potuto impedirgli – se fosse stato un po’ meno patriota – di rimettere ordine nella Chiesa, a cominciare dai gesuiti. Purtroppo le cose andarono diversamente, così che oggi il progetto eversivo, per quanto temporaneamente contenuto, è giunto a compimento proprio grazie a uno di loro, plasmato questa volta dalle idee di Marx, Rahner e Lutero, rifuse in una massonica mistica della fratellanza umana che lo ha condotto fino ad una dichiarazione formale di apostasia, secondo la quale «le diversità di religione […] sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani»: è la presunta religione universale ed eterna della Cabala, che sarebbe il ceppo comune di tutte le religioni storiche e in cui queste ultime dovrebbero riconfluire. Che dire? Preso atto di questa infausta storia, rimaniamo saldi, ognuno al proprio posto, per mantenere accesa la fiamma della fede.
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