Giovanni Paolo II e mons. Sheen: in difesa del matrimonio e della Famiglia

“No alla falsa felicità che divide verità e libertà” (Giovanni Paolo II)


«Si sta diffondendo un falso messaggio che porta con sé desolazione: la felicità non si ottiene nella via della libertà senza la verità, questo è egoismo». Non è vero che i coniugi sono «condannati alla loro fragilità e non possono rimanere fino alla morte!», spiegò san Giovanni Paolo II in occasione dell’Incontro mondiale con le famiglie del 1997 a Rio de Janeiro.

Il secondo di una serie di discorsi che, come spiegato, la Nuova BQ ha deciso di pubblicare in occasione dell’Incontro mondiale della famiglia che si svolgerà a Dublino, per recuperare il vero senso di un incontro che non può essere relegato alle ideologie del momento e che sembrano albergare anche nella Chiesa. Di seguito l’intervento del 4 Ottobre 1997.


_0027 addio Europa 4La famiglia è patrimonio dell’umanità, perché è attraverso di essa che, secondo il disegno di Dio, si deve prolungare la presenza dell’uomo sulla terra. Nelle famiglie cristiane, fondate sul sacramento del matrimonio, la fede illumina in maniera meravigliosa il volto di Cristo, splendore della verità, che colma di luce e di gioia i focolari che ispirano la propria vita al Vangelo.

Purtroppo, oggi si sta diffondendo nel mondo un falso messaggio di felicità, impossibile e inconsistente, che porta con sé solo desolazione e amarezza. La felicità non si ottiene percorrendo la via della libertà senza la verità, perché questa è la via dell’egoismo irresponsabile, che divide e disgrega la famiglia e la società. Non è vero che i coniugi, come se fossero schiavi condannati alla loro stessa fragilità, non possono rimanere fedeli al reciproco e totale dono di sé, fino alla morte! Il Signore, che vi chiama a vivere nell’unità di «una carne sola», unità di corpo e di anima, unità della vita intera, vi infonde la forza per una fedeltà che nobilita e fa sì che la vostra unione non corra il rischio del tradimento, che priva della dignità e della felicità e introduce nel focolare divisione e amarezza, le cui principali vittime sono i figli.

La miglior difesa dell’unità familiare sta nella fedeltà, che costituisce un dono del Dio fedele e misericordioso, in un amore da Lui stesso redento. Vorrei lanciare qui, ancora una volta, un grido di speranza e di liberazione! Famiglie dell’America Latina e del mondo intero: non vi lasciate sedurre da questo messaggio menzognero che svilisce i popoli, attenta alle tradizioni e ai valori migliori, e fa ricadere sui figli tanta sofferenza e infelicità. La causa della famiglia conferisce dignità al mondo e lo libera nell’autentica verità dell’essere umano, del mistero della vita, dono di Dio, dell’uomo e della donna, immagini di Dio. Bisogna lottare per questa causa per assicurare la vostra felicità ed il futuro della famiglia umana.

L’uomo è la via della Chiesa. E la famiglia è l’espressione primaria di questa via. Come ho scritto nella Lettera alle Famiglie, «il mistero divino dell’Incarnazione del Verbo è (…) in stretto rapporto con la famiglia umana. Non soltanto con una, quella di Nazaret, ma in qualche modo con ogni famiglia, analogamente a quanto il Concilio Vaticano II afferma del Figlio di Dio, che nell’Incarnazione “si è unito in certo modo ad ogni uomo” (Gaudium et spes, n. 22). Seguendo il Cristo “venuto” al mondo “per servire” (Mt 20, 28), la Chiesa considera il servizio alla famiglia umana uno dei suoi compiti essenziali. In tal senso, sia l’uomo che la famiglia costituiscono “la via della Chiesa”» (Gratissimam sane, n. 2).

Il Vangelo illumina, quindi, la dignità dell’uomo, e redime tutto quel che può impoverire la visione dell’uomo e della sua verità. È in Cristo che l’uomo percepisce la grandezza della sua chiamata ad essere immagine e figlio di Dio; è in Lui che si manifesta in tutto il suo splendore il disegno originale di Dio-Padre per l’uomo, ed è in Cristo che tale disegno originale raggiungerà la sua piena realizzazione. Ed è sempre in Cristo che questa prima e privilegiata espressione della società umana, che è la famiglia, trova la luce e la piena capacità di realizzazione, in conformità con i piani di amore del Padre.

«Se Cristo svela pienamente l’uomo all’uomo, lo fa a cominciare dalla famiglia nella quale ha scelto di nascere e di crescere» (Ibidem). Cristo Lumen gentium, luce dei popoli, illumina le vie degli uomini, soprattutto quella dell’intima comunione di vita e di amore dei coniugi, che nella vita degli uomini e dei popoli è il crocevia necessario, dove Dio è sempre andato loro incontro.

È questo il significato sacro del matrimonio, in qualche modo presente in tutte le culture, nonostante le ombre dovute al peccato originale, e che acquisisce una grandezza e un valore eminenti con la Rivelazione: «Come un tempo Dio venne incontro al suo popolo con un patto di amore e fedeltà, così ora il Salvatore degli uomini e Sposo della Chiesa viene incontro ai coniugi cristiani attraverso il sacramento del matrimonio. Inoltre, rimane con loro perché, come Egli stesso ha amato la Chiesa e si è dato per essa, così anche i coniugi possano amarsi l’un l’altro fedelmente, per sempre, con mutua dedizione» (Gaudium et spes, n. 48).

La famiglia non è per l’uomo una struttura accessoria ed estrinseca, che ostacola il suo sviluppo e la sua dinamica interiore. «L’uomo ( . . .) per la sua intima natura, è un essere sociale, e senza i rapporti con gli altri non può vivere né esplicare le sue doti» (Ibidem, n. 12). La famiglia, lungi dall’essere un ostacolo allo sviluppo e alla crescita della persona, è l’ambito privilegiato per far crescere le potenzialità personali e sociali che l’uomo porta inscritte nel suo essere.

La famiglia, fondata sull’amore e da esso vivificata, è il luogo in cui ogni persona è chiamata a sperimentare, fare proprio e partecipare a quell’amore senza il quale l’uomo non potrebbe esistere e tutta la sua vita sarebbe priva di senso (cfr Redemptoris missio, n. 10; Familiaris consortio, n. 18).

Le tenebre che oggi avvolgono la stessa concezione dell’uomo,oscurano in primo luogo e direttamente la realtà e le espressioni che le sono connaturali. Persona e famiglia procedono parallele nella stima e nel riconoscimento della propria dignità, così come negli attacchi e nei tentativi di disgregazione. La grandezza e la sapienza di Dio si manifestano nelle sue opere. Tuttavia, oggi sembra che i nemici di Dio, più che attaccare frontalmente l’Autore del creato, preferiscano colpirLo nelle sue opere. L’uomo è il culmine, il vertice delle sue opere visibili. «Gloria enim Dei vivens homo, vita autem hominis visio Dei» (S. Ireneo, Adv. haer. 4, 20, 7).

Tra le verità oscurate nel cuore dell’uomo, a causa della crescente secolarizzazione e dell’edonismo imperante, sono particolarmente colpite tutte quelle che riguardano la famiglia. Attorno alla famiglia e alla vita si svolge oggi la lotta fondamentale della dignità dell’uomo. In primo luogo, la comunione coniugale non viene riconosciuta né rispettata nei suoi elementi di uguaglianza della dignità degli sposi e di necessaria diversità e complementarità sessuale. La stessa fedeltà coniugale e il rispetto per la vita in tutte le fasi della sua esistenza sono sovvertiti da una cultura che non ammette la trascendenza dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio. Allorché le forze disgreganti del male riescono a separare il matrimonio dalla sua missione nei confronti della vita umana, attentano all’umanità, privandola di una delle garanzie essenziali del suo futuro.

(…) È necessario risvegliare e presentare un fronte comune,ispirato e fondato sulle verità centrali della Rivelazione, che abbia come interlocutore la persona e come agente la famiglia. Perciò, i Pastori devono prendere sempre maggiore coscienza del fatto che la Pastorale familiare esige agenti con un’accurata preparazione e, di conseguenza, strutture agevoli e adeguate in seno alle Conferenze Episcopali e alle Diocesi, che servano da centri dinamici di evangelizzazione, di dialogo e di azioni organizzate congiuntamente, con progetti ben elaborati e con piani pastorali.

Allo stesso tempo, desidero incoraggiare ogni sforzo volto a promuovere strutture organizzative adeguate, sia nell’ambito nazionale che internazionale, che si assumano la responsabilità di instaurare un dialogo costruttivo con gli organismi politici, dai quali dipende in buona parte il destino della famiglia e della sua missione al servizio della vita. Trovare le vie opportune per continuare a proporre efficacemente al mondo i valori fondamentali del piano di Dio, significa impegnarsi nella tutela del futuro dell’umanità.


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“Vicini ai divorziati, ma non si tace su disordine e conseguenze”  San Giovanni Paolo II

La pastorale familiare cerca di farsi carico anche delle situazioni dei credenti che hanno divorziato e si sono risposati. Essi non sono esclusi dalla comunità; sono anzi invitati a partecipare alla sua vita, facendo un cammino di crescita nello spirito delle esigenze evangeliche. La Chiesa, senza tacere loro la verità del disordine morale oggettivo in cui si trovano e delle conseguenze che ne derivano per la pratica sacramentale, intende mostrare loro tutta la sua materna vicinanza“.

Ripercorriamo i discorsi di Giovanni Paolo II nei precedenti meeting della famiglia.

Di seguito l’intervento del 14 ottobre 2000 in Piazza San Pietro.

1. E’ con grande gioia che vi do il benvenuto, carissime famiglie, qui giunte dalle più diverse regioni del mondo! Saluto anche le famiglie che, sotto ogni cielo, sono ora collegate con noi mediante la radio e la televisione e si associano a questo Giubileo delle Famiglie.

Ringrazio il Signor Cardinale Alfonso López Trujillo, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, per le parole che mi ha rivolto a nome di tutti voi. Saluto anche gli altri Signori Cardinali e Confratelli nell’Episcopato qui presenti, come pure i sacerdoti, i religiosi e le religiose che partecipano a questo incontro festoso.

Ho avuto recentemente la gioia di farmi pellegrino a Nazaret, il luogo dove il Verbo si fece carne. In quella visita vi ho portati tutti nel cuore, supplicando fervidamente per voi la Santa Famiglia, modello sublime di tutte le famiglie.

Ed è appunto il clima spirituale della Casa di Nazaret che questa sera vogliamo rivivere. Il grande spazio che ci raccoglie, tra la Basilica e il colonnato del Bernini, ci fa da casa, una grande casa a cielo aperto. Qui raccolti come una vera famiglia, “un cuor solo e un’anima sola” (cfr At 4, 32), possiamo intuire e far nostro il sapore dolce ed intimo di quell’umile casa, dove Maria e Giuseppe vivevano tra preghiera e lavoro, e Gesù “stava loro sottomesso” (Lc 2, 51), prendendo gradatamente parte alla vita comune.

2. Guardando alla Santa Famiglia voi, coniugi cristiani, siete stimolati a interrogarvi sui compiti che Cristo vi assegna, nella vostra stupenda e impegnativa vocazione.

Il tema del vostro Giubileo – I figli: primavera della famiglia e della società – può offrirvi per questo degli spunti significativi. Non sono proprio i bambini a fare una sorta di continuo “esame” ai genitori? Lo fanno non solo coi loro frequenti “perché?”, ma con il loro stesso volto, ora sorridente ora velato dalla tristezza. E’ come inscritta in tutto il loro modo di essere un’interrogazione, che si esprime nei modi più diversi, magari anche attraverso i capricci, e che potremmo tradurre in domande come queste: mamma, papà, mi volete bene? sono veramente un dono per voi? mi accogliete per quello che sono? vi sforzate di fare sempre il mio vero bene?

Domande poste forse più con gli occhi che con le parole, ma che inchiodano i genitori alla loro grande responsabilità e sono in qualche modo per loro l’eco della voce di Dio.

3. I figli sono “primavera”: che cosa significa questa metafora scelta per il vostro Giubileo?
Essa ci porta in quell’orizzonte di vita, di colori, di luce e di canto che è proprio della stagione primaverile. I bimbi tutto questo lo sono naturalmente. Essi sono la speranza che continua a fiorire, un progetto che continuamente si riavvia, il futuro che si apre senza sosta. Rappresentano la fioritura dell’amore coniugale, che in essi si ritrova e si consolida. Venendo alla luce, portano un messaggio di vita che, in ultima analisi, rinvia all’Autore stesso della vita. Bisognosi come sono di tutto, specie nelle prime fasi dell’esistenza, essi costituiscono naturalmente un appello alla solidarietà.

Non a caso Gesù invitò i discepoli ad avere un cuore di bambini(cfr Mc 10,13-16). Oggi voi, care famiglie, volete rendere grazie per il dono dei figli e, al tempo stesso, accogliere il messaggio che Dio vi manda attraverso la loro esistenza.

4. Purtroppo, come ben sappiamo, la situazione dei bambini nel mondo non è sempre quella che dovrebbe. In molte regioni, e paradossalmente proprio nei Paesi di maggiore benessere, mettere al mondo i bambini è diventata una scelta operata con grande perplessità, ben al di là di quella prudenza che è doverosamente richiesta per una procreazione responsabile. Si direbbe che talvolta i bimbi siano sentiti più come una minaccia che come un dono.

E che dire poi dell’altro triste scenario dell’infanzia oltraggiata e sfruttata, su cui richiamai l’attenzione anche nella Lettera ai bambini?

Ma voi siete qui, questa sera, a testimoniare la vostra convinzione, basata sulla fiducia in Dio, che è possibile invertire questa tendenza. Siete qui per una “festa della speranza”, facendo vostro il “realismo” operoso di questa fondamentale virtù cristiana.

5. In effetti, la situazione dei bambini è una sfida per l’intera società, una sfida che interpella direttamente le famiglie. Nessuno come voi, cari genitori, può costatare quanto sia essenziale per i figli poter contare su di voi, su entrambe le vostre figure – quella paterna e quella materna – nella complementarietà dei vostri doni. No, non è un passo avanti nella civiltà assecondare tendenze che mettono in ombra questa elementare verità e pretendono di affermarsi anche sul piano legale.

I bambini non sono forse già fin troppo penalizzati dalla piaga del divorzio? Quanto è triste per un bambino doversi rassegnare a dividere il suo amore tra genitori in conflitto! Tanti figli porteranno per sempre il segno psicologico della prova a cui li ha sottoposti la divisione dei genitori.

6. Di fronte a tante famiglie disfatte, la Chiesa si sente chiamata non ad esprimere un giudizio severo e distaccato, ma piuttosto ad immettere nelle pieghe di tanti drammi umani la luce della parola di Dio, accompagnata dalla testimonianza della sua misericordia. E’ questo lo spirito con cui la pastorale familiare cerca di farsi carico anche delle situazioni dei credenti che hanno divorziato e si sono risposati. Essi non sono esclusi dalla comunità; sono anzi invitati a partecipare alla sua vita, facendo un cammino di crescita nello spirito delle esigenze evangeliche. La Chiesa, senza tacere loro la verità del disordine morale oggettivo in cui si trovano e delle conseguenze che ne derivano per la pratica sacramentale, intende mostrare loro tutta la sua materna vicinanza.

Voi, coniugi cristiani, siatene certi: il Sacramento del matrimonio vi assicura la grazia necessaria per perseverare nell’amore scambievole, di cui i vostri figli hanno bisogno come del pane.

Su questa comunione profonda tra di voi oggi siete chiamati a interrogarvi, mentre chiedete l’abbondanza della misericordia giubilare.

7. Al tempo stesso non potete eludere l’interrogativo essenziale sulla vostra missione di educatori. Avendo dato la vita ai vostri figli, siete anche impegnati a seguirli, in modo appropriato alla loro età, negli orientamenti e nelle scelte di vita, facendovi carico di tutti i loro diritti.

Nel nostro tempo il riconoscimento dei diritti del bambino ha conosciuto un indubbio avanzamento, ma resta motivo di afflizione la negazione pratica di questi diritti, quale si manifesta in numerosi e terribili attentati contro la loro dignità. Occorre vigilare, perché il bene del bambino sia sempre messo al primo posto. A cominciare dal momento in cui si desidera di avere un bambino. La tendenza a ricorrere a pratiche moralmente inaccettabili nella generazione tradisce l’assurda mentalità di un “diritto al figlio”, che ha preso il posto del giusto riconoscimento di un “diritto del figlio” a nascere e poi a crescere in modo pienamente umano. Quanto diversa e meritevole di incoraggiamento è invece la pratica dell’adozione! Un vero esercizio di carità, che guarda al bene dei bambini prima che alle esigenze dei genitori.

8. Impegniamoci, carissimi, con tutte le nostre forze, a difendere il valore della famiglia e il rispetto della vita umana, fin dal momento del concepimento. Si tratta di valori che appartengono alla “grammatica” fondamentale del dialogo e dell’umana convivenza tra i popoli. Auspico vivamente che sia i Governi e i Parlamenti nazionali, sia le Organizzazioni internazionali e, in particolare, l’Organizzazione delle Nazioni Unite, non smarriscano questa verità. A tutti gli uomini di buona volontà, che credono in questi valori, chiedo di unire efficacemente i propri sforzi, perché essi prevalgano nella pratica della vita, negli orientamenti culturali e nei mass media, nelle scelte politiche e nelle legislazioni dei popoli.

9. A voi, care mamme, che portate dentro di voi un istinto incoercibile per la difesa della vita, rivolgo un appello accorato: siate sempre fonti di vita, mai di morte!

Dico a voi insieme, papà e mamme: siete stati chiamati all’altissima missione di cooperare col Creatore nel trasmettere la vita (Lettera alle famiglie, 8); non abbiate paura della vita! Proclamate insieme il valore della famiglia e quello della vita. Senza questi valori, non c’è futuro degno dell’uomo!

Lo spettacolo stupendo delle vostre fiaccole accese in questa Piazza vi accompagni a lungo come un segno di Colui che è la Luce e vi chiama ad illuminare con la vostra testimonianza il cammino dell’umanità sulle strade del nuovo millennio!

Continua – 3
GIA’ PUBBLICATI: No alla falsa felicità (2)Stravolgimento una famiglia senza matrimonio (1)


 

_001 mons Fulton Sheen 1Perché non c’è stato sesso tra Maria e Giuseppe?

Riportiamo un intervento di mons. Fulton Sheen (1895-1979) sul matrimonio cristiano vissuto sull’esempio della Sacra Famiglia di Nazareth. Egli non si negava a domanda scomode…

ecco le sue parole:

“Vorrei parlarvi di una coppia che ha formato una famiglia: quella costituita dalla Vergine Maria e da San Giuseppe.
Per spiegare la singolarità delle loro nozze, bisogna tener presente una verità: può esserci stato matrimonio anche senza unione fisica. Questo caso può verificarsi per tre motivi: perché i sensi, già soddisfatti, sono diventati insensibili; perché gli sposi, dopo essersi uniti, hanno fatto voto a Dio di rinunciare al piacere per dedicarsi alle più sublimi estasi dello spirito, e infine perché gli sposi, nonostante il matrimonio, hanno fatto voto di verginità, rinunciando ai propri diritti reciproci.

E la verginità è risultata essere il centro di attrazione di questa unione.
Una cosa è rinunciare ai piaceri della vita coniugale perché ormai stanchi, e un’altra molto diversa è rinunciarvi prima di averli provati per formare solo un’unione di cuori, com’è avvenuto nel matrimonio tra Maria e Giuseppe. Si sono uniti come due stelle che non si toccano mai mentre i loro raggi luminosi si incrociano nello spazio. È stato un matrimonio simile a quello che accade in primavera tra i fiori che uniscono i loro profumi o a due strumenti che uniscono le proprie melodie all’unisono formandone una sola.
Gli sposi, rinunciando ai loro diritti reciproci per un motivo più elevato, non distruggono l’essenza del matrimonio, perché come dice Sant’Agostino “la base di un matrimonio d’amore è l’unione dei cuori”.
Questo ci porta a una domanda: perché è stato necessario il matrimonio visto che la Vergine e San Giuseppe avevano fatto voto di verginità?
Il matrimonio era necessario nonostante il voto di verginità per preservare la Vergine da qualsiasi sospetto finché non fosse arrivato il momento di svelare il mistero della nascita di Gesù. È stato infatti considerato che Nostro Signore fosse figlio di San Giuseppe. In questo modo, la nascita di Cristo non è stata esposta al pubblico ludibrio e non è stata motivo di scandalo per i deboli nella fede. In questo modo, inoltre, la purezza di Maria ha potuto avere un testimone in Giuseppe.
Ogni privilegio della grazia deve però avere il suo corrispettivo, e Maria e Giuseppe hanno dovuto pagarlo con il loro dolore più grande. L’Angelo non aveva detto alla Vergine di rivelare l’opera dello Spirito Santo che si era compiuta in lei, e per questo Maria ha taciuto. San Giuseppe, non riuscendo a spiegarsi il fenomeno, ha pensato di ripudiarla.

Una volta, la Vergine ha fatto questa rivelazione a un santo: “Non ho mai sperimentato un’angoscia tanto intensa, ad eccezione di quella del Golgota, come quella che ho provato dovendo dare involontariamente un dispiacere a Giuseppe, che era un uomo giusto”.
San Giuseppe soffriva non riuscendo a comprendere l’accaduto: sapeva che Maria, come lui, aveva fatto voto di verginità, e per questo la considerava al di sopra di ogni sospetto e non si azzardava neanche a pensare che potesse avere qualche colpa. Come avrebbe dovuto spiegarselo, allora?
La sorpresa del casto Giuseppe era paragonabile a quella della Vergine Maria quando al momento dell’Annunciazione ha chiesto: “Come può accadere se non conosco uomo?” Maria voleva sapere come avrebbe potuto essere vergine e madre allo stesso tempo, e San Giuseppe non sapeva come poter essere vergine e padre.
L’Angelo del Signore ha spiegato a entrambi che solo Dio aveva il potere di fare una cosa simile, non la scienza umana. Possono penetrare questi misteri solo coloro che comprendono la voce degli angeli.
Visto che San Giuseppe voleva ripudiare in segreto Maria, l’Angelo è intervenuto: non appena questo pensiero si è affacciato alla mente del santo, un angelo gli è apparso in sogno e gli ha detto: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Matteo 1, 20-21). In questo modo, conoscendo le ragioni della nascita di Gesù, San Giuseppe ha potuto ritrovare la pace. La sua anima si è riempita di felicità per la notizia che sarebbe stato il padre putativo del Salvatore del mondo e guardiano protettore della Madre di Colui che i cieli non riescono a contenere.

Passiamo ora alla seconda domanda: San Giuseppe era giovane o anziano?

La maggior parte delle sculture e dei quadri ci presenta un San Giuseppe anziano, con una lunga barba bianca, ma non esistono dati storici che indichino la sua età. Se cerchiamo i motivi per i quali l’arte lo rappresenta anziano, scopriamo che la ragione risiede nel fatto che questa caratteristica si addice di più al suo ruolo di custode della verginità di Maria.
Notiamo tuttavia che l’arte ha fatto di San Giuseppe uno sposo puro e casto più per età che per virtù. Questo assomiglia al fatto di credere che il modo migliore di rappresentare un uomo onesto, incapace di rubare, sia dipingerlo senza mani.
In primo luogo si dimentica che negli anziani possono ardere gli stessi desideri negativi che ardono nei giovani. Abbiamo un esempio nel caso di Susanna, perché coloro che la tentarono nel giardino erano anziani. Rappresentando San Giuseppe tanto anziano, si dà un merito all’età di un uomo e non alla sua virtù. Giudicare San Giuseppe puro perché anziano è come voler lodare un torrente di montagna che manca di acqua.
Sembra anche logico pensare che Nostro Signore preferisse scegliere come padre putativo un uomo che sapeva e voleva sacrificarsi e non uno che si vedeva costretto a farlo. È poi presumibile che Dio volesse dare un anziano come compagno a una ragazza giovane? Se il Signore ha affidato dalla Croce sua madre a un giovane come San Giovanni, perché doveva legarla a un anziano fin dagli albori della vita?

L’amore della donna determina quello dell’uomo.

La donna è educatrice silenziosa della virilità del suo sposo. Essendo Maria il simbolo della verginità e la sublime ispiratrice della purezza per tutti, perché non avrebbe dovuto impiegare questa sua caratteristica con il suo Giuseppe, il giusto? La Vergine conquistò il cuore del suo giovane sposo non con la diminuzione dell’amore, ma sublimandolo.
A mio avviso, quindi, quando si è sposato con la Vergine Giuseppe era un uomo giovane, forte, virile, atletico e casto; un prototipo dell’uomo che si può vedere oggi mentre pasce un gregge in un prato o mentre pilota un aereo, o nel laboratorio di un falegname. Non un impotente, ma al contrario traboccante di virilità maschile; non un frutto secco, ma un fiore pieno di promesse; non al tramonto della vita, ma all’alba, effondendo energia, forza e passione.
Come si ingigantiscono le figure della Madonna e di San Giuseppe quando, soffermandosi a esaminare la loro vita, scopriamo in essa il Primo Poema d’Amore!

Il cuore umano non si commuove davanti all’amore di un anziano per una ragazza giovane, ma come non ammirare profondamente l’amore di due giovani uniti da un vincolo divino?

Maria e Giuseppe erano entrambi giovani, belli e pieni di promesse. Dio predilige le cataratte impetuose e le cascate turbolente, ma sono certo che le preferisce quando con l’energia che sprigionano si illuminano le città e con le loro acque si placa la sete di un bambino a quando con il loro impeto travolgono i fiori sbocciati sulla riva. In Maria e Giuseppe non troviamo una cascata di acque pure e incanalate né un lago secco, ma due giovani che prima di conoscere la bellezza di una e la potente forza dell’altro rinunciano a goderne per donarsi interamente alla “passione senza passione” e all’“impetuosa calma” di Gesù.
Maria e Giuseppe portarono nel loro matrimonio non solo il voto di verginità, ma anche due cuori pieni di un grande amore, più grande di qualsiasi altro amore che un cuore umano abbia mai potuto contenere.

Nessuna coppia di persone sposate si è mai amata tanto.

Posso chiedere alle persone sposate: “A cosa aspirate dopo esservi amati?” All’Infinito, a un’estasi eterna, senza fine. Ma non si può provare nella sua pienezza, perché l’Infinito a cui aspira la loro anima è imprigionato dal corpo. Questo ostacola il progresso verso Dio al quale si tende. In cielo, però, non sarà necessaria l’unione dei corpi, perché l’amore sarà infinito. Ecco perché Dio ha detto che in cielo non esisteranno matrimoni. Non saranno necessarie le apparenze, perché avremo la sostanza. Ci affanneremmo per un raggio di sole riflesso in uno specchio potendo goderne direttamente? Maria e Giuseppe hanno già provato la gioia senza pari che è il possesso dell’amore eterno del cielo, senza ansie, a cui tende il vostro matrimonio in Cristo. Voi sposati avete ora bisogno dell’unione materiale perché non possedete la realtà di Dio. Visto che la Madonna e San Giuseppe avevano Gesù, non desideravano nient’altro.

Si ha bisogno della comunione fisica per comprendere l’unione di Cristo con la sua Chiesa. Loro non avevano questa necessità perché possedevano la Divinità. Come ha detto mirabilmente Leone XIII, “il loro matrimonio è stato consumato con Gesù”. Voi vi unite con i corpi, Maria e Giuseppe si sono uniti con Gesù. Perché avrebbero voluto affannarsi dietro alle gioie effimere della carne quando nel loro amore c’era la Luce del Mondo? In realtà, Gesù è la voluttuosità dei cuori, per cui se Lui è presente tutto il resto è superfluo. Come marito e moglie dimenticano se stessi contemplando il figlio appena nato nella sua culla, così anche Maria e Giuseppe non pensavano ad altro che a Gesù. Non c’è mai stato né ci sarà mai amore più profondo su questa terra.

La Madonna e San Giuseppe non sono arrivati a Dio attraverso il loro amore reciproco, ma hanno goduto dell’amore grande e puro dell’una per l’altro dopo essersi rivolti prima a Gesù. Giuseppe ha rinunciato alla paternità di sangue, ma l’ha trovata nello spirito, perché è stato padre putativo di Gesù. La Madonna ha rinunciato alla maternità e l’ha trovata nella propria verginità. La Vergine Maria è stata come il giardino chiuso nel quale è penetrata solo la Luce del Mondo, che per entrare non ha rotto nulla, come la luce del sole attraversa i vetri ed entra in una stanza.

Dedico questo contributo a chi è sposato cristianamente e a tutti coloro che un giorno saranno ammessi al grande mistero dell’amore. L’esempio di Maria e Giuseppe vi serva per comprendere che il più grande errore di una coppia sposata è credere che per il matrimonio siano necessarie solo due persone: lui e lei.
No! Ne servono tre: lui, lei e Dio.
Permettete, marito, moglie e figli, che vi chieda di recitare insieme in famiglia, come omaggio all’amore perfetto della Sacra Famiglia, un Rosario tutte le sere? Tutte le coppie che ho unito in matrimonio potranno testimoniare che la mia raccomandazione è sempre stata questa: pregare insieme. La preghiera di una famiglia riunita è più gradita a Dio di quella fatta separatamente, perché la famiglia rappresenta l’unità della società. Il cristianesimo è l’unica religione con un carattere familiare, perché ha origine in una Madre e in un Figlio. Se reciterete tutte le sere il santo Rosario in famiglia, la Vergine vi rivelerà il segreto dell’Amore, e forse sussurrerete l’uno all’altro: “Ti amo, ma non secondo la mia volontà, secondo quella di Dio”.
Se nel vostro affetto cercate solo l’amore terreno non troverete nulla, ma se attraverso di questo cercate Dio allora avrete tutto, perché lo ripeto, perché ci sia vero amore servono tre persone: lui, lei e Dio. Per amore di Gesù!”


  • MISTERO GRANDE

Il prete che mostra a centinaia di sposi la verità sul matrimonio

C’è un sacramento non ancora «trafficato fino in fondo dalla Chiesa», quello nuziale, «che può portare i coniugi ad un livello di amore pari a quello di Cristo sulla Croce: non uno sforzo ma un dono da saper usare. Per cui non c’è matrimonio che possa fallire, anche dopo l’abbandono». Così don Renzo Bonetti catechizza centinaia di famiglie. 
– SALVARE UN MATRIMONIO. SI PUO’ E SI DEVE

Bonetti

È davvero un “Mistero Grande”, così come si chiama il progetto che riunisce le famiglie che con l’aiuto di don Renzo Bonetti, Presidente della Fondazione Famiglia Dono Grande, hanno compreso la “potenza del sacramento matrimoniale, nella sua missione altissima, che nulla, nemmeno il tradimento coniugale può annullare”, come dice lui. Una potenza e una fonte di grazia “che predico da anni ma che non ho ancora compreso a pieno, tanto è profonda”. Una vocazione ritenuta “per troppo tempo di serie B, come se il matrimonio fosse per chi non ce la fa ad essere vergine”.

Don Renzo, dopo anni di pastorale familiare sul territorio prima e a Roma poi, come Direttore dell’Ufficio Nazionale per la Pastorale della Famiglia della Conferenza Episcopale Italiana (anni ’90/2000), è tornato da tempo nelle sua terra veneta, dove oggi abita presso la “Domus Familiae” insieme a Diego e Marta che hanno letteralmente lasciato tutto per seguire la chiamata di Dio. La Dumus è frutto della donazione di un’altra famiglia che, comprendendo il dono che è il sacramento del matrimonio, ha voluto ridare ad altri la possibilità di scoprirlo in questa grande struttura che ospita quotidianamente coppie di sposi offrendo loro un cammino di santità tramite una compagnia umana, incontri, convegni e catechesi. Ma come è nato tutto questo?

Don Renzo, nella parrocchia di Bovolone (Vr) all’inizio del suo ministero sacerdotale cominciò profeticamente da subito a “capire che il sacramento nunziale era fondamentale”, perché “è la prima chiesa, che sta alla base della Chiesa e della società”, spiega il sacerdote. Insomma, “come i preti consacrandosi ricevono il dono di trasformare il pane nel Corpo di Cristo, cioè di rendere possibile ancora oggi l’incarnazione e la presenza viva di Dio, gli sposi hanno il potere di incarnare l’amore di Gesù che dà la sua vita per la Chiesa, per il mondo e persino per i nemici”. Come un prete, qualsiasi cosa accada o faccia, continuerà fino alla morte ad avere questo potere, donatogli dallo Spirito il giorno della consacrazione, di trasformare il pane nel corpo di Cristo, anche gli sposi, dovessero anche essere traditi e abbandonati, avranno sempre la capacità, ricevuta il giorno nozze, di amare come Cristo sul Calvario.

È così, senza fronzoli, che don Renzo parla alla Fraternità Sposi per sempre, nata all’interno del progetto Mistero Grande: “Non siamo un gruppo di mutuo aiuto ma siamo fratelli che si sostengono nel vivere la santità attraverso il sacramento del matrimonio”. Ma come, proprio loro che il mondo, e ahimè anche la Chiesa spesso giudica sconfitti, parlando di “fallimento delle nozze”? “Altro che falliti – continua don Renzo – siete chiamati ad essere profeti di cosa sia veramente il matrimonio, qualcosa che il mondo anche cristiano non capisce più, o forse non ha mai capito fino in fondo: non credete a chi vi dipinge come quelli che hanno deciso solo di obbedire alla regola del “non commettere adulterio”, sopportando la situazione eroicamente e a denti stretti. Voi non siete eroi, perché il dono che lo Spirito vi ha fatto il giorno delle nozze, quello di amare come Gesù fino a morire per la salvezza dei peccatori, non è frutto della vostra volontà. Certo voi potete usarlo oppure no. E per usarlo dovete coltivarlo”. Come si fa, il sacerdote lo spiega con una formula forse non facile, ma semplicissima ed accessibile a tutti: “Mettete al muro lo Spirito Santo, invocatelo. Quello Spirito ha reso i cristiani lieti davanti ai leoni e non può fare questo? Può, ma bisogna consumarsi le ginocchia e tirare fuori le corone del Rosario che tenete nei borselli”.

Insomma, invece che una pacca sulla spalla e un “poverini, se volete rifarvi una vita vi capisco”, don Renzo ricorda a questi sposi la missione altissima, il compito, a cui Dio li chiama: “Questo amore deve arrivare a tutti: ripeto avete la capacità di amare come Cristo i vostri coniugi, i figli, ma anche i vicini, persino i vostri nemici. Usatela!”. A vedere questa gente che accoglie ogni persona che incontra come un dono, a percepire l’entusiasmo e la luce degli occhi di alcuni di loro, pieni di dolore e amore insieme per il coniuge che li ha traditi, a guardare la loro disponibilità nel soffrire e nel dare la vita “per avere mia moglie vicina in Paradiso, che la vita non finisce qui”, spiega Marco a pranzo, si capisce che quello che don Renzo dice è vero. È carne, appunto.

Per questo motivo ad un gruppo di giovani sposi (circa un centinaio) venuti da tutta Italia per seguire il cammino “A due a due Dio li mandò”, don Renzo spiega: “Non sciupate la bomba di amore che avete fra le mani, “da quando siete sposati esternamente apparite sempre voi, come dei singoli, ma la vostra natura non è più la stessa: ora siete una sola cosa, in questa unione c’è la grazia del sacramento che la Chiesa deve ancora comprendere e che non ha ancora raggiunto tutti i suoi sbocchi pratici, perché non la si è usata abbastanza”. Perciò, “siete un potenziale congelato!” Un po’ come dei preti che non conoscessero le formule per trasformare il pane nel corpo di Cristo”, dice don Renzo ai presenti, infiammando i cuori di chi non aspetta altro che pastori capaci di comunicare loro l’altezza del compito che hanno e la via per attuarlo. Perché non c’è nulla di più desiderabile per il cuore umano di raggiungere le altezze d’amore a cui aspira. Insomma, don Renzo chiede tutto, spiegando come ottenere il Tutto per cui l’uomo è sempre inquieto: “L’amore di Dio che sta dentro il sacramento nunziale: potete lasciare il capitale in banca ed elemosinare amore altrove, riducendo la fedeltà al non tradire e non demordere, oppure potete usarlo fino in fondo”.

Poi don Renzo ricorda come davvero sia “tutto lì nelle parole che il prete ha pronunciato durante il vostro matrimonio, di cui voi siete i soli ministri ogni giorno: “O Dio…hai voluto adombrare nella comunione di vita degli sposi…per rivelare il disegno del tuo amore”. Ecco il fine delle nozze: mostrare l’amore di Dio al suo popolo e al mondo. Pensate che rivoluzione per la vita della società!”. A pranzo don Renzo ripete: “Se mendicate insieme dallo Spirito il Suo amore che vi rende capaci di morire per l’altro, farete centro…diventerete fiamma per infiammare il mondo con l’amore divino”. Che non sono parole lo dicono anche Diego e Marta, 3 figli, che “abbiamo scoperto queste cose dopo 20 anni di matrimonio: ci rispettavamo certo, ma questa unità profonda non la vivevamo”. Marta spiega di quando cercava ovunque la risposta a quella sete che avevo di Amore totale, “ma al primo seminario a cui partecipai, don Renzo disse che la risposta era lì davanti a me da 20 anni, era nel sacramento: cominciammo (come fanno centinaia di famiglie legate a Mistero Grande e sparse per l’Italia) a pregare insieme ogni giorno, a leggere il Vangelo quotidiano, ad aprire casa a chi voleva pregare con noi e tutto cambiò”. Giorgio spiega che ora la comunione fra loro è reale e assicura che “fra noi c’è un prima e c’è un dopo l’incontro che abbiamo fatto con don Renzo e Mistero Grande”.

Infine, Michi e Maia, seduti intorno ad una tavola imbandita per gli amici, ricordano il dolore dell’infertilità: “Quando scoprii che non potevamo avere bambini andai in crisi nera, misi in discussione tutto, la mia femminilità, il mio essere moglie. Avevo la morte dentro”. Poi il dialogo con don Renzo “mi fece vedere ciò che il dolore aveva oscurato, l’amore di mio marito” e successivamente la compagnia di un’altra famiglia di Mistero Grande che non potevano avere bambini, ma che “erano bellissimi, pieni di amore, quindi li seguimmo nel cammino proposto da Mistero Grande”. Cammino grazie a cui Michi comprese che “Dio era reale”, mentre Maia, “ricordando che si sono trasferiti vicino alla Domus dopo diversi traslochi, perché questa è finalmente casa, ha scoperto che esiste una fecondità che va oltre la fertilità”. Il dolore resta, ma il sacramento li rende generatori di amore, ospitalità, servizio. Basta guardare come si rispettano e adorano per capire quanto la bellezza dell’amore vero, sino al sacrificio di sé per l’altro, abbia una capacità attrattiva senza pari.

Insomma, in questo tempo in cui il sacramento del matrimonio viene ridotto a modello da raggiungere moralisticamente, perciò attuabile dai pochi eroi che riescono a fare lo sforzo della fedeltà, le centinaia di famiglie che seguono la via di Mistero Grande dicono che invece ad agire fra loro è lo Spirito di Dio mendicato e Gesù presente in mezzo a loro. Colui che rende la sublimità unitiva dell’amore coniugale una realtà reale, certo e a cui occorre aderire continuamente. Ma vera e resa tale ogni giorno dal sacramento divino che gli sposi sono chiamati ad amministrare.

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