Ratzinger e Wojtyla sulla Coscienza morale bene intesa

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Come intendere bene la coscienza morale e la misericordia

Le seguenti riflessioni nascono da una serie di interventi di Giovanni Paolo II e dell’allora card. Ratzinger – Benedetto XVI, relativi al discernimento di come deve essere educata la coscienza verso se stessi e il vero bene comune anche in relazione dell’uso della misericordia autentica da parte di ogni uomo, in particolare dei Battezzati e di quanti vogliono definirsi Cattolici.

Ricordiamo che questo breve studio, per quanto vi sembri lungo a causa delle molte citazioni riportate, si pone in una lunga analisi apologetica, catechetica e dottrinale, che stiamo proponendo anche attraverso diversi video-audio, che troverete qui.

Vengono qui, invece proposti, ampi brani delle due Encicliche di Benedetto XVI: la Deus Caritas est e la Spe Salvi, mentre, in questo audio

abbiamo sintetizzato il testo per renderlo più fruibile e comprensibile, inserendo anche l’audio originale delle parole espresse da Ratzinger nella Messa pro eligendo, poco prima di diventare egli stesso Sommo Pontefice. Ricordiamo infine che abbiamo inserito la lettura integrale della enciclica Spe Salvi e che troverete qui, sul canale youtube, mentre qui troverete tutti i video tutti insieme raccolti.

 


La Misericordia non è ostacolo al dovere dell’Evangelizzazione, tanto meno un indebolimento del dovere del cristiano di dire al mondo la Verità di Dio e sull’Uomo.

Così spiegò, l’urgenza della Misericordia nell’Evangelizzazione, l’allora card. Ratzinger poco prima di diventare il Successore di Pietro:

  • “Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero… La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde – gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore (cf Ef 4, 14). Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni.
  • Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo. “Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. É quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo. Ed è questa fede – solo la fede – che crea unità e si realizza nella carità. San Paolo ci offre a questo proposito – in contrasto con le continue peripezie di coloro che sono come fanciulli sballottati dalle onde – una bella parola: fare la verità nella carità, come formula fondamentale dell’esistenza cristiana. In Cristo, coincidono verità e carità. Nella misura in cui ci avviciniamo a Cristo, anche nella nostra vita, verità e carità si fondono. La carità senza verità sarebbe cieca; la verità senza carità sarebbe come “un cembalo che tintinna” (1 Cor 13, 1)”. (card. J. Ratzinger  Patriarcale Basilica di San Pietro   Lunedì 18 aprile 2005)

Il dibattito in corso sulla vita umana, sta mettendo in rilievo sempre più un confronto fra la morale cristiana, più precisamente quella cattolica, e morale laica. C’è tendenza a chiudere il significato di “morale”  esclusivamente dentro la sfera sessuale, non ragionando sul fatto che all’atto sessuale (morale o immorale che sia), ci si arriva “dopo” una errata concezione della morale in quanto tale la quale abbraccia ogni stile di vita e coinvolge ogni Persona all’interno della propria cultura, razza e Nazione.

Per comprendere che cosa insegna la Chiesa occorre porsi alcune domande:

  • 1) Quale è la vera identità della morale cattolica?
  • 2) Quale è la vera identità che si vuole dare alla morale detta “laica”?
  • 3) In quale modo l’attuale evangelizzazione può svolgere la sua azione nel mondo, e in quale modo essa può coinvolgere le persone?

Iniziamo con il dire che fra  morale “cattolica e laica” in verità non vi è alcuna differenza poiché la Chiesa non detiene affatto il monopolio della morale giacchè non è stata una sua invenzione…è un grave errore infatti identificare questa morale come una espressione diversa fra il mondo cattolico (che qui intendono religioso) e laico… pochi sanno che tale morale discende da un medesimo nucleo di verità di riferimento, entrambi, ad un antichissimo contesto di “comuni principi” ed entrambi si connettono alla ragione!

E’ importante definire che questa  morale, in quanto tale, nasce nel contesto di una coscienza religiosa mentre, credere in una sfera della morale autonoma, dissociata dalla coscienza ossia, diversa dalla morale in quanto tale è una ERESIA nel senso più vero del termine (infatti eresia vuol dire separazione); una morale allora, separata, dissociata, ossia autonoma conduce ad una eresia, cioè ad una netta separazione dal suo originale significato e di conseguenza dal suo vero scopo, tale separazione da quel principio comune che è la “coscienza religiosa”, genera alla fine quell’inganno, quel trarre nell’errore di cui parlava il card. Ratzinger nel testo riportato in apertura.

Perché parliamo di “coscienza religiosa” ?

Perché senza la dimensione spirituale, senza la ricerca di Dio non esisterebbe nessuna morale e si sfocerebbe nel moralismo! In tal senso il termine “religioso” non deve essere associato esclusivamente all’ambiente monastico o del clero, al contrario, essa è una dimensione che è comune a tutti gli uomini di ogni lingua, cultura, popolo, razza e Nazione e di conseguenza  tale morale, è comune ai laici siano essi credenti in Dio quanto non credenti. Non può esistere una doppia morale, sarebbe l’alienazione della morale stessa….

Questa realtà della morale è dunque la realtà di una coscienza che coinvolge l’uomo in quanto tale e non perché l’uomo venga diviso attraverso una morale cattolica o non cattolica!

Diceva così il card. J. Ratzinger:

  • “È vero che oggi esiste un nuovo moralismo le cui parole-chiave sono giustizia, pace, conservazione del creato, parole che richiamano dei valori morali essenziali di cui abbiamo davvero bisogno. Ma questo moralismo rimane vago e scivola così, quasi inevitabilmente, nella sfera politico-partitica. Esso è anzitutto una pretesa rivolta agli altri, e troppo poco un dovere personale della nostra vita quotidiana. Infatti, cosa significa giustizia? Chi lo definisce? Che cosa serve alla pace? Negli ultimi decenni abbiamo visto ampiamente nelle nostre strade e sulle nostre piazze come il pacifismo possa deviare verso un anarchismo distruttivo e verso il terrorismo. Il moralismo politico degli anni Settanta, le cui radici non sono affatto morte, fu un moralismo che riuscì ad affascinare anche dei giovani pieni di ideali.
  • Ma era un moralismo con indirizzo sbagliato in quanto privo di serena razionalità, e perché, in ultima analisi, metteva l’utopia politica al di sopra della dignità del singolo uomo, mostrando persino di poter arrivare, in nome di grandi obbiettivi, a disprezzare l’uomo. Il moralismo politico, come l’abbiamo vissuto e come lo viviamo ancora, non solo non apre la strada a una rigenerazione, ma la blocca. Lo stesso vale, di conseguenza, anche per un cristianesimo e per una teologia che riducono il nocciolo del messaggio di Gesù, il “Regno di Dio”, ai “valori del Regno”, identificando questi valori con le grandi parole d’ordine del moralismo politico, e proclamandole, nello stesso tempo, come sintesi delle religioni. Dimenticandosi però, così, di Dio, nonostante sia proprio Lui il soggetto e la causa del Regno di Dio. Al suo posto rimangono grandi parole (e valori) che si prestano a qualsiasi tipo di abuso”.

(card. J. Ratzinger “Conferenza su – l’Europa nella crisi delle culture – per la consegna del premio “ S. Benedetto” Subiaco 1-4-2005)

Come possiamo dedurre dalle parole appena lette, la così detta morale “politica”  porta ad una scissione, separazione(=eresia) di quell’unica morale che da sempre anima la coscienza dell’uomo di ogni tempo, spingendola verso la Causa Prima (=Creatore) e mai il contrario. Nel momento in cui accadesse il contrario ossia, che la morale conducesse l’uomo lontano da Dio ecco che avremo il moralismo e l’illusione di una morale favorevole all’uomo e dunque alla società, in verità sarebbe ed è la sua alienazione e la sua stessa distruzione.

Un esempio concreto di questa alienazione e distruzione derivante da una doppia morale alimentata dalle ideologie politiche, l’abbiamo nell’assordante rivendicazione di Pace dei Movimenti pacifisti… ciò che non può rendere credibili i loro sforzi è quell’ostinato sostegno, per esempio, all’aborto!

Infatti mentre gli stessi Movimenti si spingono nelle piazze con manifestazioni pubbliche per rivendicare il ricorso alla Pace e la cessazione (giustissima) di ogni guerra, dall’altra parte gli stessi partecipanti sono nella maggior parte sostenitori di una guerra silenziosa e devastante che si sta consumando da anni dentro il grembo delle donne attraverso IL MASSACRO di milioni di vite umane inermi…

A ragione chiede Ratzinger:

“ Che cosa significa giustizia? Chi lo definisce? Che cosa serve alla Pace? “

La stessa Beata Madre Teresa di Calcutta che non era certo una “moralista”, bensì una persona esperta della vita umana, sosteneva che “non può esistere una vera Pace se questa non inizia dal grembo materno…”.

Nel fare questi discorsi ecco che si viene accusati o di moralismo o appunto di “morale cattolica”, ed è qui che si consuma lo sbaglio poiché la vita umana non può diventare appannaggio di un gruppo di persone inserite nella società, tanto meno può essere relegata all’interno di un discorso “religioso”…si tratta di chiarire i termini di una vera e corretta Evangelizzazione che trova nella Misericordia di Dio il ricorso a farsi promotori di una coscienza morale UNIVERSALE(=cattolica) che dica all’uomo quanto preziosa sia la SUA vita e quella degli altri….Se la giustizia che l’uomo stesso va cercando non conducesse, quale primo atto, alla difesa della vita umana in quanto tale dal suo concepimento e fino alla sua morte naturale, l’uomo non avrà mai la giustizia, di conseguenza non avrà mai la Pace che cerca!

Lo stesso dicasi però, parafrasando le parole di Ratzinger lette sopra, di come non potrà mai essere credibile neppure una Evangelizzazione che si arrestasse davanti alle parole “quale pura e semplice predicazione del “Regno di Dio” o ai “valori del Regno” conducendo il tutto ad una sorta di “sintesi delle religioni” dimenticandosi di Dio quale SOGGETTO E CAUSA del Regno….

Infatti, così operando al posto di Dio regnerebbero solo LE PAROLE che però “saranno facile preda di ogni falsa interpretazione e soggette ad ogni abuso!” Indubbiamente potremo chiederci se stiamo parlando, a questo punto, di morale o quanto il discorso si riferisca ad una “morale religiosa” in generale e, addirittura, si ci si riferisca ad una morale prettamente cattolica dissociata da quella detta “laica”…

Va detto che il “cattolico” non nasce cattolico, bensì laico.

Il Battesimo che è un Sacramento-Dono fatto di PROMESSE impegnative, fa diventare il laico un cristiano impegnato nel mondo che vive, dentro la propria realtà, con un suo specifico ruolo nel mondo e a vantaggio della Società….Tuttavia va detto e specificato che anche coloro che non hanno ricevuto ancora il Battesimo vivono nel mondo attraverso le medesime responsabilità di un cattolico per il miglioramento della Società in cui vivono… Ogni uomo possiede infatti dentro di sé la “scintilla del Creatore” attraverso la quale l’uomo stesso non può non chiedersi “perché nasco; perché vivo; dove sono diretto, qual è il mio ruolo, perché esiste il dolore, perché la morte, cosa c’è dopo la morte?”

Domande che non partono affatto esclusivamente dall’uomo “di fede” al contrario e generalmente queste domande nascono in ogni uomo, in ogni tempo, in ogni condizione sociale e culturale; domande dalle quali scaturisce quell’unica morale dei “comuni principi”. “Verità” è un termine chiave. Per lo spirito profano evoca una formula, una teoria, una cosa dello spirito, insomma, e, soprattutto, qualche cosa che si possiede.

Cristo rovescia questa concezione della “verità”, rifiutandola in quanto superficiale, in quanto relativista o fine a se stessa attraverso una ideologia politica…. Egli non dice: “Io ho la verità”, ma dice: “Io sono”: “Io sono la verità”….

La verità è una Persona, non una proposizione, non una idea, non un aspetto delle cose, non una imposizione giacchè Cristo non si impone ma si offre…. Tutto il mondo cerca la verità, ogni uomo cerca la verità, ma spesso nei posti sbagliati, accontentandosi di qualche “ismo” o di qualche ideologia moralista. Tutti gli “ismi”, però, passano presto di moda, come un temporale d’estate lasciando tuttavia dietro di se anche enormi devastazioni quando questi temporali assumono la forza dei tifoni e degli uragani….

Cercando la verità, noi cerchiamo “lo stare Bene”, noi cerchiamo la Persona vera, cerchiamo il Padre(=Bene) e il Cristo che ne è la manifestazione concreta. Non si tratta di verità del Padre che il Figlio deve imparare per poi trasmettere. Cristo è la verità in se stesso, per questo Egli solo può garantire ad ogni Uomo che non mente….Ciò andava al di là anche dell’intelligenza degli apostoli. Filippo esprime la loro inquietudine con una richiesta precisa: “Signore, mostraci il Padre e basta”. Gli apostoli non riescono ad afferrare l’identità del Figlio e del Padre. Hanno appena saputo che stanno per lasciare Cristo e non sanno che andare presso il Padre significa restare con Gesù e rimanere sempre presso di lui nella terra promessa (cfr Gv. 14, 7-14)

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Giovanni Paolo II è stato canonizzato, eppure il suo magistero viene continuamente calpestato.

L’applicazione dunque della morale significa “stare BENE” e stare Bene non significa altro che stare “con Dio” il quale è il Sommo Bene!

Non è possibile così che l’uomo cerchi per se stesso il Male, l’uomo di per se cerca il meglio, cerca di stare “bene” ma nel momento in cui questa ricerca si affida alle ideologie del momento le quali offrono una verità parziale legata sostanzialmente ed esclusivamente ai beni materiali, ecco che l’uomo finisce per perdere la propria identità e con essa naufraga nelle illusioni, nell’errore allontanandosi dal vero “Bene”.E’ infatti IMMORALE che l’uomo finisca per arrendersi davanti alla ricerca del suo stare “bene”, è innaturale, è illogico, è da suicidio!

  • Scrive così  Giovanni Paolo II: “Un’esigenza di non minore importanza, in questi tempi critici e non facili, mi spinge a scoprire nello stesso Cristo ancora una volta il volto del Padre, che è «misericordioso e Dio di ogni consolazione» (2Cor.1,3). Si legge infatti nella costituzione Gaudium et spes: «Cristo, che è il nuovo Adamo… svela… pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione»: egli lo fa «proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore».
  • Le parole citate attestano chiaramente che la manifestazione dell’uomo, nella piena dignità della sua natura, non può aver luogo senza il riferimento–non soltanto concettuale, ma integralmente esistenziale a Dio. L’uomo e la sua vocazione suprema si svelano in Cristo mediante la rivelazione del mistero del Padre e del suo amore.
  • È per questo che conviene ora volgerci a quel mistero: lo suggeriscono molteplici esperienze della Chiesa e dell’uomo contemporaneo; lo esigono anche le invocazioni di tanti cuori umani, le loro sofferenze e speranze, le loro angosce ed attese. Se è vero che ogni uomo, in un certo senso, è la via della Chiesa, come ho affermato nell’enciclica Redemptor hominis, al tempo stesso il Vangelo e tutta la tradizione ci indicano costantemente che dobbiamo percorrere questa via con ogni uomo cosi come Cristo l’ha tracciata, rivelando in se stesso il Padre e il suo amore. In Gesù Cristo ogni cammino verso l’uomo, quale è stato una volta per sempre assegnato alla Chiesa nel mutevole contesto dei tempi, è simultaneamente un andare incontro al Padre e al suo amore. Il Concilio Vaticano II ha confermato questa verità a misura dei nostri tempi.Quanto più la missione svolta dalla Chiesa si incentra sull’uomo, quanto più è, per cosi dire, antropocentrica, tanto più essa deve confermarsi e realizzarsi teocentricamente, cioè orientarsi in Gesù Cristo verso il Padre. Mentre le varie correnti del pensiero umano nel passato e nel presente sono state e continuano ad essere propense a dividere e perfino a contrapporre il teocentrismo e l’antropocentrismo, la Chiesa invece, seguendo il Cristo, cerca di congiungerli nella storia dell’uomo in maniera organica e profonda. E questo è anche uno dei principi fondamentali, e forse il più importante, del magistero dell’ultimo Concilio.” (Enciclica    Ioannes Paulus PP. II Dives in misericordia sulla misericordia divina 1980.11.30 )

Al pari potremmo citare di Giovanni Paolo II la Christifideles Laici nella quale viene chiarito il ruolo dei Laici:

Chi sono i Laici?“ Sono tutti i fedeli, a esclusione dei membri dell’Ordine Sacro e dello stato religioso, che sono stati incorporati a Cristo col Battesimo e costituiti Popolo di Dio” (cfr. n.9) Certo questa Esortazione Apostolica è rivolta principalmente ai “laici cattolici”, tuttavia l’invito è rivolto ad ogni persona di buona volontà che non vede nel laico cattolico un “nemico” al contrario una persona capace di aiutarlo nella ricerca della Verità e di quello “stare Bene” sopra spiegato!

Va da se allora che tutti quei “fedeli laici” che finiscono per disattendere a questo compito assunto mediante il Battesimo, diventano a loro volta MISTIFICATORI della Verità, offuscando la Verità, finiscono per offuscare Gesù Cristo e di conseguenza non contribuiscono più alla ricerca del BENE per se stessi e gli altri, al contrario, finiscono per sostenere ciò che è il Male adagiandosi ai vari moralismi ideologici fini a se stessi.

Ecco così l’importanza della così detta “Nuova Evangelizzazione” la quale non è affatto “nuova” nella dottrina, ma nuova per una  riscoperta della dottrina e per un suo approfondimento alla luce della cultura moralista ed ideologica di oggi… Vi è dunque una errata concezione del Laico quasi che il “fedele laico” non debba prendersi cura del pensiero laico in quanto tale, solo perché è un “fedele a Cristo”, alla Chiesa, una sorta di laico di serie “b”….

In verità TUTTI gli uomini (certamente specialmente se battezzati), dice infatti ancora Giovanni Paolo II:«sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall’interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo mediante l’esercizio della loro funzione propria e sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo a rendere visibile Cristo agli altri, principalmente con la testimonianza della loro vita e con il fulgore della fede, della speranza e della carità»(37). Così l’essere e l’agire nel mondo sono per i fedeli laici una realtà non solo antropologica e sociologica, ma anche e specificamente teologica ed ecclesiale. Nella loro situazione intramondana, infatti, Dio manifesta il suo disegno e comunica la particolare vocazione di «cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio» (Crhistifideles Laici, n.15)

“Non ci può essere una doppia vita, non possiamo essere come degli schizofrenici, se vogliamo essere veramente cristiani”, così esortava  e predicava san J. M. Escrivà (Colloqui, cit. n. 114), ma cosa rispondere a chi ci dicesse che non è interessato a diventare cristiano?

La risposta la dona ancora una volta  Giovanni Paolo II: Nella loro esistenza non possono esserci due vite parallele: da una parte, la vita cosiddetta «spirituale», con i suoi valori e con le sue esigenze; e dall’altra, la vita cosiddetta «secolare», ossia la vita di famiglia, di lavoro, dei rapporti sociali, dell’impegno politico e della cultura. Il tralcio, radicato nella vite che è Cristo, porta i suoi frutti in ogni settore dell’attività e dell’esistenza. Infatti, tutti i vari campi della vita laicale rientrano nel disegno di Dio, che li vuole come il «luogo storico» del rivelarsi e del realizzarsi della carità di Gesù Cristo a gloria del Padre e a servizio dei fratelli. Ogni attività, ogni situazione, ogni impegno concreto _ come, ad esempio, la competenza e la solidarietà nel lavoro, l’amore e la dedizione nella famiglia e nell’educazione dei figli, il servizio sociale e politico, la proposta della verità nell’ambito della cultura _ sono occasioni provvidenziali per un «continuo esercizio della fede, della speranza e della carità»  (…) il Concilio Vaticano II ha invitato tutti i fedeli laici denunciando con forza la gravità della frattura tra fede e vita, tra Vangelo e cultura: «Il Concilio esorta i cristiani, che sono cittadini dell’una e dell’altra città, di sforzarsi di compiere fedelmente i propri doveri terreni, facendosi guidare dallo spirito del Vangelo.

Sbagliano coloro che, sapendo che qui non abbiamo una cittadinanza stabile ma cerchiamo quella futura, pensano di poter per questo trascurare i propri doveri terreni, e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno (…). Il distacco, che si costata in molti, tra la fede che professano e la loro vita quotidiana, va annoverato tra i più gravi errori del nostro tempo»(212). Perciò ho affermato che una fede che non diventa cultura è una fede «non pienamente accolta, non interamente pensata non fedelmente vissuta»(CFL n. 59)

“Instaurare omnia in Christo”…. Non a caso con queste parole san Pio X iniziava il suo Pontificato all’inizio del ‘900….

quale significato hanno per noi oggi? ce lo dice Giovanni Paolo II quando nel 1993 andò a visitare la Parrocchia a dedicata a san Pio X a Roma….e nei tre incontri avuti sia con i bambini, che con i giovani che con il Consiglio Pastorale……ebbe a portare a tutti quale esempio san Pio X sottolineando l’importanza di avere non semplicemente una parrocchia, ma bensì di averla intitolata a “Qualcuno” che fosse per noi oggi di grande esempio e testimone della retta coscienza….

diceva Giovanni Paolo II: San Pio X ha trovato queste parole: “Instaurare omnia in Christo”. “Instaurare”, innovare, cercare in Lui sempre il recupero, l’instaurazione, la restaurazione di quello che è giusto, che è umano, che è pacifico, che è bello, che è sano e che è santo.
“Instaurare omnia” e “omnia” vuol dire la vita personale, la vita delle famiglie… (Visita alla parrocchia di San Pio X, 31 gennaio 1993)
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INSTAURARE OMNIA IN CHRISTO è così quell’annuncio per altro caro alla Tradizione della Chiesa che è il Cristo Re, un Re al quale ricapitolare tutte le cose ma principalmente i nostri cuori e quelli del nostro prossimo, esso fu anche il motto tanto caro a don Orione….tanto da ottenere  una indulgenza a chi lo recitasse…

Don Orione chiese una particolare indulgenza legata alle “parole “Instaurare omnia in Christo” dell’apostolo Paolo; si pronuncino esse da una sola o più persone con frase tutta unita, o si pronuncino staccate e da più individui, (come si suole nelle Case della Congregazione, dicendo: Instaurare omnia e rispondendosi: in Christo!), avendole come una aspirazione e un voto delle anime nostre che Cristo risusciti in tutti i cuori, e rinnovi in sé tutto l’uomo e tutti gli uomini”.

Ecco che alla pressante domanda se esistano due morali una prettamente del fedele laico ed un’altra del laico non credente, possiamo dire serenamente di “no”!

Quand’anche ci fosse nel laico in generale un rifiuto all’adesione al Cristo, la morale che dovrà seguire resterà sempre la medesima: nel momento in cui il laico non credente intendesse rinunciare a questa unica morale, finirebbe per inseguire una morale innaturale, ideologica, illusoria, devastante per se stesso e per gli altri.

Infatti o la morale esiste ed è unica e che deve applicarsi nelle diverse vocazioni dell’uomo e della sua propria vita, o questa morale “non esiste” e di conseguenza se non esistesse occorrerebbe inventarla….

Tuttavia è l’intelligenza stessa dell’uomo e della sua ragione che fa comprendere come la norma sul piano teorico deve essere la stessa di quell’unica morale che conduce l’uomo verso il “suo Bene” giacchè la teoria e la pratica di questa è definibile nella comune razionalità fra credenti e non credenti!

La questione si complica, infatti, quando le norme che compongono la morale vengono dissociate dal fine ultimo dell’Uomo nella sua dignità umana (la quale inizia dal suo concepimento e termina con la sua morte naturale) e quando vengono colte esclusivamente nell’esperienza personale escludendo, di fatto, la comunità sociale in cui si vive….è l’esempio iniziale che abbiamo fatto sull’aborto!

013 Teologia Chiesa 2A questo punto possiamo parlare ora della COSCIENZA….

Come per la morale abbiamo visto che non può esistere una doppia morale, tanto meno una doppia vita parallela, idem quando parliamo della coscienza; essa non può dividersi in “coscienza del cattolico-coscienza laica”

Innanzi tutto si faccia attenzione alla differenza ideologica che è stata creata tra il termine “laico” e il “laicismo”…. Tutti gli “ismi” sono sbagliati, passano presto di moda, come un temporale d’estate lasciando tuttavia dietro di se anche enormi devastazioni quando questi temporali assumono la forza dei tifoni e degli uragani….

Ma qual è questa differenza?

In sostanza, il “laico laicista” pone la “sua” morale personale al centro della propria realtà interiore, privandola tuttavia del suo “principio motorio” che è Dio=Bene, quel Bene che in fin dei conti egli ricerca nel modo sbagliato e nei posti sbagliati non trovandolo, ma spesse volte illudendosi di averlo trovato!

Il “fedele laico” invece, ponendo anch’egli la morale all’interno della sua sfera personale e nell’esperienza della propria vita, finisce necessariamente per confrontarsi e configurarsi a questo “principio motorio” trovando il vero Bene.

Nel primo caso, il laico laicista, finisce per assumere così una coscienza INDIVIDUALISTA ED EGOISTA dove l’appagamento supremo rimane quell’illusoria soddisfazione di ogni istinto…pur affermando di non avere alcun interesse verso Dio, di fatto se lo crea uno nel materialismo, nel danaro, nell’ideologia e, come abbiamo visto sopra, anche il pacifismo (che è ideologia) sfocia in un appagamento moralistico, in tal modo si ha una coscienza non morale ma moralista con tutto il danno che comporta a se stessi ma anche alla società….

Nel secondo caso invece, del fedele laico (se coerente fino in fondo naturalmente), egli assumerà un atteggiamento altruista non dettato dalle proprie voglie, non fine a se stesso, ma sempre proiettato verso un BENE più grande e a  vantaggio del vero Bene di ogni suo Prossimo.

Nel primo caso si perde la propria identità, nel secondo caso si assume una identità che alla fine di tutto non è una ideologia, questa identità assunta è una Persona: Gesù Cristo, il Dio con noi il quale per altro, vive anche in molti che inconsciamente sono ignari di questa realtà e che per questo è necessaria l’evangelizzazione, ossia, informare il Prossimo della BUONA NOVELLA, il Vangelo!

Dice san Tommaso d’Aquino che solo Dio è giudice della Coscienza e la coscienza non è isolata nella drammaticità delle sue scelte, ma sempre è connessa al suo fondamento!

Una coscienza, per esempio, consapevole della condizione umana segnata dall’eredità di Adamo (la quale può essere rifiutata, ma non per questo diventa una nozione falsa!), ma redenta da Cristo, non lascia mai nella solitudine etica la coscienza del credente e finisce sempre per rendere inquieta la coscienza del non credente.

A ragione diceva sant’Agostino: e il nostro cuore è inquieto fino a quando non riposa in Te, mio Signore!

L’umiltà, il riconoscimento dei propri limiti, l’abbandono all’esigenza di un Amore Misericordioso, la stessa ricerca e fiducia nel per-dono stemperano il dramma di certe scelte morali, o quando le interpretazioni si fanno conflittuali è qui che il fedele si configura nettamente e il cattolico sa quanto sia saggio fare ricorso alla coscienza e al dovere di seguirla nonostante questo (attraverso anche scelte che vanno contro la mentalità del mondo) potrà costargli l’amicizia di qualcuno, l’affetto dei propri cari, o l’impopolarità…fino anche a subire dure persecuzioni!

Al contrario, la coscienza del laicista, vive paradossalmente una libertà illusoria giacchè la sua scelta elimina dalla coscienza ogni riferimento all’etica ed alla morale, di fatto questa scelta è più…sbrigativa… indubbiamente all’inizio più facile e più comoda come scelta e tuttavia devastante nel tempo per se stesso e per gli altri quando appunto inizieranno a maturare i suoi frutti….Esso infatti non vive alcun dramma nelle sue scelte e non ha così la necessità di confrontarsi con gli altri, soprattutto se questi “altri” pongono Dio al centro di ogni confronto e non l’uomo (o una idea di vita) quale “sostituto” di Dio.

E’ per questo infatti che da sempre, una morale rigorosamente laicista, finisce per sostituire il “senso sacro dell’esistenza” con i MITI, con le ideologie, con i surrogati….

  • Ecco alcuni esempi:
  • – ricerca esclusiva, priorità del proprio benessere  a discapito del prossimo;
  • – calcolare la propria vita in funzione delle personali necessità e passioni a prescindere dalle regole sociali che le animano;
  • – allontanare costantemente ogni valore che si fonde sulla
  • sofferenza dell’uomo, sulla malattia, sulla morte….
  • –  primato della propria autonomia sulla solidarietà la quale diventa appannaggio ideologico e partitico anziché essere ciò che realmente è: Misericordia di Dio!

Per comprendere meglio quest’ultimo aspetto possiamo analizzarlo così:quando un fedele laico compie un atto di solidarietà, non assimila a sé stesso l’atto compiuto, ma lo svolge in nome di Gesù Cristo è così il Cristo stesso che attraverso il fedele è l’Autore di quell’atto che definiamo “provvidenza-provvidenziale”….Il laico laicista al contrario, rivendica a sé  stesso (o al partito) l’atto di solidarietà negando una Provvidenza Divina che si attiva per mezzo della collaborazione fra l’uomo e Dio.

_032 Laudetur Jesus Christus 3Ora se è pur vero che ogni atto compiuto in favore di un soggetto debole è sempre frutto dell’Amore di Dio verso il quale il non credente che lo compie non conoscendo la provenienza non ha colpe….è palese che la Carità esercitata nel primo caso, in nome di Cristo, diventa un mezzo efficace e più completo che porta al debole soccorso non soltanto un bene materiale, ma soprattutto un BENE più grande che è l’Amore di Dio verso di lui….ossia si evangelizza questa Misericordia che fa conoscere all’altro che egli è Amato per ciò che è!

Ricordava Giovanni XXIII come l’amore degli uomini per il Prossimo senza il Cristo diventasse un amore “disumano” giacchè Lui, Gesù Cristo, è la perfezione della nostra vera umanità….

scrive il Papa Benedetto XVI nella Enciclica Spe Salvi:

  • ”La fede conferisce alla vita una nuova base, un nuovo fondamento sul quale l’uomo può poggiare e con ciò il fondamento abituale, l’affidabilità del reddito materiale, appunto, si relativizza. Si crea una nuova libertà di fronte a questo fondamento della vita che solo apparentemente è in grado di sostentare, anche se il suo significato normale non è con ciò certamente negato. Questa nuova libertà, la consapevolezza della nuova « sostanza » che ci è stata donata, si è rivelata non solo nel martirio, in cui le persone si sono opposte allo strapotere dell’ideologia e dei suoi organi politici, e, mediante la loro morte, hanno rinnovato il mondo.
  •  Essa si è mostrata soprattutto nelle grandi rinunce a partire dai monaci dell’antichità fino a Francesco d’Assisi e alle persone del nostro tempo che, nei moderni Istituti e Movimenti religiosi, per amore di Cristo hanno lasciato tutto per portare agli uomini la fede e l’amore di Cristo, per aiutare le persone sofferenti nel corpo e nell’anima. Lì la nuova « sostanza » si è comprovata realmente come « sostanza », dalla speranza di queste persone toccate da Cristo è scaturita speranza per altri che vivevano nel buio e senza speranza.
  •  Lì si è dimostrato che questa nuova vita possiede veramente « sostanza » ed è una « sostanza » che suscita vita per gli altri. Per noi che guardiamo queste figure, questo loro agire e vivere è di fatto una « prova » che le cose future, la promessa di Cristo non è soltanto una realtà attesa, ma una vera presenza: Egli è veramente il «filosofo» e il « pastore » che ci indica che cosa è e dove sta la vita”.

La libertà dell’Uomo e la Speranza, verso la quale PER NATURA TENDE, ci suggerisce il Papa, è il nucleo centrale per cui l’uomo vive

Un uomo senza Speranza è una Persona che NON vive, e la speranza è quella realtà che rende l’Uomo LIBERO NELLA RICERCA…..ricerca interiore ed esteriore a dare risposta alle domande che lo animano…..

Diventa dunque deleterio imporre una carità privata del suo fondamento che è Cristo, diventa pietismo…

A ragione scrive così Benedetto XVI nella sua Enciclica Deus Caritas est:

  • “ La vera novità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti — un realismo inaudito.(…)
  • È a partire da questo principio che devono essere comprese anche le grandi parabole di Gesù. Il ricco epulone (cfr Lc 16, 19-31) implora dal luogo della dannazione che i suoi fratelli vengano informati su ciò che succede a colui che ha disinvoltamente ignorato il povero in necessità. Gesù raccoglie per così dire tale grido di aiuto e se ne fa eco per metterci in guardia, per riportarci sulla retta via. La parabola del buon Samaritano (cfr Lc 10, 25-37) conduce soprattutto a due importanti chiarificazioni. Mentre il concetto di « prossimo » era riferito, fino ad allora, essenzialmente ai connazionali e agli stranieri che si erano stanziati nella terra d’Israele e quindi alla comunità solidale di un paese e di un popolo, adesso questo limite viene abolito. Chiunque ha bisogno di me e io posso aiutarlo, è il mio prossimo. Il concetto di prossimo viene universalizzato e rimane tuttavia concreto. Nonostante la sua estensione a tutti gli uomini, non si riduce all’espressione di un amore generico ed astratto, in se stesso poco impegnativo, ma richiede il mio impegno pratico qui ed ora. Rimane compito della Chiesa interpretare sempre di nuovo questo collegamento tra lontananza e vicinanza in vista della vita pratica dei suoi membri.
  • Infine, occorre qui rammentare, in modo particolare, la grande parabola del Giudizio finale (cfr Mt 25, 31-46), in cui l’amore diviene il criterio per la decisione definitiva sul valore o il disvalore di una vita umana. Gesù si identifica con i bisognosi: affamati, assetati, forestieri, nudi, malati, carcerati. « Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me » (Mt 25, 40). Amore di Dio e amore del prossimo si fondono insieme: nel più piccolo incontriamo Gesù stesso e in Gesù incontriamo Dio.(…)La preghiera come mezzo per attingere sempre di nuovo forza da Cristo, diventa qui un’urgenza del tutto concreta.
  • Chi prega non spreca il suo tempo, anche se la situazione ha tutte le caratteristiche dell’emergenza e sembra spingere unicamente all’azione. La pietà non indebolisce la lotta contro la povertà o addirittura contro la miseria del prossimo. La beata Teresa di Calcutta è un esempio molto evidente del fatto che il tempo dedicato a Dio nella preghiera non solo non nuoce all’efficacia ed all’operosità dell’amore verso il prossimo, ma ne è in realtà l’inesauribile sorgente. Nella sua lettera per la Quaresima del 1996 la beata scriveva ai suoi collaboratori laici: « Noi abbiamo bisogno di questo intimo legame con Dio nella nostra vita quotidiana. E come possiamo ottenerlo? Attraverso la preghiera ».
  • È venuto il momento di riaffermare l’importanza della preghiera di fronte all’attivismo e all’incombente secolarismo di molti cristiani impegnati nel lavoro caritativo. Ovviamente, il cristiano che prega non pretende di cambiare i piani di Dio o di correggere quanto Dio ha previsto. Egli cerca piuttosto l’incontro con il Padre di Gesù Cristo, chiedendo che Egli sia presente con il conforto del suo Spirito in lui e nella sua opera. La familiarità col Dio personale e l’abbandono alla sua volontà impediscono il degrado dell’uomo, lo salvano dalla prigionia di dottrine fanatiche e terroristiche. Un atteggiamento autenticamente religioso evita che l’uomo si eriga a giudice di Dio, accusandolo di permettere la miseria senza provar compassione per le sue creature. Ma chi pretende di lottare contro Dio facendo leva sull’interesse dell’uomo, su chi potrà contare quando l’azione umana si dimostrerà impotente? “

E questa cosiddetta “Caritas” non è una pura organizzazione, come altre organizzazioni filantropiche, ma necessaria espressione dell’atto più profondo dell’amore personale con cui Dio ci ha creati, suscitando nel nostro cuore la spinta verso l’amore, riflesso del Dio Amore che ci rende sua immagine. (Benedetto XVI Udienza del 18.1.2006)

Ecco allora che l’uso “profano-pagano” della vita finisce inesorabilmente per coincidere con una logica che esclude Dio dal percorso dell’Uomo, disumanizzando l’uomo stesso che invece è immagine di Dio a prescindere questo da chi vuole o non vuole credere in Dio….Tale e devastante realtà conduce così la vita dell’uomo verso il relativismo funzionale escludendo per mezzo di una imposizione inaccettabile il “senso del sacro” che è invece una profonda necessità per l’uomo di ogni tempo e il fine ultimo della vita di ogni uomo.

“Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?” (Mc.8,36)

Questa domanda non interpella esclusivamente i fedeli laici, ma tutti gli uomini, nessuno è escluso! La coscienza del laicista infatti stravolge questa domanda in questo modo:“ Che mi giova vivere una vita di sacrifici e di sofferenza, di umiltà e di valori morali, se tanto io non credo in Dio? Se questo Dio esiste comprenderà allora anche le mie scelte compiute da una coscienza onesta che non ha mai fatto danno al prossimo, che ha compiuto la carità, ma se non esistesse allora avrò avuto il coraggio di fare delle scelte che ritenevo giuste!”

Come possiamo leggere a muovere questa coscienza laicista è un individualismo egoista che ha come principio motorio solo il suo “io e le sue voglie”, nessun bene potrà derivare da una coscienza che agisce per se stesso.

La dignità umana infatti non può essere privata della sua “uguaglianza con Dio” se non attraverso appunto un atto IMPOSITORE da parte di qualcuno.

L’uomo è chiamato così nel tempo che vive per scoprire questa UNICA verità che poi indubbiamente potrà rifiutare o accogliere nel pieno esercizio del proprio libero arbitrio…per questo ogni violazione verso la dignità umana comincia proprio dal suo concepimento e fino alla sua morte naturale e quando il diritto alla vita viene rimosso per mezzo di leggi omicide come è quella sull’aborto, subentra non solo l’offesa all’uomo al quale viene impedito di nascere, ma è una offesa grave al Creatore, a Dio il Sommo Bene (cfr. Christifideles Laici n.37)

Diceva l’allora card. Ratzinger:

Meno visibili, ma non per questo meno inquietanti, sono le possibilità di automanipolazione che l’uomo ha acquisito. Egli ha scandagliato i recessi dell’essere, ha decifrato le componenti dell’essere umano, e ora è in grado, per così dire, di “costruire” da sé l’uomo, che così non viene più al mondo come dono del Creatore, ma come prodotto del nostro agire, prodotto che, pertanto, può anche essere selezionato secondo le esigenze da noi stessi fissate.

Così, su quest’uomo non brilla più lo splendore del suo essere immagine di Dio, che è ciò che gli conferisce la sua dignità e la sua inviolabilità, ma soltanto il potere delle capacità umane. Egli non è più altro che immagine dell’uomo – ma, di quale uomo? (card. J. Ratzinger “Conferenza su – l’Europa nella crisi delle culture – per la consegna del premio “ S. Benedetto” Subiaco 1-4-2005)

Egli non è più altro che immagine dell’uomo – ma, di quale uomo?

Se la coscienza laicista spinge l’uomo a creare sé stesso secondo le personali scelte e prerogative umane, viene messa in pericolo l’identità dell’Uomo, questa sua immagine di Dio che vediamo nelle molteplici DIVERSITA’ anche allora nell’ammalato, nel sofferente, nel carcerato, nell’indigente, nelle persone “normali” che vivono dignitosamente e si sono costruiti dignitosamente un posto nella società…Di conseguenza la coscienza laicista è eretica ossia, applica una netta separazione dal vero significato di che cosa è la coscienza e la morale che da essa proviene, comune a tutti gli uomini!

Sempre nella Crhistifideles Laici Giovanni Paolo II traccia comunque anche quei pericoli che coinvolgono oggi i fedeli laici, la sua denuncia è forte, dice:

“ Le difficoltà riguardano due tentazioni alle quali il LAICATO non ha saputo sottrarsi dopo il Concilio:

1)     la tentazione di impegnarsi nei servizi e nei compiti ecclesiali a tal punto da aver preteso di sostituirsi al sacerdote, al vescovo, al papa…. Disimpegnandosi però nelle sue specifiche realtà nel mondo professionale, coniugale, politico, culturale…;

2)     e la tentazione di legittimare l’indebita separazione tra la fede e la vita, tra la fede e la ragione….”

Indubbiamente queste parole ci rimandano al contesto che stiamo vivendo dei così detti “cattolici adulti” quei cattolici che indebitamente credono di poter far a meno della Chiesa ma che alla fine per mandare avanti una loro coscienza fatta di disobbedienze, finiscono per vivere una vita laicista: divorziano, abortiscono, compiono atti illeciti, sul posto di lavoro non adoperano l’etica e la morale cristiana, sostengono ideologie avverse al cristianesimo, infondono nel mondo l’oscurità escludendo Cristo e la Chiesa dai loro DOVERI, alimentano continuamente la confusione, e spesso diffondono le proprio opinioni suicide spacciandole per interpretazioni dottrinali, spesso sono causa essi stessi di astio e collera dei non cattolici verso la Chiesa, verso i Comandamenti perchè quando si offusca la Verità, si alimenta immediatamente la menzogna la quale reca inimicizia….

E’ necessario infatti non dimenticare che l’uomo ha innanzi tutto dei DOVERI da applicare per se stesso e per la Società, prima ancora di pretendere i diritti!

Viviamo in un mondo in cui il concetto DEL DOVERE è stato superato dalla cultura del DIRITTO, ribaltando la situazione si è andato rafforzando quel relativismo che porta l’uomo AD ESIGERE OGNI DIRITTO a discapito di ogni legge naturale, di ogni etica e di ogni morale che formano quei doveri senza i quali nessuna società può esistere….

La stessa coscienza così viene nutrita dall’egoismo e dall’individualismo fino a pretendere di uccidere i concepiti se solo si sospetta in essi il germe della malattia, anzi, li si selezionano nei laboratori per pretendere una razza pura….il concetto dell’essere più forte, sano e BELLO sta superando e sostituisce la realtà dei limiti dell’uomo dati dalla sofferenza, dalla malattia, dalla Croce….in questo modo un soggetto malato diventa “socialmente inutile” e per tanto deve essere eliminato! E’ anche per questo che si insiste molto sulla piaga dell’aborto dal quale derivano la gran parte dei problemi etici del nostro tempo, come infatti diceva Madre Teresa di Calcutta: “non può esistere una vera Pace se questa non inizia dal grembo materno…”.

Dice a ragione Benedetto XVI nella Spe Salvi cap. 3

  1. La protesta contro Dio in nome della giustizia non serve. Un mondo senza Dio è un mondo senza speranza (cfr Ef 2,12). Solo Dio può creare giustizia. E la fede ci dà la certezza: Egli lo fa. L’immagine del Giudizio finale è in primo luogo non un’immagine terrificante, ma un’immagine di speranza; per noi forse addirittura l’immagine decisiva della speranza. Ma non è forse anche un’immagine di spavento?

Io direi: è un’immagine che chiama in causa la responsabilità. Un’immagine, quindi, di quello spavento di cui sant’Ilario dice che ogni nostra paura ha la sua collocazione nell’amore [35]. Dio è giustizia e crea giustizia. È questa la nostra consolazione e la nostra speranza. Ma nella sua giustizia è insieme anche grazia. Questo lo sappiamo volgendo lo sguardo sul Cristo crocifisso e risorto. Ambedue – giustizia e grazia – devono essere viste nel loro giusto collegamento interiore.

La grazia non esclude la giustizia. Non cambia il torto in diritto.
Non è una spugna che cancella tutto così che quanto s’è fatto sulla terra finisca per avere sempre lo stesso valore.

Contro un tale tipo di cielo e di grazia ha protestato a ragione, per esempio, Dostoëvskij nel suo romanzo « I fratelli Karamazov ». I malvagi alla fine, nel banchetto eterno, non siederanno indistintamente a tavola accanto alle vittime, come se nulla fosse stato. (…)

Gesù, nella parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro (cfr Lc 16,19-31), ha presentato a nostro ammonimento l’immagine di una tale anima devastata dalla spavalderia e dall’opulenza, che ha creato essa stessa una fossa invalicabile tra sé e il povero: la fossa della chiusura entro i piaceri materiali, la fossa della dimenticanza dell’altro, dell’incapacità di amare, che si trasforma ora in una sete ardente e ormai irrimediabile. Dobbiamo qui rilevare che Gesù in questa parabola non parla del destino definitivo dopo il Giudizio universale, ma riprende una concezione che si trova, fra altre, nel giudaismo antico, quella cioè di una condizione intermedia tra morte e risurrezione, uno stato in cui la sentenza ultima manca ancora”.

***

In definitiva non abbiamo altra scelta:

– o seguiamo la ragione e con essa la ricerca del VERO BENE seguendo una coscienza retta e privata delle ideologie del mondo;

– o seguiamo  l’irragionevolezza e con essa dunque andiamo alla deriva della nostra identità imponendo sempre di più il suicidio dell’uomo e calpestando la sua dignità….

non esiste la via di mezzo!

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Ci piace concludere questo lavoro che offriamo alla Divina Provvidenza, attraverso un quadro ancora tratto dalle due prime Encicliche di Benedetto XVI Deus Caritas est e dalla Spe Salvi, senza dimenticare la terza la Caritas in Veritate nella quale riprende spesso i medesimi concetti sviluppandoli anche all’interno del contesto della grave crisi economica che il mondo sta vivendo.

Possiamo dire che Benedetto XVI ha ripreso, con le tre Encicliche, le famose e purtroppo dimenticate “Tre virtù teologali”: la Fede, la Speranza e la Carità, entrambe inscindibili l’una dall’altra, entrambe fondamentali per una retta coscienza, Esse – ci ricorda Benedetto XVI – devono tuttavia essere tradotti abitualmente nella vita quotidiana dei cristiani per rendere credibile il vangelo davanti a una umanità alla ricerca di senso.

– La Deus Caritas est inizia con le parole che sintetizzano la coscienza dell’agire di ogni uomo che scopre di essere amato e che si sente davvero amato: « Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui » (1 Gv 4, 16). Queste parole della Prima Lettera di Giovanni esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l’immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell’uomo e del suo cammino.

– La Spe salvi inizia sottolineando e approfondendo i concetti di fede e di speranza nei fondamenti biblici dei capitoli 10 e 11 della Lettera agli Ebrei (cfr n. 7). Da qui l’espressione “la fede è speranza”.

– Con la Caritas in Veritate, il Pontefice pone l’accento sul concetto di verità che racchiude entrambe: la fede, la speranza e la carità, e dice: “Difendere la verità, proporla con umiltà e convinzione e testimoniarla nella vita sono pertanto forme esigenti e insostituibili di carità. Questa, infatti, « si compiace della verità » (1 Cor 13,6). Tutti gli uomini avvertono l’interiore impulso ad amare in modo autentico: amore e verità non li abbandonano mai completamente, perché sono la vocazione posta da Dio nel cuore e nella mente di ogni uomo.”

Questi alcuni dei punti fondamentali toccati dalle Encicliche:

  • La Chiesa non deve imporre la fede (Essa è nel mondo, ma non è del mondo, essa non è un tribunale giacchè Cristo non è venuto per giudicare – verrà per farlo alla fine dei tempi – ma per salvare anche se, per farlo, sono necessari per l’Uomo i Comandamenti, è necessaria una presa di coscienza ragionevole educata alla speranza altrimenti diventa impossibile non solo comprendere i Comandamenti ma soprattutto applicarli attribuendo – irragionevolmente ed ideologicamente – così alla Chiesa, imposizioni che non ha mai fatto.)

Per la Chiesa, l’azione caritativa “non deve essere un mezzo in funzione di ciò che oggi viene indicato come proselitismo. L’amore – spiega il Pontefice – è gratuito; non viene esercitato per raggiungere altri scopi. Chi esercita la carità in nome della Chiesa non cercherà mai di imporre agli altri la fede della Chiesa. Egli sa che l’amore nella sua purezza e nella sua gratuità è la miglior testimonianza del Dio nel quale crediamo e dal quale siamo spinti ad amare”. “In un mondo in cui al nome di Dio viene a volte collegata la vendetta o perfino il dovere dell’odio e della violenza, questo – sottolinea Benedetto XVI – è un messaggio di grande attualità e di significato molto concreto. Per questo nella mia prima Enciclica desidero parlare dell’amore, del quale Dio ci ricolma e che da noi deve essere comunicato agli altri”. Secondo il Papa, “il cristiano sa quando è tempo di parlare di Dio e quando è giusto tacere di Lui e lasciar parlare solamente l’amore. Egli sa che il vilipendio dell’amore è vilipendio di Dio e dell’uomo”. (Deus Caritas est)

  • Lo Stato non provveda a tutto (A Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio non è un contrapporsi, ma un COLLABORARE, lavorare insieme)

“Non uno Stato che regoli e domini tutto è ciò che ci occorre, ma invece uno Stato che generosamente riconosca e sostenga, nella linea del principio di sussidiarietà, le iniziative che sorgono dalle diverse forze sociali e uniscono spontaneità e vicinanza agli uomini bisognosi di aiuto”. Per il Papa, “lo Stato che vuole provvedere a tutto, che assorbe tutto in sé, diventa in definitiva un’istanza burocratica che non può assicurare l’essenziale di cui l’uomo sofferente ha bisogno: l’amorevole dedizione personale”.

Nell’Enciclica Benedetto XVI esalta poi il ruolo del volontariato. “Un fenomeno importante del nostro tempo – scrive – è il sorgere e il diffondersi di diverse forme di volontariato, che si fanno carico di una molteplicità di servizi. Vorrei qui indirizzare una particolare parola di apprezzamento e di ringraziamento a tutti coloro che partecipano in vario modo a queste attività”. (Deus Caritas est)

  • La Chiesa non faccia politica (così come lo Stato non può occuparsi delle anime, per questo deve garantire la libertà di Culto e deve saper ascoltare – è un suo dovere – ciò che il credente ha da dire e da proporre)

Benedetto XVI ribadisce nella sua Enciclica che fede e politica sono “due sfere distinte, ma sempre in relazione reciproca” e che dunque “il giusto ordine della società e dello Stato è compito centrale della politica”. Alla visione propria del cristianesimo appartiene infatti “la distinzione tra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio, cioè la distinzione tra Stato e Chiesa o, come dice il Concilio Vaticano II, l’autonomia delle realtà temporali”. “La formazione di strutture giuste – spiega il Papa – non è immediatamente compito della Chiesa, ma appartiene alla sfera della politica, cioé all’ambito della ragione autoresponsabile. In questo, il compito della Chiesa è mediato, in quanto le spetta di contribuire alla purificazione della ragione e al risveglio delle forze morali, senza le quali non vengono costruite strutture giuste, né queste possono essere operative a lungo”. “La Chiesa – continua Benedetto XVI – non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. Non può e non deve mettersi al posto dello Stato. Ma non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia”. (Desu Caritas est)

  • Modello per la Chiesa non è Marx ma Madre Teresa

Benedetto XVI invita i fedeli, schiacciati dal peso del male e delle ingiustizie, a non lasciarsi tentare dall’ideologia marxista e a trovare la forza di resistere ad essa e alla tentazione opposta di abbandonare ogni impegno sociale con la forza della preghiera. Come faceva Madre Teresa di Calcutta. “L’esperienza della smisuratezza del bisogno può – confida nell’enciclica – spingerci nell’ideologia che pretende di fare ora quello che il governo del mondo da parte di Dio, a quanto pare, non consegue: la soluzione universale di ogni problema. Dall’altro lato, essa può diventare tentazione all’inerzia sulla base dell’impressione che, comunque, nulla possa essere realizzato”. Per il Papa, “chi prega non spreca il suo tempo, anche se la situazione ha tutte le caratteristiche dell’emergenza e sembra spingere unicamente all’azione”. “La pietà – scrive ancora Benedetto XVI – non indebolisce la lotta contro la povertà o addirittura contro la miseria del prossimo. La beata Teresa di Calcutta è un esempio molto evidente del fatto che il tempo dedicato a Dio nella preghiera non solo non nuoce all’efficacia ed all’operosità dell’amore verso il prossimo, ma ne è in realtà l’inesauribile sorgente”. (Deus Caritas Est)

  • Il Marxismo ha lasciato il posto alla globalizzazione

Benedetto XVI considera sia il comunismo che il capitalismo (che oggi ispira la globalizzazione in atto) forme di materialismo che impoveriscono a livello sociale i valori della persona. “Il marxismo – spiega nell’enciclica – aveva indicato nella rivoluzione mondiale e nella sua preparazione la panacea per la problematica sociale”. Secondo Papa Ratzinger, “attraverso la rivoluzione e la conseguente collettivizzazione dei mezzi di produzione doveva improvvisamente andare tutto in modo diverso e migliore, ma questo sogno è svanito”. E nella “situazione difficile” che il mondo sta attraversando “anche a causa della globalizzazione dell’economia”, la dottrina sociale della Chiesa “è diventata un’indicazione fondamentale, che propone orientamenti validi ben al di la’ dei confini di essa: questi orientamenti, di fronte al progredire dello sviluppo, devono essere affrontati nel dialogo con tutti coloro che si preoccupano seriamente dell’uomo e del suo mondo”. (Deus Caritas est)

E ancora dice il Pontefice nella Spe Salvi:

  1. Così ci troviamo nuovamente davanti alla domanda: che cosa possiamo sperare? È necessaria un’autocritica dell’età moderna in dialogo col cristianesimo e con la sua concezione della speranza. In un tale dialogo anche i cristiani, nel contesto delle loro conoscenze e delle loro esperienze, devono imparare nuovamente in che cosa consista veramente la loro speranza, che cosa abbiano da offrire al mondo e che cosa invece non possano offrire. Bisogna che nell’autocritica dell’età moderna confluisca anche un’autocritica del cristianesimo moderno, che deve sempre di nuovo imparare a comprendere se stesso a partire dalle proprie radici. Su questo si possono qui tentare solo alcuni accenni. Innanzitutto c’è da chiedersi: che cosa significa veramente « progresso »; che cosa promette e che cosa non promette? Maria riassume tutte le virtù cristiane (vero modello per ogni Donna ma anche modello per i non credenti che ben si inserisce in ogni generazione e in ogni tempo a vantaggio della Società)

Per Benedetto XVI, Maria, “Madre del Signore e specchio di ogni santità”, riassume in se stessa tutte le virtù cristiane, cioé la fede, la speranza e la carità. “Maria – spiega il Pontefice nel documento – è grande proprio perché non vuole rendere grande se stessa, ma Dio. E’ una donna di speranza: solo perché crede alle promesse di Dio e attende la salvezza di Israele, l’angelo può venire da lei e chiamarla al servizio decisivo di queste promesse. E’ una donna di fede che parla e pensa con la Parola di Dio e in quanto tale non può essere che una donna che ama”. (Deus Caritas Est)

E dice il Pontefice nella Spe Salvi: Maria, Stella della speranza

L’enciclica Spe salvi (salvati nella speranza, Rom 8,24) termina con due lunghi paragrafi dedicati a Maria (nn. 49-50). «Con un inno dell’VIII/IX secolo, quindi da più di mille anni, la Chiesa saluta Maria, la Madre di Dio, come stella del mare :

Ave maris stella. La vita umana è un cammino. Verso quale meta? Come ne troviamo la strada? La vita è come un viaggio sul mare della storia, spesso oscuro ed in burrasca, un viaggio nel quale scrutiamo gli astri che ci indicano la rotta. Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente.
Esse sono luci di speranza. Certo, Gesù Cristo è la luce per antonomasia, il sole sorto sopra tutte le tenebre della storia. Ma per giungere fino a Lui abbiamo bisogno anche di luci vicine di persone che donano luce traendola dalla sua luce ed offrono così orientamento per la nostra traversata. E quale persona potrebbe più di Maria essere per noi stella di speranza lei che con il suo sì aprì a Dio stesso la porta del nostro mondo; lei che diventò la vivente Arca dell’Alleanza, in cui Dio si fece carne, divenne uno di noi, piantò la sua tenda in mezzo a noi (cf Gv 1,14)? (nn. 49-50)

  • Quello tra uomo e donna è l’unico matrimonio

“All’immagine del Dio monoteistico – spiega il Papa – corrisponde il matrimonio monogamico. Il matrimonio basato su un amore esclusivo e definitivo diventa l’icona del rapporto di Dio con il suo popolo e viceversa: il modo di amare di Dio diventa la misura dell’amore umano. Questo stretto nesso tra eros e matrimonio nella Bibbia quasi non trova paralleli nella letteratura al di fuori di essa”. Per il Pontefice, “l’amore tra uomo e donna, nel quale corpo e anima concorrono inscindibilmente e all’essere umano si schiude una promessa di felicita’ che sembra irresistibile, emerge come archetipo di amore per eccellenza, al cui confronto, a prima vista, tutti gli altri tipi di amore sbiadiscono”. A questo proposito, il documento ripercorre “il vasto campo semantico della parola amore: si parla di amor di patria, di amore per la professione, di amore tra amici, di amore per il lavoro, di amore tra genitori e figli, tra fratelli e familiari, dell’amore per il prossimo e dell’amore per Dio”. Ma afferma che proprio il matrimonio uomo-donna e’ l’unico vero modello di tutti gli altri, in quanto è il riflesso più completo dell’amore di Dio.

Laudetur Jesus Christus + Ave Maria.

8 agosto 2012, Festa di san Domenico di Guzman 

ATTO DI FEDE

Mio Dio, perchè sei verità infallibile, credo fermamente tutto quello che hai rivelato e la santa Chiesa ci propone a credere. Ed espressamente credo in te, unico vero Dio in tre Persone uguali e distinte, Padre, Figlio e Spirito Santo. E credo in Gesù Cristo, figlio di Dio, incarnato, morto e risorto per noi il quale darà a ciascuno, secondo i meriti, il premio o la pena eterna. Conforme a questa fede voglio sempre vivere. Signore, accresci la mia fede.

ATTO DI SPERANZA

Mio Dio, spero dalla tua bontà, per le tue promesse e per i meriti di Gesù Cristo, nostro Salvatore, la vita eterna e le grazie necessarie per meritarla con le buone opere, che io , debbo e voglio fare. Signore, che io possa goderti in eterno.

ATTO DI CARITÀ

Mio Dio, ti amo con tutto il cuore sopra ogni cosa, perche sei bene infinito e nostra eterna felicità; e per amor tuo amo il prossimo come me stesso, e perdono le offese ricevute. Signore, che io ti ami sempre più.

AVE O MARIA

Invioláta, integra, et casta es Maria:

Quae es effécta fulgida caeli porta.

O Mater alma Christi carissima:

Suscipe pia laudum praeconia.

Te nunc flágitant devota corda et ora:

Nostra ut pura péctora sint et corpora.

Tua per precata dulcisona:

Nobis concédas véniam per saecula.

O benigna! O Regina! O Maria!

Quae sola inviolata permansisti. Amen!

Immacolata ed Inviolata, casta sei Maria:

Questo sei, porta splendente del cielo

O Madre dal Cristo amatissima:

odi la lode, Casta la vita scorra,

sia limpido l’animo, così t’implorino i cuori

per la tua dolce supplica.

A noi colpevoli scenda il perdono di Dio.

O benigna, O Regina, O Maria,

Tu che sola inviolata e pura, rimanesti.. Amen

Infine, per consolidare questi ed altri lavori, vi invitiamo ad ascoltare il domenicano Padre Carbone e il professore Stefano Fontana, sul chiarissimo dibattito in cosa consiste IL BENE COMUNE E LA COSCIENZA RETTA nella Dottrina sociale della Chiesa… come potrete constatare voi stessi, non ci inventiamo un bel nulla:

Nessun copyright, nessuna censura alle parole del Pontefice, si distribuisca il tutto gratuitamente, se gradito, al solo gesto di coscienza di citarne la provenienza e la fonte, evitando di estrapolarne i contenuti rischiando di far dire al contenuto stesso ciò che non ho detto, specialmente se si dovesse interpretare qualche passo contro il Magistero della Chiesa. Si consideri per tanto che tutta la sostanza dei testi e dei nostri umili video, non devono essere mai dissociati dal Magistero della Chiesa, dal quale dipende ogni corretta interpretazione.

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