Lund, fusione artificiale. A freddo, sine populo

Facciamo nostro questo splendido editoriale del giornalista Maurizio Blondet sul viaggio di papa Francesco in Svezia in occasione della commemorazione della rivoluzione luterana.

di Maurizio Blondet (01-11-2016)


«Fino ad oggi si è voluto riformare Roma senza Roma, o magari contro Roma. Bisogna riformare Roma con Roma; fare che la riforma passi attraverso le mani di coloro i quali devono essere riformati. Ecco il vero ed infallibile metodo; ma è difficile. Hic opus, hic labor (…) Il culto esteriore durerà sempre come la gerarchia, ma la Chiesa, in quanto maestra dei sacramenti e dei suoi ordini, modificherà la gerarchia e il culto secondo i tempi: essa renderà quella più semplice, più liberale, e questo più spirituale; e per quella via essa diventerà un protestantesimo; ma un protestantesimo ortodosso, graduale, e non uno violento, aggressivo, rivoluzionario»: Ernesto Buonaiuti, prete sospeso a divinis nel 1916, fu il trait d’union tra la psicanalisi junghiana ed il modernismo e collaborò con Cesare Musatti e Roberto Bazlen (futuro fondatore della casa editrice Adelphi) nel far nascere le Edizioni Comunità di Ivrea dell’utopista Adriano Olivetti. In campo etico Buonaiuti è vicino alle posizioni proprie del liberalismo massonico, come testimonia il richiamo alle “quattro libertà” fondamentali dell’umanità e la giustificazione dell’aborto [Oreste Sartore, Il modernismo, cripto-eresia che mira(va) a cambiare la Chiesa dall’interno].


Mi scrivono lettori scandalizzati ed addolorati della visita comunionale di Francesco a Lund; mi sottolineano che ha lodato la dottrina luterana della giustificazione (le opere non servono a nulla, sola fide, pecca fortiter sed crede fortius). Ma in fondo tutto ciò era previsto e prevedibile. È il coronamento del progetto del modernista Buonaiuti.

Il progetto neomodernista

Personalmente, è un’altra la cosa che mi ha colpito della “liturgia” che Francesco è andato a celebrare coi luterani: la sua artificialità. E’ stata, palesemente, una operazione di vertice, costruita a freddo e dall’alto – a dispetto di tutte le chiacchiere di “Francesco” sulla Chiesa che deve andare a coinvolgersi alle “periferie”. Dietro, non aveva i fedeli cattolici, come gli altri pastori di cui ha copiato le vestimenta pseudo-liturgiche , non hanno i fedeli. La richiesta di conciliazione non è arrivata “dal basso”, dalle “masse” né luterane né cattoliche – dico meglio, dalle “basi”, parlare di masse ormai è ridicolo. La “chiesa” luterana, e massimamente quella svedese, ormai non esiste nemmeno più – se non come forma statale, élite di potere aggrappata al nulla, a qualche cattedra universitaria di “teologia evangelica”: è uno spettro.

Francesco con la "vescovessa" Jackelen.
Francesco con la “vescovessa” luterana Jackelen.

Parimenti, Francesco, a parte i suoi soliti tre leccapiedi della gerarchia e ben noti carrieristi vaticani, e quattro giornalisti adulatori, era solo. Si è visto benissimo che quello che ha tentato è stato non un innesto, ma un operazione di ingegneria genetica. Artefatta, innaturale, ordinata dall’alto – o da fuori.

Circola infatti l’ipotesi che siano poteri globali non meglio identificabili ad aver scelto “Francesco” perché attuasse la fusione della Chiesa con il protestantesimo, in modo da eliminarne gli elementi strani e specifici, – i sacramenti efficaci, la Presenza Reale – che disturbano l’avvento definitivo del Governo Mondiale. Voglio dare un certo credito alla motivazione benefica di “Francesco” quando esorta “ad uscire”: il cattolicesimo è diventato piccolo e minuscolo, chiuso e senza domani; le vocazioni calano in modo tale che tra pochi anni non ci saranno abbastanza mani consacrate; una specie di disperazione può guidare l’ansia di andare nelle “periferie”.

Di disperazione parlò – a braccio, quando le dice più grosse e mostra meglio la sua confusione mentale – lui stesso a febbraio quando ricevette suore e frati per il Giubileo della vita consacrata. Parlò dei “Monasteri grandi e vuoti portati avanti da poche suore vecchiette…allora mi viene una tentazione contro la speranza: perché il ventre della vita consacrata diventa tanto sterile?”. Da una parte, è la domanda del modernista: ma come?! abbiamo trionfato, trasformato la Chiesa come volevamo noi, ed ecco che la Chiesa ci muore nelle mani; non riuscendo a capire che la crisi è effetto delle loro riforme, della loro svalutazione del soprannaturale efficace. Ancor più indicativo il motivo per cui lui si preoccupa dei monasteri vuoti. “Il rischio è che la congregazione diventi sempre più piccola e si attacchi ai soldi, che sono lo sterco del diavolo”: una preoccupazione assolutamente orizzontale. Non si allarma che manchino vite sacrificate che incessantemente intercedano a Dio per il popolo, a che “si attacchino ai soldi”.

Tipicamente modernista anche questo, dopotutto: alla fin fine, l’avere voluto il potere nella Chiesa e sulla Chiesa, pensando che sia tutta e solo questione di potere.

Lutero come politico di successo

È perfettamente in questa linea politicista anche la glorificazione di Lutero. Lutero fu, come minimo, un orribile peccatore, un omicida, crapulone, seduttore di monache, che all’ultimo affogava nell’alcol la paura dell’eterna dannazione, e secondo alcune fonti finì suicida: sul piano della salvezza eterna, per quanto possiamo giudicare ( e si giudicò lui stesso), un fallito. Ma in una cosa ebbe “successo”: come politico. La sottrazione dell’Europa del Nord all’Eucarestia e delle masse germaniche al Papato è stata un bel successo politico. È questo “successo” che Bergoglio è andato a riconoscere. “i cattolici devono imparare da lui”: a portarsi a letto le monache? No, non arriva a questo. Però Lutero “ha iniziato processi”, e Francesco in uno dei suoi “postulati” cui dice di attenersi – “Il tempo è superiore allo spazio” – ha spiegato: “Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. Il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce. Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici”.

Ecco come distruggere l’unico ordine fiorente di vocazioni…

La stessa frase qui sopra riportata denuncia la visione totalmente “orizzontale” politica, di El Papa. I suoi “postulati” non hanno nulla di teologico, non sono principii, non sono nemmeno concetti filosofici o di qualunque pensiero: sono indicazioni tattiche. Ricette per avere successo. Potrebbero adottarli nei corsi di Business Administration ad Harvard, o nei corsi di marketing alla Bocconi. Anche alla BMW o alla Esselunga interessa “iniziare processi”. [1]

Vorrei far salva almeno la buonafede. Ma come fa uno a dichiararsi “disperato” per la mancanza delle vocazioni e poi, con brutalità inaudita, a sopprimere – perché di questo si tratta, senza una spiegazione – i Francescani dell’Immacolata? Settecento vocazioni disperse e distrutte. Duecento sacerdoti – mani consacrate per far scendere Cristo realmente presente – abbandonate e impedite, perseguitate, lasciate fra i lupi senza ovile. Quindi, non ha paura di sprecare vocazioni e dissipare consacrati, in certi casi.

Quei preti che non servono più…

La persecuzione in corso nella Chiesa di Bergoglio contro i preti fedeli, è silenziosa ma ferocissima. Giorni fa ho parlato con uno di loro, un sacerdote che il suo vescovo ha abbandonato nel deserto, con un trucco (rifiutandosi di reincardinarlo, dopo averlo “prestato” a un’altra diocesi): in tal modo lasciandolo anche senza il piccolo stipendio, le briciole che i prelati “attaccati ai soldi” (l’8 per mille rende quasi mille miliardi l’hanno) si degnano di distribuire ai sacerdoti.

Ebbene: questo sacerdote è andato a chiedere spiegazioni al vescovo, e costui gli ha risposto: “Preti come te andavano bene cinquant’anni fa. Adesso, col nuovo Papa, la Chiesa è entrata in un’epoca completamente nuova. Non servi più”. La colpa del prete era di dire la messa in latino, rivolto al Tabernacolo e non al popolo; stava formando due seminaristi alla stessa religione; notare, quando il vescovo lo ha rimosso, la sua parrocchia si è ribellata, perché voleva lui: quindi non si ascolta “la base”, “il popolo cristiano” viene sputacchiato quando l’ideologia lo consiglia. Questi prelati del popolo se ne fregano, l’hanno sostituito con l’otto per mille.

Il sacerdote con cui ho parlato conosce personalmente una decina di preti ridotti nelle sue condizioni, ossia espulsi in silenzio e lasciati a se stessi, senza salario e senza Chiesa, puniti perché continuano a celebrare il sacro ed evocare il soprannaturale. Dunque non si bada a sprechi di vocazioni e di consacrazioni, lassù ai vertici. Si sciala nell’esporle a tentazioni d i ogni sorta che la miseria può ispirare (perché no? Le mani consacrate hanno un “mercato“ nelle messe nere). Anzi, io mi son fatto un’idea, suggeritami da certe affermazioni di non ricordo più quale cardinale germanico: che abbiamo cessato, ai vertici modernisti, di preoccuparsi del crollo delle vocazioni. Non è una tragedia. Anzi meglio, diceva (in modo ambiguo, è ovvio, quel cardinale) – non abbiamo bisogno di mani consacrate dall’Ordine, di disturbatori del nostro liquefarci nel luteranesimo. Quando non avremo più preti, faremo tanti “pastori” , tante “pastore” e vescovesse, e la comunione (con gli spettri di Lund, sarà compiuta.

NOTE

1] Sui “postulati di Papa Francesco” è essenziale la disanima di padre Giovanni Scalese, barnabita, oggi, eroicamente in missione in Afghanistan.

[fonte: maurizioblondet.it]

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