Padre e madre: due ruoli inseparabili e complementari.
Il dramma del femminismo e la soppressione della paternità
Il titolo dovrebbe comprendere, per la verità, anche un altro “ismo” il maschilismo, la misoginia, a causa della quale l’esasperazione della donna è esplosa in ciò che vediamo nel “femminismo”.
Ma poiché questa implosione all’interno della Famiglia ha provocato a sua volta l’esasperazione maschile, vogliamo analizzare più da vicino tal fenomeno e chiedere alle Donne la vera compassione, che non è un mero pietismo, ma come il termine etimologicamente dice “prendere con-passione” la sua specifica missione nell’essere “femmina-donna” e re-imparare a conoscere davvero l’uomo che non è affatto un suo concorrente, il nemico, come il mondo del lavoro ne ha tragicamente racchiuso il ruolo finendo, alla fine, per perdere entrambi.
Non ci sono infatti vincitori, tutti abbiamo perduto la nostra identità su questo terreno ideologico e a farne le spese sono i figli, le generazioni future, la Famiglia, il futuro della società.
Padre e madre, allora, due ruoli inseparabili perchè complementari, educativi che, diventando una cosa sola (= famiglia), generano la vita o la adottano crescendola nell’educazione della propria identità e dei rispettivi ruoli, e così via di generazione in generazione arricchendo la società, dandole un futuro.
Diciamoci la verità, oggi c’è una grave ostilità nei confronti della figura del “Padre”, è come se la donna con quel famoso grido diabolico “l’utero è mio e lo gestisco io” avesse voluto rivendicare a sé anche la figura della paternità. L’utero sarà pure suo, ma non il contenuto concepito! La maternità di cui tanto oggi si parla specialmente in ambito ecclesiale (la Chiesa è Madre) non può fare a meno della paternità che in tal caso gli deriva da Dio, il quale ha delegato l’uomo, il maschio, a tal compito, non si scappa.
Senza l’uomo la donna non ha alcuna maternità da rivendicare, così è anche per la Chiesa che certamente è Madre ma perché ha un Padre che mediante l’azione dello Spirito Santo e l’avvocatura del Figlio Divino che si è fatto crocifiggere per riscattare la nostra stessa dignità umana e offrirci quella divina, Salvatore dell’uomo, il nuovo Adamo, può generare nuovi figli mediante il Battesimo.
Così come la stessa paternità non può fare a meno della maternità infatti, anche se Dio essendo Onnipotente non aveva certo bisogno di noi, è proprio il Suo essere Amore allo stato puro ed unico, anzi, Colui che genera l’Amore, ad aver stabilito questa necessità nel progetto di salvezza, rigenerazione dell’uomo dopo il Peccato Originale, e dunque eccolo che mentre non ha bisogno di nulla e di nessuno, decide fin dall’eternità di “farsi uomo”, mandando il proprio Figlio “nato da donna”, chiede il consenso di una Vergine, attende il suo “fiat” per dare inizio al compimento dell’Amore diventando “Padre” a tutti gli effetti, generando la Chiesa Madre e Sposa, modello femminile per eccellenza e quindi Gesù Signore, quale Sposo modello.
Oggi assistiamo invece ad una sorta di “civiltà della madre” – matrigna – a discapito della paternità la quale sarebbe obsoleta, una sorta di residuato bellico da reprimere, come vorrebbe un certo ordine mondiale.
Non è un caso infatti se oggi assistiamo ad un fenomeno diventato perversamente culturale nel quale i maschi vengono cresciuti “simmetricamente alle femmine” e le stesse femmine simmetricamente ai maschi, con l’aggravante di una parità imposta ma dove, sopravvivendo la maternità giacché anche i più devastatori non possono fare a meno, la paternità viene schiacciata e confinata spesso in laboratori dove non poche sono le donne che preferiscono la “fecondazione artificiale” e mettere il proprio utero in affitto per poi vendere i propri figli al miglior offerente.
Il maschio viene così cresciuto fin da piccolo per non generare, ossia per non esercitare la propria paternità responsabile, e la femmina viene cresciuta con quella perversione che oltre all’utero gli appartenga anche il frutto generato.
Da qui inizia il vero sfascio della Famiglia.
Ci troviamo così di fronte al rifiuto gnostico e sacrilego della vita umana attraverso la genitorialità responsabile: spremuto del proprio seme, il maschio perde se stesso nel circolo folle dell’ipnosi seduttrice e si rende via-via “se-ducente” verso l’inconscio annientamento del proprio specifico sessuale: il dilagare dei “figli di Sodoma” ne è la squallida, miserevole cartina di tornasole. Così come cartina tornasole è la stessa crisi interna alla Chiesa, l’apostasia, donne che vogliono fare i preti, preti che vogliono le donne in un triste impasse di profonda inquietudine nella quale gli istinti non trovano più pace.
Scavando un poco alle origini del problema troviamo quella visione culturale che abbiamo assorbito grazie alla idolatria della “Libertà” (o come dicevamo sopra “l’utero è mio e lo gestisco io”) regalataci dapprima dalle varie rivoluzioni liberali e giacobine, ma a livello di massa ed in via immediata dalla cultura americana, «un paese che – come hanno scritto ne “Il male americano” due autori certo problematici come Giorgio Locchi e Alain de Benoist – nato da una rottura con l’Europa, era troppo portato a subire un «complesso di Edipo» verso un “padre” respinto ed odiato»(1).
Il modello educativo odierno, sviluppatosi specialmente nella terra dei Padri Pellegrini americani, è un modello interamente coniugato al femminile, da cui il padre è espunto ed in cui tutto è spesso giocato nei rapporti tra madre e figli.
E tuttavia prima della Rivoluzione americana vi era stata la Rivoluzione delle Teste rotonde (2) e prima ancora la rottura dell’ecumene medievale con lo scisma anglicano e l’eresia protestante nella quale, ahimè, troviamo le radici di certo liberismo giunto, esasperato, nel nostro tempo.
Se infatti il popolo inglese fu educato dall’umanesimo, dalla Bibbia e dal mare, sarà Lutero che, spostando l’esperienza sacramentale del matrimonio nell’ordine terreno, secolarizzerà il matrimonio e la famiglia togliendole di fatto il trascendente, l’atto del Sacramento stesso.
Scrive Claudio Rise: «Come nota l’antropologo Dietrich Lenzen “si può affermare che la dottrina di Lutero sul matrimonio aprì la porta alla successiva statalizzazione della paternità. E quindi toglie alla figura del padre quel riflesso di figura del Padre divino, che le conferisce enormi responsabilità, ma da cui derivava il suo specifico significato nell’ordine simbolico, sconvolto appunto dalla secolarizzazione. […] Poche generazioni dopo nessuno sapeva più, quantomeno nella tradizione protestante, cosa avesse significato paternità, smettendo così questo termine di essere quel testimone umano della norma del Padre creatore» (3).
Oggi Lutero è ancora tra noi, e molti protestanti, seppur non come comunità ma senz’altro come pensiero, sono perversamente vezzeggiati nella Chiesa e da non pochi Vescovi che li chiamano persino a predicare nelle proprie diocesi e parrocchie.
Possiamo tranquillamente paragonare la nostra situazione a quella di un paese infestato dai briganti: sono i nostri peccati, i nostri vizi, il nostro orgoglio, i nostri subdoli compromessi che ci avvelenano l’esistenza, disturbano le comunicazioni all’interno del paese, ci impediscono di vivere in pace.
Ora, questo paese viene a sapere che il suo vicino è un re meraviglioso, generoso, dotato di un’armata potente. Nella sua disperazione, lancia un appello verso questo re, il quale varca il confine con il suo esercito. I briganti hanno paura e si disperdono nel folto delle foreste; il paese respira, i suoi abitanti ritrovano la concordia e la gioia di vivere insieme.
Questo sarebbe il frutto della nostra autentica conversione a Gesù Cristo!
In realtà, i conti non tornano: ciò che noi chiamiamo la pace è in verità un compromesso mediocre, un dosaggio tra il Bene ed il Male denominato “equilibrio”, una “coesistenza pacifica”, oggi la chiamiamo la “politica corretta” tra l’uomo vecchio ed il nuovo, tra il nostro cuore di carne ed il nostro cuore di pietra. Non è splendente, diciamo, ma in fondo, non bisogna chiedere-pregare troppo, l’autentica preghiera infatti ci presenta un conto da pagare che furbamente rigettiamo.
Cristo è venuto per darci la sua pace è vero, ma non è quella del mondo, non è quella che ci spinge ad accettare il compromesso. Cristo vuole darci la sua pace estinguendo tutto ciò che minaccia la circolazione dell’Amore.
Così, un giorno il re dice: “Dove sono andati a finire i briganti?”
– Signore, si sono nascosti, sono neutralizzati” –
“Sì per ora, ma bisogna farla finita! Li stanerò dai loro nascondigli e se non vorranno accettare questa pace e si ostineranno ad essere briganti alla fine li sterminerò.
– Oh no mio Signore! – risponde impaurito -, ma così li risveglierete, sarà di nuovo la guerra –
“Ma io non sono venuto a portare la pace che vuole il mondo, ma la divisione tra ciò che è bene e ciò che è male: una guerra di sterminio contro tutto ciò che minaccia la mia vera Pace, i giusti attendono la giustizia”.
Dunque il re stesso scatena i briganti che la sua presenza aveva prima addormentato. Da qui le tentazioni strane che possono nascere in noi dopo lunghi anni passati al servizio di Cristo: il risveglio delle febbri addormentate o anche di febbri sconosciute. E’ quel buon segno che sant’Agostino chiama “sana inquietudine”, è lo Spirito Santo che fa le vere pulizie!
Restando all’esempio della storiella vediamo come la profanazione della storia, l’irruzione cioè di categorie profane nello spirito e nelle istituzioni umane è sempre la conseguenza del fatto che l’uomo ad un certo punto si fa misura da sé delle cose. Ciò è accaduto fin dall’inizio. Ma partiamo da alcune precisazioni.
Laddove “Padre” è molto spesso usato come sinonimo di genitore, deve essere specificato, come del resto la Chiesa stessa ci insegna, che si può essere genitori, senza essere padri. Pensiamo Santi Fondatori come San Benedetto, vero Padre dell’Europa cristiana. Lo stesso termine “Padri pellegrini” usato per gli iniziatori della comunità americana presero proprio dal cristianesimo il concetto di una paternità spirituale e simbolica, effettiva nella costituzione di una genesi sociale, politica e culturale.
Ugualmente Padre è spesso usato anche come sinonimo di maschio. Ma “maschio” non equivale a padre. Ci sono maschi che non sono ne genitori, ne padri, poiché non hanno figli, così chiamiamo “padre” il Papa o i sacerdoti i quali non hanno avuto figli in senso carnale.
Il termine “Padre”, in verità, si conviene essenzialmente ad una funzione che è quella della custodia ed accrescimento della vita, la trasmissione della verità sulle cose.
Solo per un voluto malinteso senso delle cose quando si pensa alla vita si pensa automaticamente alla madre in senso assoluto. Così come, sempre per un voluto malinteso delle cose il concetto di “matrimonio” è diventato “patrimonio”.
Cosa vuol dire questo? Proviamo a spiegarlo brevemente.
Rispetto al significato originale che questi termini avevano, noi siamo riusciti perfino a peggiorarli, a pervertirli. Infatti patrimonium, deriva si da “padre” che è letteralmente “ciò che spetta, concerne, compete al padre”, si riferiva principalmente a funzioni, compiti e responsabilità verso non solo i figli ma il proprio “clan”, l’onere di proteggere, nutrire e soprattutto custodire la propria famiglia salvaguardando le tradizioni affinché venissero tramandate correttamente.
Nella dominazione Romana il “matrimonium”, indicava principalmente la “maternità legale” (non necessariamente corrispondente a quella naturale, esistevano già le adozioni), in seguito il suo strumento e la sua condizione di ruolo.
Una legalità che riscontriamo nella Bibbia: ” Chiamò poi la madre di lei e le disse di portare un foglio e stese il documento di matrimonio, secondo il quale concedeva in moglie a Tobia la propria figlia, in base al decreto della legge di Mosè” (Tb.4,14).
Il punto di rottura di questa concezione a suo modo ”alta” per i suoi tempi di patrimonium e matrimonium e che comunque garantiva legalmente una sicurezza per i componenti della Famiglia a cominciare proprio dalla donna la quale, attraverso il contratto diventava legittimamente moglie – salvaguardandola anche dalla frode di uomini avidi e sfruttatori – la rottura fra questi due ruoli insostituibili dicevamo è stata invece che è la madre ad allevare i figli e il padre a pensare agli affari. Per dirla chiara e breve è oramai passata l’idea del padre come “assegno”, colui che porta a casa i soldi.
Ma molto più oggi che ieri, paradossalmente questo è divenuto per il padre lo scopo di vita principale, specie quando il lavoro si è identificato con l’accumulazione, con la carriera, con il successo, divenuti spesso veri e propri idoli.
Se è vero che molte donne vengono abbandonate dai mariti, oggi, perché infatuati di donne più giovani, è anche vera l’altra faccia della medaglia: che oggi sono molte le donne che abbandonano i mariti magari per il collega sul posto di lavoro e che però pretendono l’assegno familiare, e pretendono la custodia dei figli dimenticando che, in questa guerra fra pezzenti – a rimetterci sono proprio loro, i figli e la stessa identità della Famiglia le cui conseguenze franano rovinosamente su tutta la società.
Purtroppo talvolta la cura della dimensione materiale, di sopravvivenza, connessa pure con il dovere paterno di sostentare la prole, ha portato padri e madri a dimenticare l’insegnamento di Gesù: «Dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore» (Mt 6, 22-34).
L’uomo continua al mantenimento (salvo poi fare il furbo e non pagare, quando può, il dovuto specialmente quando ci sono i figli ancora da svezzare), ma ciò che gli viene negato ingiustamente è quel “patrimonium” che dovrebbe in verità ancora svolgere, anche se è venuta meno la parte del “matrimonium”, e naturalmente ciò deve essere rapportato anche quando è alla madre che vengono tolti i figli.
L’unico vero motivo per cui un padre non dovrebbe più esercitare questo “patrimonium” dovrebbe essere quello di una dichiarazione legale che lo addita come soggetto incapace, pericoloso, violento e persino delle volte incestuoso-pedofilo. Ma lo stesso metro di misura dovrebbe oggi essere usato anche per quelle donne che abbandonano i propri mariti senza i motivi sopra allegati, se non altro in nome di quella tanta sventagliata parità perché, se è vero che “l’utero è suo” non lo è di diritto esclusivo il contenuto.
I drammi peggiori avvengono quando i due esercizi, patrimonium-matrimonium, vengono brutalmente separati e quando non si tiene conto del bene dei figli e soprattutto dei loro diritti a cominciare da quello di avere un padre ed una madre.
“Il matrimonio sia rispettato da tutti e il talamo sia senza macchia. I fornicatori e gli adùlteri saranno giudicati da Dio” (Eb.13,4).
Il termine “matrimonium” lo troviamo solo 4 volte nella Bibbia, il perché così poco è presto detto, lo spiega Gesù nel famoso brano di Matteo 19 che vale la pena leggere integralmente:
“Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: «È lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?».
Ed egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi».
Gli obiettarono: «Perché allora Mosè ha ordinato di darle l’atto di ripudio e mandarla via?».
Rispose loro Gesù: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un’altra commette adulterio».
Gli dissero i discepoli: «Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi». Egli rispose loro: «Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca».
Dunque: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un’altra commette adulterio», Gesù taglia la testa al toro, la soluzione è una sola, quella di ritornare al progetto originario per cui l’uomo e la donna furono creati, maschio e femmina li creò con un progetto preciso, non può esserci un matrimonium senza patrimonium e viceversa, togliendone uno si rischia l’impoverimento dell’altro.
Spesse volte la discrepanza fra i due ruoli ha prodotto ciò che possiamo definire quale “autorità” che ha visto in passato, purtroppo, la donna succube delle violenze del marito e, occorre dirlo, impossibilitata a difendersi.
Con il termine autorità (dal latino auctorìtas, da augeo, accrescere) si intende quell’insieme di qualità proprie di una istituzione o di una singola persona, cui gli individui si assoggettano in modo volontario, per realizzare determinati scopi comuni.
Augeo implica un senso di servizio, di utilità, ma anche di ingegno e creatività. Autore deriva dal medesimo etimo: è colui che crea per mezzo del proprio ingegno, che aggiunge e fa prosperare. L’autorità è un concetto legato essenzialmente all’ordine cognitivo e confluisce alla Verità: non a caso si dice nel parlare comune “è un ‘autorità in materia”.
L’autorità implica a sua volta il concetto di un sapere riconosciuto socialmente, in virtù del quale si attribuisce un corrispondente potere riconosciuto socialmente.
La patria potestà, per esempio, è stata sempre definita come un atto concesso al padre in quanto gli si riconosceva la capacità di far crescere il figlio in maniera retta, ed anche perché era il padre a riconoscere, appunto, la legittimità di quella paternità o perché figlio proprio, o perché adottato. Valeva sempre il famoso detto: “Mater semper certa”, una locuzione latina, la cui traduzione è “La madre è sempre certa” (cioè conosciuta definitivamente in quanto partoriente), venne poi completata da “pater autem incertus” oppure “pater numquam”, da qui la necessità del “riconoscimento” della prole o dell’adozione e che il padre affidava, d’autorità appunto, al ruolo di spettanza della moglie, la maternità. L’autorità allora non è l’esercizio del potere su altre persone, men che meno la forza brutale, tuttavia essa ha preteso spesso di fondarsi sull’avere e sul potere. Ieri era il “padre-padrone” oggi è spesso la donna con il suo femminismo esasperato a farla da padrone.
In entrambi i casi a rimetterci sono sempre stati i figli e la stessa società la quale si fonda sull’equilibrio dell’esercizio familiare.
Venuta meno la stabilità familiare degli anni ’70/80 con un incremento, ad oggi, di divorzi pari al 40%, l’onda d’urto si è riversata sulla medesima instabilità dei figli, soprattutto quelli per natura fragile, a causa di una mancata completezza della propria identità.
Tornando alla genesi del nostro discorso, puntiamo l’attenzione sul termine “Padre”.
Siamo un pò troppo abituati alla sua derivazione greca e latina da dimenticare però la sua provenienza dal sanscrito “Pi-tà”, radice di Pà che tiene il concetto che gli è proprio: “proteggere” e “nutrire”= pateomai, in greco significa mi nutro.
Pà, colui che protegge, è pure la stessa radice sanscrita di patis. Signore, e di pa-yu, custode. Padre è dunque colui che protegge, nutre, governa e custodisce.
Dice il Salmo: “Neque dormite! qui custodit te, ecco non dormitabit neque dormiet qui custodit Israel, Dominus custodit te Dominus protectio tua super manum dexteram tuam per diem sol non uret te neque luna per noctem/
Non si addormenterà il tuo custode. Non si addormenterà, non prenderà sonno il custode d’Israele. Il Signore è il tuo custode, il Signore è come ombra che ti copre, sta alla tua destra. Di giorno non ti colpirà il sole, ne la luna di notte” (Salm. 120 (121).
Scrive a ragione San Paolo: «Per questo, dico, io piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome, perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell’uomo ulteriore» (Ef.3,14-16).
”Padre nostro” è l’inizio della preghiera che il Signore Gesù ci ha insegnato.
Affermare la paternità di Dio non significa disprezzare il femminile, ma affermare l’assoluta trascendenza di Dio.
Scrive Jean Bastare che se l’amore di Dio « si fosse manifestato donna, avremmo assistito a un ritorno in forze dei culti primitivi. Si sarebbe verificata una confusione più forte che mai tra un amore di assorbimento e un amore di oblazione, la trascendenza divina avrebbe regredito fino a trovarsi inghiottita nel seno delle dee-madri. Bisognava che Gesù fosse uomo e non donna perché Dio fosse Dio e non l’insieme del cosmo», la genialità di Dio è stata proprio l’istituzione della Chiesa quale Madre tanto da far dire a San Cipriano: ” Non può avere Dio per padre chi non ha la Chiesa per madre” (4).
Nel Vangelo Gesù si rivolge a Nicodemo: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui» (Gv.3).
Nell’amore dei genitori verso i figli, nelle madri quando esercitano il loro ruolo e soprattutto nei padri a riguardo di questa autorevolezza di cui abbiamo parlato, deve trapelare, trasparire, trasfigurare lo stesso amore di Dio Padre: i nostri figli non sono figli nostri, sono anzitutto figli di Dio e partecipano alla Sua opera di salvezza.
Così come Dio ha dato il Figlio unigenito per la salvezza del mondo, anche noi dobbiamo essere disponibili ad offrire al Padre celeste questi nostri figli ricevuti innanzi tutto da Lui quale dono.
Qualcuno ha scritto: se i divorzi sono in aumento e si dice che i giovani non vogliono più sposarsi, perché allora tanta fretta ed insistenza nell’imporci la creazione di presunti matrimoni-famiglie omosessuali? Che senso ha?
Belle riflessioni, questo significa usare la ragione. Dovremmo, allora e piuttosto preoccuparci di dover prima risolvere il problema di questi abbandoni, di tante ragazze madri, delle adozioni così difficili per le vere famiglie sterili ma con un padre e una madre, preoccuparci di risolvere i nostri egoismi, le inquietudini, l’autentico rispetto della vera libertà dei figli cresciuti nella complementarietà fra le diversità sessuali e quindi imparare a rispettare gli altri, non vedere nell’altro solo l’oggetto del piacere e del desiderio, assumersi le proprie responsabilità invece di ricorrere all’aborto per nascondere i tanti adulteri che si consumano oramai dal periodo della adolescenza, e quant’altro di nocivo stiamo vivendo nel nostro presente mettendo a rischio il futuro!
Padre, allora, è custode e signore, ma allo stesso modo o è sposo o non è padre.
E sposo è colui che giura, che fa voto solenne, che promette, dunque che impegna se stesso, che dà se stesso, che si spende, dal greco spèndein (da cui sposo). Lo stesso dicasi per la sposa, la madre, colei che accoglie.
Sposo è colui che impegna se stesso di fronte al Cielo (si veda l’esempio di San Giuseppe) ma anche davanti agli uomini: ecco perché anche un sacerdote può essere un padre. Così come anche la Sposa è colei che impegna se stessa nell’accogliere la vita (ricordiamo il fiat di Maria Santissima) di fronte al Cielo e al mondo: ecco perchè anche le suore sono chiamate “madri”.
Non è la generazione sessuale che fa il padre, ma l’impegno alla cura e custodia dei figli, l’impegno a crescerli secondo natura e non secondo le proprie ideologie o voglie, l’impegno a dar loro anche una madre perché egli cresca nella complementarietà delle diversità e per questo non vi è che un modello: la famiglia composta da un padre e da una madre, da un uomo e da una donna. Lo stesso vale per la donna che non è la proprietaria o la padrona della vita che ha portato nel grembo.
Per questo la Sacra Famiglia, quella composta da Maria, Giuseppe e Gesù resta il modello unico e fondamentale.
Lo Sposo si “spende” per la Sposa, si impegna per questa custodia e la sposa provvede a quella dimensione materna che solo una donna può dare.
– I due sono complementari, si appartengono, ma ognuno conserva la dimensione che gli è propria;
– hanno una pari dignità, ma al tempo stesso non sono uguali nei ruoli;
– hanno gli stessi diritti, ma al tempo stesso anch’essi devono proteggere, custodire, difendere i diritti dei figli;
– sono entrambi educatori, ma al tempo stesso imparano anch’essi dai figli a risolvere i problemi della vita.
Rispettando questo Amore autentico, queste promesse fatte, la donna non sentirà più la necessità di gridare che “l’utero è suo”, né l’uomo sentirà la voglia di ripudiarla in cerca di altro.
Allora si che i figli comprenderanno la prodezza di una promessa fatta, il significato della fedeltà, del sacrificio, dell’offerta ma anche della vera felicità, della autentica serenità, allora sì che anch’essi saranno in grado di fare scelte coraggiose, saranno in grado di fare promesse e mantenerle contribuendo davvero per una società migliore. Se non si ritorna ai ruoli naturali l’uomo – ma anche la donna – potrà inventarsi mille nuove antropologie che non risolverà mai la propria inquietudine.
«Per questo, dico, io piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome, perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell’uomo interiore. Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori (..) per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen» (Ef.3,14-21).
“Per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli!”
Meditiamo su questo passo, perché qui sta infine l’ultima custodia del padre, la custodia della Tradizione, questa trasmissione della Verità ai figli per i figli dei figli, perché un giorno, chiudendo gli occhi, possa il nostro cuore, pure pentito di tutti gli errori ed i peccati commessi lungo il cammino della vita, presentarsi alla Misericordia di Dio nell’abbandono di chi non ha sciupato il dono di Grazia che gli era stato consegnato nella Fede dei suoi padri: “Laudo autem vos quod omnia mei memores estis et, sicut tradidi vobis, traditiones meas tenetis. Volo autem vos scire quod omnis viri caput Christus est, caput autem mulieris vir, caput vero Christi Deus.
Vi lodo poi perché in ogni cosa vi ricordate di me e conservate le tradizioni così come ve le ho trasmesse. Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l`uomo, e capo di Cristo è Dio”. (1Cor.11,2-3)
Custode della Fede è il padre. Custodia della Fede è la Tradizione.
Vogliamo concludere con le parole del Papa a Manila, quando ai giovani, ma anche a tutti noi, ha detto:
“Il termine “sfida” può essere inteso in due modi. Il primo in senso negativo, come un tentativo di agire contro le vostre convinzioni morali, contro quanto voi professate circa il vero, il buono e il giusto. La nostra integrità morale può essere “sfidata” da interessi egoistici, dall’avidità, dalla disonestà, o dall’intenzione di strumentalizzare gli altri.
Ma l’espressione “sfida” può essere anche compresa in senso positivo. Può essere vista come un invito ad essere coraggiosi, a dare una testimonianza profetica della propria fede e a quanto viene ritenuto sacro. In questo senso, la sfida all’integrità morale è qualcosa con cui in questi tempi e nella vostra vita è necessario confrontarsi. Non si tratta di qualcosa che è possibile rimandare a quando sarete più anziani o avrete maggiori responsabilità. Anche adesso siete sfidati ad agire con onestà e correttezza nei vostri rapporti con gli altri, siano essi giovani o vecchi.
Non fuggite da questa sfida! Una delle più grandi sfide che i giovani hanno di fronte è quella di imparare ad amare. Amare significa prendersi un rischio: il rischio del rifiuto, il rischio di venire usati, o peggio di usare l’altro.
Non abbiate paura di amare! Ma, anche amando, preservate la vostra integrità morale! Anche in questo siate onesti e leali!
Nella Lettura che abbiamo ora ascoltato, Paolo dice a Timoteo: «Nessuno disprezzi la tua giovane età, ma sii di esempio ai fedeli nel parlare, nel comportamento, nella carità, nella fede, nella purezza» (1 Tm 4,12).” (5)
Sia lodato Gesù Cristo + sempre sia lodato.
Note
1 – Giorgio Lecchi e Alain de Benoist ne – II male americano – L.ED.E,Roma. i 978. pag. 33.
2 – teste rotonde (ingl. roundheads) Espressione con cui furono indicati i sostenitori del Parlamento durante la guerra civile inglese (1642-51), e in particolare i puritani e i membri del New model army di O. Cromwell (➔), a causa dell’abitudine di portare i capelli rasi; a essi si contrapponevano i «cavalieri» (ingl. cavaliers), sostenitori del re. Il termine, in origine spregiativo, rimase in uso fino alla rivoluzione del 1688.
3 – Claudio Rise – Padre, l’assente inaccettabile – San Paolo, Cinisello Balsamo, 2003. pag. 51-52.
4 – San Cipriano, L’unità della chiesa cattolica, III-VI-VII. La frase completa è la seguente: La sposa di Cristo non sarà mai adultera: essa è incorruttibile e pura, una sola casa conosce; con casto pudore custodisce la santità di un solo talamo. Lei ci conserva per Dio. Lei destina al Regno i figli che ha generato. Chiunque, separandosi dalla Chiesa, ne sceglie una adultera, viene a tagliarsi fuori dalle promesse della Chiesa: chi abbandona la Chiesa di Cristo, non perviene certo alle ricompense di Cristo. Costui sarà un estraneo, un profano, un nemico. Non può avere Dio per padre chi non ha la Chiesa per madre. Se si fosse potuto salvare chi era fuori dall’arca di Noè si salverebbe anche chi è fuori della Chiesa. “
5) Visita Apostolica Papa Francesco – Discorso ai giovani al Campo sportivo dell’Università Santo Tomas di Manila – Domenica, 18 gennaio 2015
AGGIORNIAMO l’articolo perché il Papa ha parlato, oggi mercoledì 28 gennaio 2015, dello stesso tema da noi trattato:
La cultura occidentale ha in molti ambiti rimosso la figura del “padre”, per questo troppi ragazzi oggi sono “orfani”, carenti dell’amore e di quei valori che un papà può trasmettere ai propri figli. È la severa disamina che il Papa ha effettuato durante l’udienza generale in Aula Paolo VI.
Padri mancanti
È la lettura socio-familiare sulla quale Francesco basa lo spunto iniziale della sua catechesi. “Padre”, sottolinea, è una parola certamente “universale” e anche particolarmente “cara” ai cristiani, perché “padre” è il “nome con il quale Gesù ci ha insegnato a chiamare Dio”. I problemi per il Papa nascono nella cultura occidentale contemporanea dove, nota, la figura del padre viene considerata “simbolicamente assente, svanita, rimossa”: “I padri sono talora così concentrati su se stessi e sul proprio lavoro e alle volte sulle proprie realizzazioni individuali, da dimenticare anche la famiglia. E lasciano soli i piccoli e i giovani. Già da vescovo di Buenos Aires avvertivo il senso di orfanezza che vivono oggi i ragazzi. E spesso domandavo ai papà se giocavano con i loro figli, se avevano il coraggio e l’amore di perdere tempo con i figli. E la risposta era brutta, eh! La maggioranza dei casi: ‘Ma non posso, perché ho tanto lavoro…’”
“Amici alla pari” invece che guide
In passato, aveva ricordato Francesco, in alcune nelle case regnava “l’autoritarismo, in certi casi addirittura la sopraffazione”, con genitori “che trattavano i figli come servi”, insensibili alle loro esigenze di crescita, incapaci di educarli al difficile valore della “libertà”. Adesso, ripete, anche quando sono presenti tanti padri è come se non ci fossero:
“A volte sembra che i papà non sappiano bene quale posto occupare in famiglia e come educare i figli. E allora, nel dubbio, si astengono, si ritirano e trascurano le loro responsabilità, magari rifugiandosi in un improbabile rapporto “alla pari” con i figli. Ma, è vero che tu devi essere compagno di tuo figlio, ma senza dimenticare che tu sei il padre, eh! Ma se tu soltanto ti comporti come un compagno alla pari del figlio, non farà bene al ragazzo…”.
Padri di figli orfani
Padri, insiste Francesco, che parlano poco o nulla coi figli e, in generale, che non adempiono al loro “compito educativo”, cioè “non danno ai figli, con il loro esempio accompagnato dalle parole, quei principi, quei valori, quelle regole di vita di cui hanno bisogno come del pane”. Il risultato? Piccoli e giovani segnati da “lacune e ferite”, talvolta “anche molto gravi”:
“In effetti le devianze dei bambini e degli adolescenti si possono in buona parte ricondurre a questa mancanza, alla carenza di esempi e di guide autorevoli nella loro vita di ogni giorno, alla carenza di vicinanza, alla carenza di amore da parte dei padri. E’ più profondo di quel che pensiamo il senso di orfanezza che vivono tanti giovani”.
Tanti idoli ma cuori “rubati”
Papa Francesco spiega che questa analisi a tinte fosche è solo l’inizio di un percorso, che “la luce e la bellezza” della paternità le affronterà in una successiva catechesi. Tuttavia, la conclusione della sua prima riflessione è molto problematica, quando il senso di orfanezza dei giovani si proietta anche sul loro sentirsi abbandonati anche dalla società, sorta di padre putativo che non si prende cura di loro in ambito pubblico:
“Anch’essa spesso li lascia orfani e non propone loro una verità di prospettiva. I giovani rimangono, così, orfani di strade sicure da percorrere, orfani di maestri di cui fidarsi, orfani di ideali che riscaldino il cuore, orfani di valori e di speranze che li sostengano quotidianamente. Vengono riempiti magari di idoli ma si ruba loro il cuore; sono spinti a sognare divertimenti e piaceri, ma non si dà loro il lavoro; vengono illusi col dio denaro, e negate loro le vere ricchezze”.