San Bernardo e il vero Matrimonio amplexio e amplexus

La metafora dell’Amore (*)

San Bernardo di Clairvaux (Dottore della Chiesa) ha, più di tutti gli altri monaci del XII secolo, utilizzato l’allegoria dell’amore per parlare dei misteri cristiani. Si può intravedere con una certa precisione in che modo, nella sua psicologia e nella sua teologia, questa metafora ha, per così dire, funzionato? Se si vuole rispondere ad una domanda simile, il primo compito che s’impone è verificare qual era il fondamento del confronto così stabilito tra l’amore umano e altre realtà: di quale amore si tratta? Come si colloca nella società di quel tempo?

Interroghiamo la lunga serie degli ottantasei Sermoni sul Cantico dei Cantici, aggiungendovi anche dei rari complementi tratti dal resto dell’opera di Bernardo e, infine, suggerendo dei paralleli con altri autori.

  1. LA REALTÀ DI BASE

Il punto di riferimento utilizzato dall’allegoria è l’amore. Quale amore? Di quale tipo? Tra chi e chi? Nessuna risposta a queste domande è contenuta nei primi scritti di san Bernardo sull’amore: la sua Lettera 11 e il suo trattato Sulla necessità di amare Dio. Vi si trovano, è vero, qualche reminiscenza e qualche citazione del Cantico dei Cantici, ma senza commenti precisi. Sin dai primi sermoni sul Cantico, invece, è chiaramente enunciato quello che sarà il punto di partenza degli sviluppi poetici e mistici di cui tutta l’opera sarà colma.

Il sermone introduttivo utilizza già, e con insistenza, il vocabolario dell’«amore», del «matrimonio», delle «nozze», dell’«abbraccio», a proposito di uno «sposo», e di una «sposa» che è «capace» di queste attività perché è giunta all’età «da marito». Bernardo vuole insegnare con questo – visto che sin dall’inizio è in azione il procedimento allegorico – a dei lettori e a degli uditori che non sono più dei principianti: l’epitalamio sacro – questo poema nuziale che è il Cantico – non va messo nelle mani di chiunque.

Bernardo dichiara di rivolgersi qui ai suoi monaci, e sappiamo chi erano: adulti, giovani o maturi, che, prima della loro conversione, avevano avuto, in un modo o nell’altro, qualche esperienza della vita amorosa.  Presto, evocherà il passato profano di qualcuno di loro e le tracce che ha lasciato nelle loro memorie: «Tra quanti portano l’abito religioso e che hanno fatto la professione religiosa, ve ne sono alcuni che si ricordano — e che arrivano al punto di vantarsene con imprudenza — delle cattive azioni commesse un tempo: sono fieri di essersi buttati con coraggio in tenzoni a colpi di spada, o di essersi dedicati con arguzia a certami letterari, come ad altre vanità di questo mondo… Se ne ricordano, sia per pentirsene che per gloriarsene…».

Un’allusione di Berengario alla giovinezza di Bernardo lascia intravedere che questi tornei «letterari» non erano tutti di carattere scolastico e dottrinale: talvolta la competizione consisteva nel provare di essere capaci di comporre versi più divertenti di quelli degli altri…  È sullo sfondo di questi ricordi ancora vivi che si collocano le immagini evocate, poi interpretate. Si esita a richiamarne il dettaglio in una lingua diversa dal latino, questa lingua artificiale, se non già morta, e sacra, che le circondava di poesia. Ma il rigore della ricerca intrapresa non concede dispense.

Per il semplice fatto che il testo del Cantico cominci col parlare del bacio, è questa particolare metafora ad essere innanzitutto utilizzata; ma questo «contatto delle labbra» è il simbolo di una metafora più vasta, quella dell’abbraccio, dell’amplesso totale.

Così il bacio è all’inizio descritto in se stesso, come un contatto reciproco attraverso il quale le labbra diffondono e si comunicano le une alle altre un beneficio, con abbondanza;  poi è presentato come una parte, e l’inizio, di un’unione più integrale;  dopo il bacio delle labbra, la sposa diviene madre, concepisce, i suoi seni si gonfiane, si riempiono di latte; se li si preme, il latte ne esce e si può saziare un neonato.  Così, in un certo modo, i seni, turgidi di latte e profumati di unguenti, sono ancora più fecondi dello stesso amplesso,  in colei che non è più una bambina, e non lo nasconde.

Altre evocazioni del bacio tendono a far meglio «vedere» quanto, altrimenti, rimarrebbe implicito: «Quando ci prepariamo ad abbracciarci l’un l’altro, non orientiamo le nostre bocche l’una verso l’altra?».  Questo modo di parlare al plurale ci permette di dedurre che si tratta di un’esperienza comune, nota a tutti. «Il bacio è il bocca-a-bocca: avvicina, abbraccia, unisce».  «Per dare un bacio, bisogna che le due labbra di ogni bocca si premano l’una su l’altra».

Così, mentre il testo del Cantico si limitava a dire: «Mi baci con i baci della sua bocca…», i commenti che Bernardo vi aggiunge aiutano a rappresentare esattamente l’attività amorosa di cui si tratta. Come se tutto il valore dell’allegoria che seguirà dipendesse dal realismo di quanto le serve come termine di confronto, come se la logica dei prossimi sviluppi teologici esigesse che l’oggetto del simbolo fosse innanzitutto chiaramente presentato. Perché una metafora sia giusta e legittima, è importante, infatti, che il senso primo della realtà di base si applichi esattamente alla realtà figurata, trasposta. Bernardo non cerca di sottrarsi a questa legge del genere; sarà, lo vedremo, largamente ricompensato.

Il suo testo obbliga a constatare che la sua descrizione dell’amplesso (amplexio) o degli abbracci (amplexus) è ancora più precisa di quella del bacio, che si tratti delle preparazioni o dell’atto stesso: la sposa ha dell’audacia, penetra dallo sposo; liberamente, fa irruzione da lui; lui la riconosce; lei gli piace. Allora lei diviene sposa: gode degli abbracci; vi è eccitamento, strofinio, adesione, effusione, recezione.  E di nuovo ripete: «Lo sposo e la sposa, soli all’interno, godono di abbracci vicendevoli e segreti».

In queste frasi, ogni parola è concreta. Ma quale fascino misterioso le avvolge il fatto di essere bibliche! Sono dense, ma si evita di insistervi sopra. Le si confronti con quelle di quel poema erotico contemporaneo la cui sorprendente concisione fa sì che ogni termine evochi un’immagine precisa, come per forzare lo spirito a compiacervisi. Qui, nulla di simile. Basta che pochissimi termini, ugualmente biblici, di risonanza spirituale, siano introdotti tra i termini realisti perché questi si carichino di un significato sublime: questa libertà, di cui si trattava, è quella dello Spirito Santo, questo calore è quello dello Spirito di Cristo.

Questo si verifica ancora, altrove: tra la «congiunzione delle labbra» e l’« abbraccio che non si può districare» (indiscreta commixtio), si inserisce l’«effusione delle gioie» (infusio gaudiorum), e queste due parole fanno passare tutto ad un registro superiore. La scelta dei termini, la musica delle frasi, la bellezza letteraria sottraggono le immagini al dominio del sensuale. Sarà così sino all’ultimo sermone, in cui, per tre volte, Bernardo menzionerà l’intimità, il segreto della notte e del letto.

Infine, ecco un’altra componente della metafora: il dialogo d’amore.

Si comincia col guardarsi, perché gli sguardi sono l’indizio dell’amore (aspectus, indices amoris). Poi «lo sposo la chiama “amica mia” (illam amicam nuncupat), la dichiara bella e lo ripete (pulchram pronuntiat, pulchram iterat); lei gli rivolge affermazioni simili (eadem ab illa vicissim recipiens), allora l’amore è assicurato (amoris confirmatio)».

Lo sposo ama e continua a pronunciare parole d’amore; la chiama «mia colomba, tu che sei per me»; ciò che lei era abituata a domandargli, ora lui l’attende da lei: che lei lo guardi e gli parli! Si comporta come uno sposo pieno di riservatezza, che arrossirebbe ad amarla in pubblico. Si decide a godere delle sue delizie in un angolo nascosto, «nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi». Anche qui, questi ebraismi latinizzati conferiscono alle immagini un carattere misterioso e al tempo stesso concreto. «Immagina la conversazione! Lo sposo le dice: “Non aver paura, amica mia, come se il lavoro nella vigna, cui t’invito, ci distogliesse dalla nostra attività amorosa” : questo negotium amoris non è il contrario dell’otium, dello svago, del tempo libero? Non saprà neppure interromperlo! Anche nella vigna, ci sarà spazio per ciò cui tutti e due aspiriamo: id quod pariter optamus ».  Cosa significa questo id il cui senso non viene precisato? Ognuno lo sa. Quale realismo, unito a quale delicatezza! Vi è in questo linguaggio, disseminato di parole della Vulgata, abbastanza evanescenza, mistero, perché l’evocazione dello scambio amoroso non divenga mai troppo chiara, mai banale, senza poesia.

_012 Bernardo e Matrimonio 3Tutto questo amore, così intimo, così intenso, tra quali persone viene scambiato ? Non è sempre detto chiaramente. L’amplesso, di cui abbiamo riassunto la descrizione, potrebbe avvenire in una qualunque relazione amorosa, se il contesto non lasciasse intendere che si tratta di uno sposo e di una sposa, nel senso forte e preciso di questi due termini, in opposizione a quella forma di amore che si può trovare con una prostituta.  Ma, molto presto, altri testi dissolvono ogni dubbio: si tratta di un amore coniugale.

Questo sentimento (affectio) non è di quelli che esistono in altre categorie sociali: quello della schiava, del mercenario, del discepolo o del figlio: questo affetto amoroso (affectio amoris) è «tipico dello sposo e della sposa».

Orbene, questo cosa implica? «Tra loro, tutto è comune, nulla appartiene in proprio a uno dei due, vi è indivisione».

Nell’enunciato di quanto comporta questa comunità di vita si mescolano realtà di ordine sociologico, fisico e affettivo: «una sola discen-denza (una haereditas), una sola casa, una sola tavola, un solo letto, infine una sola carne». Si riconosce qui tutto il contenuto dell’«affetto coniugale». E, infatti, la Scrittura conferma che si tratta del matrimonio: «L’uomo lascerà suo padre e sua madre, si unirà alla sua sposa». Non vi è dunque nessun dubbio: sponsa, qui, equivale a uxor. Il seguito del testo lo proclama ancora: tutto questo è detto «specificamente degli sposi», «lei è designata come sposa».  Nulla, in tutto questo, di un amore passeggero.

Questo amore coniugale è casto, poiché esclude l’adulterio. È durevole, esclusivo, disinteressato. «Lei ama castamente, colei che cerca colui che ama e nessun altro se non lui».  Solo questo amore permette che si acceda all’intimità (accessus ad intima).  Il fondamento della metafora è dunque il matrimonio ; questo termine è finalmente pronunciato: « Il matrimonio carnale fa dei due una sola carne».

Non c’è spazio per amanti (amatores), perché tutto è attribuito a colui che è il «tuo sposo» (vir tuus).  Questa dimensione matrimoniale, così nettamente affermata, manca nel Cantico: è aggiunta da Bernardo conformemente alla cultura e alle strutture sociali della sua epoca. E d’ora in avanti per tutti i sermoni, la «sposa» è contrapposta alle sue compagne adolescenti e alle altre: è colei che condivide la casa (domestica), che è carissima, amata in modo particolare, la sola dolce, la sola introdotta presso il suo sposo,  la sola cui la sua camera sia riservata, la sola che possa godere segretamente della sua presenza.  Non è questo il caso né delle altre ragazze, né di quelle concubine e di quelle dame di cui parla il Cantico: tutto è orientato verso la sola e unica sposa.

A causa della stessa imprecisione del testo del Cantico, la condizione matrimoniale dei due amanti non è sempre richiamata senza dubbio possibile. Tuttavia, i testi chiari dell’inizio rimangono presupposti. E negli ultimi sette sermoni, tutto è nuovamente senza ambiguità: vi si parla di «affinità», dei «costumi e dell’amore degli sposi» (more et amore sponsorum) ,  delle nozze (nuptiae), di una alleanza di carattere sociale (inire foedus societatis), che fa «portare con il re il giogo soave dell’amore».

«Una tale conformità costituisce un matrimonio (maritat): comporta che si abbia accesso l’uno all’altra, che ci si unisca, che ci si rivolga delle domande, che ci si desideri; un contratto, anzi, un abbraccio (contractus, immo complexus), da uguale ad uguale» : «poiché sono sposo e sposa». 

E di nuovo viene citato san Matteo: «Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie» (19,5).  Sappiamo ormai tutto quanto include questa adesione (adhaerebit):   il contatto dell’amplesso. Tipico di questo amore tra sposi è la fedeltà, la reciprocità (amoris vicem requicit et fidem). I termini «sposare», «consenso», hanno dunque un senso preciso.

Nell’ultimo dei sermoni compiuti, ecco un ultimo enunciato di quanto costituisce il «matrimonio carnale» (carnale connubium), consacrato dalle «nozze»: l’amore avvicina i due esseri, il loro impegno alla fedeltà li sposa: amor conciliat, professio maritat,  conformemente a san Matteo, ancora citato. Tre volte, il verbo «unirsi» (adhaerere) si trova associato alle parole «sposa» (coniux), «sposata» (maritata), alla idea di fedeltà, a quella di fecondità grazie alla quale la sposa diviene madre. La realtà che serve da punto di riferimento a tutta la metafora è dunque l’amore carnale che esiste tra persone sposate. Il Commento breve del Cantico, cui senza dubbio Bernardo non è estraneo, anche se Guglielmo di Saint-Thierry ne fu il redattore, lo      presuppone ugualmente: «Lo sposo carnale e la sua sposa sono abituati a circondarsi l’un l’altro di rispetto. Così fa Rebecca slanciandosi davanti al suo nuovo sposo…».

La stessa conclusione s’impone se consideriamo quanto potremmo chiamare gli antimodelli dell’unione che san Bernardo considera normale. Come, secondo la psicologia di Carl Gustav Jung, «l’ombra» si oppone ad ogni realtà per far meglio percepire ciò che è, così, nei Sermoni sul Cantico, vi è antitesi tra l’unione matrimoniale, da una parte, e, dall’altra, la prostituzione, l’adulterio, l’unione libera lodata dagli eretici renani.  Della prima parleremo a lungo in un altro capitolo. Il secondo, ancora designato come «fornicazione», consiste, per la donna, nel «lasciare» colui cui aveva promesso la sua «prima fedeltà», ad andarsene dagli amanti; tuttavia, anche dopo tale infedeltà, torna dallo sposo che ama, e dal quale si sente amata, ristabilisce con lui quelle relazioni tra persone sposate (vir e uxor) di cui Geremia aveva parlato.

La confutazione degli eretici renani offre l’occasione di riaffermare cos’è l’unione matrimoniale. Il male essenziale, in questo ambito, è, tra loro, che «le mogli abbandonano i loro mariti e i mariti le loro mogli» : «Chi è questa donna e da dove viene? È la tua sposa? — No», rispondono.  Considerano l’unione carnale tra gli sposi come una realtà vergognosa,  mentre è proprio in questo caso che è legittima.

Di qui la vigorosa apologia che san Bernardo fa del matrimonio: «Togli dalla Chiesa il matrimonio onorevole, e così sopprimi il letto senza macchia».  Quale contrasto tra i «nascondigli dei dirupi» in cui lo sposo e la sposa cercano l’intimità e la fedeltà, e quelle grotte in cui gli eretici vanno a nascondere la loro licenza, la loro mancanza di fedeltà!

Questa difesa e illustrazione dell’«unione coniugale» (maritalis copula) finisce col confermare che la norma è sempre, per Bernardo come per tutti gli altri monaci, il matrimonio: le forme di unione che non hanno questa stabilità sono decisamente rifiutate.

  1. LE TRASPOSIZIONI METAFORICHE

Vi è uno stretto parallelismo, in san Bernardo, tra l’«unione carnale», carnale connubium, e il «matrimonio spirituale», spirituale matrimonium. Tutta l’analogia presuppone il realismo dell’evocazione costante dell’amore nel matrimonio, ed esprime una teologia il cui valore deriva appunto da questa realtà di base. Bernardo opera questa trasposizione, per così dire, a tre livelli diversi: quello dell’amore che intercorre innanzitutto tra le Persone della Trinità, poi tra il Verbo e l’umanità del Cristo, infine tra Dio, il Cristo e la Chiesa, e ogni membro della Chiesa.

  1. S.Bernardo di Chiaravalle
    S.Bernardo di Chiaravalle

    L’amore trinitario

Non si può apprezzare il contributo recato da Bernardo in questo ambito senza collocarlo nella tradizione: come sempre, non innova, nel senso che non inventa nulla; ma rinnova tutto, dando al patrimonio anteriore una formulazione inattesa e dei prolungamenti che orienteranno tutta l’evoluzione successiva.

Molto prima di san Bernardo e specialmente nel solco di sant’Ambrogio e di sant’Agostino, nel V secolo san Fulgenzio di Ruspe aveva applicato allo Spirito Santo l’immagine del soffio che proviene da una persona umana al momento di un bacio scambiato tra sposi.

Il Cristo resuscitato non aveva, per comunicare il suo Spirito, fatto con la bocca il gesto del’insufflazione?  Da questo momento, si potranno seguire «le incarnazioni dell’analogia coniugale e familiare nel corso della storia della teologia trinitaria».

Negli autori scolastici posteriori al XII secolo, a causa di una svalutazione del ruolo della donna, questo simbolismo perde terreno. Ma sussisteva l’idea che «tipico dello Spirito Santo è essere una Persona che è un Inter-Persona».  La metafora matrimoniale applicata alla Trinità doveva essere ripresa poi nel XIX secolo..  Ma fa parte di una realtà più vasta, quella dell’amicizia, di cui l’amore coniugale è una forma privilegiata, se vogliamo, il compimento.  È in relazione a questo contesto storico e dottrinale che san Bernardo appare insieme tradizionale e creatore. Uno storico informato ha recentemente dato un riassunto esatto del suo insegnamento,  che però merita di essere esaminato più da vicino e proposto con una certa ampiezza.

Tutto l’essenziale si trova nell’ottavo Sermone sul Cantico. Anche qui, si ammira la densità delle formule, la precisione nell’evocazione delle immagini, in particolare di quella del bacio, l’esattezza dell’applicazione teologica. L’intero testo parla d’amore: in Dio, ognuna delle persone «abbraccia l’altra per dilezione, la stringe contro di sé per affetto. Orbene questo scambio di conoscenza e di amore tra colui che genera e colui che è generato, cos’è se non un bacio estremamente soave, estremamente segreto?».

Bernardo identifica questo bacio con l’insufflazione attraverso la quale il Resuscitato dona il suo Spirito alla Chiesa: «Il bacio non è il soffio corporale, ma lo Spirito indivisibile donato in questo soffio perché si comprenda che procede ugualmente dal Signore e dal Padre come un bacio comune a colui che abbraccia e a colui che è abbracciato… Il Padre abbraccia, il Figlio è abbracciato, lo Spirito è il Bacio come pace imperturbabile e indivisibile unità del Padre e del Figlio».

Tutto il seguito del sermone sviluppa questa idea che «la rivelazione avviene con un bacio, cioè per mezzo dello Spirito Santo». «Baciando il Figlio, il Padre si rivela a lui, si diffonde in lui e (secondo il linguaggio tecnico della teologia) spira in lui un abbraccio di vicendevole conoscenza e accettazione, e di vicendevole dilezione».

La vita trinitaria è «questo abbraccio eterno e di una felicità unica». Lo Spirito, è il «bacio della bocca» dato al Figlio dal Padre. Questo bacio di bocca è, per il Padre, essere nel Figlio e, per il Figlio, essere nel Padre. Tutte le precisazioni date prima sull’atto del bacio tendevano a questa precisazione teologica: vi è uguaglianza nell’unione e nell’abbraccio, la bocca si unisce alla bocca alla medesima altezza.

Questo simbolismo esprime dunque, innanzitutto, l’unità di Dio nelle sue tre Persone, senza che si debba far ricorso ad un’altra realtà che non siano loro; poi la differenza tra le Persone che sono Dio, e la loro uguaglianza; infine, l’ordine che vi è tra loro e secondo il quale si uniscono l’una all’altra. È quanto, appunto, la tradizione teologica latina chiama l’ordine delle processioni.

L’insegnamento di questo Sermone sul Cantico si ritrova riassunto nell’ottantanovesimo Sermone su soggetti vari: «La bocca del Padre è il Figlio… Questa rivelazione reciproca, sia del Padre, sia del Figlio, non si realizza che attraverso lo Spirito Santo. Se dunque il Padre e il Figlio si danno l’uno all’altro un bacio, qual è il loro bacio, se non lo Spirito Santo?».

In questi testi, quale realismo nell’immagine, quale logica nella sua trasposizione e quale originalità nell’utilizzazione di un tema già presente in molte tradizioni da secoli, e forse da millenni! Poiché il simbolo del bacio non è legato ad una cultura determinata: è universale, è una sorta di archetipo.  Lo si trova spesso nell’Antico Testamento, ma non manca altrove, ad esempio nell’induismo.  Nel cristianesimo, i Padri latini avevano all’inizio sviluppato l’immagine, presente nel Vangelo, dell’insufflazione e, sulla scia di san Paolo, quella del soffio. Sant’Agostino aveva aggiunto l’idea di una comunione di amore, Fulgenzio quella di quella spada che è la Parola che esce dalla bocca di Dio e che penetra profondamente quanti raggiunge.

È interessante notare, di passaggio, che san Bernardo cita Fulgenzio quando, nei Sermoni sul Cantico, confuta l’insegnamento di Gilberto de la Porrée sulla Trinità.  In lui, il bacio designa chiaramente l’atto d’amore scambiato tra gli sposi: questo presuppone che vi sia uguaglianza tra loro e che la sposa non sia solamente passiva; contribuisce, come lo sposo, a produrre questo bacio che è loro comune. L’analogia matrimoniale svolge dunque perfettamente la sua funzione a proposito della Trinità.

  1. Il Mediatore

Accade lo stesso a proposito dell’Incarnazione. Bernardo ne ha parlato utilizzando diverse allegorie. Nel suo trattato Sulla considerazione, per esempio, paragona l’unione delle due nature, divina e umana, nel Cristo, al lievito mescolato alla pasta e divenuto una cosa sola con lei; certi manoscritti designano questo passo del testo come una Parabola.  Nei Sermoni sul Cantico, l’unione di Dio con l’uomo nel Cristo è, sin dall’inizio, simbolizzata dal bacio. Innanzitutto è affermato il fatto: «Ricevere un bacio con la bocca, questo è il privilegio unico dell’uomo assunto dal Verbo».

La spiegazione è subito data: «State attenti: la bocca che bacia è il Verbo che assume; quella che è baciata è la carne che è assunta; quanto al bacio, che è compiuto sia da chi bacia che da chi è baciato, è la Persona costituita dall’uno e dall’altro, è il mediatore tra Dio e gli uomini, Gesù Cristo uomo». 

Così, come il bacio, con i suoi tre elementi inseparabili, esprimeva che vi sono tre Persone in un solo Dio, ora esprime che vi sono due nature nell’unità di Cristo. Anche qui, è la precisione della realtà di base che rende possibile quella dell’applicazione teologica.

Bernardo precisa ulteriormente come vi è nel Cristo, tra l’umanità e la divinità, unione e differenza: «La bocca del Verbo preme la natura umana: così, Dio si unisce all’uomo, in cui, ormai, risiede tutta la pienezza della divinità».

Questa alleanza di Dio e dell’uomo è designata con un termine della stessa famiglia di quello che si applica all’alleanza coniugale, il foedus matrimonii. «Questa alleanza delle nature adatta al divino quanto è umano».  E Bernardo continua a parlare nello stesso senso, sino al momento in cui conclude che, in questo caso e nel contesto, «il bacio non può essere altra cosa che il Mediatore».

  1. L’unione del Verbo e della Chiesa

Infine, la metafora coniugale si presta anche ad esprimere l’unione di Cristo con la Chiesa. La Chiesa è fatta dalla comunione delle anime: la Chiesa e l’anima si simboleggiano l’un l’altra, perché ognuna delle due include l’altra. Anche qui, vi sono tre realtà tra le quali esistono unità e diversità, cioè: la Chiesa, l’anima, l’amore che le unisce.

Questo è simboleggiato dalla comunione attiva che ha luogo nell’atto d’amore: sin da questa vita, poi nella gloria, ognuno di noi aderisce alla Chiesa nell’abbraccio dell’amplesso.

Formula forte, perché presuppone non solamente il bacio, ma l’unione totale. San Bernardo non indietreggia davanti a queste formule, se il loro vigore permette di cogliere una realtà misteriosa, difficile da formulare in altri termini.

Tutte le parole contano in questa densa frase relativa alla Chiesa: «Possediamo tutto questo pienamente e interamente, e non vi è nulla di contraddittorio nel dire che nello stesso tempo ognuno vi partecipa individualmente».

Tutto quanto, prima, era stato rilevato a proposito dell’attività amorosa degli sposi — sguardi, parole e il resto   — viene ora applicato alle relazioni tra il Verbo e l’anima: «Lo Spirito è il Verbo; lo spirito è anche l’anima, hanno il loro linguaggio grazie al quale si rivolgono l’un l’altro, si dimostrano di essere presenti l’un l’altro».

Con questi sguardi, queste parole, questi gesti d’amore, tre realtà si trovano unite, pur rimanendo distinte: il Verbo, la Sposa che gli risponde e corrisponde, e la grazia che diffonde in lei.  Ancora più in là, tutto questo mistero è espresso in termini d’amore: «Non vi è una sola anima, ve ne sono molte, riunite in una sola Chiesa, abbracciate in una sola Sposa».

La realtà presupposta è sempre quella del matrimonio unico e fedele: «Lei gli è carissima, lei è una sola per uno solo: lei non si unisce ad un altro sposo, lui non cede ad un’altra sposa. Quale audacia non avrà, lei, verso colui che l’ama con tale ambizione».

Tutto questo mistero sarà perfettamente compiuto e rivelato nell’escatologia: «Vi sarà unione, vicendevole visione, vicendevole dilezione, dilezione consumata; piena conoscenza, visione chiara, unione solida, società indivisibile, somiglianza perfetta: lo Sposo si rallegrerà con la sua sposa, colui che conosce con colei che è conosciuta, colui che ama con colei che è amata ».

E nell’ultimo dei sermoni compiuti, Bernardo spinge quest’analogia coniugale sino al suo termine; la fecondità, la sposa diviene madre, e un gioco di parole aiuta a mostrare come il fatto di «godere del Verbo» conduca a «portare frutto» grazie al Verbo, e per il Verbo: frui Verbo – fructificans Verbo.

In questa applicazione ecclesiale della metafora coniugale, il simbolo non è più solamente il bacio; è tutto l’insieme delle manifestazioni dell’amore, in particolare il fatto di incontrarsi con gli sguardi.

Per esempio, a proposito dell’amore che la Chiesa ha per Gesù crocifisso, lei che contempla il suo costato trapassato da cui scende la grazia che renderà possibile l’unione alla sua gloria di resuscitato,  Bernardo dice che il volto della sposa, rivolto verso la gloria di Dio, guarda il volto del suo Sposo, desidera vederlo, desidera anche, di conseguenza, ascoltare la sua voce.  Tutta una serie di citazioni bibliche permette a Bernardo di abbandonarsi a delle variazioni su questo «vedere» e su questo «ascoltare» reciproci.

Altrove, in una lettera, parla della Sposa come della Beneamata «di cui il suo Sposo desidera la bellezza, di cui lui ha rivestito la forma, alla quale, nella sua mirabile condiscendenza, si è unito con abbracci casti e indissolubili, di modo che fossero due in una sola carne, coloro che, un giorno, saranno due in un solo spirito».

S.Bernardo di Chiaravalle
S.Bernardo di Chiaravalle

La Chiesa sarà perfettamente sua sposa nella sua gloria. Ma sin da ora gli è unita come sono marito e moglie.

Qui Bernardo gioca, per così dire, con due testi che anche altrove gli è piaciuto avvicinare.  Il primo è tratto dal Genesi (2, 24) ed è stato ripreso nel Vangelo secondo san Matteo: «E i due saranno una sola carne». Il secondo si trova nella prima lettera di san Paolo ai Corinti: «Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito» (6, 17).

Orbene, nel versetto precedente san Paolo aveva appena detto : «Chi si unisce alla prostituta forma con essa un corpo solo». L’allegoria è dunque chiara. Nel primo caso, si tratta di quanto Bernardo, altrove, chiama sia «l’unità coniugale, grazie alla quale due non sono più due, ma una sola carne»,  sia «l’unità carnale tra l’uomo e sua moglie, di cui è detto: saranno due in una sola carne».  Nel secondo caso, si tratta dell’unione con Dio attraverso lo Spirito Santo. La prima è la metafora della seconda, questa è la piena realizzazione della prima. Orbene questa realtà è innanzitutto compiuta tra il Verbo-Sposo e la Chiesa-Sposa.

Il termine latino comune a queste citazioni bibliche è quello che designa, nel senso più forte della parola, l’amplesso amoroso: adhaerere. Questa unione è sia il simbolo — come in quest’ultimo testo — dell’unione spirituale, che il contrasto che serve a mostrare il carattere proprio dell’unione spirituale: «Questo amore vicendevole, intimo e forte, che unisce i due, non in una sola carne ma, veramente, in un solo spirito».

In ogni modo, la realtà di base presupposta dalla metafora è sempre la stessa e Bernardo è costante nell’uso che ne fa. Nei primi quattordici Sermoni sul Cantico, la sviluppa esplicitamente. Nel seguito, gli basterà farvi allusione: i suoi lettori sanno ormai ciò di cui vuole parlare.

Come è stato detto, altri autori avevano sviluppato l’allegoria nuziale prima di san Bernardo, ma lo avevano fatto in una misura minima e in un’altra maniera. Sant’Anselmo, che gli è poco anteriore, la ignora completamente. E un contemporaneo di Bernardo, Guglielmo di Saint- Thierry, sembra essere stato molto più riservato di lui: A differenza di Bernardo, Guglielmo non fa dell’amore coniugale una figura dell’amore più alto, di questo amore che si ricollega così strettamente all’amplesso dell’anima e di Cristo suo Sposo. Non ha molto da dire dell’amore umano nella sua Esposizione del Cantico dei Cantici.

Nella generazione successiva, Riccardo di San Vittore avrà ancora un atteggiamento diverso, quando parlerà delle relazioni che uniscono le Persone della Trinità.

Il continuatore dei Sermoni sul Cantico di san Bernardo, Gilberto di Hoyland, utilizza, dal canto suo, la metafora matrimoniale con estremo realismo. Commentando questo versetto del Cantico: «Sul mio piccolo letto, lungo la notte, ho cercato l’amato del mio cuore» (3, 1), scrive: «Perché la sposa dice: “Sul mio piccolo letto”, e non “sul letto”? … In questa precisazione, mi sembra di vedere chiaramente una restrizione: il letto è largo abbastanza per ospitare solo il Beneamato e la fidanzata. Perché, infatti, non interpretare questa restrizione in un senso favorevole, se l’allargamento del giaciglio può dar luogo ad un rimprovero? “Hai allargato il tuo giaciglio, dice il Signore attraverso il profeta; hai accolto accanto a me un adultero” (Is 57, 8) … È dunque con ragione che la sposa si rallegra del suo piccolo letto: “Il giaciglio è così stretto che uno dei due deve cadere, e che la stretta coperta non può coprire tutti e due” (Is 28, 20). Tutti e due: cioè il marito e l’adultera».

Nel momento di trasporre queste immagini, Gilberto non si colloca, come Bernardo, al livello del dogma e della teologia, ma a quello della psicologia dell’esperienza spirituale: parla del «riposo» dell’anima nella contemplazione. Colui che si può considerare come il più «esicasta» degli scrittori cistercensi sviluppa nello stesso senso, e frequentemente, il simbolismo del letto e delle delizie dell’amplesso.  Nel seguito del testo, un inno all’amore disinteressato   è simile a quelli composti da san Bernardo, ma non uguale. In un punto, è vero, una netta distinzione è stabilita tra il fidanzamento e il matrimonio. La promessa (desponsatio) è celebrata con una giornata di festa, condurrà «al letto, al calore vitale degli affetti» ; allora le «nozze» trasformeranno la fidanzata in sposa: da questo momento, non ci sarà più ripudio né divorzio possibile; lo sposo dovrà rimanere per sempre nella casa della sua sposa, questo matrimonio è defini-tivo.  È il momento in cui ha luogo questo «uso dell’amore», usus amoris, proprio degli sposi e in cui ciascuno rende all’altro il suo debito.  Delle immagini forti recano delle precisazioni che sono appena traducibili.

Il fatto che si trovino in dei sermoni che sembrano essere stati scritti per delle monache conferma le constatazioni che sono state esposte altrove sull’assenza di rimozione come di malsana compiacenza nell’autore, nelle sue auditrici, nelle sue lettrici e nei suoi lettori. Gilberto parla delle stesse realtà di Bernardo e nello stesso linguaggio. Non raggiunge la sua qualità né di poeta né di teologo, ma utilizza lo stesso metodo allegorico a proposito della stessa realtà di base: l’amore che, normalmente, esiste tra sposo e sposa.

Certi lettori moderni non mancheranno di domandarsi perché questi monaci si siano espressi con tanta franchezza a proposito dell’amore coniugale. Davano allora libero corso a desideri da tempo rimossi? Niente, in loro, tradisce l’ossessione e la repressione.

Da una parte, parlano relativamente poco di queste realtà in confronto a tutto ciò che dicono su altri soggetti. Ma quando devono farlo, non si credono obbligati a scusarsi come se toccassero un tema proibito, un tabù.  Secondo la personalità di ciascuno di loro, danno prova sia di un ottimismo che tende verso una certa idealizzazione delle attività amorose, sia di un pessimismo che traduce un rifiuto di queste realtà e un certo disprezzo nei loro confronti. Il primo atteggiamento è, tra i più grandi, il più frequente.

Alcuni, ai giorni nostri, vanno ripetendo che il matrimonio, in quanto comporta un aspetto carnale, era poco stimato nel XII secolo. In realtà, molti testi fanno pensare che le cose andassero molto diversamente. Come si sarebbe potuto parlarne con tanta chiarezza e vedere in esso il simbolo dei misteri più alti, se non lo si fosse considerato come una grande e bella realtà?

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Note

(*) I Monaci e il Matrimonio dell’abate Jean Leclercq – 1982 Ed. SEI

Tutti i «virgolettati» provengono dalle Opere di San Bernardo: Super Cantica – I Sermones super Cantica, tra il primo e secondo volume delle “S. Bernardi Opera, Roma” 1957-1958 – Naturalmente, nel libro originale di cui riportiamo questo capitolo, troverete le singole Note a tutti i riferimenti sopra riportati.

Qui a seguire il capitolo che spiega come la Chiesa trattasse, con infinita misericordia, le prostitute….

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