Privati dei Sacramenti? Sì! Perché Dio può volerci nascondere il suo volto

Una bellissima Catechesi provocatoria del domenicano Padre Riccardo Barile da ascoltarsi attentamente.

Tra qualche giorno ci sarà anche un video di catechesi sul testo….


PRIVATI DEI SACRAMENTI
Perché Dio può volerci nascondere il suo voltodi Padre Riccardo Barile OP

Il peccato può far ritirare il volto di Dio che si manifesta nei sacramenti. Pensiamo alle ingiustizie sociali, alle Comunioni sacrileghe, all’allontanamento dalla Messa domenicale per divertimento o lavoro, alle deviazioni sessuali, all’aborto, all’eutanasia, alle disinvolture dottrinali, alle assoluzioni di peccatori non pentiti, agli abusi liturgici. Probabilmente Dio ha detto: “Basta!”. Tutto ciò coinvolge anche gli innocenti, ma non a caso…

Ci sono valutazioni e reazioni sul Covid-19 legate all’esperienza umana che i cristiani condividono seguendo la regola: «Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono» (1Ts 5,21). Ci sono poi valutazioni di fede dei soli cristiani, ad esempio vivere il Covid-19 come un’occasione per praticare l’esortazione di Gesù: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9,23), nella fiducia che Gesù Cristo riscatterà ogni croce e farà fiorire la solidarietà, il servizio e la giustizia verso i più deboli.

In questa lunghezza d’onda si situano l’enigma e il dolore per le celebrazioni non accessibili. E qui i punti di vista possono differenziarsi: altro è ragionarne stando a casa propria e seguendo celebrazioni e preghiere in Tv o su internet, altro è, come presbitero e religioso quale è il sottoscritto, ragionarne scendendo spesso in chiesa e vedendola vuota per ore.

Al vedere tutti i giorni la navata con i banchi vuoti mi è spesso salita dal cuore una domanda inquietante: Dio sta nascondendo il suo volto? Sì, i presbiteri possono andare in chiesa quando vogliono e tutti i giorni celebrare la Messa e la Liturgia delle Ore, ma “gli altri”? La domanda è inquietante solo per chi ha fede e confidenza con la Bibbia ed esige alcune spiegazioni.

Cominciamo dall’uomo e da un aforisma di Cicerone († 51 a.C.): «Imago animi vultus, indices oculi / il volto è l’immagine dell’animo e gli occhi ne sono i sicuri indicatori» (De oratore 3,59,221), cui fa eco Sir 13,25: «Il cuore di un uomo cambia il suo volto sia in bene sia in male» (Sir 13,25). Così nella Bibbia il volto sta per la persona e per le sue scelte profonde: «Mi accorgo dal volto di vostro padre che egli verso di me non è più come prima» (Gen 31,5); «Posso anche morire, dopo aver visto la tua faccia» (Giacobbe al figlio Giuseppe: Gen 46,30); «Tutta la terra cercava il volto di Salomone» (1Re 10,24) ecc.

È vero che Dio disse a Mosè: «Tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo» (Es 33,20) e nessuno può comprendere Dio sino in fondo se non Dio stesso. Ma è anche vero che Dio nel linguaggio delle Scritture ha assunto l’immagine umana del volto per parlarci di sé e delle relazioni che instaura o tronca con noi. Anzitutto le relazioni di amicizia e di protezione: «Il mio volto camminerà con voi» (Es 33,14), assicura Dio nel deserto. Poi «il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico» (Es 33,11) e non solo con Mosè, ma con tutto il popolo: «Il Signore sul monte vi ha parlato dal fuoco faccia a faccia» (Dt 5,4), prescrivendo infine di benedire così il popolo: «Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia; il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace» (Nm 6,25-26).

Tuttavia il peccato dell’uomo può far ritirare da lui il volto di Dio. Così si espresse Dio parlando a Mosè e profetizzando i peccati del popolo nella terra promessa nella quale stava entrando: «Io li abbandonerò, nasconderò loro il volto e saranno divorati (…) io, in quel giorno, nasconderò il mio volto a causa di tutto il male che avranno fatto rivolgendosi ad altri dei» (Dt 31,17-18). Le citazioni nello stesso senso sono numerose: «Volgerò il mio volto contro di voi» (Lv 26,17), il Signore «nasconderà loro la faccia» (Mi 3,4), il Signore «si adirò molto contro Israele e lo allontanò dal suo volto (…) li scacciò dal suo volto» (2Re 17,18.20) ecc.

Tutto ciò è vero anche per il Nuovo Testamento. In positivo, se adesso vediamo in modo confuso, quando verrà ciò che è perfetto «vedremo faccia a faccia» (1Cor 13,12) e nella Gerusalemme celeste gli eletti «vedranno il suo volto», cioè il volto di Dio (Ap 22,4). In negativo, alla fine dei tempi Gesù Cristo tornerà per punire quanti non riconoscono Dio e non obbediscono al Vangelo «con una rovina eterna, lontano dal volto del Signore e dalla sua gloriosa potenza» (2Ts 1,9).

Il volto Dio prese carne nel volto di Gesù, che addirittura nella trasfigurazione «cambiò d’aspetto…brillò come il sole» (Lc 9,29; Mt 17,2). Ma, trattandosi di una esperienza “anche” umana, come le cose umane passò con il tempo e al momento dell’Ascensione Gesù «fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi» (At 1,9) e oggi non è più possibile vedere fisicamente il volto di Gesù come durante la sua vita terrena. E non è una perdita, anzi è una beatitudine legata alla fede: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto» (Gv 20,29).

Tuttavia oggi qualcosa da vedere rimane: «I misteri della vita di Cristo costituiscono i fondamenti di ciò che, ora, Cristo dispensa nei sacramenti mediante i ministri della sua Chiesa, poiché “ciò che (…) era visibile nel nostro Salvatore è passato nei suoi sacramenti / quod (…) Redemptoris nostri conspicuum fuit, in sacramenta transivit (San Leone Magno, Sermone 74,2)» (CCC 1115). In questo senso la II Preghiera eucaristica dice: «Ti rendiamo grazie per averci ammessi alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale», in latino “astare coram te”, che significa “stare vicino a te” o “stare davanti a te”. La Liturgia delle Ore al Giovedì II di Pasqua riporta un testo di san Gaudenzio da Brescia († 410) secondo il quale i sacramenti, in particolare l’Eucaristia, vanno celebrati sino al ritorno di Cristo perché «i sacerdoti e tutti i popoli dei fedeli abbiamo ogni giorno davanti agli occhi la viva rappresentazione della passione del Signore (exemplar passionis Christi ante oculos habentes cotidie)». San Tommaso d’Aquino spiega che l’Eucaristia è sacrificio perché «è in un certo modo una immagine “ri”presentativa (repraesentativa) della passione di Cristo, che è una vera immolazione» (III, q 83, a 1) e il concilio di Trento ripete quasi alla lettera che Gesù Cristo nell’ultima cena lasciò un sacrificio visibile (la Messa) che “ri”presentasse il sacrificio cruento della croce (cf D 1740).

Eccoci arrivati al punto dolente: il volto di Dio si manifesta nei Sacramenti e soprattutto nell’Eucaristia, ma sono proprio questi ad essere inaccessibili a gran parte del popolo e dunque, attraverso quello che è successo e sta succedendo, sembra che Dio abbia ritirato il suo volto impedendo Battesimi, Cresime – lo so, si dice Confermazione, ma permettetemi di preferire Cresima, che ricorda “crisma” -, Sacramento della Penitenza, Ordinazioni, Matrimoni e financo… esorcismi (so per sicuro che un certo numero di esorcisti rispetta il lockdown!).

Lo so, l’obiezione è dietro l’angolo: «Non diciamo sciocchezze, non è Dio che ha ritirato il suo volto, siamo noi che semplicemente non possiamo venire in chiesa per via del contagio». Anzi, c’è di più, sembra che si sia capovolto il vecchio adagio per cui «Dio scrive diritto su righe storte». No, qui le righe sembrano tutte diritte: il contagio c’è e non essendoci ancora le prove sicure che è prodotto in laboratorio, sembra un normale contagio e lo Stato ha il normale dovere di prendere dei provvedimenti (nell’insieme validi anche se ad uno ad uno possono risultare discutibili); i cattolici (italiani) sono rassicurati dai Vescovi e dal Papa a stare ai provvedimenti di cui sopra anche per quanto riguarda le celebrazioni. Sì, le righe sono tutte diritte, ma la conclusione è storta: il volto sacramentale di Dio non è più accessibile!

A questo punto chi ha fede è di fronte a un mistero dal quale nascono due interrogativi: “Come mai Dio ha permesso questo? E poi non è che il demonio, salva l’autonomia dei fattori naturali e delle persone umane, non ci abbia messo lo zampino o per lo meno non se la goda?”. Alla seconda domanda è facile rispondere: “Sì, il demonio se la gode”. La risposta al primo interrogativo è più complessa. Di certo, anche se Dio ha solo permesso e non voluto positivamente questa situazione, secondo i testi biblici la privazione e il ritiro del suo volto (sacramentale) è relativa a dimenticanze e abbandoni, cioè peccati contro di lui e contro il prossimo.

Ognuno è invitato a riflettere guardandosi un poco indietro: pensiamo alle ingiustizie sociali, che sono il primo conteso – non l’unico – al cui interno san Paolo ha scritto che chi non riconosce il corpo del Signore «mangia e beve a propria condanna» (1Cor 11,29); pensiamo alla carità e alla accettazione che anche all’interno della compagine ecclesiale a volte fa difetto; pensiamo all’allontanamento dai sacramenti e dalla Messa domenicale o per divertimento o per lavoro o per trascuratezza; pensiamo alle deviazioni sessuali non più riconosciute come “disordinate” e a una insana padronanza della vita (aborto ed eutanasia); pensiamo a tante disinvolture dottrinali; pensiamo a un certo numero di assoluzioni sacramentali e di comunioni che “non s’avevano da fare”; pensiamo agli abusi liturgici e allo stile di alcune Messe che non evocano l’esperienza di Mosè di fronte al roveto ardente ma l’ufficio parrocchiale, l’oratorio, la cattedra con un professore che si diverte, la tribuna per fare politica ecc. e di fronte alle quali forse Dio ha detto: “Basta!”.

E qui nasce un’ulteriore obiezione: ammesso che ciò sia vero, di fatto si trovano malcapitati non coloro per i quali la Messa festiva rientrava/rientra nelle scelte opzionali, ma brave persone che andavano a Messa e desidererebbero andarci e invece ne sono private. Come Dio può permettere una simile ingiustizia? Precisiamo: come dai testi biblici sopracitati, la privazione del volto sacramentale di Dio riguarda un popolo o una comunità e non si può ascrivere a danno di questa o quella persona, che, se santa, continuerà ad essere inondata dalla grazia divina, anche se sperimenterà, almeno nella forma esteriore, un danno sociale. Potrei addurre complesse considerazioni filosofiche e teologiche, ma preferisco fermarmi a un dato più semplice, misterioso e insieme profondo: forse Dio permette la sofferenza di queste persone sante perché sono quelle più disposte a pregare perché Dio converta i cuori e torni a mostrare benevolo il suo volto. E la preghiera, partendo dalla esortazione: «Cercate il Signore e la sua potenza, ricercate sempre il suo volto» (Sal 105,4), dirà: «Non nascondermi il tuo volto: che io non sia come chi scende nella fossa» (Sal 143,7), «Dio abbia pietà di noi e ci benedica, su di noi faccia splendere il suo volto» (Sal 67,2). Anzi, tutti dovremmo coralmente pregare così: «Per amor tuo, o Signore, fa’ risplendere il tuo volto sopra il tuo santuario, che è devastato» (Dn 9,17) semplicemente sostituendo “vuoto” a “devastato”. Insomma, «il perverso continui pure a essere perverso, l’impuro continui ad essere impuro e il giusto continui a praticare la giustizia e il santo si santifichi ancora» (Ap 22,11): vale anche al tempo di Covid-19.

Nota bene: A parte le citazioni bibliche, l’interpretazione che ne ho dato non è né ispirata né rivelata né l’unica possibile, per cui chi non la condivide ha tutto il diritto di respingerla. Però si vive non solo di certezze ispirate e rivelate, ma anche di ipotesi ragionevoli e di un discernimento a partire dalle Scritture e non è detto che ogni “narrazione” cattolica debba obbligatoriamente essere di sinistra o di centrosinistra.


Dal Compendio di Teologia Ascetica e Mistica di Padre Adolphe Tanquerey (1854 – 1932)

Non solo con atti meritori fatti ad ogni istante possiamo crescere in grazia e in perfezione, ma anche col frequente uso dei Sacramenti.
Segni sensibili istituiti da Nostro Signore Gesù Cristo, i Sacramenti significano e producono nell’anima la grazia.
Sapendo come l’uomo si lasci prendere dalle cose esteriori, Dio volle, nell’infinita sua bontà, annettere la grazia ad oggetti e ad azioni visibili.
È di fede che i nostri Sacramenti contengono la grazia che significano e che la conferiscono a tutti coloro che non vi pongono ostacolo; e ciò non unicamente in virtù delle disposizioni del soggetto, ma ex opere operato, come cause strumentali della grazia, restandone Dio evidentemente la causa principale e Gesù Cristo la causa meritoria.
Ogni Sacramento produce, oltre alla grazia abituale ordinaria, una grazia che si chiama sacramentale o propria di quel dato Sacramento. La quale non è specificamente distinta dalla prima ma vi aggiunge, secondo S. Tommaso e la sua scuola, un vigore speciale, destinato a produrre effetti correlativi a ciascun Sacramento; o in ogni caso, a parere di tutti, un diritto a grazie attuali speciali che saranno concesse a tempo opportuno per adempiere più facilmente i doveri imposti dal Sacramento ricevuto. Così, per esempio, il Sacramento della Confermazione ci dà il diritto di ricevere grazie attuali speciali di soprannaturale fortezza per lottare contro il rispetto umano e confessare la fede innanzi e contro a tutti.
 
[…] 
 
I Sacramenti conferiscono grazie speciali in relazione alle varie tappe che dobbiamo percorrere nella vita.
 
a) Nel Battesimo, è grazia di rigenerazione spirituale, che ci purifica dal peccato originale, ci fa nascere alla vita della grazia, e crea in noi l’uomo nuovo, l’uomo rigenerato che vive della vita di Cristo. Secondo la bella dottrina di San Paolo nel battesimo noi siamo sepolti con Gesù Cristo (il che era figurato per l’addietro dal battesimo d’immersione) e risuscitiamo con Lui, per vivere d’una vita nuova (…). La grazia speciale o sacramentale che ci vien data è dunque: 1) una grazia di morte al peccato, di crocifissione spirituale che ci aiuta a combattere e domare le cattive tendenze dell’uomo vecchio; 2) una grazia di rigenerazione che c’incorpora a Gesù Cristo, ce ne fa partecipare la vita, ci aiuta a vivere secondo i sentimenti e gli esempi di Gesù Cristo, ed essere quindi perfetti cristiani. Onde il dovere per noi di combattere il peccato e le sue cause, di aderire a Gesù e imitarne le virtù.
 
b) La Confermazione fa di noi i soldati di Cristo; aggiunge alla grazia del Battesimo una grazia speciale di fortezza per professare generosamente la fede contro tutti i nemici e principalmente contro il rispetto umano, che impedisce a un sì gran numero d’uomini di praticare i doveri religiosi. È questa la ragione per cui i doni dello Spirito Santo, che ci erano già stati comunicati nel Battesimo, nel giorno della cresima ci vengono conferiti in modo più speciale per illuminare la nostra fede, renderla più viva e più penetrante e fortificarci nello stesso tempo la volontà contro tutte le debolezze. Onde la necessità di coltivare i doni dello Spirito Santo e soprattutto quello della cristiana virilità.
 
c) L’Eucaristia nutre l’anima nostra che, come il corpo, ha bisogno d’alimentarsi per vivere e fortificarsi. Ora, per alimentare una vita divina è necessario un alimento divino: e sarà il corpo e il sangue di Gesù Cristo, la sua anima e la sua divinità, che ci trasformeranno in altrettanti Cristi, facendo passare in noi il suo spirito, i suoi sentimenti e le sue virtù, e soprattutto il suo amore per Dio e per gli uomini.
 
d) Se abbiamo la sventura di perdere col peccato mortale la vita della grazia, il Sacramento della Penitenza lava le nostre colpe nel sangue di Gesù Cristo, la cui virtù ci viene applicata con l’assoluzione, purché siamo sinceramente contriti e risoluti a romperla col peccato […].
 
e) Quando la morte viene a battere alla nostra porta, abbiamo bisogno d’essere confortati in mezzo alle angosce e ai timori che le nostre colpe passate, le nostre infermità presenti e i giudizi di Dio ci ispirano. L’Estrema Unzione, versando l’olio santo sui principali nostri sensi, versa nello stesso tempo nell’anima una grazia di alleviamento e di spirituale conforto che ci libera dai resti del peccato, ci ravviva la confidenza e ci arma contro i supremi assalti del nemico, facendoci partecipare ai sentimenti di San Paolo che, dopo aver combattuto il buon combattimento, si rallegrava al pensiero della corona che l’attendeva. È necessario quindi chiedere per tempo questo sacramento, appena si è gravemente infermi, affinché possa produrre tutti i suoi effetti, e, occorrendo, se Dio lo giudica utile, renderci anche la salute; è una crudeltà per quelli che assistono l’ammalato dissimulargli la gravità del suo stato e rimandare all’ultimo momento il ricevimento d’un sacramento così consolante.
 
Questi sacramenti bastano a santificare l’individuo nella vita privata; due altri lo santificano nelle relazioni con la società: l’Ordine che dà alla Chiesa degni ministri, e il Matrimonio che santifica la famiglia.
 
f) L’Ordine dà ai ministri della Chiesa non solo mirabili poteri per consacrare l’Eucaristia, amministrare i sacramenti e predicare la dottrina evangelica, ma anche la grazia d’esercitarli santamente; in particolare un amore ardente per il Dio dell’Eucaristia e per le anime, con la ferma volontà di immolarsi e di spendersi interamente per queste due nobili cause. A qual grado di santità debbano tendere, lo diremo più innanzi.
 
g) Per santificare la famiglia, cellula primordiale della società, il sacramento del Matrimonio dà agli sposi le grazie di cui hanno così urgente bisogno, la grazia di un’assoluta e costante fedeltà, così difficile al volubile cuore umano; la grazia di rispettare la santità del letto coniugale non ostante le contrarie sollecitazioni della concupiscenza; la grazia di consacrarsi con inalterabile abnegazione alla cristiana educazione dei figli.
 
Vi è dunque per ogni circostanza importante della vita, per ogni dovere individuale o sociale, un mirabile aumento di grazia santificante che ci viene dato; e affinché questa grazia sia posta in opera, ogni sacramento ci dà diritto a certe grazie attuali, che verranno a sollecitarci all’esercizio delle virtù che dobbiamo praticare, e a somministrarci soprannaturali energie per riuscirvi. Sta a noi il corrispondervi con disposizioni le più perfette possibili.

Fonte Il Cammino dei Tre Sentieri


Il virus del contrappasso (che riabilita scribi e farisei)

Insieme alle cose serie, sia negative che positive (vedi i sacrifici del personale sanitario, la carità e partecipazione al dolore, ecc.), il Coronavirus ha prodotto paradossi. Da certe monache di clausura alla giustizia tra preti, dai gay pride saltati al riscaldamento globale, fino agli scribi e ai farisei… rivalutati da funzionari statali e clero progressista. Piccolo campionario da “Castigat ridendo mores”.

Joseph Tissot nell’anno stesso della sua morte (†1894) pubblicò a Parigi il libretto L’arte di utilizzare le proprie colpe secondo san Francesco di Sales conseguendo un discreto successo. Il fondamento scritturistico era una celebre frase di san Paolo: «Tutto concorre al bene per quelli che amano Dio» (Rm 8,28), aumentata però da un’aggiunta medievale attribuita a sant’Agostino († 430), che proseguiva precisando: “etiam peccata / anche i peccati”. In realtà il santo dottore non si era espresso in modo così sommario, ma aveva annotato che per coloro che amano Dio anche le deviazioni e gli eccessi fanno progredire in quanto «li rendono più umili e più dotti» (circa i pericoli e gli errori) (De correptione et gratia 9,24).

La conclusione, comunque, è la stessa e cioè che il male assoluto non esiste e che Dio dal male del mondo e degli uomini può trarre un bene soprattutto per coloro che lo amano.

In questo senso e con un discorso serio, il Coronavirus – in se stesso un male e dunque da combattere – è contornato di cose serie e a volte positive: i morti per i quali pregare e l’evidenza concreta della morte che si impone come un fattore per valutare e orientare la vita; la partecipazione al dolore dei malati e di chi ha perduto persone care; la dedizione e i sacrifici del personale sanitario; la solidarietà di tanto volontariato e la carità fattiva che si è manifestata; le lodevoli iniziative audiovisive di diocesi e parrocchie; lo spunto per riflessioni critiche sui metodi delle misure del governo soprattutto per quanto riguarda il culto, ecc.

Con un discorso meno serio, il Coronavirus – anche se per poco tempo – ha prodotto situazioni che hanno qualcosa di umoristico o che per lo meno possono esprimersi in termini paradossali, come don Abbondio nell’ultimo capitolo de I promessi sposi (38) dove, a peste conclusa e a morte di don Rodrigo accertata, sbotta cinico: «È stata un gran flagello questa peste; ma è anche stata una scopa; ha spazzato via certi soggetti, che, figliuoli miei, non ce ne liberavamo più»; oppure quando l’erede di don Rodrigo per beneficienza compra a un prezzo esorbitante i pochi beni di Renzo e Lucia permettendo loro di iniziare una nuova vita e don Abbondio sospira sodisfatto: «Ah! (…) se la peste facesse sempre e per tutto le cose in questa maniera, sarebbe proprio peccato il dirne male».

Dunque, ciò che segue è un innocente e personale esercizio del «Castigat ridendo mores», un detto nato non nella Roma antica ma nel 1600 e di Jean de Santeuil (†1697) per una statua (un busto) di Arlecchino ubicata nella Comédie Italienne di Parigi. Nella Roma antica invece Quinto Orazio Flacco († 8 a.C.) si era domandato: «Ridentem dicere verum, quid vetat? / Che cosa proibisce di dire il vero scherzando?» (Satire 1,1,24).

● “Lavorare stanca” di Cesare Pavese († 1950), edito nel 1936, al di là del contenuto del libro, sembrava un assioma dall’evidenza inossidabile. E invece il domicilio coatto che ha accompagnato il Coronavirus ha dimostrato che spesso “Non lavorare stanca” e rischia di far uscire di testa se, oltre al lavoro e al trantràn quotidiano, non si hanno altri valori ben radicati e se non si possiede un saldo governo del proprio mondo spirituale e psicologico. Già Guigo I († 1136) nelle prime Consuetudini della Certosa osservava che nulla è «più faticoso che il silenzio e la quiete. Per questo sant’Agostino dice: “Per gli amici di questo mondo non c’è niente di più faticoso che non lavorare (Amicis hujus mundi nihil laboriosius quam non laborare)”» (14,5; la citazione agostiniana, più complessa, si può consultare nel De vera religione 35,65).

● Molte monache che, sostenute anche ai piani alti, negli ultimi anni si sono battute per ridimensionare la clausura, si sono trovate nella necessità di dover vivere in strettissima clausura se non volevano infettarsi. Ciò che non poté fare la Verbi sponsa, lo ha fatto il Coronavirus!

● Il domicilio quasi coatto – antipatico – ha fatto saltare tante riunioni inutili. E forse la pastorale ci ha guadagnato.

● E le dichiarazioni trionfanti che finalmente con la nuova traduzione del Padre Nostro preghiamo in modo più giusto e cristiano dopo secoli di devianza, dove sono finite? Chi può permettersi il lusso di ricordarsele, quando ciò che conta è chiedere di essere liberati dal male che è il Coronavirus, senza andare per il sottile se si tratta di “male” o di “maligno”?

● Quando si è voluto convocare i fedeli di una regione o di tutta Italia a pregare insieme in una data ora per implorare la guarigione dal contagio non si è fatto ricorso a elaborati schemi di liturgia della Parola né a sofisticati gesti/segni – roba da iniziati a qualche setta, anche se girano in certi sussidi pastorali -, ma si è riscoperto il Rosario. To’, e chi l’avrebbe mai detto?

● Confessare in confessionale con il Coronavirus è un pasticcio, per cui ho approntato una saletta ben aerata con un bel Crocifisso in avorio su di una mensola. Il penitente sta seduto davanti al Crocifisso a io mi metto al suo fianco per evitare il fiato diretto, sia pure con la mascherina. Naturalmente il penitente tende a girarsi verso di me e io: «No, guardi il Crocifisso e parli al Crocifisso». Miracolo: così si confessa rivolto a Gesù Cristo e istintivamente taglia tutte le chiacchiere che non c’entrano con il sacramento. Nessun documento, nessun corso di pastorale per fedeli avrebbe raggiunto tanto in così poco tempo senza il Coronavirus!

● Ricordate il programma di certi liturgisti: “Meno Messe e più Messa”? Almeno per la prima parte, con il Coronavirus sono stati esauditi al di là di ogni attesa!

● La gravità del contagio ci ha liberato dalle infinite problematiche di legittimare che ognuno si attribuisca il sesso che vuole. Con il Coronavirus almeno alcuni gay pride sono saltati, sollevandoci dal doverne deprecare le sconcezze e magari anche le sciocchezze teologiche.

● L’impatto con un vero pericolo ha silenziato – ma solo per un momento – i discorsi sugli indigeni dell’Amazzonia dai quali dovremmo imparare un rapporto più sereno con una natura idilliaca e ci ha messo di fronte a una natura che a volte produce epidemie (e carestie e terremoti e altro ancora) e insieme ci ha costretti a rivalutare i progressi della ricerca scientifica che, anche se possono essere usati male, restano un dono di Dio per trovare la strada per sconfiggere il virus e sono più apprezzabili di ogni indigenismo.

● Nonostante la “Madre Terra” sponsorizzata anche da ecclesiastici, la prospettiva che il caldo sconfigga o indebolisca il virus ha consigliato, almeno per un momento, di abbandonare Greta Thunberg nella sua battaglia contro il riscaldamento globale antropico: che sia naturale o che sia prodotto dall’uomo, ben venga il caldo!

● Le misure di sicurezza e di domicilio quasi coatto sono veramente del tutto costituzionali? Poi sono state prese senza votazioni del parlamento ma con dei Dpcm. Che ridere! Sì, chi vuol ridere e a lungo provi a immaginare che cosa sarebbe accaduto se il presidente del Consiglio fosse stato un politico di destra con una coalizione governativa di destra o di centrodestra! Che rumore di intellettuali, di politici, di vescovi, di sardine ecc. E invece quasi niente!

● Come si sa, il clero secolare (i preti) riceve un sussidio dall’8×1000, mentre il clero regolare (i religiosi) non riceve nulla. Ma due e più mesi di mancanza di entrate per la mancata attività dei luoghi di culto hanno ridotto le chiese dei preti e dei religiosi agli stessi livelli preoccupanti, senza differenze. A suo modo il Coronavirus ha fatto un po’ di giustizia.

● Il botto strepitoso e finale è che il Coronavirus ha regalato non dico una rivalutazione, ma una trionfale riscossa a scribi e farisei. Vedi le passeggiate per la salute ma solo a 200 o 300 metri dall’abitazione e poco ci è mancato che si indicasse anche il numero dei passi. Poi una risposta autorevole di un addetto del Ministero dell’Interno, di cui ho preso visione il 25 marzo u.s., ha stabilito chi ci può essere in una celebrazione a porte chiuse: il presidente, un diacono, gli accoliti, un organista/cantore, due addetti ad eventuali riprese televisive. Ma l’acuto finale è che le chiese possono restare aperte e ciò «non può precludere alla preghiera dei fedeli» (senza assembramenti), però bisogna che l’accesso alla chiesa «avvenga solo in occasione di spostamenti determinati da “comprovate esigenze lavorative”, ovvero per “situazioni di necessità” e che la chiesa sia situata lungo il percorso». Cioè andare soltanto in chiesa a pregare non è ammesso, se non in quanto si deve andare dal tabaccaio o dal farmacista e così entrare in una chiesa situata sul percorso. Ecco che un funzionario statale ragiona egregiamente come scribi e farisei; e (alcuni) vescovi e cattolici progressisti, dopo averli tanto sbeffeggiati, devono sottostare a chi ragiona come quelli. Per scribi e farisei quale più completa riabilitazione?