In questa sezione: Conferenze, Omelie, Discorsi ed anche interviste, del cardinale Joseph Ratzinger (Benedetto XVI), oltre alla raccolta di testi “365 giorni con il Papa” – Ed.paoline 2006.
“La verità è Cristo. I collaboratori della Verità sono i cristiani che si lasciano attrarre dalla parola del Maestro, se ne nutrono e la annunciano con fiducia. La testimoniano con la propria vita e la annunciano agli altri. Divengono così collaboratori di Cristo, via, verità e vita, in due parole: Cooperatores Veritatis”.
(card. J. Ratzinger – Benedetto XVI)
Prefazione alla seconda edizione
Più di un decennio è trascorso dalla prima edizione di questo libro. Esso ha aiutato molte persone, offrendo al loro cammino lungo i giorni dell’anno dei punti di riferimento per vivere la propria fede. Le numerose traduzioni gli hanno aperto la via di altri ambiti linguistici e culturali.
Da allora, la Chiesa e il mondo non hanno smesso per un istante di vivere e di trasformarsi. Siamo stati testimoni di nuovi sconvolgimenti spirituali come dell’apertura, densa di speranze, di nuovi orizzonti. In tutto ciò, la sete di quella verità che proviene da Dio è cresciuta più intensa che mai, proprio là dove a lungo era stata presentata come un qualcosa di assolutamente inessenziale, o addirittura di patologico per l’uomo.
Gli avvenimenti di questi anni sono così divenuti anche una nuova sfida rivolta all’annuncio del vangelo, alla quale ho cercato di rispondere nelle più diverse situazioni.
Con grande dedizione, attingendo dai miei scritti di questi ultimi anni, suor Irene ha selezionato per questo breviario nuovi testi, che sostituiscono i più datati e permettono di percepire la condizione presente della vita della Chiesa, senza peraltro modificare l’impianto del volume.
Vorrei qui ringraziarla di cuore per tutto l’impegno e la cura che ha profuso nella realizzazione di questa seconda edizione, affinché, giorno per giorno, ciò che è permanentemente valido – e allo stesso tempo sempre presente – della fede cristiana possa andare incontro al nostro lettore.
Roma, Festa di Tutti i Santi 1989 Cardinale JOSEPH RATZINGER
Intervista del giugno del 1985 con l’allora cardinale Joseph Ratzinger nella RAI (Italia). Il teologo e neo Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede parla della Dottrina Cattolica all’interno dei problemi della Chiesa contemporanea, in occasione della pubblicazione del libro “Rapporto sulla fede”, scritto in collaborazione con il giornalista Vittorio Messori. Di fatto possiamo dire che è il primo Prefetto della CdF – esponente fondamentale della Curia – ad accettare di dialogare con uno scrittore sui temi della Chiesa rompendo, in tal senso, con una certa tradizionale riservatezza degli organi di governo della Chiesa di Roma, ed è il primo Cardinale a non nascondere una grave “protestantizzazione” nella Chiesa. In questo spezzone il tema riguardante la DONNA NELLA CHIESA… e cosa è il vero Annuncio della Pasqua.
“Dobbiamo riacquistare la dimensione del sacro nella liturgia. La liturgia non è una festa; non è una riunione con scopo di passare dei momenti sereni. Non importa assolutamente che il parroco si scervelli per farsi venire in mente chissà quali idee o novità ricche di immaginazione. La liturgia è ciò che fa sì che il Dio Tre volte Santo sia presente fra noi; è il roveto ardente; è l’alleanza di Dio con l’uomo in Gesù Cristo, che è morto e di nuovo è tornato alla vita. La grandezza della liturgia non sta nel fatto che essa offre un intrattenimento interessante, ma nel rendere tangibile il Totalmente Altro, che noi [da soli] non siamo capaci di evocare. Viene perché vuole. In altre parole, l’essenziale nella liturgia è il mistero, che è realizzato nella ritualità comune della Chiesa; tutto il resto lo sminuisce. Alcuni cercano di sperimentarlo secondo una moda vivace, e si trovano ingannati: quando il mistero è trasformato nella distrazione, quando l’attore principale nella liturgia non è il Dio vivente ma il prete o l’animatore liturgico”.
Card. Joseph Ratzinger, “Discorso alla Conferenza Episcopale Cilena”, 13 luglio 1988.
JOSEPH RATZINGER – DALL’OMELIA TENUTA NEL SEMINARIO DI FILADELFIA IL 21 GENNAIO 1990
C’erano e ci sono in Germania chiese protestanti dove è d’uso indicare negli avvisi liturgici il nome di chi celebra la messa e quello di chi tiene l’omelia. Dietro quei nomi si nascondono spesso correnti religiose: ciascuno vorrebbe seguire le celebrazioni della propria corrente.
Purtroppo qualcosa di simile succede ora anche nelle parrocchie cattoliche; ma questo vuol dire che la Chiesa è scomparsa dietro i partiti e che noi in definitiva diamo ascolto a opinioni umane e non più alla comune parola di Dio che è al di sopra di tutti e di cui è garante l’unica Chiesa. Solo l’unità della sua fede e il suo carattere vincolante per ciascuno di noi ci permettono di non seguire delle opinioni umane e di non parteggiare per fazioni con pretese autonomiste, ma di essere dalla parte del Signore e di obbedire a lui.
È grande oggi per la Chiesa il pericolo di disgregarsi in partiti religiosi raggruppati attorno a singoli maestri o predicatori. E allora ecco di nuovo: io sono di Apollo, io di Paolo, io di Cefa, e così anche Cristo diventa un partito. Il metro del ministero sacerdotale è il disinteresse che si pone come norma la parola di Gesù: «La mia dottrina non è mia» (Gv 7,16). Solo se possiamo dire questo con piena verità, noi siamo «collaboratori di Dio» che piantano e irrigano e divengono partecipi della sua stessa opera. Se degli uomini si rifanno al nostro nome e contrappongono il nostro cristianesimo a quello di altri, ciò deve sempre diventare per noi motivo di un esame di coscienza. Noi non annunciamo noi stessi, ma Lui. Questo esige la nostra umiltà, la croce della sequela.
Ma è proprio questo che ci libera, che rende fecondo e grande il nostro ministero. Poiché se noi annunciamo noi stessi, restiamo rintanati nel nostro povero io e vi trasciniamo anche altri. Se annunciamo lui, diverremo «collaboratori di Dio» (1Cor 3,9), e che cosa potrebbe esserci di più bello e di più liberante?
Vogliamo pregare il Signore perché ci faccia provare nuovamente la gioia di questa missione. Allora anche tra noi diverrà vera la parola del profeta, che sempre si adempie nelle contrade attraversate da Cristo: «Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce… Gioiscono al tuo cospetto come si gioisce alla mietitura, come si esulta quando si divide la preda» (Is 9,1-3; cfr. Mt 4,15s). Amen.
Dio esiste? Risponde Ratzinger agli atei e non cristiani –
Il video che proponiamo (solo con le risposte del cardinale Ratzinger) viene dalla trascrizione integrale, di un confronto pubblico avvenuto il 21 settembre 2000, presso il Teatro Quirino di Roma, tra Joseph Ratzinger e (l’ateo) Paolo Flores d’Arcais. L’incontro, moderato da Gad Lerner, si svolse attraverso una discussione intorno alla domanda «Dio esiste?» e fu successivamente pubblicato nel 2005, come quaderno di Micromega. L’incontro intese portare l’attenzione sulle questioni che lo animarono e appassionarono, quali la verità, la fede e la ragione o, meglio, le ragioni del credente e del non credente. L’inizio, dunque, è una domanda che rimanda al bisogno di confrontarsi con l’assoluto della verità nel tempo della crisi della religiosità, e che apre subito la discussione dalla prospettiva del credente. Ratzinger, infatti, sottolinea l’importanza che il cristiano parli al mondo e che in questa parola risuoni la necessità della comunicazione e la «ragionevolezza» della fede.
Il primo tema affrontato in questo confronto riguarda dunque il rapporto tra ragione e fede. Per Flores d’Arcais, la fede va riletta nell’ottica di un originario credo quia absurdum est. Ratzinger riprende il discorso, centrando l’attenzione sull’incontro tra la fede e la filosofia nei primi secoli del cristianesimo e, soprattutto, sulla ragionevolezza che nasce nell’esperienza di fede. Fede e ragione, d’altra parte, sembrano entrare in conflitto non semplicemente su quello che nel dibattito emerge come lo scandalo della croce, ma soprattutto sulla risurrezione di Cristo, che costituisce lo scoglio più grande per una ragione che interroga la fede. Se d’Arcais scorge qui un aperto contrasto, Ratzinger vi intravede l’eccedenza della fede, per cui la risurrezione rappresenta lo snodo attraverso il quale la ragione si apre all’eccesso del mistero che la supera. Tali questioni si intrecciano, nella discussione, con i problemi che riguardano la storia della Chiesa e del cristianesimo.
Il secondo punto del confronto, ripreso da d’Arcais, riguarda il rapporto del magistero, in particolare quello di papa Giovanni Paolo II, con la cultura illuminista. D’Arcais sostiene che dalle encicliche di Wojtyła emerge un atteggiamento di chiara condanna dei valori dell’Illuminismo, almeno in una loro degenerazione. Ratzinger apre alla discussione sul significato dell’Illuminismo e sulla necessità di ripensare, in maniera autocritica, la storia e l’evoluzione di alcuni princìpi illuministici. Il confronto avanza, cercando punti di incontro e di possibile dialogo. La domanda sull’esistenza di Dio sottende questo confronto tra credente e non credente e si sofferma a considerare il fondamento comune di quei valori umani che possono essere universalmente condivisi. Tuttavia, è su tali questioni fondamentali che le strade si separano. Da un lato, d’Arcais sottolinea il pericolo di una fede che supponga di portare in sé la «ragione». La storia dimostra che comportamenti umani differenti e contrastanti si sono tradotti in legge e che, dunque, non può esistere un diritto «naturale». Dall’altro lato, Ratzinger invita a ripensare il concetto di natura nella teologia cattolica, mutuato dal concetto greco di physis, a tratti esasperato nella sua riproposizione magisteriale. Ad esso il teologo preferisce il concetto di «creazione»: nella creazione si fondano valori inalienabili e universali, come la sacralità della vita, che ogni legge deve garantire.
In queste due prospettive a confronto (la Verità portata da Ratzinger e il relativismo portato dal non credente-non cristiano) non troviamo, certamente, una conciliazione tra credente e non credente, bensì l’incontro di due visioni raccordate sulla capacità di ascoltare e ragionare. Il dialogo, resta aperto alla domanda e alla ricerca, ma soprattutto alla scelta di percorrere un cammino o l’altro, senza imporre una ragione sull’altra, come lo stesso Ratzinger osserva: «Bisogna imporsi quindi non con il potere, ma offrirsi all’evidenza della ragione e del cuore», in sostanza – LA CONVERSIONE – non può mai essere imposta, ma è necessario offrire agli uomini LA VERITA’: Dio esiste! ma per trovarlo è necessario cercarlo con umiltà, autentico desiderio ed onesta ragione.
Seewald: Mi viene in mente il suo motto episcopale: “Collaboratori dalla verità “. Come ci è arrivato?
Papa Benedetto: Da molto tempo l’argomento ‘verità’ è stato messo da parte perché sembra troppo grande per l’uomo. Nessuno osa più dire “Possediamo la verita”, cosicché anche noi teologi abbiamo tralasciato sempre più il concetto di verità. In quegli anni di lotta, gli anni Settanta, sono diventato sempre più consapevole che se lasciamo da parte la verità quale scopo ha tutto quanto? La verità deve restare sempre al centro.
È vero che non possiamo dire: “Io posseggo la verità”, ma la verità possiede noi, ci ha toccato. E noi cerchiamo di farci guidare da questo contatto. Quando fui ordinato vescovo mi vennero in mente queste parole della terza lettera di Giovanni, che noi siamo “collaboratori della verità “. Con la verità, dato che è persona, si può collaborare. Per lei ci si può impegnare, cercare di farla valere. Mi sembrava che fosse la definizione autentica del mestiere del teologo: colui che è stato toccato dalla verità, che ha visto il suo volto, ora è disposto a mettersi al suo servizio, a collaborare con lei e per lei.
(Papa Benedetto XVI – da “Ultime Conversazioni “, a cura di Peter Seewald)
SUL CATECHISMO
Un primo grave errore fu quello di sopprimere il catechismo e di dichiarare “sorpassato” il genere stesso del catechismo. Certo, il catechismo come libro è divenuto comune soltanto al tempo della Riforma; ma la trasmissione della fede, come struttura fondamentale nata dalla logica della fede, è vecchia quanto il catecumenato, cioè quanto la Chiesa stessa. Essa scaturisce dalla natura stessa della sua missione e, dunque, non si può rinunciarvi.
La rottura con una trasmissione della fede attinta nella sua strutturazione fondamentale alle fonti di una tradizione presa nella sua globalità, ha avuto come conseguenza la frammentazione della proclamazione della fede. Essa fu non solo arbitrariamente accolta nella sua esposizione, ma anche messa in discussione in alcune sue parti, che appartengono a un tutto e che, staccate da esso, appaiono sconnesse.
Cosa vi era dietro questa decisione errata, affrettata e universale?
Le ragioni sono molteplici e fino a ora poco esaminate. Sicuramente questa decisione è da mettere in rapporto con la evoluzione generale dell’insegnamento e della pedagogia, caratterizzata da una ipertrofia del metodo rispetto al contenuto delle diverse discipline. I metodi diventano i criteri del contenuto e non più i veicoli di esso. L’offerta si regola sulla domanda: è così che sono state tracciate le vie della nuova catechesi nella disputa sul catechismo olandese.
Ne conseguì che ci si limitò alle questioni per principianti, invece di cercare le vie che avrebbero permesso di superarle e di arrivare a ciò che inizialmente non si comprendeva, unico metodo che modifica positivamente l’uomo e il mondo. Così, il potenziale di cambiamento proprio della fede fu paralizzato. Infatti la teologia pratica non era più intesa come uno sviluppo concreto della teologia dogmatica o sistematica, ma come un valore in sé. Ciò corrispondeva, di nuovo, alla tendenza attuale a subordinare la verità alla prassi, che, nel contesto delle filosofie neo-marxistiche e positivistiche, ha fatto breccia anche in teologia.
Tutti questi fatti contribuirono a impoverire considerevolmente l’antropologia: precedenza del metodo sul contenuto significa predominanza dell’antropologia sulla teologia, di modo che questa dovette trovarsi un posto nel contesto di un antropocentrismo radicale. Il declino dell’antropologia fece apparire, a sua volta, nuovi centri di gravità: supremazia della sociologia, o, ancora, primato della esperienza, come nuovi criteri di comprensione della fede tradizionale.
Dietro a queste cause e ad altre ancora, che si possono trovare nel rifiuto del catechismo e nel crollo della catechesi classica, vi è tuttavia un processo più profondo. Il fatto di non avere più il coraggio di presentare la fede come un tutto organico in se stesso, ma solamente come una serie di riflessi scelti di esperienze antropologiche parziali, si fondava, in ultima analisi, su di una certa diffidenza nei riguardi della totalità.
Esso si spiega con una crisi della fede, meglio: della fede comune alla Chiesa di tutti tempi. Ne risultava che la catechesi ometteva generalmente il dogma e tentava di ricostruire la fede direttamente a partire dalla Bibbia. Ora, il dogma non è niente altro, per definizione, che interpretazione della Scrittura, ma questa interpretazione, nata dalla fede dei secoli, non sembrava più potersi accordare con la comprensione dei testi, a cui il metodo storico aveva nel frattempo condotto. In questo modo, coesistevano due forme di interpretazione apparentemente irriducibili: la interpretazione storica e quella dogmatica.
Ma quest’ultima, secondo le concezioni contemporanee, poteva essere considerata solo come una tappa pre-scientifica della nuova interpretazione. Così, sembrava difficile riconoscere a essa un posto proprio. Laddove la certezza scientifica è considerata la sola forma valida, perfino la sola possibile, della certezza, quella del dogma doveva sembrare o come una tappa sorpassata di un pensiero arcaico, oppure come la espressione della volontà di potenza di istituzioni passate che ancora sopravvivevano.
(Card. Joseph Ratzinger – da “Trasmissione della Fede e fonti della Fede”, Conferenze sulla situazione della catechesi, tenute a Lione e a Parigi, rispettivamente il 15 e il 16 gennaio 1983)
Dall’intervista di Antonio Socci al Card. Joseph Ratzinger nella trasmissione “Excalibur” (20 novembre 2003)
Domanda – Eminenza c’è un’idea che si è affermata nella cultura alta e nel pensiero comune secondo cui le religioni sono tutte vie che portano verso lo stesso Dio, quindi l’una vale l’altra. Cosa ne pensa, dal punto di vista teologico?
Cardinale Ratzinger – Direi che anche sul piano empirico, storico, non è vera questa concezione molto comoda per il pensiero di oggi. È un riflesso del relativismo diffuso, ma la realtà non è questa perché le religioni non stanno in un modo statico una accanto all’altra, ma si trovano in un dinamismo storico nel quale diventano anche sfide l’una per l’altra. Alla fine la Verità è una, Dio è uno, perciò tutte queste espressioni, così diverse, nate in vari momenti storici, non sono equivalenti, ma sono un cammino nel quale si pone la domanda: dove andare? Non si può dire che sono vie equivalenti perché sono in un dialogo interiore e naturalmente mi sembra evidente che non possono essere mezzi della salvezza cose contraddittorie: la verità e la menzogna non possono essere allo stesso modo vie della salvezza. Perciò questa idea semplicemente non risponde alla realtà delle religioni e non risponde alla necessità dell’uomo di trovare una risposta coerente alle sue grandi domande.
D. In diverse religioni si riconosce la straordinarietà della figura di Gesù. Sembra non sia necessario essere cristiani per venerarlo. Dunque non c’è bisogno della Chiesa?
R. Già nel Vangelo troviamo due posizioni possibili in riferimento a Cristo. Il Signore stesso distingue: che cosa dice la gente e che cosa dite voi. Chiede cosa dicono quelli che Lo conoscono di seconda mano, o in modo storico, letterario, e poi cosa dicono quelli che Lo conoscono da vicino e sono entrati realmente in un incontro vero, hanno esperienza della Sua vera identità. Questa distinzione rimane presente in tutta la storia: c’è una impressione da fuori che ha elementi di verità. Nel Vangelo si vede che alcuni dicono: “è un profeta”. Così come oggi si dice che Gesù è una grossa personalità religiosa o che va annoverato fra gli avataras (le molteplici manifestazioni del divino). Ma quelli che sono entrati in comunione con Gesù riconoscono che è un’altra realtà, è Dio presente in un uomo.
D. Non è confrontabile con le altre grandi personalità delle religioni?
R. Sono molto diverse l’una dall’altra. Buddha in sostanza dice: “dimenticatemi, andate solo sulla strada che ho mostrato”. Maometto afferma: “Il signore Dio mi ha dato queste parole che verbalmente vi trasmetto nel Corano”. E così via. Ma Gesù non rientra in questa categoria di personalità già visibilmente e storicamente diverse. Ancora meno è uno degli avataras, nel senso dei miti della religione induista.
D. Perché?
R. È una realtà del tutto diversa. Appartiene ad una storia, che comincia da Abramo, nella quale Dio mostra il suo volto, Dio si rivela come una persona che sa parlare e rispondere, entra nella storia. E questo volto di Dio, di un Dio che è persona e agisce nella storia, trova il suo compimento in quell’istante nel quale Dio stesso, facendosi uomo Lui stesso, entra nel tempo. Quindi, anche storicamente, non si può assimilare Gesù Cristo alle varie personalità religiose o alle visioni mitologiche orientali.
“Il futuro della Chiesa può venire … solo dalla forza di coloro che hanno profonde radici e vivono con una pienezza pura della loro fede.
Esso non verrà solo da coloro che prescrivono solo ricette … Non verrà da coloro che di volta in volta si adeguano al momento che passa … da coloro che criticano soltanto gli altri, ma che ritengono se stessi una misura infallibile. E neppure verrà da coloro che scelgono solo il cammino più comodo, che evitano la passione della fede e che dichiarano falso e sorpassato, tirannia e legalismo tutto ciò che impone sacrifici all’uomo e lo obbliga ad abbandonare se stesso … anche questa volta come sempre il futuro della Chiesa verrà fuori dai nuovi santi.
E dunque da uomini la cui capacità di percezione va al di là delle frasi … da uomini che sanno vedere più lontano degli altri, perché la loro vita abbraccia spazi più ampi. L’altruismo, che rende libero l’uomo, si acquista solo nella pazienza delle piccole rinunce quotidiane a se stessi …
Se oggi ci è difficile percepire ancora Dio, questo dipende dal fatto che ci è diventato troppo facile evitare noi stessi e fuggire davanti alla profondità della nostra esistenza, nello stordimento di una qualsiasi comodità … [perciò n.d.a.] le grandi parole di quelli che profetizzano una chiesa senza Dio e senza fede sono vuota chiacchiera.
Una Chiesa che celebra il culto dell’azione [e delle esortazioni politiche n.d.a.] … non ci serve.
E’ del tutto superflua. E per questo tramonterà da sè.
Rimaniamo la chiesa di Gesù Cristo, la chiesa che crede in Dio che si è fatto uomo e che ci promette la vita oltre la morte.
Parimenti il prete che sia soltanto funzionario sociale, può essere sostituito da psicoterapeuti … Ma sarà ancora necessario il prete, che non è specialista, che non tiene se stesso fuori gioco, quando per ragioni d’ufficio dà consigli, ma che in nome di Dio si mette a disposizione degli uomini e per essi è nella loro tristezza, nella loro gioia, nella loro speranza e nella loro angoscia. …
Anche questa volta dalla crisi di oggi verrà fuori domani una chiesa che avrà perduto molto.
Essa diventerà più piccola, dovrà ricominciare tutto da capo … Non potrà più riempire molti degli edifici che aveva eretto … oltre che a perdere degli aderenti … perderà anche molti dei suoi privilegi nella società. Essa si presenterà in modo molto più accentuato di un tempo come la comunità … cui si può accedere solo per il tramite di una decisione … Certamente essa conoscerà anche nuove forme di ministero e ordinerà sacerdoti dei cristiani provati, che esercitano una professione … la chiesa troverà [così] di nuovo e con tutta l’energia ciò che le è essenziale, ciò che è sempre stato il suo centro: la fede in Dio … in Gesù Cristo, il Figlio di Dio fattosi uomo … sperimenterà di nuovo i sacramenti come servizio divino e non come un problema di struttura liturgica.
Sarà una chiesa interiorizzata, che non mena vanto del suo mandato politico e non flirta né con la sinistra né con la destra.
Essa farà questo con fatica … la renderà povera, la farà diventare una chiesa dei piccoli … Ma dopo la prova … uscirà da una chiesa interiorizzata e semplificata una grande forza. Gli uomini infatti saranno indicibilmente solitari in un mondo totalmente pianificato. Essi sperimenteranno, quando Dio sarà per loro interamente sparito, la loro totale e paurosa povertà … scopriranno allora la piccola comunità dei credenti come qualcosa di totalmente nuovo. Come una speranza che li riguarda, come una risposta a domande ch’essi da sempre di nascosto si sono poste.
A me sembra certo che si stanno preparando per la chiesa tempi molto difficili. La sua vera crisi è appena cominciata, si deve fare i conti con grandi sommovimenti.
Ma io sono anche certissimo di ciò che rimarrà alla fine: non una chiesa del culto politico … ma la chiesa della fede.
Certo essa non sarà più la forza dominante della società, nella misura in cui lo era fino a poco tempo fa. Ma la chiesa conoscerà una nuova fioritura e apparirà agli uomini come la patria, che ad essi dà vita e speranza oltre la morte”.
(Joseph Ratzinger, Fede e futuro, Queriniana 2005, pp. 112-117).