In un Colloquio internazionale si si sono radunati in Vaticano, dal 17 al 19 novembre 2014, studiosi e leader religiosi di tutto il mondo, al fine di riproporre la bellezza della naturale unione tra l’uomo e la donna e di rinvigorire la vita del matrimonio e della famiglia, cellula originaria della società. I partecipanti offriranno contributi circa il significato della complementarietà dell’uomo e della donna a partire dalle proprie tradizioni religiose e culturali. Si auspica che il Colloquio possa promuovere progetti creativi che, oltre che per la solidarietà globale, rafforzino il bene dei coniugi, dei loro figli e della società. Il Colloquio è sponsorizzato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede in collaborazione con i Pontifici Consigli per la Famiglia, per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e per il Dialogo Interreligioso.
Riportiamo la trascrizione dell’Intervento del cardinale Gerhard Ludwig Muller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede dal 2 luglio 2012 e curatore dell’opera omnia di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI.
Il proprio essere maschile o femminile non è sufficiente a se stesso. Ciascuno di noi si sente indigente e mancante, un complementamento. Questo fatto indelebile della natura umana, rivela la nostra radicale dipendenza: non ci completiamo da noi stessi, non siamo autosufficienti.
Basterebbe questa semplice considerazione – alla portata di tutti – a mostrare l’inadeguatezza del tratto individualista che segna la mentalità odierna.
Eppure nella radice del nostro “io” è iscritta una naturale tensione opposta a tale mentalità, la quale è purtroppo ormai diffusa in molte parti del mondo.
Il nostro colloquio, dialogo, parte da questa elementare considerazione, aprendola sul mistero di Dio.
Da qui la domanda “Quale interessa ha dunque lo studio della complementarietà tra l’uomo e la donna per il rapporto dell’uomo con Dio o con la Trascendenza?”. È questo l’interrogativo che ciascuna della nostre tradizioni culturali e religiose è invitata a porsi.
Nella prospettiva giudeo e cristiana questo tema è assai rilevante ed emerge da subito nella lettura e nell’interpretazione che la Tradizione opera di alcuni testi biblici di essenziale riferimento.
Parto da un brano del libro dei Proverbi, una collezione di detti sapienziali d’Israele: «Tre cose mi sono difficili a capire – anzi quattro – che io non comprendo: il sentiero dell’aquila nell’aria, il sentiero del serpente sulla roccia, il sentiero della nave in alto mare e il sentiero dell’uomo in una giovane» (cfr. Prov 30,18-19).
Qui proposto alla nostra considerazione un mistero sapienziale, il quale ha a che fare con il desiderio di tutte le religioni: capire come Dio si manifesta nel mondo.
Il testo propone tre enigmi: il sentiero dell’aquila nel cielo, il serpente sulla roccia, la nave in alto mare. A questi tre se ne aggiunge un quarto, secondo un paradigma che nella lettura sapienziale rappresenta come il riassunto e la pienezza degli altri tre: il sentiero dell’uomo in una giovane.
È risaputo che la letteratura sapienziale parla di Dio non direttamente, ma dal punto di vista della Sua presenza ed azione sul creato. I tre primi enigmi raccolgono tutte le sfere del cosmo (l’aria, la terra, l’acqua) nel loro movimento da Dio e verso Dio. Ricordano così il primo capitolo della Genesi che ci racconta la creazione di tutti gli elementi del cosmo e di tutti gli esseri viventi seguendo il ritmo temporale-spaziale della settimana verso il sabato del riposo di Dio o di tutti in Dio. Questo racconto culmina nella creazione dell’uomo e della donna, invitandoci così a considerare il quarto enigma – il sentiero dell’uomo in una giovane – come la pienezza di tutte le vie con Dio, il Creatore, si rende presente nel creato e l’ordina missa verso di Sé.
In questo senso, se il primo racconto della creazione finisce proprio nel sabato, come giorno dell’Alleanza – Alleanza! –, il secondo racconto trova il suo compimento quando appaiono l’uomo e la donna, e la donna simbolo della Grande Alleanza tra Dio e Israele.
Qual è dunque, alla luce di ciò, il significato dell’espressione “il sentiero dell’uomo in una giovane”?
Secondo alcuni, può riferirsi al cammino per cui l’uomo si unisce alla donna, all’unione coniugale. Nell’unità in una sola carne di marito e moglie, partecipa tutto il cosmo, assunto nel corpo degli sposi, e si apre – nell’amore di Dio – verso la presenza e l’azione di Dio.
L’espressione può anche significare il cammino di uscita dell’uomo dalla donna, vale a dire la nascita come luogo meraviglioso di presenza del Creatore, della sua Grazia, che benedice la sua creatura. Grazia e benedizione.
Quindi possiamo concludere che la differenza tra l’uomo e la donna sia nell’unione d’amore sia nella generazione della vita, ha a che fare con la presenza di Dio nel mondo. Ogni uomo è chiamato a scoprire, per trovare un fondamento e un destino solidi e duraturi per la vostra vita.
Questi pensieri possono aiutarci nella domanda che sarà il centro delle nostre riflessioni durante questo convegno: “In che modo Dio si rende presente nella complementarietà dell’uomo e della donna?”.
La risposta non sarà solo utile per avvicinarci al mistero divino, ma ci aprirà anche ad una più profonda comprensione dell’uomo, dell’umano.
Essa ha attirato l’attenzione di tutte le culture. È noto, ad esempio, il mito dell’uomo androgino di cui parla Platone nel suo Simposio. Per un castigo divino – castigo divino – l’uomo è sferico e nello stesso tempo maschile e femminile. È stato diviso in due, in modo che ogni parte rimanga in perenne ricerca dell’altra in un continuo movimento smettendo così di rappresentare una minaccia per gli dei.
Il mito dell’androgino c’insegna come la Bibbia, nel racconto della Genesi, spieghi che la differenza sessuale non è solo una diversità, come sono diversi i popoli e i loro costumi, non significa soltanto una pluralità variegata. Di per sé, infatti, la pluralità non comporta il bisogno dell’altro per capire se stesso. Anche se la diversità può essere comunque arricchente.
Nella differenza sessuale, invece, – e questo è l’essenziale – ognuno dei due può comprendere se stesso solo alla luce dell’altro. Il maschile ha bisogno del femminile per essere compreso e così è per il femminile. Per questo la Bibbia pone Adamo ed Eva uno di fronte all’altra.
Il cardinale Muller viene interrotto dal pianto di un bambino e così commenta: “Il grido dei bambini dobbiamo pensare al salmo 8: nelle grida dei bambini c’è la lode di Dio! Questo è tutto il senso del mio discorso”.
La differenza, in questo modo, immette nell’uomo e nella donna la consapevolezza che manca loro qualcosa, che non possono trovare il loro compimento in se stessi. Ciascuno sono nella comunione con l’altro sesso può diventare completo, come scrisse Benedetto XVI nella sua enciclica Deus caritas est.
Qui è dunque una diversa interpretazione che questa mancanza del mito androgino e nella Bibbia.
Mentre nel primo caso la differenza sessuale è vista come una punizione, che indebolisce l’uomo affinché non possa avvicinarsi agli dei – quindi diventa una caduta dell’uomo, da livello quasi divino a schiavitù impotente –, nella Bibbia invece la differenza è il luogo della benedizione. Non è punizione, ma benedizione!
Il punto preciso dove Dio farà presente la sua azione e la sua immagine.
Si spiega così che, mentre nel mito androgino, l’uomo e la donna sono le due metà di un essere umano, nella Scrittura, ognuno dei due, Adamo ed Eva (sono passanti dai due sessi), si misurano non soltanto secondo la mutua relazione, ma soprattutto a partire dalla loro relazione con Dio, il Creatore che benedice la sua creatura.
Infatti è inscritta nella singolarità di ciascuno di essi e non soltanto nel loro essere coppia, quel essere ad immagine di Colui li ha creati. Qui uomo e donna condividono la stessa umanità, la stessa condizione incarnata, e la differenza sessuale non significa subordinazione dell’uomo all’altro. Ambedue sono esseri umani, in egual grado l’uomo e la donna, ambedue creati ad immagine di Dio.
Ha scritto San Giovanni Paolo II nella Mulieris Dignitatem, a questo riguardo, che il maschile e il femminile sono come due incarnazioni quasi della stessa metafisica solitudine di fronte a Dio e al mondo come due modi di essere corpo e insieme uomo, che si completano reciprocamente. La complementarietà, dunque.
È importante sottolineare anche un’altra dissomiglianza tra il rapporto platonico e la Scrittura.
Mentre nel primo l’uomo e la donna, quando si uniscono, diventano un essere pieno e sazio di sé, nel libro della Genesi l’unione dell’uomo e della donna non porta una compiutezza, non li chiude in se stessi, perché proprio nell’unirsi fra loro si aprono verso la presenza, più grande, di Dio.
Questa è la differenza, quest’apertura del matrimonio verso Dio.
Si potrebbe dire che, precisamente, nell’unione dei due, l’uomo e la donna si rendono più bisognosi, che cresce in essi la sete del mistero, in quanto si rivela più chiaramente il loro riferimento radicale al Dio creatore, che è sempre presente nella storia, con la sua umanità, con il suo popolo, Israele.
L’unione immette così una dinamica, un movimento. Come ci racconta il Cantico dei Cantici, in cui l’amato e l’amata sono nello stesso tempo alla continua ricerca l’uno dell’altra e di Dio.
Con parole magistrali lo aveva già espresso Sant’Agostino: «Il fianco dell’uomo, da cui la donna fu estratta e formata, sta ad indicare la forza della loro congiunzione. Fianco a fianco, infatti, si uniscono coloro che camminano insieme e che insieme guardano alla stessa meta».
Questa meta non è altro, per il Dottore d’Ippona, che Dio stesso.
Proprio la presenza di Dio all’interno dell’unione tra l’uomo e la donna ci aiuta a considerare il significato della loro complementarietà. Essa non si può capire in modo polare, come se maschile e femminile fossero realtà opposte, che si completano perfettamente a vicenda (attivo e passivo, esteriore ed interiore, etc.) che deve diventare un’unità chiusa. Si tratta piuttosto di modi differenti di situarsi nel mondo che, quando si mettono insieme, lungi dal chiudersi, aprono la strada verso il mondo e gli altri.
Una strada che conduce soprattutto verso l’incontro con Dio.
L’unione del maschile e del femminile è complementare non nel senso che da essi risulti un tutto completo in sé, ma nel senso che la loro unione rivela come ambedue sono un mutuo aiuto per camminare verso il Creatore, Dio, che è principio e fine di tutti gli uomini.
Il modo in cui questa unione si riferisce sempre al di là di se stessa, diventa evidente con la nascita del figlio o dei figli. L’unione dei due, il farsi una sola carne, si verifica proprio nell’unica carne di coloro che sono generati da quell’unione. Si conferma così che complementarietà vuol dire anche soprabbondanza, insorgenza di novità.
La famiglia aperta per il futuro. Dio è futuro con la famiglia che è benedetta dallo stesso Creatore e fine di tutto il creato.
Dalla presenza del figlio proviene una luce che si può aiutare a descrivere la complementarietà dell’uomo e della donna.
Il rapporto dei genitori con il bambino, dove ambedue si aprono al di là di se stessi, è un modo privilegiato per capire la differenza fra l’uomo e la donna, nel loro ruolo di padre e di madre.
Come il Santo Padre ha detto, tutti i bambini hanno il diritto naturale – dentro la creazione, del piano di Dio – di aver il suo proprio padre e la sua propria madre, di vivere con loro.
La complementarietà non si comprende allora quando guardiamo all’uomo e alla donna in modo isolato, ma quando li consideriamo nella prospettiva del mistero verso cui la loro unione apre; in modo concreto quando guardiamo il maschile e il femminile alla luce del rapporto con il figlio.
Si potrebbe aggiungere che il femminile si caratterizza per una presenza costante che sempre accompagna il figlio. In tedesco, la mia lingua, quando una donna è incinta, si dice che porta il bambino non in pancia o nel ventre, ma sotto il cuore.
La filosofia contemporanea ha parlato del femminile come dimora, come presenza che avvolge l’uomo dall’inizio e lo accompagna sulla strada, come sensibilità singolare per la persona come dono e per la sua affermazione. I bambini come un dono di Dio, il frutto della benedizione della coppia nel matrimonio.
D’altra parte, il maschile è caratterizzato, riguardo al figlio, come la presenza di qualcuno della distanza, in una distanza cantiera, così aiuta a percorrere il cammino della vita.
Ambedue, maschile e femminile, sono necessari per trasmettere al figlio la presenza del Creatore, sia come amore che avvolge e conferma la bontà dell’esistenza, malgrado tutto, sia come chiamata che, da lontano, invita a crescere.
In questo modo maschile e femminile sono dimensioni che s’intrecciano e si scambiano, in modo che la donna arricchisca l’uomo e l’uomo arricchisca la donna. Perché partecipino l’uno alla proprietà dell’altra e possano insieme trasmettere al figlio l’essere ad immagine di Dio.
Da quando abbiamo detto sopra, si evidenzia una conseguenza importante. In primo luogo, in cui la differenza sessuale appare nella vita delle persone e appunto l’esperienza di filiazione.
La nostra origine, il nostro primo luogo di contatto con il mistero, si rivela nell’unione dei nostri genitori, da cui ci proviene la vita. Questo primo incontro comincia anche con la possibilità di pregare, di parlare con Dio, di avere questa coscienza di essere indirizzato da Dio alla sua parola.
Il maschile e il femminile rendono visibile per ogni bambino, che viene in questo mondo, in modo quasi sacramentale, la presenza del Creatore. Il bene di questa differenza, la percezione del maschile e del femminile, è la “grammatica essenziale” affinché il bambino possa essere educato come uomo aperto al mistero di Dio.
Dio è la speranza futura. Queste sono le dimensioni bibliche.
Ecco perché senza integrare la differenza sessuale nella propria vita, lavoro che si fa sempre con fatica, e che richiede sforzo e tempo nell’apertura agli altri, è impossibile chiarire ed accettare la propria identità, ma non chiusa in se stessa, ma un’identità relativa, relazionale, verso Dio e verso gli altri; è impossibile trovare la strada della vita. Che è una dimensione positiva, non eristica.
Si apre così un campo dell’azione misericordiosa della Chiesa e delle religioni verso le persone ferite.
La complementarietà dell’uomo e della donna, da questo punto di vista, possiede un imprescindibile ruolo sociale. Si tratta di un bene comune che la società è chiamata a proteggere per promuovere il bene comune. Questo bene comune non viene primariamente dallo stato, ma dalla famiglia.
Senza poter indicare tutti gli aspetti di questa ricchezza, possiamo dire che la differenza sessuale è un bene per la società, in quanto garantisce la dignità della persona che nasce, la quale non sarà mai degenerata nell’unione coniugale, il prodotto del volere isolato di un singolo uomo, ma il frutto sempre sovrabbondante di un amore coniugale che si apre verso il mistero.
I genitori amano i loro figli. Le organizzazioni, gli stati possono preoccuparsi della gente, ma non possono amare. L’amore è la fonte della nostra esistenza nella speranza e la gioia dell’orientamento verso un futuro non scuro, ma un futuro pieno di luce.
La complementarietà diventa essenziale nella generazione e nell’educazione del figlio.
Generazione ed educazione fanno un insieme nel figlio e quindi nel cammino nella società, nel tempo, nel nesso essenziale che vi è fra tutte le generazioni.
Anche questo è molto importante: il contesto delle generazioni; non solo i genitori, ma anche nonni, fratelli, tutta la famiglia. Con questa coscienza che facciamo parte di un popolo nella sua storia e tutti i popoli del mondo che fanno il suo insieme nella totalità dell’umanità di cui siamo membri come creature di Dio.
La complementarietà dell’uomo e della donna porta dunque con sé un grande tesoro per l’umanità, perché rende capaci le persone di essere definite nel più profondo ad un rapporto d’amore e di rendere questo legame un rapporto generativo che accoglie il dono di una nuova persona.
Questo modo ci aiuta a comprendere il mistero divino che in essa si rivela e che Gesù, la religione cristiana, ha confermato, parlando dell’unione tra l’uomo e della donna, come ciò che Dio ha unito. Si trova nel NT, ma come citazione del VT.
Possiamo capire allora perché Dio abbia scelto la differenza tra l’uomo e la donna per manifestare la sua storia d’amore con il popolo d’Israele. Quando non si coglie più la ricchezza di questa differenza sessuale, è impossibile comprendere la fedeltà di Dio sposo che continuamente perdona ad Israele le sue infedeltà. Non solo ad Israele ma, in senso analogico, a tutti gli uomini.
Possiamo capire inoltre perché Dio abbia assunto questo linguaggio del maschile e del femminile, trasformandolo secondo la novità verginale della sua vita, per esprimere la pienezza della carità.
Senza questo linguaggio, senza l’esperienza della bontà della differenza sessuale, si renderebbe impossibile capire l’opera di Dio, il suo amore per tutti noi, ed il modo con Egli ci ama e ci usa misericordia.
Proprio sulla base dei rapporti che nascono attorno ad una sola carne, di uomo e di donna, Dio rivela sua misericordia, paragonandosi al padre che perdona al figlio, alla madre che non lo abbandona, o allo sposo che accoglie di nuovo la sposa infedele.
Sarà compito di questo colloquio esplorare la ricchezza di questa differenza sessuale, la sua bontà, il suo carattere di dono, la sua apertura alla vita, al futuro, il cammino che schiude verso Dio.
Come scrive il nostro Santo Padre Francesco nella sua enciclica Lumen Fidei: «Il primo ambito in cui la fede illumina la città degli uomini si trova nella famiglia. Penso anzitutto nell’unione stabile dell’uomo e della donna nel matrimonio. Essa nasce dal loro amore. Segno e presenza dell’amore di Dio dal riconoscimento e dall’accettazione della bontà della differenza sessuale con cui i coniugi possano unirsi in una sola carne e sono capaci di generare una nuova vita, manifestazione della bontà del Creatore, della sua saggezza e del suo disegno d’amore».