“Nel periodo in cui l’Anticristo nascerà, ci saranno molte guerre e il giusto ordine sarà distrutto sulla terra. L’eresia dilagherà e gli eretici predicheranno i loro errori apertamente e senza ritegno. Persino fra i cristiani ci saranno dubbi e scetticismo a proposito delle credenze del cattolicesimo…” – Chiunque va contro la legge di Dio partecipa alla distruzione del giusto ordine e alimenta la via dell’Anticristo…” (Santa Ildegarda, vedi qui)
Karl Rahner, maestro del Concilio, di Martini e della coscienza relativa
Il nome di Karl Rahner, vedi anche qui, è un passaggio obbligato per chi voglia entrare nel cuore del dibattito intraecclesiale dei nostri giorni. …..
Il nome di Karl Rahner è un passaggio obbligato per chi voglia entrare nel cuore del dibattito intraecclesiale dei nostri giorni. Come perito conciliare del cardinale Franz König il gesuita tedesco svolse, dietro le quinte, un ruolo cruciale nel Vaticano II, fino a essere definito dall’allora decano della Gregoriana, Juan Alfaro, “il massimo ispiratore del Concilio”. Di certo ha dominato il postconcilio come conferenziere di grido e scrittore dalla alluvionale produzione, pronto a intervenire disinvoltamente su tutti i problemi del momento: i suoi titoli sono oltre quattromila, le sue opere, tradotte e diffuse in tutto il mondo, continuano a esercitare una larga influenza sul mondo cattolico contemporaneo.
Sembra giunta però l’ora di “uscire da Rahner”, come implicitamente auspicato da Benedetto XVI nell’ormai storico discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005, sulle “ermeneutiche” del Concilio Vaticano II. Lo “spirito del Concilio” a cui si richiamano gli ermeneuti della “discontinuità” ha infatti la sua fonte nel Geist in Welt di Rahner, quello “Spirito nel mondo” che è il titolo del suo primo importante libro, pubblicato nel 1939. Se in questo volume Rahner delinea la sua concezione filosofica della conoscenza, nel successivo, “Uditori della parola” (Hörer des Wortes), pubblicato nel 1941, espone la sua visione propriamente teologica.
Le tesi di questi due libri e dei successivi, già lucidamente criticate dal padre Cornelio Fabro (“La svolta antropologica di Karl Rahner”, 1974), sono ora oggetto di un importante volume, a cura di padre Serafino M. Lanzetta, che raccoglie gli atti del convegno tenutosi a Firenze nel novembre 2007, con la partecipazione di eccellenti studiosi, provenienti da diverse parti del mondo: Ignacio Andereggen, Alessandro Apollonio, Giovanni Cavalcoli, Peter M. Fehlner, Joaquín Ferrer Arellano, Brunero Gherardini, Manfred Hauke, Antonio Livi, H. Christian Schmidbaur, Paolo M. Siano, (“Karl Rahner. Un’analisi critica. Le figure, le opere e la recensione. Teologia di Karl Rahner, 1904-1984”. Cantagalli).
Oggetto della scienza teologica, per Rahner, non è Dio, di cui non può essere dimostrata l’esistenza, ma l’uomo, che costituisce l’unica esperienza di cui abbiamo l’immediata certezza. Non si può dunque parlare di Dio al di fuori del processo conoscitivo dell’uomo. Dio, più precisamente, esiste “autocomunicandosi” all’uomo che lo interpella. Rahner afferma che nessuna risposta va al di là dell’orizzonte che la domanda ha già precedentemente delimitato. L’orizzonte di Dio è misurato dall’uomo che, delimitando nella sua domanda la risposta divina, diviene la misura stessa della Rivelazione di Dio. Rahner non dice che l’uomo è necessario a Dio perché Dio possa esistere, ma poiché senza l’uomo Dio non può essere conosciuto, la conoscenza umana diviene la chiave di quella che egli definisce la “svolta antropologica” della teologia. Rahner si richiama spesso a san Tommaso d’Aquino, ma di fatto riduce la metafisica ad antropologia e la antropologia a gnoseologia ed ermeneutica.
La “teologia trascendentale” di Rahner appare, in questa prospettiva, come uno spregiudicato tentativo di liberarsi della tradizionale metafisica tomista, in nome dello stesso san Tommaso. Ciò naturalmente può avvenire solo a condizione di falsificare il pensiero dell’Aquinate. Fabro non esita a definire Rahner “deformator thomisticus radicalis”, a tutti i livelli: dei testi, dei contesti e dei principi. L’esito è un “trasbordo” dal realismo metafisico di Tommaso all’immanentismo di Kant, di Hegel e soprattutto di Heidegger, acclamato dal gesuita tedesco come il suo “unico maestro”.
Rahner accetta il punto di partenza cartesiano dell’io come auto-coscienza. L’uomo, spogliato della sua corporeità, è innanzitutto coscienza, puro spirito, immerso nel mondo. Come per Cartesio e per Hegel, anche per Rahner è il conoscere che fonda l’essere, ma la conoscenza ha il suo fondamento nella libertà, perché “nella misura in cui un essere diventa libero, nella medesima misura esso è conoscente”. La coscienza coincide con la volontà dell’uomo e la volontà dell’uomo è l’attuarsi dell’Io. L’Io a sua volta non è sottomesso a nulla che lo possa condizionare, perché il suo fondamento sta proprio nella sua incondizionatezza e dunque nell’assenza di ogni oggettiva limitazione esterna.
La conseguenza della riduzione dell’uomo ad auto-coscienza è la dissoluzione della morale. La libertà prevale sulla conoscenza perché, come afferma Heidegger, dietro il cogito cartesiano irrompe la libertà. L’uomo è coscienza che si auto-conosce e libertà che si auto-realizza. Per Rahner, come per il suo maestro, l’uomo conosce e vive il vero facendosi libero. Il valore morale dell’azione non ha una radice oggettiva, ma è fondato sulla libertà del soggetto.
Forzando il n. 16 della “Lumen Gentium”, in cui si parla della possibilità di salvezza di coloro che “non sono giunti a una conoscenza esplicita di Dio”, Rahner afferma che la salvezza non è un problema, perché è assicurata a tutti, senza limiti di spazio, di tempo e di cultura. La chiesa è una comunità vasta come il mondo, che include i “cristiani anonimi”, i quali, benché possano dirsi non-cattolici, o addirittura atei, hanno la fede implicita. Chiunque infatti “accetta la propria umanità, costui, pur non sapendolo, dice di sì a Cristo, perché in lui ha accettato l’uomo”. Tutti, dunque, anche gli atei, in quanto atei, si salvano se seguono la propria coscienza. Qualsiasi uomo, quando conosce se stesso, anche nel male che compie, se si accetta come tale, allora è auto-redento ed ha fede. E quanto più conosce e accetta la propria “esperienza trascendentale” tanto più ha fede. Questo, osserva giustamente il padre Andereggen, significa che ha più fede un individuo che si sia psicanalizzato freudianamente durante dieci anni, piuttosto che un religioso che preghi (p. 35).
Il cardinale Franz König, uomo di punta del progressismo conciliare, fu il grande “sdoganatore” di Rahner, in odore di eresia fino agli anni Sessanta.
Tra i numerosi e illustri discepoli del gesuita, bisogna ricordare l’ex presidente della Conferenza episcopale tedesca Karl Lehmann e, in Italia, il cardinale Carlo Maria Martini. Le ultime interviste-confessioni di Martini, con Georg Sporschill (“Conversazioni notturne a Gerusalemme”, Mondadori) e con don Luigi Verzé (“Siamo tutti nella stessa barca”, Edizioni San Raffaele), sono di impronta rahneriana, per l’universalismo salvifico e la “morale debole”. Martini, come Rahner, ritiene che la missione della chiesa sia aprire le porte della salvezza a tutti, compresi coloro che si discostano dalla fede e dalla morale cattolica. Lo stesso Martini, istituì a Milano una “cattedra dei non credenti”, per ascoltare il loro contributo alla salvezza del mondo. Il successore di san Carlo Borromeo, rinunciava così al compito di portare Cristo a chi non crede, per affidare ad atei dichiarati come Umberto Eco la missione di “evangelizzare” i fedeli della diocesi ambrosiana.
Non è eccessivo affermare che Rahner è il padre del relativismo teologico contemporaneo. A confermarlo è la sua più intima confidente, Luise Rinser, che l’11 maggio 1965 gli scriveva: “Sai qual è la maggior difficoltà che mi viene da parte tua? Che sei un relativista. Da quando ho imparato a pensare come te non oso affermare nulla con sicurezza” (“Gratwanderung”, Kösel). Qualche anno dopo la stessa Rinser avrebbe solidarizzato con i terroristi Andreas Baader e Gudrun Ensslin. Rahner, da parte sua, il 16 marzo 1984, poco prima di morire, scrisse una lettera in difesa della teologia della liberazione che chiamava i cattolici alle armi in America Latina.
La lettura del libro curato dal padre Lanzetta conferma nell’idea che Karl Rahner, per lo spregiudicato uso delle sue indubbie capacità intellettuali, fu soprattutto un grande avventuriero della teologia. Il giovane Ratzinger subì il fascino della sua personalità, ma intravide presto le conseguenze devastanti del suo pensiero e, sotto un certo aspetto, dedicò tutta la sua successiva opera intellettuale a confutarne le tesi. Oggi il nome di Rahner rappresenta la bandiera teologica di chi si oppone al pensiero antirelativista di Benedetto XVI-Ratzinger. L’analisi critica merita di essere portata fino in fondo.

Il teologo gesuita Karl Rahner (1904-1984), perito del Concilio Ecumenico Vaticano II, nell’immediato postconcilio si procurò la fama di uno dei più grandi teologi cattolici e interpreti.
Tuttavia la sua interpretazione del si pone in rottura e non in continuità rispetto alla Tradizione cattolica, e la sua visione si distacca dalla dottrina dogmaticamente definita: Rahner è infatti uno dei principali responsabili della riduzione della teologia ad antropologia, come conseguenza dell’assunzione della modernità come categoria filosofica di riferimento.

Da un’inchiesta condotta nell’immediato postconcilio tra gli studenti della Pontificia Università Lateranense emerse che il più grande teologo cattolico di tutti i tempi fosse non San Tommaso d’Aquino o Sant’Agostino, ma Karl Rahner.
E alla luce della situazione della Chiesa oggi è vero, Karl Rahner sembra aver vinto: pastori che seminano dubbi tra i fedeli, che permettono che altri lo facciano senza intervenire, che mal sopportano che i cattolici mostrino i muscoli per difendere i cosiddetti “principi non negoziabili”.
Ecco in cosa consiste la rivoluzione portata da Rahner: una Chiesa democratica e aperta, dai confini indefiniti, strutturata a partire dalla base, pluralista dal punto di vista teologico, filosofico e dottrinale, che sostituisce la pastorale alla dottrina, che non evangelizza nessuno e che anzi non condanna più, perché ogni situazione particolare di vita può essere un buon punto di partenza. È la Chiesa che, senza una verità esclusiva da comunicare, per Rahner deve convertirsi al mondo: dietro questo cattivo assunto c’è solo una cattiva filosofia, che ha in Kant, Hegel e Heidegger i suoi riferimenti.
Così santa Ildegarda, vedi qui fonte integrale:
“Dopo la nascita dell’Anticristo gli eretici predicheranno le loro false dottrine indisturbati, col risultato che i cristiani avranno dubbi sulla loro santa Fede cattolica… (..) Verso la fine del mondo l’umanità sarà purificata per mezzo delle sofferenze. Ciò sarà vero soprattutto per il clero, che sarà derubato di tutte le sue proprietà“. E non viene alla mente la Rivoluzione Francese con le sue depredazioni, e il Risorgimento in Italia con la Massoneria e la confisca dei beni della Chiesa? E non è questo il tempo delle false dottrine predicate in modo indisturbato?
e ci va giù pesante quando scrive al papa Anastasio IV, che denuncia apertamente:
- «O uomo accecato dalla tua stessa scienza, ti sei stancato di por freno alla iattanza dell’orgoglio degli uomini affidati alle tue cure, perché non vieni tu in soccorso ai naufraghi che non possono cavarsela senza il tuo aiuto? Perché non svelli alla radice il male che soffoca le piante buone?… Tu trascuri la giustizia, questa figlia del Re celeste che a te era stata affidata. Tu permetti che venga gettata a terra e calpestata… Il mondo è caduto nella mollezza, presto sarà nella tristezza, poi nel terrore… O uomo, poiché, come sembra, sei stato costituito pastore, alzati e corri più in fretta verso la giustizia, per non essere accusato davanti al Medico supremo di non aver purificato il tuo ovile dalla sua sporcizia!… Uomo, mantieniti sulla retta via e sarai salvo. Che Dio ti riconduca sul sentiero della benedizione riservata ai suoi eletti, perché tu viva in eterno!».
- Le prove non sono finite, la mia Sposa sarà spogliata, la liturgia impoverita, un magistero maschile deprederà la mia Diletta, perciò altre mie dilette verranno in suo soccorso. La perversione sarà grande che Sodoma e Gomorra non sono nulla al confronto, il peccato di Eva tornerà a pervertire l’uomo, dimenticheranno il nuovo Adamo e lo tratteranno da pervertito….”
Secondo alcuni studiosi del linguaggio e del pensiero della Santa, quel “magistero maschile” sta proprio in una previsione della PERVERSIONE OMOSESSUALISTA che sarebbe entrata nel magistero della chiesa…
Non dimentichiamo, infine, la profezia di san Gregorio Magno: “LA DOTTRINA – vera – DELLA CHIESA, SARA’ MESSA A TACERE”, vedi qui:
- “La Chiesa sarà come Giobbe sofferente, esposto alle perfide insinuazioni di sua moglie e alle critiche amare dei suoi amici; egli, davanti al quale gli anziani si alzavano e i principi tacevano!
- La Chiesa – dice più volte il grande Papa – verso la fine del suo pellegrinaggio, sarà privata del suo potere temporale; si cercherà di toglierle ogni punto d’appoggio sulla terra. Ma dice di più e dichiara che essa sarà spogliata dello sfarzo stesso che deriva dai doni soprannaturali.
- Il potere dei miracoli – dice – sarà ritirato, la grazia delle guarigioni tolta, la profezia sarà scomparsa, il dono di una lunga astinenza sarà diminuito, gli insegnamenti della dottrina taceranno, i prodigi miracolosi cesseranno.
Intervista a Stefano Fontana, autore del libro rivelazione che smaschera il maggiore eresiarca del secolo scorso che tutt’ora regna nel pensiero cattolico: Karl Rahner. Libro semplice e accessibile a tutti.
AVETE ANCORA DUBBI??? Attenti perché il dubbio NON è una virtù ma una TENTAZIONE che deve essere debellata sul nascere…., mentre fare DISCERNIMENTO sui fatti reali ed oggettivi, è un dovere che dissipa i dubbi…. Leggete anche qui:
Al di là di ogni ragionevole dubbio – da “chiesaepostconcilio“, ottobre 2018
L’abuso di minori […] è un delitto, non è un peccato. Ma se una persona, laica, prete o suora, commette un peccato e poi si converte, il Signore perdona. E quando il Signore perdona, il Signore dimentica (Jorge Mario Bergoglio, 28 luglio 2013).
Era già tutto chiaro. Si era già rivelato in quelle poche battute. Alla luce degli sviluppi successivi, le dichiarazioni rilasciate da Bergoglio sul volo di ritorno da Rio de Janeiro non costituiscono soltanto la prima esplosione nel processo di demolizione controllata della Chiesa Cattolica (l’ammissione delle condotte omofile, purché si cerchi il Signore e si abbia buona volontà), ma rappresentano altresì un’autocertificazione di identità personale: non del fatto che sia egli stesso un sodomita, ma del fatto che è un sostenitore del pensiero omosessualista, proprio come lo sono quelle sinistre che l’hanno riconosciuto come indiscusso leader mondiale. La contraddittorietà dell’affermazione sopra citata è in realtà espressione di convinzioni precise: gli abusi sessuali di minori sarebbero un delitto, in quanto proibiti dalla vigente legislazione civile (che può peraltro essere modificata, come già si tenta di fare in diversi Paesi per legalizzare la pedofilia), ma non sarebbero un peccato; quand’anche lo fossero, basterebbe pentirsi perché Dio perdonasse e dimenticasse tutto, con buona pace delle vittime e delle terribili sequele irreversibili, come nevrosi acute e violente pulsioni al suicidio.
Chiunque abbia un po’ di buon senso e di fede insorge spontaneamente contro simili aberrazioni: un delitto, essendo una violazione del giusto ordine civile (che riposa su fondamenti stabiliti da Dio) è anche un peccato, soprattutto se, oltre alla legge umana, viola pure un precetto divino di legge sia naturale che positiva. Il perdono poi, riconciliando il peccatore con Dio, cancella sì il peccato (ossia l’offesa arrecatagli con la disobbedienza ad un Suo comandamento), ma non annulla la pena legata alla colpa morale, la quale, in virtù dell’ordine di giustizia inerente all’Essere, va necessariamente espiata in questa o nell’altra vita (mediante la pena temporale del Purgatorio), a meno che non si ricorra alle indulgenze, la cui efficacia dipende però da una perfetta disaffezione al peccato. Invece la dichiarazione riportata in apertura ignora grossolanamente questa verità di fede e di ragione, sottendendo una visione tipicamente protestante dell’agire umano, il quale non sarebbe libero e, di conseguenza, nemmeno imputabile.
Tassello indispensabile per comprendere la derubricazione della sodomia è la sfacciata esaltazione di Lutero. Il porcus Saxoniae, crapulone dominato dal demonio e ossessionato dal sesso che le fonti storiche ci restituiscono in modo inequivocabile, negò esplicitamente il libero arbitrio dell’uomo incolpando del male Dio stesso, che ne sarebbe la vera causa e il responsabile ultimo. L’uomo non può non peccare, ragion per cui Dio si limita a coprirlo con la giustizia di Cristo, il quale però, una volta identificatosi con i peccati umani, sarebbe stato rigettato dal Padre, che finisce con l’apparire come un mostro di crudeltà; la sua misericordia consisterebbe in un atteggiamento del tutto arbitrario che salverebbe gli uni e dannerebbe gli altri a prescindere dalle loro azioni, con i meriti o demeriti connessi. È alla luce di questa “teologia” satanica che si spiega il pensiero del nuovo “riformatore” argentino, il cui compito sembra quello di portare a termine, all’interno della Chiesa Cattolica, lo stravolgimento da cui cinque secoli fa, pur perdendo interi popoli, uscì miracolosamente indenne grazie al Concilio di Trento, ma da cui è stata riaggredita con il Concilio Vaticano II.
Sia pure attraverso un procedere apparentemente ondivago, dovuto alla necessità di rassicurare i settori meno liberali della Chiesa, il programma di Bergoglio è assolutamente univoco: alla base c’è un pensiero coerente, per quanto aberrante, attuato in uno svolgimento accuratamente pianificato. Secondo l’eresiarca tedesco (da lui ripreso quasi alla lettera in diverse omelie), Dio, per diventare se stesso, deve prima farsi diavolo; il cristianesimo è così sostituito da una gnosi evolutiva nella quale il divino, per “realizzarsi”, abbraccia in sé il male quale necessario momento di sviluppo. In queste farneticanti elucubrazioni si sente puzza di cabala ebraica, di cui fu attento studioso – guarda caso – Johannes Reuchlin, zio di Melantone, il “teologo” di Lutero; ma qui ci sono pure, in gestazione, Hegel, Marx, Nietzsche, Lenin, Heidegger e tutte le sciagure del XX secolo, nonché quelle ancora a venire. Proprio questa è la base del pensiero bergogliano, che del resto si è espresso in una serie di atti e discorsi che lo esprimono e confermano; l’ambiziosa mèta è una palingenesi universale che dovrebbe dare i natali a un mondo nuovo, libero dal peccato perché al di là del bene e del male.
L’aspetto più sintomatico ed evidente di tale superamento è la sovversione delle identità sessuali, elemento qualificante della creatura fatta a immagine e somiglianza di Dio. Nei testi gnostici più antichi, come nei frammenti pervenutici del Vangelo degli Egiziani, la procreazione è considerata un male che andrebbe debellato mediante il ritorno a una presunta unità androgina originaria. Tali idee sono state fatte proprie dalla massoneria internazionale di alto livello, che giusto all’indomani dell’elezione di Bergoglio se ne è unanimemente felicitata dichiarando esplicitamente che con lui era giunto sul Soglio di Pietro non un membro delle logge, ma un uomo con le loro idee. Il peccato contro natura, in effetti, non solo è stato da lui approvato con gesti e parole che non necessitano di interpretazione, ma sembra da lui considerato un requisito essenziale per la promozione alle cariche più alte. Alla luce di documenti e testimonianze inoppugnabili, non è ragionevolmente pensabile che egli sia sistematicamente ingannato o tenuto all’oscuro delle “qualità” dei candidati, perché è lui stesso ad averli voluti nonostante i rapporti negativi.
Quanto sto per riportare non sono pettegolezzi, ma tutti fatti pubblici o accertati dagli inquirenti; è una piccola lista dei casi più eclatanti di sue promozioni, ma rappresenta solo la punta dell’iceberg, cioè di un sistema tentacolare saldamente strutturato e radicato nel cuore della Chiesa Cattolica da decenni. Il primo è colui che fu oggetto della domanda sullalobby gay, la quale diede occasione alla devastante risposta in alta quota da cui siamo partiti: tale Battista Ricca, ben noto all’Arcivescovo di Buenos Aires per esser stato prima addetto alla nunziatura di Montevideo (sull’altra sponda del Rio de la Plata, dove pretese che l’amante svizzero fosse assunto e alloggiato), poi, una volta rispedito a Roma, direttore della casa del clero in cui Bergoglio scendeva regolarmente, e in seguito anche dellaDomus Sanctae Marthae; dal giugno del 2013 è nientemeno che prelato dello IOR. Il secondo è addirittura il suo segretario particolare, Fabián Pedacchio, di cui abbiamo di recente evocato gli interessi pedopornografici finiti nel mirino della magistratura italiana, ma non così gravi, a quanto pare, da fermarne la nomina. Il terzo è il presidente del neonato dicastero per laici, vita e famiglia, quel Kevin Farrell che ha convissuto per anni con il famigerato ex-cardinal Mac Carrick.
Recentissima, poi, è l’elevazione alla porpora dell’elemosiniere di Sua Santità, Konrad Krajewski, che la notte si aggira per le strade di Roma per distribuire ai senzatetto la carità del Papa. Fra loro c’è il giovane Kamil, cacciato dal Preseminario San Pio X per le sue condotte omosessuali. Le sue denunce di presunti abusi su minori, raccolte da un solerte giornalista che ci guadagna bene sopra, si riferiscono in realtà ad atti tra maggiorenni, ma il fatto che la Segreteria di Stato abbia rinunciato a procedere legalmente per diffamazione contro di lui, che sta ricattando il Vaticano con indebite richieste di risarcimento, la dice lunga su ciò che temono venga fuori in un’indagine giudiziaria. Per inciso: per piacere a chi si fanno la permanente, certi chierichetti del papa?
Altra nomina dell’ultim’ora, quella del Sostituto alla Segreteria di Stato, tale Edgar Peña Parra, un depravato in odore di sodomia fin dal seminario che ha intrattenuto multiple relazioni con persone di ambo i sessi ed è stato oggetto di durissime denunce, fra cui quella di monsignor Viganò. Ma – si sa – le vie della diplomazia sono infinite: il pervertito, che pur era stato segnalato al cardinal Parolin fin da quando era nunzio in Venezuela, ha servito per quattro anni alla nunziatura di Tegucigalpa, dove impera il braccio destro di Bergoglio (quella faccia di bronzo di Maradiaga), il cui vicario generale, per la cronaca, si è recentemente dovuto dimettere in seguito alla denuncia sporta da una quarantina di seminaristi che sono stati oggetto di morbose attenzioni. Nient’altro che affari privati e faccende amministrative, secondo il porporato.
In Italia potremmo citare il noto caso di don Mauro Inzoli, ridotto allo stato laicale da Benedetto XVI e sorprendentemente riabilitato dal successore, finché non è dovuto tornare in carcere dopo la condanna definitiva per abusi su minori. Incaricato da “Francesco” di esaminare gli appelli dei preti condannati a livello canonico, d’altronde, era proprio quel cardinal Coccopalmerio (figlio spirituale del cardinal Martini) che nel giugno del 2017 i gendarmi vaticani hanno beccato a un’orgia per soli uomini a casa del segretario. Tout se tient. Che dire, poi, della promozione alla sede di Milano di monsignor Mario Delpini, che ha pur dovuto ammettere, davanti agli inquirenti, di aver coperto don Mauro Galli, responsabile di un abuso su un quindicenne che da allora ha tentato il suicidio quattro volte? Sono tutte decisioni infelici dovute a cattivi consigli o a insufficienza di informazione? Vi pare possibile? La Segreteria di Stato vaticana funziona meglio del Mossad, che proprio da essa impara. A dileguare ogni dubbio, del resto, basta la vicenda della diocesi cilena di Osorno, dove neanche le proteste di piazza han fermato la nomina di monsignor Barros, poi costretto a dimettersi in modo clamoroso nonostante Bergoglio l’abbia appoggiato fino all’ultimo, definendo calunnie le accuse di copertura del pedofilo Karadima.
Al di là di ogni ragionevole dubbio, gli atti di governo confermano in modo del tutto univoco una volontà precisa fondata su un pensiero definito. L’abitudine di Bergoglio, ancora arcivescovo, di circondarsi di individui moralmente dubbi fa pensare a una strategia di potere mirante a tenere in pugno i propri collaboratori; ma, al di là di questo, è un fatto incontestabile che stia continuando a piazzare sistematicamente dei sodomiti – come se non ce ne fossero già troppi – in gangli vitali della struttura ecclesiastica. Tutto questo dopo aver dichiarato che non solo la sodomia, ma perfino gli abusi non sono più peccato: si tratta al massimo, a quanto pare, di fragilitàche richiedono tutt’al più, come provvedimento gerarchico, la raccomandazione di un accompagnamento psicologico (ciò che fece appunto con l’attuale segretario, quando, da viceparroco a Buenos Aires, furipetutamente denunciato dai fedeli). Non stiamo dunque assistendo soltanto allo sdoganamento ideologico del peccato impuro contro natura, ma anche alla sua attiva promozione a livello politico, che incoraggia e premia le tendenze devianti accordando ai viziosi un potere sempre maggiore.
Qui non c’è solamente il bisogno del clero immorale di veder giustificato e ammesso il proprio vizio, ma un deliberato sforzo, da parte di qualcuno che pur non vi è personalmente coinvolto, di sovvertire la Chiesa nella sua dottrina e nella sua gerarchia onde poterne stravolgere la vita e la missione nella storia. In altre parole, in base alla visione gnostica e cabalistica di una divinità in continua evoluzione che comprende in sé il male e si confonde con il mondo, il suo scopo è – se possibile – trasformare il Corpo Mistico in modo tale che, per giungere al suo compimento ultimo, possa includere in sé anche i contrari. Ma fino a quando il Salvatore permetterà che la realtà nata dal Suo costato trafitto per la salvezza dell’umanità operi per il fine opposto?
P.S.: al di là di ogni ragionevole dubbio, quell’individuo non è cattolico e neppure cristiano; celebrando con una mazza da stregone in mano, del resto, si è pienamente rivelato per quello che è. Ognuno ne tragga le debite conclusioni (ma solo nel foro interno della coscienza; a farlo in pubblico si rischia di diventare scismatici, prima che lo faccia chi di dovere). Ora, per la vostra salute fisica e spirituale, prendete imperativamente la corona del Rosario o il santo Vangelo.
Laudetur Jesus Christus

di Nicola Lorenzo Barile
«Tra i peggiori disastri naturali nella storia della città»: così è stato definito l’incendio di Pacific Palisades, sulle montagne di Santa Monica a Los Angeles, come testimoniato dall’intensità delle fiamme riprese il 7 gennaio da una telecamera PTZ (pan-tilt-zoom) sul tetto della TCW Tower di Los Angeles, il grattacielo più alto della città.
Effettivamente, i dati sembrano confermarlo: l’incendio di Pacific Palisades, che ha bruciato insieme quasi 23.700 acri (qui), è probabilmente il quarto incendio più distruttivo nella storia della California, ha affermato il portavoce dei vigili del fuoco della California Brice Bennett (qui).
Quali le cause? I commentatori sono per lo più d’accordo nel chiamare sul banco degli imputati il cambiamento climatico. Secondo la scrittrice e giornalista di San Francisco Rebecca Solnit, «Sappiamo che il futuro sta venendo rimodellato dal cambiamento climatico causato dall’uomo, e sappiamo esattamente cosa fare al riguardo e chi ci impedisce di farlo. Spesso siamo esortati a essere preparati per il nostro disastro locale, che si tratti di una bufera di neve, un terremoto, un uragano o un incendio, ma nessuna preparazione personale può compensare la mancanza di una preparazione collettiva che è un’azione internazionale significativa per il clima» (The chronicle of a fire foretold, su The Guardian del 9 gennaio 2025). Non tutti però sono d’accordo con questa interpretazione delle cause.
L’incendio di Pacific Paradise ha fatto anche tornare di attualità il vecchio saggio di Mike Davis, The Case for Letting Malibu Burn (Environmental History Review, 19 (1995), no. 2, pp. 1–36) in cui l’urbanista e giornalista vissuto a Los Angeles, ormai trent’anni fa, scriveva a proposito degli incendi abbattutisi allora sulle ridenti località di Westlake e Malibu, sempre nella contea di Los Angeles, che «la tarda estate è l’inizio della stagione degli incendi boschivi nella California meridionale, ed è allora che Westlake e Malibu soffrono una sorte comune: incendi catastrofici. Secondo stime precedenti, Westlake (incluse le zone adiacenti del centro) ha la più alta incidenza di incendi urbani della nazione: una delle sue due stazioni dei pompieri è stata inondata da ben 20.000 chiamate di emergenza nel 1993». Ma l’analisi di Mike Davis degli incendi californiani di allora è leggermente diversa, poiché punta il dito prevalentemente sull’avidità dei costruttori e dei proprietari di case nella contea di Los Angeles: «Difesi nel 1993 dal più grande esercito di vigili del fuoco nella storia americana, i ricchi proprietari di case di Malibu hanno beneficiato anche di una straordinaria gamma di sussidi assicurativi, per l’uso del territorio e per i soccorsi in caso di calamità. Tuttavia, come la maggior parte degli esperti ammetterà prontamente, periodiche tempeste di fuoco di questa portata sono inevitabili finché lo sviluppo residenziale è tollerato nell’ecologia degli incendi di Santa Monica».
In attesa che le indagini facciano il loro corso nell’accertare le precise responsabilità dell’incendio di Pacific Palisades, colpiscono positivamente le testimonianze di solidarietà da parte delle scuole cattoliche che hanno resistito, offrendo ospitalità alle famiglie rimaste senza casa e facile inserimento dei figli nelle loro classi, com’è il caso della Loyola High School di Los Angeles e dell’American Martyrs School di Manhattan Beach. Il 9 gennaio, mentre gli incendi ancora infuriavano, decine di parrocchiani della parrocchia di Corpus Christi a Pacific Palisades, ridotta in cenere, hanno partecipato a una messa speciale nella cattedrale di Nostra Signora degli Angeli a Los Angeles. Il celebrante, l’arcivescovo José Gomez, ha affermato che non ci sono «risposte facili» e che Dio chiama ogni persona «a essere strumenti che mostrano la sua compassione e cura per coloro che soffrono». «L’amore è ciò che ci viene chiesto in questo momento difficile», ha affermato Gomez. La messa si è conclusa con l’inno Be Not Afraid.
Con il cambiamento climatico che si sta rivelando il paradigma della crisi decisiva che il nostro mondo affronterà in questo secolo, papa Francesco ha dedicato la sua seconda lettera enciclica, Laudato Si’ (2015), alla responsabilità da parte dei cristiani di interpretare e usare la loro fede a sostegno di un’ecologia integrata e sostenibile, piuttosto che a sostegno di un bieco sfruttamento della terra.
Con il titolo dell’enciclica tratto dalle parole del famoso Cantico delle Creature di S. Francesco d’Assisi, il papa ha innalzato il suo santo omonimo come «l’esempio per eccellenza della cura per i vulnerabili e di un’ecologia integrale vissuta con gioia e autenticità» (Laudato Si’, §10). Ma per quanto ammirevole (e noto) sia San Francesco d’Assisi (proclamato santo patrono dell’ecologia da San Giovanni Paolo II nel 1979), la straordinaria santità della sua vita rende difficile la possibilità di ricavare una teologia sistematica. La storia dell’Ordine francescano da lui fondato, del resto, è una testimonianza di quanto è stato difficile realizzare la sua visione evangelica all’interno di un quadro istituzionale.
Una donna che visse diverse centinaia di miglia a nord (in Renania) e alcune generazioni prima di S. Francesco però può colmare questo vuoto: Santa Ildegarda di Bingen (1098-1179). Potrebbe essere quasi famosa come santa medievale quanto S. Francesco, essendo molto eseguite le sue composizioni musicali; per non dire delle miniature che ha progettato per un codice della sua prima opera, Scivias (1151), o delle raccomandazioni sulla dieta tratte dai suoi scritti di scienze naturali, sui benefici, ad esempio, del pane di farro o della birra con il luppolo. È stata anche una prolifica teologa e affascinante profetessa, motivo per cui nel 2012 Papa Benedetto XVI l’ha dichiarata Dottore della Chiesa, quarta donna in un gruppo di trentasei teologi fra i più preminenti nella storia del cristianesimo. La sua teologia, alimentata dalle sue visioni, ci può fornire una serie di strumenti per risolvere problemi come la relazione dell’umanità con il resto della creazione affidata alle nostre cure.
Come avrebbe affrontato Santa Ildegarda il comando della Genesi (1, 27) di dominare su tutta la creazione? Si può rispondere molto facilmente, perché Santa Ildegarda ha scritto un commento alla storia della Creazione nella Genesi che è parte del suo Libro delle Opere Divine (1174):
«[Dio] benedisse [l’umanità] e le comandò di crescere e di progredire nella moltitudine, e di riempire la terra sotto il loro comando e di renderla soggetta a loro stessi, così che, come è coltivata dall’umanità, possa dare frutto; e di governare sulle cose che nuotano nelle acque e volano nell’aria, perché le supera con l’estensione dei sui cinque sensi, e su tutti gli esseri viventi che hanno il movimento dell’aria vitale sulla terra, perché la gloria della razionalità li supera tutti» (II, 1, 43).
Perché la razionalità? Questo ci riporta ai versetti precedenti della Genesi, dove Dio crea l’umanità a Sua «immagine e somiglianza». Cosa significa ciò per Santa Ildegarda? L’immagine, dice, è la veste del Verbo Incarnato, predestinata dall’antico consiglio o piano di Dio. Dio ha predestinato Suo Figlio ad assumere la carne umana, e così ha creato il corpo umano fin dall’inizio per essere il Suo vaso. Tutto ciò che Dio ha fatto, tutto ciò che ha creato, è stato per questo scopo singolare: preparare Dio a entrare nella creazione, a diventare un essere umano.
La visione di Santa Ildegarda del cosmo e del posto dell’umanità al suo interno è, quindi, profondamente antropocentrica: deve esserlo, perché il Dio-Fatto-Uomo è la vera ragione di tutta la creazione. A prima vista, un punto di vista così antropocentrico potrebbe sembrare esacerbare il problema in questo momento, mentre affrontiamo una crisi climatica a cui contribuiscono anche le attività umane. Ma la chiave della visione antropocentrica dell’universo di Santa Ildegarda è che ciò comporta una responsabilità morale: dobbiamo lavorare con la creazione per adempiere alla nostra vocazione di portatori dell’immagine e somiglianza di Dio, per adempiere allo scopo e al piano che Dio ha per il mondo.
Questa somiglianza è però spesso deturpata, sia fisicamente, sia spiritualmente. I cristiani hanno una parola speciale per definire spiritualmente questa deformazione: peccato. Santa Ildegarda ricorda che la relazione umana con Dio e il mondo sono sia spirituali, sia fisiche. Ciò significa che anche il mondo fisico intorno a noi reagisce quando la giusta relazione viene interrotta:
«Dio ha creato tutte le parti della creazione sia nei regni superiori, sia inferiori e le ha dirette a essere utili all’umanità, ma se l’umanità le perverte con azioni corrotte, il giudizio di Dio fa crollare la creazione su di loro con vendetta. Inoltre, sebbene aiutino l’umanità nelle necessità del corpo, devono essere intese come non meno attente alla salute dell’anima» (Il libro delle opere divine, I, 3, 2).
L’inestricabile legame tra il mondo fisico e quello spirituale stabilito da Santa Ildegarda significava che vedeva lo stato morale dell’umanità riflesso nello stato fisico del mondo. Come spiega in uno dei suoi scritti scientifici:
«Poiché gli elementi sono stati resi soggetti all’umanità e di solito esercitano le loro funzioni in base al modo in cui sono influenzati dalle azioni umane. Perché quando gli esseri umani sono invischiati in lotte e terrore, in odio e invidia e in altri peccati contrari, [gli elementi] vengono capovolti in un altro modo contrario, sia di caldo o freddo o grandi acquazzoni e inondazioni… Ma quando gli esseri umani rimangono sulla retta via e agiscono con moderazione nel bene e nel male, allora gli elementi esercitano le loro funzioni per grazia di Dio secondo il bisogno umano» (Causae et Curae, II, 124).
Nella terza visione della sua seconda grande opera, il Libro dei meriti della vita (1158), Santa Ildegarda immagina gli elementi stessi che gridano a Dio per la crisi ambientale causata dal peccato umano:
«Non possiamo seguire e completare il nostro corso come siamo stati messi in grado [di fare] al tuo comando. Perché gli esseri umani ci capovolgono come una ruota di mulino con le loro opere depravate. Così puzziamo di pestilenza e di fame assoluta di giustizia» (III, 1).
Quindi, quando gli esseri umani sono spiritualmente peccatori e aridi, il mondo fisico viene gettato di conseguenza nel caos. Santa Ildegarda vedeva il suo periodo come una di quelle ere di grande siccità e, a un certo punto, indica che di conseguenza, «la fecondità della terra è venuta meno, perché gli stessi elementi, violati dal peccato umano, sono stati spogliati di ogni loro funzione appropriata» (Libro delle opere divine, III, 5, 20). Non è troppo difficile pensare che Santa Ildegarda direbbe la stessa cosa anche del nostro mondo odierno.
Ma Santa Ildegarda aveva anche la speranza che potessimo cambiare le cose, e il modo per farlo era attraverso il ripristino della giustizia. La soluzione alla nostra crisi climatica non sta solo nel riparare i danni fisici dell’ambiente naturale. Dal punto di vista della santa, l’unico modo per ripristinare l’equilibrio e l’armonia del mondo naturale è ripristinare la vera giustizia in tutti gli aspetti della condizione umana. Santa Ildegarda profetizzò quindi che il rinnovamento della creazione avverrà quando la corruzione nella Chiesa e nella società sarà purificata e la vita santa sarà rinnovata, quando «i prìncipi, insieme al resto del popolo, ordineranno giustamente la giustizia di Dio e proibiranno tutte le armi che erano state preparate per danneggiare gli esseri umani». E poi:
«In effetti, in [quei giorni], le nuvole più dolci toccheranno la terra con l’aria più dolce e le faranno trasudare la vividezza della fecondità, perché le persone in quel momento si affretteranno verso ogni giustizia… E come in quel tempo le nubi rilasceranno piogge dolci e giuste per il frutto del germoglio giusto, così anche lo Spirito Santo riverserà la rugiada della sua grazia tra le persone, insieme a profezia, sapienza e santità, così che allora sembreranno trasformate in un modo diverso, un modo migliore di vivere».
