Era il 1° novembre del 1954 quando, il Venerabile Pio XII nell’incoronare la Salus Populi Romani, affermò ufficialmente che – in questi tempi martoriati – Dio ha decretato “IL REGNO DI MARIA”, Maria Regina è scesa in campo per combattere insieme ai figli redenti dal Figlio Divino: “in un’ora, in cui nessuno può permettersi un istante di riposo, quando in tante regioni la giusta libertà è oppressa, la verità offuscata dal lavorio di una propaganda mendace, e le forze del male sembrano quasi scatenate sulla terra!“
Per chi lo preferisce, qui…. il testo con la preghiera in video-audio:
Era la conclusione dell’anno Mariano e ad istituzione della festa della regalità di Maria Santissima con l’Enciclica «Ad Coeli Reginam» dell’11 ottobre 1954, che sarà celebrata dal 1955, ogni anno, il 31 maggio, Pio XII ha incoronato “Immago B.V. Mariae; est in quondam grossa tabula, cum imagine filii brachio sinistro, quam depinaxit Sanctus Lucas Evangelista”.
Meglio conosciuta da tutti col nome di: “Salus Populi Romani”.
L’immagine venne trasportata in San Pietro, da Santa Maria Maggiore, e le due corone, per la Vergine e per il Bambino, vennero imposte con solenne rito.
Secondo il desiderio espresso dal Pontefice, la corona della Vergine Santa doveva esprimere la calda purezza dell’Immacolata e tale concetto viene simbolicamente reso dai gigli stupendi che sorgono dalla fascia di base, in tre gruppi e reggono i contorni delicati della corona regale.
Identica, seppur proporzionata alle dimensioni, la corona che cinge il capo del Bambino Gesù.
Nel centro della grande corona vi è il topazio che appartenne ai re di Francia e che fu donato da Luigi XVI all’episcopato francese, perché ne fosse ornato un anello vescovile. Ultimo a portarlo è stato il vescovo di Chartres, che lo ha offerto, prima di morire, insieme ad altri doni. La parte inferiore della fascia basale della corona reca la scritta: “Pius 12° P.M. Deiparae Reginae Kal. Nov. 1954 A Mar.”
Le preziose corone sono state offerte al Papa da tutti i fedeli del mondo cattolico.
Pio XII esprime affettuose e filiali parole mentre incorona la Vergine a nome della Chiesa universale, dedicandole una intensa preghiera:
“Lungi dall’essere fondato sulle esigenze dei suoi diritti e la volontà di un altero dominio, il regno di Maria non conosce che un’aspirazione:
il pieno dono di sé nella sua più alta e totale generosità (…)
Regnate, o Madre e Signora,
(…) sugl’individui e sulle famiglie, come sulle società e le nazioni;
sulle assemblee dei potenti,
sui consigli dei savi, come sulle semplici aspirazioni degli umili…” (…)
Questo il testo integrale
DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO PP. XII
IN ONORE DI MARIA REGINA*
Lunedì, 1° novembre 1954
Le testimonianze di omaggio e di devozione verso la Madre di Dio, che l’Universo cattolico ha moltiplicate nei mesi trascorsi, hanno provato splendidamente, così nelle pubbliche dimostrazioni, come nelle più modeste intraprese della pietà privata, il suo amore verso la Vergine Maria e la fede nei suoi incomparabili privilegi. Ma affine di coronare tutte queste manifestazioni con una solennità particolarmente significativa dell’Anno Mariano, abbiamo voluto istituire e celebrare la Festa della Regalità di Maria.
Nessuno di voi, diletti figli e figlie, vorrà maravigliarsene, nè pensare che si sia trattato di decretare alla Vergine un titolo nuovo. I fedeli cristiani non ripetono forse già da secoli nelle Litanie Lauretane le invocazioni, che salutano Maria col nome di Regina? E la recita del santo Rosario, proponendo in pia meditazione la memoria dei gaudi, dei dolori e delle glorie della Madre di Dio, non termina forse col ricordo radioso di Maria accolta in cielo dal suo Figliuolo e da Lui ornata col diadema reale?
Non è stata dunque Nostra intenzione d’introdurre qualche novità, ma piuttosto di far brillare agli occhi del mondo, nelle presenti circostanze, una verità atta ad apportare rimedio ai suoi mali, a liberarlo dalle sue angosce e ad indirizzarlo verso il cammino di salute, che esso ansiosamente ricerca.
Meno ancora che quella del suo Figlio, la regalità di Maria non deve essere concepita in analogia con le realtà della vita politica moderna. Senza dubbio non si possono rappresentare le meraviglie del cielo che mediante le parole e le espressioni, ben imperfette, del linguaggio umano : ma ciò non significa punto che, per onorare Maria, si debba aderire ad una determinata forma di governo o ad una particolare struttura politica. La regalità di Maria è una realtà ultraterrena, che però, al tempo stesso, penetra sin nel più intimo dei cuori e li tocca nella loro essenza profonda, in ciò che essi hanno di spirituale e d’immortale.
L’origine delle glorie di Maria, il momento solenne che illumina tutta la sua persona e la sua missione, è quello in cui, piena di grazia, rivolse all’Arcangelo Gabriele il «Fiat», che esprimeva il suo assenso alla disposizione divina; in tal guisa Ella diveniva Madre di Dio e Regina, e riceveva l’ufficio regale di vegliare sulla unità e la pace del genere umano. Per Lei noi abbiamo la ferma fiducia che l’umanità s’incamminerà a poco a poco in questa via di salvezza; Ella guiderà i capi delle nazioni e i cuori dei popoli verso la concordia e la carità.
Che cosa dunque potrebbero fare i cristiani nell’ora presente, in cui l’unità e la pace del mondo, ed anzi le sorgenti stesse della vita, sono in pericolo, se non volgere lo sguardo verso Colei, che apparisce loro rivestita della potenza. regale? Come Ella avviluppò già nel suo manto il Fanciullo divino, primogenito di tutte le creature e di tutta la creazione (cfr. Col. 1, 15), così degnisi ora di avvolgere tutti gli uomini e tutti i popoli con la sua vigilante tenerezza; degnisi, come Sede della Sapienza, di far rifulgere la verità delle parole ispirate, che la Chiesa applica a Lei: « Per me reges regnant, et legum conditores iusta decernunt; per me principes imperant, et potentes decernunt iustitiam » (Prov. 8, 15-16; Brev. Rom. in Comm. Fest. B. Mariae Virg. I Noct. Lect. I). – Per mezzo mio regnano i re, e i magistrati amministrano la giustizia; per mezzo mio comandano i principi e i sovrani governano con rettitudine. – Se il mondo lotta al presente senza tregua per conquistare la sua unità, per assicurare la pace, l’invocazione del regno di Maria è, al di sopra di tutti i mezzi terreni e di tutti i disegni umani sempre in qualche modo difettosi, la voce della fede e della speranza cristiana, salde e forti delle promesse divine e degli aiuti inesauribili, che questo impero di Maria ha diffusi per la salvezza della umanità.
Tuttavia dalla inesausta bontà della Vergine beatissima, che invochiamo oggi come la regale Madre del Signore, Noi attendiamo anche altri benefici non meno preziosi. Non soltanto Ella deve annientare i foschi piani e le opere inique dei nemici di una umanità unita e cristiana, ma ha da comunicare altresì agli uomini di oggi qualche cosa del suo spirito. Intendiamo con ciò la volontà coraggiosa ed anche audace, che, nelle circostanze difficili, di fronte ai pericoli e agli ostacoli, sa prendere senza esitare le risoluzioni che s’impongono, e perseguirne la esecuzione con una energia indefettibile, in guisa da trascinare dietro le sue orme i deboli, gli stanchi, i dubbiosi, coloro che non credono più alla giustizia e alla nobiltà della causa che debbono difendere. Chi non vede in qual grado Maria ha attuato in sè stessa questo spirito e ha meritato le lodi dovute alla « donna forte »? Il suo « Magnificat », questo cantico di gioia e di fiducia invincibile nella potenza divina, di cui Ella imprende ad effettuare le opere, la riempie di santa audacia, di una forza ignota alla natura.
Come Noi vorremmo che tutti coloro, i quali hanno oggi la responsabilità del buono e retto andamento degli affari pubblici, imitassero questo luminoso esempio di sentimento regale! Invece, non si nota forse talvolta anche nelle loro file una sorta di stanchezza, di rassegnazione, di passività, che impedisce loro di affrontare con fermezza e perseveranza gli ardui problemi del momento presente? Alcuni non lasciano forse talora gli avvenimenti andare alla deriva, invece di dominarli con una azione sana e costruttiva?
Non è dunque urgente di mobilitare tutte le forze vive ora in riserva, di stimolare coloro, che non hanno ancora piena consapevolezza della pericolosa depressione psicologica in cui sono caduti? Se la regalità di Maria trova un simbolo del tutto appropriato nella « acies ordinata », nell’esercito schierato in battaglia (Off. in Assumptione B. M. V. passim), certamente nessuno vorrà pensare a qualsiasi intenzione bellicosa, ma unicamente alla forza d’animo, che ammiriamo in grado eroico nella Vergine, e che procede dalla coscienza di operare validamente per l’ordine di Dio nel mondo.
Possa la Nostra invocazione alla regalità della Madre di Dio ottenere agli uomini solleciti delle loro responsabilità la grazia di vincere l’abbattimento e l’indolenza, in un’ora, in cui nessuno può permettersi un istante di riposo, quando in tante regioni la giusta libertà è oppressa, la verità offuscata dal lavorio di una propaganda mendace, e le forze del male sembrano quasi scatenate sulla terra!
Se la regalità di Maria può suggerire ai reggitori delle nazioni atteggiamenti e consigli che rispondono alle esigenze dell’ora, Ella non cessa di riversare su tutti i popoli della terra e su tutte le classi sociali l’abbondanza delle sue grazie. Dopo lo spettacolo atroce della Passione ai piedi della Croce, in cui aveva offerto il più duro dei sacrifici che possano essere domandati a una Madre, Ella continuò ad effondere sui primi cristiani, suoi figli di adozione, le sue materne sollecitudini. Regina più che alcun’altra per la elevazione della sua anima e per la eccellenza dei doni divini, Ella non desiste dall’elargire tutti i tesori della sua affezione e delle sue dolci premure alla misera umanità. Lungi dall’essere fondato sulle esigenze dei suoi diritti e la volontà di un altero dominio, il regno di Maria non conosce che un’aspirazione: il pieno dono di sè nella sua più alta e totale generosità.
Così dunque Maria esercita la sua regalità: accettando i nostri omaggi e non disdegnando di ascoltare anche le più umili e imperfette preghiere. Perciò, desiderosi come siamo d’interpretare i sentimenti di tutto il popolo cristiano, Noi rivolgiamo alla Vergine beatissima questa fervida implorazione:
Dal profondo di questa terra di lacrime, ove la umanità dolorante penosamente si trascina; tra i flutti di questo nostro mare perennemente agitato dai venti delle passioni; eleviamo gli occhi a voi, o Maria, Madre amatissima, per riconfortarci contemplando la vostra gloria, e per salutarvi Regina e Signora dei cieli e della terra, Regina e Signora nostra.
Questa vostra regalità vogliamo esaltare con legittimo orgoglio di figli e riconoscerla come dovuta alla somma eccellenza di tutto il vostro essere, o dolcissima e vera Madre di Colui, che è Re per diritto proprio, per eredità, per conquista.
Regnate, o Madre e Signora, mostrandoci il cammino della santità, dirigendoci e assistendoci, affinchè non ce ne allontaniamo giammai.
Come nell’alto del cielo Voi esercitate il vostro primato sopra le schiere degli Angeli, che vi acclamano loro Sovrana; sopra le legioni dei Santi, che si dilettano nella contemplazione della vostra fulgida bellezza; così regnate sopra l’intero genere umano, soprattutto aprendo i sentieri della fede a quanti ancora non conoscono il vostro Figlio. Regnate sulla Chiesa, che professa e festeggia il vostro soave dominio e a voi ricorre come a sicuro rifugio in mezzo alle calamità dei nostri tempi. Ma specialmente regnate su quella porzione della Chiesa, che è perseguitata ed oppressa, dandole la fortezza per sopportare le avversità, la costanza per non piegarsi sotto le ingiuste pressioni, la luce per non cadere nelle insidie nemiche, la fermezza per resistere agli attacchi palesi, e in ogni momento la incrollabile fedeltà al vostro Regno.
Regnate sulle intelligenze, affinchè cerchino soltanto il vero; sulle volontà, affinchè seguano solamente il bene; sui cuori, affinchè amino unicamente ciò che voi stessa amate.
Regnate sugl’individui e sulle famiglie, come sulle società e le nazioni; sulle assemblee dei potenti, sui consigli dei savi, come sulle semplici aspirazioni degli umili.
Regnate nelle vie e nelle piazze, nelle città e nei villaggi, nelle valli e nei monti, nell’aria, nella terra e nel mare;
e accogliete la pia preghiera di quanti sanno che il vostro è regno di misericordia, ove ogni supplica trova ascolto, ogni dolore conforto, ogni sventura sollievo, ogni infermità salute, e dove, quasi al cenno delle vostre soavissime mani, dalla stessa morte risorge sorridente la vita.
Otteneteci che coloro, i quali ora in tutte le parti del mondo vi acclamano e vi riconoscono Regina e Signora, possano un giorno nel cielo fruire della pienezza del vostro Regno, nella visione del vostro Figlio, il quale col Padre e con lo Spirito Santo vive e regna nei secoli dei secoli.
Così sia!
*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XVI,
Sedicesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1954 – 1° marzo 1955, pp. 237 – 241
Restaurata la Salus populi Romani
L’antica icona venerata a Santa Maria Maggiore è legata all’identità stessa della città
24 gennaio 2018
Nella tradizione figurativa romana vi è un gruppo di icone acheropite (in greco, letteralmente “non dipinte da mano d’uomo”) che la leggenda riconosce come di origine miracolosa. Invocate durante guerre, pestilenze o carestie, esposte alla pubblica venerazione o solennemente portate in processione, queste immagini erano spesso attribuite alla mano dell’evangelista Luca, ed esercitavano un’incidenza certo notevole nella vita sociale e religiosa. Furono soprattutto le icone di soggetto mariano ad avere un posto di primo piano nella devozione popolare. L’immagine affettuosa della Madre che stringe sé il Figlio ancora bambino è un motivo iconografico che viene elaborato originariamente in ambito bizantino ma che trova presto larga accoglienza in tutto il mondo cristiano.
A Roma, le prime icone mariane di ispirazione orientale si attestano a partire dal V secolo (Madonna di Santa Maria Nuova), per raggiungere l’acme della loro diffusione tra VI e VIII secolo (Madonne di Santa Maria in Trastevere e di Santa Maria ad martyres); un caso a sé è invece costituito dal tipo del monasterium tempuli, già nella basilica di San Sisto sulla via Appia, il cui prototipo iconografico, ancora riecheggiato nelle più tarde versioni all’Ara Coeli, in Santa Maria in Campo Marzio, ai Santi Bonifacio e Alessio e in Santa Maria in via Lata, si configura come invenzione siro-palestinese del VII-VIII secolo.
Forse la più celebre fra queste icone mariane è la tavola di Santa Maria Maggiore, particolarmente cara alla pietà popolare e tanto legata all’identità cittadina da meritare l’appellativo di Salus populi Romani, “salvezza del popolo romano” ora di nuovo restaurata. La datazione dell’antica immagine, assai controversa, è tutt’ora oggetto di dibattito. Le analisi e i risultati del nuovo restauro saranno sicuramente motivo di confronti per gli studiosi specialisti.
Tradizionalmente ritenuta originaria di Gerusalemme, dove sarebbe stata dipinta dallo stesso san Luca, per comparire poi a Roma sotto Sisto III (432-440) ed essere da lui donata alla basilica che era stata costruita dal suo predecessore Liberio sull’Esquilino (352-366), l’immagine mostra in realtà caratteri di stile cronologicamente molto più avanzati. L’iconografia della Madre col Figlio fonde infatti il tipo greco della Odighitria (dal greco hodeghètria, “colei che mostra la via”, cioè Cristo) con quello della glykophilùsa, (“che ama con dolcezza”, la Madre della tenerezza) rimandando dunque al canone della primitiva arte bizantina anteriore alla crisi iconoclasta e orientando quindi verso una datazione alta del manufatto (VIII-IX secolo). Tuttavia la stesura differenziata degli impasti cromatici, che alterna alla descrizione calligrafica di vesti e accessori la costruzione strutturata delle mani e dei volti, avvicina il dipinto a prodotti consimili del medioevo romano, venendo di conseguenza a situarsi tra il secolo XI e il XIII. Posta inizialmente nella navata principale della basilica liberiana, dal 1613 l’immagine si trova nell’attuale collocazione, sull’altare della cappella Borghese in Santa Maria Maggiore, all’interno di una teca bronzea munita di cristallo, con iscrizione dedicatoria di Paolo V (Camillo Borghese, 1605-1621).
La tavola mostra l’immagine familiare della Madre di Dio (theotòkos), vestita di un manto (maphòrion) azzurro fregiato d’oro, mentre porta avanti le braccia per sorreggere il Bambino, tenendole incrociate all’altezza della vita: nella sinistra stringe una mappula, fazzoletto ricamato di uso cerimoniale, in origine collegato alla simbologia imperiale; con la destra, munita di anello, sembra accennare a un gesto, interpretato da alcuni come un’allusione di significato trinitario. Il mantello che ne disegna la figura le avvolge completamente le spalle e il capo, ma lascia intravedere la tunica, di cui fuoriescono le maniche e si riconoscono porzioni all’altezza del petto e dei fianchi.
La suprema eleganza dell’immagine, accentuata dalla fluidità dei contorni e dall’apparente disinvoltura della posa, è aumentata dall’intensità dello sguardo, parzialmente velato dalla penombra e diretto ostentatamente di lato. Il Bambino stesso, vestito di un hymàtion e con la destra portata avanti in gesto di benedizione, rivolge il proprio sguardo alla Madre, mentre l’espressione adulta e il codice preziosamente rilegato che impugna con la sinistra conferiscono centralità e importanza al suo ruolo.
L’icona, alta 117 centimetri e larga 79, è dipinta su una tela ingessata e applicata su tavola. Il supporto è costituito da due assi verticali congiunti, probabilmente decurtati nella terminazione inferiore e forse anche nella superiore. La cornice, aggiunta in un secondo momento, costituisce invece elemento a sé stante.
L’ultimo intervento conservativo sulla tavola risale al 1931 e alla volontà del cardinale Bonaventura Cerretti, arciprete della basilica, e di Bartolomeo Nogara, direttore delle Gallerie Vaticane. Sappiamo che il restauro venne «eseguito con ogni regola d’arte» da Giovani Rigobelli e fu volto a ridare al dipinto «colore e vita». L’intervento riguardò allora principalmente l’asportazione della pesante lamina in argento «che copriva quasi tutto il dipinto, a eccezione dei volti e di mezzo busto», fatta aggiungere dal Pontefice nel 1838 per poter applicare nuove corone in corrispondenza dei due visi. In occasione di tale rimozione, fu peraltro deciso di lasciare a vista «le due corone d’oro di Gregorio XVI, la collana con 3 ametiste, 4 topazi e 2 acquemarine alla quale poi venne anche attaccata la croce pettorale, mentre la stella a 12 punte», con la sostituzione dei diamantini mancanti, «venne applicata sulla spalla della Vergine nella tavola stessa». Tutti questi materiali sono stati rimossi nel 1988 ed esposti nel Museo del tesoro di Santa Maria Maggiore.
Il restauro appena terminato è scaturito nell’ambito dei periodici controlli esercitati sull’icona dal personale scientifico del Laboratorio restauro pitture e manufatti lignei dei Musei Vaticani che sovrintendono ai tesori e alle bellezze artistiche preservate nelle basiliche maggiori. Durante queste revisioni, nel luglio del 2017, si era potuto constatare l’aggravarsi di pregresse condizioni di deterioramento, interessanti tanto il supporto che la pellicola pittorica.
Informato dello stato dell’antica e veneratissima icona, il cardinale Stanisław Ryłko, arciprete della basilica liberiana, ha dato il via all’esecuzione di un pronto intervento di fissaggio e consolidamento delle aree più a rischio. Si è quindi proceduto a uno studio approfondito della tavola, volto alla comprensione della tecnica, dei materiali costitutivi e dello stato di conservazione.
Presso il Laboratorio di diagnostica per la conservazione e il restauro dei Musei Vaticani sono state eseguite le analisi spettrografiche, fluorescenza ultravioletta indotta, infrarosso in falsi colori, riflettografia infrarossa e radiografia. Sulla base dei dati ottenuti sono stati poi decisi approfondimenti scientifici per la determinazione dei pigmenti impiegati (analisi xrf e Raman). Ulteriori indagini scientifiche sono state poi compiute sul supporto ligneo, per il riconoscimento della specie legnosa e per la sua datazione mediante radiocarbonio.
Lo studio morfologico indica che le tavole centrali sono di tiglio mentre quelle della cornice sono di frassino. I risultati del radiocarbonio, inoltre, indicano una datazione del legno, con una probabilità di oltre l’80 per cento, compresa tra la fine del IX secolo e gli inizi dell’XI per la tavola principale, e tra la fine del X e la prima metà dell’XI per la cornice perimetrale.
D’intesa con l’amministrazione della basilica, e con grande prudenza considerato l’altissimo valore simbolico, devozionale e artistico dell’immagine, si è quindi dato corso al restauro. Questo si è svolto nel Laboratorio di restauro pitture dei Musei Vaticani, sotto la sovrintendenza del direttore dei musei stessi, grazie all’aiuto di Guido Cornini, direttore del Dipartimento delle arti, e realizzato da Alessandra Zarelli, supportata da Massimo Alesi per la parte lignea, con il coordinamento di Francesca Persegati.
Il restauro ha comportato la pulitura generale dell’opera; al di sotto degli strati di colla e vernici ossidate, infatti, le condizioni generali dell’icona apparivano relativamente soddisfacenti. A prescindere dai danni diffusi provocati dall’applicazione dei pezzi di oreficeria, la pellicola pittorica della tavola si presentava in discrete condizioni conservative, ancorché punteggiata da stuccature e interessata da ritocchi e, appunto, vernici alterate.
Si è proceduto quindi con relativa facilità ma con risultati sorprendenti di recupero dell’immagine originale. Sotto gli strati di vernice ossidata e vecchi restauri la pulitura è riuscita a recuperare la delicata cromia dei volti originali, l’intero manto della Madre di Dio, quello meravigliosamente dorato del piccolo Gesù, il libro e altre zone prima quasi illeggibili. Anche nella zona delle aureole la rimozione del pigmento rossastro che era stato sovrapposto ha permesso il recupero delle incisioni e dell’oro originale, e nella raffigurazione del Bambino la restituzione della tripartizione antica: un risultato significativo, che ha ridato una nuova luce e una nuova visione alla sacra immagine. Si è provveduto, infine, anche al risanamento del supporto ligneo e alla cornice, alterati negli anni da vecchi restauri e da attacchi xilofagi.
Tanti sono stati i momenti di confronto che si sono avuti fra la commissione dell’amministrazione della basilica liberiana e quella dei Musei Vaticani per la conduzione del complesso intervento: momenti che hanno visto il coinvolgimento delle due istituzioni nell’assunzione comune di decisioni importanti e talvolta delicate; e che hanno permesso di terminare il restauro nei tempi previsti, con la piena soddisfazione per il risultato scientifico ed estetico.
È stata inoltre realizzata una nuova teca conservativa, identica nelle forme a quella attualmente in uso, munita però di maniglie e ridotta nello spessore, così da risultare meno pesante e più maneggevole per gli spostamenti che l’icona dovrà avere per le celebrazioni annuali e per i controlli periodici del suo stato conservativo. Questa soluzione, appositamente studiata dall’Ufficio del Conservatore dei Musei Vaticani, presenterà inoltre il vantaggio di garantire le condizioni termo-igrometriche della tavola, stabilizzandone il microclima all’interno del contenitore.
Sotto la supervisione scientifica dei Musei Vaticani, negli stessi mesi, è stato eseguito il restauro della sontuosa parete barocca dell’altare della cappella Borghese dove l’icona è conservata. Concepita come trionfo di angeli per l’esaltazione della Salus populi Romani, venne eretta da Pompeo Targoni su modello di Girolamo Rainaldi tra il 1609 e il 1612. Il restauro, eseguito dalla ditta Sante Guido di Roma permette di godere ancora meglio dell’insieme del luogo e del ritrovato splendore dell’immagine.
Da oggi la celebre icona ha un volto nuovo, liberato da secoli di ritocchi e da vernici alterate, dunque riportato alla sua antica cromia. Una raffigurazione che conserva il suo aspetto ieratico, deciso ma dolce, quello della Madre di Dio che protegge tutto il popolo romano.
di Barbara Jatta – dall’Osservatore Romano