Alcuni “quesiti e risposte” dal sito Amici Domenicani, per conoscere la sana dottrina e la vera misericordia

Come ricordiamo spesso, le Opere di Misericordia che la Chiesa ha tratto dai Vangeli, sono 14, sette corporali e sette spirituali. Tra le sette spirituali troviamo il dovere di “consigliare i dubbiosi; istruire gli ignoranti e ammonire i peccatori“… Nessuno si senta offeso nel sentirsi “ignorante” perchè in effetti lo siamo, specialmente oggi in materia dottrinale. Tutti abbiamo sempre qualcosa da imparare e tutti abbiamo spesso la necessità di chiarire qualche dubbio, o fin anche sentirsi ammoniti quando la nostra strada prende una via contorta e pericolosa! La virtù dell’umiltà, quando è ben vissuta, ci ricorda come anche il più bravo, o buon cristiano, ha bisogno di porsi qualche domanda se vuole progredire nella propria fede e se vuole portare a compimento la propria conversione al Cristo.

Qui a seguire abbiamo selezionato alcuni Quesiti rivolti al domenicano Padre Angelo Bellon il quale, dal sito amicidomenicani.it e con somma carità e competenza, offre delle risposte che saziano ogni curiosità, chiariscono molti dubbi ed ammaestrano con la più autentica pratica della vera Misericordia nella Verità. Buona riflessione a tutti.

Potete scaricare tutto in comodo pdf qui.


Il nostro parroco non ha accettato il padrino di mia figlia che ora non è più sicura che Dio esista

Quesito

Caro padre Angelo,
la mia più che una domanda vuole essere una confidenza. Ho una figlia di quasi 15 anni e’ stata battezzata da due persone che dopo compiuti i 4 anni non l’hanno più cercata. Lei ha sempre frequentato la chiesa, ha fatto il chierichetto, le messe fino a quando non e’ arrivato il giorno di cresimarsi (preciso che ha frequentato assiduamente e con piacere 6 anni di catechismo).
Diceva sempre che per la cresima avrebbe scelto un padrino che le volesse bene e che io secondo lei avrei già dovuto scegliere al suo battesimo.
Mio fratello, padre di tre figli (meravigliosi) ma separato e convivente con un’altra persona. Il nostro parroco non ha accettato dicendo di cambiare. Ma il padrino non dovrebbe essere scelto per amore?
Adesso mia figlia non vuole più frequentare la chiesa e dice di non essere più sicura che Dio esista, perché secondo lei il nostro parroco e’ stato ingiusto…
Devo dire che per una serie di lunghi motivi anche io ho perso la fiducia nel mio parroco, ma non in Dio che mi da la forza tutte le mattine di lottare.
Mi spaventa che mia figlia stia perdendo la fede e che non voglia più fare il sacramento della cresima se non può scegliere una persona a cui vuole bene dice lei. Ho paura di questo. Mio marito da ragione a mia figlia. Cosa ha fatto di così male mio fratello in fondo? Non è comunque una brava persona? E perché adesso la sua ex moglie può battezzare il nipotino solo perché separata ma non ufficialmente convivente.
Mi scuso dello sfogo ma ho bisogno di parlare con qualcuno, per me che mia figlia non faccia la cresima è un dolore enorme.
Debora


Risposta del sacerdote

Cara Debora,
1. non basta che una persona sia buona perché possa adempiere all’ufficio di padrino o madrina.
Tanti non cristiani sono buoni, ma non possono essere padrini nel battesimo o nella cresima.
E questo non perché non siano buoni a sufficienza, ma perché mancano alcuni requisiti importanti.

2. Io non dubito minimamente della bontà di tuo fratello, ma questo non è ancora sufficiente per essere padrino o madrina.

3. Intanto andiamo a vedere che cosa si richiede perché uno sia padrino o madrina:
Ecco che cosa stabilisce la disciplina della Chiesa (e cioè il Codice di Diritto canonico):
“Can. 892 – Il confermando sia assistito per quanto è possibile dal padrino, il cui compito è provvedere che il confermato si comporti come vero testimone di Cristo adempia fedelmente gli obblighi inerenti allo stesso sacramento.

4. Ora tuo fratello, per quanto ottimo sotto tanti punti di vista, è separato dalla sua famiglia e vive con un’altra donna che non è sua moglie.
In poche parole vive in una situazione di adulterio.

5. Con il Sacramento del matrimonio ci si assume la vocazione di essere con il proprio comportamento un segno visibile e tangibile del modo con cui Dio ama l’uomo e Cristo ama la Chiesa.
Sebbene l’uomo e la Chiesa in quanto fatta di uomini non siano sempre meritevoli dell’amore di Dio, Dio tuttavia li ama instancabilmente e fedelmente.
Proprio di questo deve essere testimone un padrino della cresima: dell’instancabile e fedele amore con cui Dio ama l’uomo e Cristo ama la Chiesa.

6. Ora tuo fratello per quanto buono non sta manifestando col proprio comportamento l’instancabile e fedele amore per sua moglie, come ha promesso nel giorno delle nozze, ma lo contraddice.
Tant’è che proprio per questo suo stato non può essere né confessato né comunicato.

7. Come vedi, facciamo in fretta a dire che non ci va giù il parroco. Ma in questo caso devo dire che il parroco ha fatto il suo dovere.
Se avesse ceduto su questo punto con tua figlia, avrebbe dovuto cedere anche con tanti altri che avrebbero scelto padrini e madrine che vivono in una situazione che contraddice la testimonianza da rendere a Cristo.
E allora la celebrazione del sacramento della Cresima che in quanto tale è effusione di grazia e di Spirito Santo per essere testimoni di Cristo e del suo instancabile amore verrebbe contraddetta da un palese comportamento contrario.

8. Se altre persone hanno solo l’esterno che non contraddice la testimonianza da rendere a Cristo, ma non ne hanno l’interno, sono fatti loro.
Dovranno rendere conto a Dio di questo inganno fatto alla Chiesa.
Ma la loro doppia vita non scusa chi palesemente contraddice gli obblighi del proprio stato.

9. Tutta questa vicenda, anziché allontanare tua figlia da Dio e dai Sacramenti della Chiesa, dovrebbe impegnarla a celebrare in maniera più autentica questo Sacramento.
A cominciare dalla scelta del padrino o della madrina, e cioè che sia una persona che vive conformemente a quello che ha promesso nel giorno del matrimonio: di essere fedele nella buona e nella cattiva sorte alla propria sposa e non dia il suo affetto ad una persona diversa dalla sua sposa e dalla madre dei suoi figli.
In particolare, che scelga uno che in quel giorno dopo essersi confessato e possa fare la Santa Comunione per lei.

Vi auguro ogni bene, vi ricordo al Signore e vi benedico.
Padre Angelo


In base a quale criterio Pio X ha fatto l’elenco dei 4 peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio

Quesito

Gentilissimo p. Angelo
secondo il catechismo di san Pio X sono 4 i peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio:
1 commettere omicidio volontario,
2 l’atto impuro contro natura
3 oppressione dei poveri
4 defraudare l’operaio della giusta mercede.

In base a quale criterio Pio X ha fatto questo elenco?
a mio avviso il più grave atto contro Dio è l’idolatria: e difatti i primi tre comandamenti lo attestano. Inoltre Gesù ha detto che tutti i peccati saranno perdonati, soltanto il peccato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato né in questa vita né nell’altra: ossia l’ostinazione nel peccato e l’incapacità di aprirsi alla grazia dello Spirito.
Capisco la gravità dei peccati elencati, ma addirittura che gridino vendetta…..mi sembra una dicitura poco pastorale, e che non tiene conto della misericordia di Dio.
Alla luce di quanto le ho detto, quello sancito da Pio X nel suo catechismo mi pare un” ordine” di peccati quantomeno arbitrario.
Inoltre le volevo chiedere se tali peccati si trovano anche elencati nel nuovo catechismo, quello del 1992, sempre sotto la stessa dicitura, oppure sono stati eliminati non come peccati – ovviamente – ma come peccati che gridano vendetta verso Dio.
Grazie della risposta che vorrà fornirmi, le chiedo di ricordarsi nella messa di un povero peccatore di nome Gianfranco.
La saluto cordialmente
Gianfranco


Risposta del sacerdote

Caro Gianfranco,
1. la dicitura è tratta dalla Sacra Scrittura che usa questo linguaggio di “gridare verso il cielo” proprio per i quattro peccati menzionati.
Quindi Pio X ha ripreso pari pari quanto afferma la Sacra Scrittura in vari passi e l’ha messo in colonna.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica tralascia il gridare vendetta e si limita a dire che questi peccati gridano verso il cielo (CCC 1867).

2. Secondo la Sacra Scrittura gridano verso il cielo l’omicidio volontario, il peccato impuro contro natura, l’oppressione dei poveri, la frode della mercede agli operai.

3. Si afferma che gridano verso il cielo perché chiedono giustizia al Signore già nella vita presente a motivo della loro malizia e del grande turbamento che provocano nei rapporti tra gli uomini e nella società.
In realtà si può notare nella sacra Scrittura che Dio interviene perché si parla di distruzione e di uccisione di spada, secondo la legge allora vigente, che era la legge del taglione.

4. Noi non abbiamo bisogno di ricorrere alla legge del taglione perché sappiamo bene che il male danneggia anzitutto chi lo compie. Si tratta di una punizione (se così si può dire) che è immanente al peccato. Non gli viene dall’esterno.
In questi quattro casi il male compiuto è così grave che chi lo compie causa a se stesso un male enorme.
Così:
– Caino ha il rimorso della coscienza per sempre.
– Una società che si gloria della sodomia, si autodistrugge, finisce. Non c’è bisogno che Dio la punisca. Si punisce da sola, con la parola “fine”.
– L’oppressione di poveri non porta bene a chi opprime, ma solo sventura, come possiamo vedere in tutti i regimi dittatoriali che sono finiti nel sangue dei dittatori.
– La ricchezza accumulata con l’ingiustizia (frode del salario) è a rovina e perdizione dei ricchi.

5. Ecco i passi della Sacra Scrittura dove – come puoi notare – sempre ricorre il termine “gridare”:
– a proposito dell’omicidio di Abele perpetrato da Caino, Dio dice a Caino: “Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!” (Gn 4,10).
– a proposito del peccato impuro contro natura, che si identifica con il peccato dei sodomiti, degli abitanti di Sodomia (è il peccato di omosessualità): “Disse allora il Signore: «Il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!» Perché noi stiamo per distruggere questo luogo: il grido innalzato contro di loro davanti al Signore è grande e il Signore ci ha mandato a distruggerli»” (Gn 18,20) e “Perché noi stiamo per distruggere questo luogo: il grido innalzato contro di loro davanti al Signore è grande e il Signore ci ha mandato a distruggerli” (Gn 19,13).
– a proposito dell’oppressione dei poveri si parla del lamento del popolo oppresso in Egitto: “Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l’Ittita, l’Amorreo, il Perizzita, l’Eveo, il Gebuseo. Ecco, il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto come gli Egiziani li opprimono” (Es 3,7-10).
Si parla anche del lamento del forestiero, della vedova e dell’orfano: “Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Non maltratterai la vedova o l’orfano. Se tu lo maltratti, quando invocherà da me l’aiuto, io darò ascolto al suo grido” (Es 22,20-22).
Il testo va avanti dicendo come ascolterà il loro grido: “la mia ira si accenderà e vi farò morire di spada: le vostre mogli saranno vedove e i vostri figli orfani” (Es 22,23).
– a proposito dell’ingiustizia verso il salariato: “Non defrauderai il salariato povero e bisognoso, sia egli uno dei tuoi fratelli o uno dei forestieri che stanno nella tua terra, nelle tue città. Gli darai il suo salario il giorno stesso, prima che tramonti il sole, perché egli è povero e a quello aspira. Così egli non griderà contro di te al Signore e tu non sarai in peccato” (Dt 24,14-15) e: “Ecco, il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte agli orecchi del Signore onnipotente” (Gc 5,4).

6. Per quanto riguarda la salvezza eterna certamente i peccati contro lo Spirito Santo hanno una loro gravità a motivo dell’ostinazione nel peccato e dell’incapacità di aprirsi alla grazia dello Spirito.
Ma nell’elenco di questi peccati che potrebbero anche coincidere con alcuni peccati contro lo Spirito Santo, si vuole sottolineare che a motivo del grande turbamento che attuano nell’ordine sociale, provocano già di qua in chi li compie un male molto grave.

Così ho risposto a tutte le tue domande e mi auguro di essere stato chiaro.
Ti ricordo volentieri nella Messa, soprattutto perché me l’hai chiesto.
Ti ricordo anche nella preghiera quotidiana e ti benedico.
Padre Angelo


Sono convivente e il sacerdote non mi ha dato l’assoluzione; io pensavo che con Papa Francesco si fosse aperto uno spiraglio

Quesito

Caro Padre Angelo,
le scrivo in seguito a dei giorni difficili che sto vivendo. Pochi giorni fa mi sono recata da un sacerdote per compiere la confessione. Il mio rapporto con la fede è in un momento un po’ difficile e tutto è stato amplificato dal fatto che il sacerdote non mi ha concesso l’assoluzione in quanto convivente senza un imminente progetto di matrimonio.
So che secondo la dottrina le coppie che vivono in uno stato di convivenza non hanno diritto a ricevere l’eucarestia ma, nonostante questo, l’incontro con il sacerdote mi ha provocato molto dolore e attraverso le parole del sacerdote mi sono sentita non degna di Dio.
Pensavo che si fosse aperto uno spiraglio, anche grazie alle parole di Papa Francesco nei confronti delle coppie conviventi, ma evidentemente ho frainteso le sue parole. 
Grazie
Daniela


Risposta del sacerdote

Cara Daniela,
1. non si tratta di aprire spiragli, ma di sapere che cosa sono i sacramenti e a che cosa servono.
Il sacramento della confessione o riconciliazione esprime da parte del soggetto che si confessa il pentimento dei propri peccati e la volontà di cambiare vita e non offendere più il Signore.

2. Chi è convivente di fatto vive la propria sessualità in una maniera che non è conforme al disegno di Dio.
La convivenza indica precarietà. Manifesta insicurezza di donarsi per sempre.
Nella convivenza si è in qualche modo in prova.

3. Ma il rapporto sessuale sul quale la convivenza si fonda di per sé indica qualcosa di più grande: esprime la volontà di donarsi per sempre, di essere di quella persona per sempre.
Anzi presuppone già una consegna o un esproprio dell’uno all’altro. Cosa che avviene al momento del consenso nuziale.
Diversamente è una finzione.

4. Tanto più perché nella convivenza di solito si esclude l’aspetto procreativo inscritto nella finalità stessa del rapporto sessuale.
Anche questo a suo modo manifesta una falsificazione del disegno di Dio sull’amore umano e sulla sessualità.
Diceva Giovanni Paolo II: “Così al linguaggio nativo che esprime la reciproca donazione totale dei coniugi, la contraccezione impone un linguaggio oggettivamente contraddittorio, quello cioè di non donarsi all’altro in totalità.
Ne deriva, non soltanto il positivo rifiuto all’apertura alla vita, ma anche una falsificazione dell’interiore verità dell’amore coniugale, chiamato a donarsi in totalità personale” (Familiaris Consortio 32c).

5. Ebbene, chi è convivente può andare a confessarsi, ma per dire che è pentito di quello che ha fatto e che la ha volontà di cambiare comportamento.
Se va a confessarsi con queste disposizioni riceve l’assoluzione dal sacerdote.

6. Ma se un convivente non ha queste disposizioni, che significa andarsi a confessare?
Il sacramento della confessione è il segno visibile del nostro ritorno a Dio e della volontà di cambiare vita.

7. Potrebbe anche verificarsi che il convivente dica che è pentito del passo falso che ha fatto, che è risoluto di vivere in continenza, ma che per il momento è difficile o impossibile rompere la coabitazione.
In questo caso il sacerdote potrebbe dare l’assoluzione, ma ricordando di non fare la Santa Comunione dove si è conosciuti come conviventi per non creare confusione e scandalo tra i fedeli, i quali (soprattutto i più fragili) potrebbero pensare che la convivenza sia una cosa buona anche perché non preclude l’accesso ai Sacramenti.

8. Papa Francesco dice che bisogna stare vicini anche ai conviventi, per far maturare il loro amore e volgerlo verso il matrimonio, soprattutto se in tale convivenza fossero nati anche dei figli.
Ecco le parole di Papa Francesco: “Tutte queste situazioni (vari tipi di convivenza, n.d.r.) vanno affrontate in maniera costruttiva, cercando di trasformarle in opportunità di cammino verso la pienezza del matrimonio e della famiglia alla luce del Vangelo.
Si tratta di accoglierle e accompagnarle con pazienza e delicatezza. È quello che ha fatto Gesù con la samaritana (cfr Gv 4,1-26): rivolse una parola al suo desiderio di amore vero, per liberarla da tutto ciò che oscurava la sua vita e guidarla alla gioia piena del Vangelo” (Amoris laetitia, 294).

9. Pertanto nella tua situazione attuale io partirei da quello che ho detto nel punto 7.
In questo modo ti apri a Dio vivendo nella sua grazia.
Questa è la cosa più importante, in ordine alla quale vale la pena qualsiasi sacrificio, soprattutto se si tratta di compiere un peccato.

10. Vale anche a questo proposito quanto ha detto Gesù nel discorso della montagna: “Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna” (Mt 5,29-30).
Qui per occhio o per mano destra si può intendere benissimo anche la relazione sessuale fuori del matrimonio.

Parti dunque da quanto ti ho detto.
Il Signore dà la forza a coloro che gliela domandano.
Io la chiedo per te assicurandoti la mia preghiera.
Ti benedico.
Padre Angelo


Mi potrebbe dire se sia lecito raffigurare lo Spirito Santo e, se sì, in quale modo?

Quesito

Caro Padre,
mi potrebbe dire se sia lecito raffigurare lo Spirito Santo e, se sì, in  quale modo?


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. delle raffigurazioni dello Spirito Santo ne parla Benedetto XIV nella  Lettera Sollicitudini nostrae  del 1° ottobre 1745.

2. Al n. 15 dice che è lecito rappresentare lo Spirito Santo perché “leggiamo nelle Sacre Lettere che Dio stesso si è dato a vedere sotto questa o quella forma”.
E allora “perché sarebbe proibito dipingerlo sotto queste stesse forme?”.
E citando un celebre teologo francescano del sedicesimo secolo, il card. Alfònso de Castro, scrive: “Se sono permessi gli scritti a quelli che sanno leggere, anche se le Sacre Lettere sono tenute in somma venerazione, perché non si dovrebbero autorizzare anche le immagini?” (Alfonso de Castro, Adversus haereses, I. 8).
Benedetto XIV ricorda anche che “il cardinale Richelieu sfruttò pienamente questo argomento nel suo Traité qui contient la méthode la plus facile pour convertir ceux qui se sont separè” (Trattato che contiene il metodo più facile per convertire quelli che si sono separati).

3. Al n. 16 scrive: “Una volta posti questi principi per nulla dubbi, sarà facile capire in che modo l’immagine dello Spirito Santo debba essere rappresentata dai pittori, e quali immagini dello Spirito debbano essere approvate e quali condannate.
Nei santi Vangeli scritti dai beati Matteo, Marco e Luca, là dove viene raccontato il battesimo che Nostro Signore volle ricevere da Giovanni, si legge che il cielo si aprì e che lo Spirito Santo discese su di lui in sembianza corporea, come una colomba”.

4. E al n. 18: “Per quanto riguarda il problema presente, dal momento che lo Spirito Santo apparve un tempo visibilmente in sembianza di colombaè certo sotto questa forma che la sua immagine deve essere dipinta.
Su questo punto la disciplina della Chiesa antica conferisce la sua garanzia alla consuetudine dei nostri tempi.
Ne dà testimonianza san Paolino, vescovo di Nola. Costui, all’inizio del V sec. d.C. in una lettera a Severo, descrivendo le pitture che esistevano già a quel tempo nella Basilica di S. Pietro, compose questi versi:
La Trinità splende di tutto il suo mistero:
Ecco il Cristo, in piedi, in forma di Agnello;
la voce del Padre tuona dal cielo,
e lo Spirito Santo scende attraverso la colomba.

5. A n. 19 ricorda due condanne da parte della Chiesa ad un certo Severo che aveva confiscato tutte le colombe d’oro e d’argento che raffiguravano lo Spirito Santo e che erano sopra il fonte battesimale e sopra l’altare divino,  sostenendo che non è lecito indicare lo Spirito Santo in forma di colomba (anno 518)
E menziona anche la condanna nel secondo concilio di Nicea (anno 787) inflitta al catecumeno Xenaias che aveva osato sostenere che è illegittimo rappresentare lo Spirito Santo sotto la forma di una colomba: «Egli diceva, tra le altre cose, che è segno di anima puerile raffigurare nell’idolo della colomba lo Spirito Santo tre volte adorabile».

6. Al n. 21 fa riferimento ad un’altra immagine con la quale lo Spirito Santo si è manifestato: sotto forma di lingue di fuoco come avvenne “quando gli Apostoli e i discepoli nel giorno solenne della Pentecoste erano riuniti insieme con Maria, la madre di Gesù, e apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo”.
E facendo riferimento ad una sua opera (il De Festis Domini Iesu Christi, paragrafi 480 e seguenti) scritta quando era ancora solo il Card. Prospero Lambertini, dice che “è permesso ai pittori raffigurare gli Apostoli con tutti coloro che erano riuniti nel cenacolo, come pure delle fiammelle di fuoco in forma di lingue che discendono dal cielo e piovono sopra le teste di tutti loro; infatti è riportato al cap. 2 della storia sacra degli Atti degli Apostoli che lo Spirito Santo Paraclito manifestò agli uomini la sua venuta in questa circostanza con questo segno visibile.
E aggiunge: “Di conseguenza, se qualcuno volesse dipingere questo stesso Spirito Santo al di fuori di questa circostanza, non potrebbe rappresentarlo altrimenti che sotto la forma di una colomba e… delle lingue di fuoco”.

7. E al n. 22 dà la conclusione: “Dal momento che non è legittimo mostrare agli sguardi degli uomini l’immagine di una Persona divina se non in quella forma in cui questa Persona – secondo quanto riferiscono le Sacre Scritture – si degnò un tempo di mostrarsi loro, non ne deriva soltanto che è lecito dipingere lo Spirito Santo sotto la figura mistica delle lingue di fuoco che scendono sugli Apostoli il giorno di Pentecoste o sotto l’aspetto della colomba nelle altre circostanze, poiché l’uno e l’altro modo di dipingerlo sono fondati sul racconto del testo divino e sulla sua autorità, ma ne deriva anche correttamente che non è assolutamente lecito raffigurare lo Spirito Santo in forma di adolescente o di uomo, perché non si può trovare in alcuna parte delle Divine Scritture che egli sia apparso agli uomini sotto simili forme”.

Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo


Perché se prima non mi sono accostato al sacramento della cresima non posso prendere l’eucaristia?

Quesito

Buonasera padre Angelo,
ma mi spieghi per favore una cosa.
Perché se prima non mi sono accostato al sacramento della cresima non posso prendere l’eucaristia.
Ma tutto questo ha fondamento biblico?
A me non pare.
Da ex evangelico ora cattolico, mi passa la volontà di andare in chiesa, sta settimana non ci sono andato proprio, tranne al catechismo. Perché mi sento escluso.
Ma Gesù ha detto che prima bisogna essere cresimati per mangiare la sua carne?
Lascio a lei la parola.
Buona serata


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. il sacramento della confermazione di per sé precede quello dell’Eucaristia perché è particolarmente connesso con il Battesimo.
Ecco il testo della Scrittura che lo conferma: “Frattanto gli apostoli, a Gerusalemme, seppero che la Samarìa aveva accolto la parola di Dio e inviarono a loro Pietro e Giovanni.
Essi scesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo; non era infatti ancora disceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù.
Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo” (At 8,14-17).

2. È il sacramento che viene dato per il rinforzamento (“avrete forza”, At 1,8) della vita cristiana e per la testimonianza.
Prima di salire in cielo Gesù ha detto: “Ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme” (At 1,8).

3. La Tradizione della Chiesa ha sempre amministrato questo sacramento subito dopo il battesimo se quelli che lo ricevono sono adulti.
Vi è infatti una particolare connessione, come rilevava il papa San Melchiade: “”questi due sacramenti”, cioè il battesimo e la confermazione, “sono così uniti che mai, fuori del pericolo di morte, possano separarsi e conferirsi debitamente se non insieme” (Ad Episcopos hispan. 2).
Per questo nota San Tommaso: “Gli stessi tempi sono assegnati al battesimo solenne e alla confermazione.
Ma poiché la confermazione viene data soltanto dai vescovi, che non sono sempre presenti dove i sacerdoti battezzano, è stato necessario nella prassi comune che il sacramento della confermazione fosse rimandato anche ad altri tempi” (Somma teologica, III, 72, 12, ad 1).

4. Quando dunque ad un adulto si amministra il Battesimo, subito dopo gli si conferisce il sacramento della Confermazione.
E successivamente nella medesima celebrazione partecipa all’Eucaristia attraverso la Santa Comunione.

5. Tuttavia come i primi cristiani che avevano ricevuto solo il Battesimo di Gesù nel frattempo presumibilmente si accostavano all’Eucaristia e come gli apostoli compivano la frazione del pane e cioè celebravano l’Eucaristia anche nel periodo che va dalla risurrezione all’effusione solenne dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste così vi sono dei motivi per dire che si può ricevere la Santa Comunione anche prima della Cresima o Confermazione.
Ecco che cosa dice san Tommaso: “Il nutrimento (Eucaristia) precede la crescita (Cresima) come causa, ma la segue in quanto conserva l’uomo nella perfezione della sua statura e della sua forza.
Ecco perché l’Eucaristia si può anteporre alla cresima, come fa Dionigi, e può posporsi, come fa il Maestro (delle Sentenze)” (Somma teologica, III, 65, 2, ad 3).

6. Nel tuo caso fa secondo quanto ti indica il parroco.
Arriverai alla prima Comunione più preparato e più forte.

Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo


Ho sentito un prete alla Tv dei vescovi che ha definito l’Atto di dolore una “tremenda preghiera”, “una preghiera che non ha nulla di cristiano”

(su questo argomento abbiamo fatto un video catechetico che troverete qui; ed anche un articolo con la risposta del domenicano Padre Riccardo Barile, qui)

Quesito

ciao,
sono quello che t’ha detto che stava leggendo i Moralia di san Gregorio.
Ho sentito un prete alla Tv dei vescovi che ha definito l’Atto di dolore una “tremenda preghiera”, “una preghiera che non ha nulla di cristiano perché Dio non si può offendere e poi Dio non castiga, perché Gesù è venuto a rivelarci un altro tipo di Dio, di Padre”.
La mia domanda: è un castigo di Dio? Intendo il fatto che abbiamo personaggi (preti?) … che pontificano in tivvù (nella tivvù dei vescovi italiani [che grazie a Dio nessuno vede, ma questa è un’altra storia]), spargendo e largamente e impunitamente diffondendo eresie.
Sii sincero (è ovvio che è un castigo di Dio, volevo… boh? tentarti… bah).
Ah ti piacciono le scarpe che porta ‘sto prete (?) in quel video? credo siano scarpe Hogan (ma non sono un esperto)


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. mi spiace per quello che quel prete ha detto nella TV dei vescovi e cioè che il peccato non è un’offesa fatta a Dio.
È vero che chi pecca danneggia se stesso, ma contemporaneamente fa altre due cose: continua a crocifiggere Gesù e compie un danno anche al corpo mistico di Cristo che è la Chiesa.

2. Danneggia chi lo compie: l’ho ripetuto molte volte in questo sito, ricordando anzitutto che cosa dice la Sacra Scrittura: “Chi pecca, danneggia se stesso” (Sir 19,4).
Ma poi anche è l’affermazione di Giovanni Paolo II in Reconciliatio et paenitentia: “Il peccato è un atto suicida” (RP 15).
Evidentemente si tratta del peccato mortale.
Ho ricordato anche quanto dice Sant’Agostino: “il peccato è una maledizione e che per conseguenza dal peccato ne deriva morte e mortalità” (Contra Faustum, 14,4), vale a dire un certo maleficio che uno fa a se stesso. E ho ricordato anche che San Tommaso riporta e fa propria tale affermazione (Somma teologica, III, 46, 4, ad 3).

3. Riporto per intero quanto dice Giovanni Paolo II: “Come rottura con Dio, il peccato è l’atto di disobbedienza di una creatura che, almeno implicitamente, rifiuta colui dal quale è uscita e che la mantiene in vita; è, dunque, un atto suicida.
Poiché col peccato l’uomo rifiuta di sottomettersi a Dio, anche il suo equilibrio interiore si rompe e proprio al suo interno scoppiano contraddizioni e conflitti.
Così lacerato, l’uomo produce quasi inevitabilmente una lacerazione nel tessuto dei suoi rapporti con gli altri uomini e col mondo creato” (RP 15).

4. E proprio perché con peccato l’uomo danneggia se stesso (“il suo equilibrio interiore si rompe e proprio al suo interno scoppiano contraddizioni e conflitti”) si tratta di un castigo che ci su autoinfligge.
Il castigo è intrinseco all’atto che uno compie.
Con linguaggio antropomorfico, ma vero, diciamo: “Perché peccando ho meritato i tuoi castighi.

5.  Ma è anche vero che il peccato offende Dio.
La passione e morte di Gesù non è stata la più grave offesa che gli sia stata fatta?
E Gesù  non è forse Dio fatto carne?
La lettera agli ebrei dice: “Tuttavia, se sono caduti, (…) dal momento che, per quanto sta in loro, essi crocifiggono di nuovo il Figlio di Dio e lo espongono all’infamia” (Eb 6,6).
L’infamia non è forse un’offesa?

6. Pensiamo, ad esempio, a un peccato purtroppo abbastanza diffuso: la bestemmia.
Insultare Dio non è forse offenderlo?
Tra l’altro la parola bestemmia deriva dal greco “blapto” e significa schiaffeggiare.
E che cos’è lo schiaffeggiare se non umiliare una persona?

7. Certo i peccati, tutti i peccati messi insieme, non decurtano neanche di un’unghia la perfezione divina.
Ciò non di meno offendono Dio.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica dice: “Il peccato è un’offesa a Dio: «Contro di te, contro te solo ho peccato. Quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto» (Sal 51,6). Il peccato si erge contro l’amore di Dio per noi e allontana da esso i nostri cuori.
Come il primo peccato, è una disobbedienza, una ribellione contro Dio, a causa della volontà di diventare «come Dio» (Gen 3,5), conoscendo e determinando il bene e il male.
Il peccato pertanto è «amore di sé fino al disprezzo di Dio». Per tale orgogliosa esaltazione di sé, il peccato è diametralmente opposto all’obbedienza di Gesù, che realizza la salvezza” (CCC 1850).

8. Ecco dunque che cosa pensa la Chiesa nella sua dottrina sul peccato.
È un’offesa a Dio, una disobbedienza, una ribellione, un disprezzo di Dio.

9. Continua il Catechismo della Chiesa Cattolica: “È’ proprio nella Passione, in cui la misericordia di Cristo lo vincerà, che il peccato manifesta in sommo grado la sua violenza e la sua molteplicità: incredulità, odio omicida, rifiuto e scherno da parte dei capi e del popolo, vigliaccheria di Pilato e crudeltà dei soldati, tradimento di Giuda tanto pesante per Gesù, rinnegamento di Pietro, abbandono dei discepoli. Tuttavia, proprio nell’ora delle tenebre e del Principe di questo mondo, il sacrificio di Cristo diventa segretamente la sorgente dalla quale sgorgherà inesauribilmente il perdono dei nostri peccati” (CCC 1851).

10. Se ci mettiamo davanti a Gesù crocifisso vediamo subito che cos’è il peccato: è odio omicida, rifiuto, schernovigliaccheriacrudeltàtradimentorinnegamentoabbandono.
E tutto questo che cos’è: una lode o un’offesa fatta a Dio?

11. Senza dire di quanto il Signore ha affermato a proposito del giudizio universale in cui verrà detto ai dannati: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me” (Mt 25,45).
Ciò significa che ogni offesa fatta al prossimo è la stessa cosa che offendere il Signore.

12. Infine il peccato oltre a colpire il corpo fisico di Gesù (la croce) e oltre al danno per chi lo compie, attua sempre un’offesa anche nei confronti della società e della Chiesa.
In Reconciliatio et paenitentia Giovanni Paolo II afferma: “Il peccato di ciascuno si ripercuote in qualche modo sugli altri.
È, questa, l’altra faccia di quella solidarietà che, a livello religioso, si sviluppa nel profondo e magnifico mistero della comunione dei santi, grazie alla quale si è potuto dire che “ogni anima che si eleva, eleva anche il mondo”.
A questa legge dell’ascesa corrisponde, purtroppo, la legge della discesa, sicché si può parlare di una comunione nel peccato per cui un’anima che si abbassa per il peccato abbassa con sé la Chiesa e, in qualche modo, il mondo intero.
In altri termini, non c’è alcun peccato, anche il più intimo e segreto, il più strettamente individuale, che riguardi esclusivamente colui che lo commette.
Ogni peccato si ripercuote, con maggiore o minore veemenza, con maggiore o minore danno, su tutta la compagine ecclesiale e sull’intera famiglia umana” (RP 16).

13. Il peccato pertanto comporta sempre una triplice offesa: verso Dio, verso chi lo compie e verso la comunità.
In quanto tale non danneggia Dio, ma solo chi lo compie e la comunità.
Ciò non ostante rimane un’offesa a Dio, alla sua sapienza e al suo amore.

14. Questa è la mia risposta.
Ma tu potresti dire: la mia domanda era anche un’altra e cioè se quel prete sia un castigo di Dio per tutte “le eresie” che sparge dalla tivù dei vescovi e rimane impunito.
Fai poi anche delle altre domande alle quali non rispondo perché sono meno competente di te, ma che forse non hanno neanche bisogno di risposta.

15. Ti ringrazio di avermi dato l’opportunità di correggere quanto è stato detto dalla TV della conferenza episcopale italiana.
Dispiace anche che forse non ci si prenda cura di correggere e di riparare il male che viene fatto e che tante persone rimangano nella confusione e danneggiate.

Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo


Il confessore mi ha fatto recitare il Padre nostro al posto dell’atto di dolore

Quesito

Buonasera caro Padre Angelo,
in una confessione passata, dopo aver terminato l’accusa dei miei peccati, il presbitero (indiano) mi disse: “Ora preghiamo”, recitando insieme a me il Padre Nostro. Terminata la preghiera ha pronunciato le parole assolutorie. In un’altra circostanza, mentre lo stesso presbitero mi dava l’assoluzione, per scrupolo ho recitato anche l’Atto di Dolore, allora mi disse che potevo recitarlo dopo l’assoluzione.
Pertanto desidero chiederle:
1) Se l’assoluzione viene data mentre il penitente non ha terminato la recita dell’Atto di Dolore, rimane comunque valida?
2) Nella confessione può essere omesso l’Atto di Dolore, per recitare il Padre Nostro insieme al sacerdote?
3) Le risulta che l’Atto di Dolore può essere recitato anche dopo l’assoluzione?
Grazie per i suoi preziosi consigli.
La saluto nel cuore di Gesù e di Maria.
Giampiero


Risposta del sacerdote

Caro Giampiero,
1. il pentimento dei peccati è essenziale per la confessione.
Senza pentimento la confessione è invalida perché non si è penitenti.

2. La chiesa per aiutare il fedele ad esprimere un vero pentimento gli fa recitare una preghiera: l’atto di dolore.
Questa preghiera non è ad validitatem. È un aiuto.
Sicché vi possono essere frangenti in cui si è dispensati dall’atto di dolore. Pensa ad esempio quando si dà l’assoluzione ad un morente, oppure si dà l’assoluzione sub conditione, perché il fedele si trova privo di sensi.

3. Di norma l’atto di dolore va recitato prima dell’assoluzione sacramentale.
Nel caso che venga recitato dopo, non inficia la validità dell’assoluzione.

4. Di per sé è prevista una preghiera che esprima il pentimento. Pertanto la Chiesa non propone il Padre nostro, ma l’atto di dolore.
È vero che nel Padre nostro c’è tutto e c’è anche la richiesta di perdono (rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo…), ma l’atto di dolore esprime più compitamente il dolore del peccato e il proposito di evitarlo per l’avvenire.
Pertanto è sempre meglio attenersi alla disciplina della Chiesa.

Ricambio il cordiale saluto, ti prometto una preghiera e ti benedico.
Padre Angelo


Mi scusi per l’ignoranza in materia, gli illuminati cristiani chi sono e cosa predicano?

Quesito

Padre, buon pomeriggio,
mi tolga una curiosità, mi scusi per la mia ignoranza in materia, gli illuminati cristiani chi sono e cosa predicano?
Grazie


Risposta del sacerdote

Carissimo, 
1. gli illuminati di cui mi parli corrispondono ai cosiddetti alumbrados, che significa proprio “illuminati”.
Si tratta di un movimento sorto in Spagna tra il 16º e il 17° secolo.

2. Sostenevano che in questa vita si può giungere alla contemplazione della divina essenza per una diretta e immediata illuminazione dello Spirito Santo.
La conseguenza logica questa affermazione era di ritenersi perfetti sicché per loro sarebbero stati superflui tutti i mezzi di santificazione messi a disposizione da Cristo e dalla Chiesa: i sacramenti, la comunione e la disciplina ecclesiale, la penitenza, l’ascesi, la preghiera vocale.

3. Il perfetto o illuminato era tenuto solo all’orazione mentale, alla contemplazione della divina essenza che l’avrebbe unito a Dio così intimamente da privarlo perfino della propria libertà e individualità.

4. In questo stato di perfetto annientamento gli alumbrados si ritenevano impeccabili per cui gli stessi peccati gravissimi compiuti dagli altri, ritenuti imperfetti, compiuti da loro invece non erano considerati neanche peccato veniale.

5. Fedeli a questo principio gli alumbrados si abbandonavano non di rado alle più sfrenate dissolutezze.

6. L’inquisizione fu implacabile nei loro confronti ed è per questo che inizialmente anche alcuni santi, come Sant’Ignazio di Loyola e Santa Teresa d’Avila furono sospettati di appartenere a questo movimento. L’inquisizione stessa però li scagionò perfettamente.

7. Gli errori degli alumbrados riemersero nel sacerdote spagnolo Michele Molinos (1628 – 1696), che visse a Roma e inizialmente fu apprezzato confessore e direttore di anime. Nel 1685 l’inquisizione portò alla luce un materiale molto compromettente nei confronti della sua vita morale.
Nel 1687 papa Innocenzo XI censurò 68 proposizioni tolte dalle sue lettere.
Molinos ritrattò e accettò le pene imposte dalla Chiesa.

Ti benedico, ti auguro ogni bene e ti ricordo nella preghiera
padre Angelo


In cosa consiste il voto di povertà nell’Ordine Domenicano?

Quesito

Buongiorno.
Spero che questa mia email la trovi bene.
Ho alcune domande per lei.
In cosa consiste il voto di povertà nell’Ordine Domenicano?
Quale è il grado di povertà vissuto nell’Ordine?
E come potrebbe un semplice laico o una qualsiasi persona realizzarlo nella propria vita?
La ringrazio molto per il servizio da lei offerto, che mi ricorda quello offerto dal Beato Raimondo alla sempre curiosa Caterina.


Risposta del sacerdote

 Carissimo,
1. i domenicani, come tutti i consacrati, emettono i voti di povertà di castità e di obbedienza.
Tuttavia, la povertà praticata nell’ordine di San Domenico ha caratteristiche proprie che derivano essenzialmente dall’obiettivo dell’Ordine.
A differenza degli ordini monastici, il nostro Ordine ha carattere apostolico e fin dall’inizio la nostra povertà si è distinta da quella dei monaci.

2. I monaci, in forza del voto di povertà, non possiedono nulla singolarmente, ma il monastero può possedere.
La loro vocazione non è apostolica. Per sostentarsi distribuiscono il loro tempo tra la preghiera e il lavoro. Vivono del loro lavoro manuale e per questo fin dall’inizio i monasteri e le abbazie si sono dotati di terreni e di possedimenti.

3. I domenicani invece, come anche i francescani, fin dall’inizio hanno voluto non soltanto non possedere personalmente, ma neanche comunitariamente.
Dinanzi alla gente che lasciava la chiesa cattolica per andare dietro agli eretici, perché i prelati vivevano nello sfarzo, San Domenico e San Francesco hanno voluto vivere come gli apostoli.
Vivevano di mendicità e di quello che la gente dava loro come ricompensa dei beni spirituali che ricevevano. Per questo sono chiamati ordini mendicanti.
Le ultime parole di San Domenico morente sono state queste: “Fratelli e figli miei, ecco i beni che vi lascio in eredità: abbiate la carità, conservate l’umiltà, possedete la povertà volontaria”.
Secondo Costantino d’Orvieto, testimone di quanto San Domenico ha detto dal letto di morte, San Domenico avrebbe addirittura parlato di “maledizione di Dio onnipotente e sua” su chi avesse indotto l’Ordine ad avere possessioni temporali.

4. Santa Caterina da Siena fa eco a quest’ultima affermazione riferendo quanto le ha detto l’Eterno Padre a proposito di San Domenico: “Se tu poi pensi alla navicella del padre tuo, Domenico mio figlio diletto, egli l’ha ordinata perfettamente, perché volle che i suoi attendessero solo all’onore mio e alla salvezza delle anime con lume della scienza. Su questo lume vuole porre il suo principio, non togliendo però la povertà vera e volontaria. Anzi, l’ebbe, e in segno di povertà e di odio per il suo contrario, lasciò per testamento in eredità ai suoi figlioli la sua maledizione, qualora essi possedessero o tenessero qualcosa per sé, in comune o in privato: segno che egli aveva eletta come sua sposa questa regina che è la povertà” (Dialogo della divina provvidenza, 158).

5. Tuttavia nel secolo 15º per volontà del Papa Sisto IV ci fu una svolta: venuto meno il fervore nella cristianità e conseguentemente anche la diminuzione delle elemosine, il Papa comandò agli ordini mendicanti di possedere comunitariamente per il loro sostentamento.
Da allora, tanto domenicani quanto i francescani hanno cominciato a possedere comunitariamente. Le loro case però sono sempre rimaste conventi. Non sono diventate monasteri o abbazie. Ciò significa che dovevano possedere solo in riferimento al loro sostentamento e ai bisogni del loro ministero.

6. Questo è lo spirito con cui i domenicani sono chiamati a praticare oggi la povertà evangelica.
Ne rende testimonianza quanto è scritto nelle loro Costituzioni a proposito del capitolo sulla povertà.
Ecco che cosa si legge:
“32,1. Perciò con la nostra professione promettiamo a Dio di non possedere nulla per un diritto di proprietà personale, ma di avere tutto in comune e di servirci delle cose materiali per il bene comune dell’Ordine e della Chiesa, secondo le disposizioni dei superiori.
32,2. Perciò nessun frate può ritenere come propri beni denaro o proventi, qualunque ne sia la provenienza, ma deve consegnare tutto alla comunità.
32,3. Anzi, neppure nella comunità sia tollerato l’accumularsi di beni comuni che non siano necessari al fine dell’Ordine o al ministero che esso deve svolgere, in quanto essi contrastano con la povertà che tutti, singolarmente e come membri della comunità, hanno promesso.

33.  Dato che la povertà costringe tanti uomini a una dura fatica per ottenere un vitto scarso, i nostri frati ne diano una pubblica ed efficace testimonianza collettiva lavorando instancabilmente nel loro incarico apostolico, vivendo sobriamente della mercede spesso incerta e dividendo i loro beni con quelli che sono più poveri di loro.

34,1. I  frati non vadano in cerca delle novità o delle comodità della vita, ma in ogni cosa e dovunque vivano in maniera sobria.
34,2. Le singole province possono determinare, secondo le norme generali e lo spirito dell’Ordine, il modo di osservare la povertà tenendo conto delle circostanze di tempo, di ambiente, di persone e dei vari tipi di ministero”.

7. Questo anche a differenza delle congregazioni religiose nelle quali i soggetti rinunciano personalmente all’uso dei beni ma non al loro possesso. Continuano pertanto a possedere personalmente, ma non possono fare dei loro beni quello che vogliono. Ne possono usare solo dipendentemente dalla volontà dei loro superiori.

8. I laici, come ad esempio quelli appartenenti all’ordine domenicano in qualità di terziari, continuano a possedere e a usare dei loro beni liberamente, senza dipendere da nessuno.
Sono chiamati però a vivere nello spirito della povertà evangelica, staccati dalle ricchezze e vivendo per quanto possibile in maniera sobria.

Ti ringrazio molto, caro visitatore nelle Filippine, per quanto scritto al termine della tua mail.
Con l’augurio che io possa assomigliare di più al beato Raimondo e tu la Santa Caterina da Siena, ti benedico e volentieri ti ricordo nella preghiera.
Padre Angelo


Ma, se Gesù è Dio come fa ad essere anche Figlio di Dio?

Reverendo Padre,
il mio nipotino Simone di 4 anni ha chiesto alla Nonna: Ma, se Gesù è Dio come fa ad essere anche Figlio di Dio? La Nonna si è barcamenata parlando di misteri che capirà da grande, ma se ripetesse la domanda come si può rispondere?
GRAZIE e Dio benedica Lei e il suo Lavoro
Carlo


Caro Carlo,
1. le domande dei bambini talvolta spiazzano gli adulti e li costringono a interrogarsi e a conoscere meglio.
Così anche la domanda di Simone alla nonna.

2. Ebbene come prima cosa andrebbe detto a Simone che Gesù è figlio di Dio ma non medesimo modo in cui noi siamo figli dei nostri genitori.
E il motivo sta in questo che Dio non ha corpo, ma è purissimo spirito.

3. Puoi dirgli anche che il Figlio di Dio è il suo Pensiero, la sua eterna Sapienza.
Ed è grande quanto è grande Dio, anzi è la stessa cosa di Dio.

4. Gli si può anche dire che è un Figlio così diverso da noi che non ha mai cominciato ad esistere.
Esiste da sempre, come esiste da sempre il Padre.
Gli si può dire (anche se l’esempio non calza del tutto) che ha tanti anni quanti ne ha il Padre. E cioè è da sempre.
L’esempio degli anni può sembrare sorprendente, ma lo riceviamo dalla Sacra Scrittura. Nel libro di Giobbe si legge: “Ecco, Dio è così grande che non lo comprendiamo, è incalcolabile il numero dei suoi anni” (Gb 36,26).

5. Con queste risposte i bambini (e noi insieme con loro) si riempiono di stupore per Gesù e per Dio.
Gesù è infinitamente grande. Non è come noi. È il nostro Creatore.

6. Infatti parlando di Gesù figlio di Dio e anche parlando semplicemente del Figlio di Dio non dobbiamo mai omettere di ricordare l’infinita grandezza di Dio e che le nostre parole non sono capaci di esprimerlo.
Nel Credo diciamo così: “Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create”.

7. Con queste parole noi esprimiamo tutta la nostra fede e tutta la nostra adorazione a Gesù di cui all’inizio del Vangelo di Giovanni si legge: “In principio era il Verbo (il Figlio), e il Verbo (il Figlio) era presso Dio e il Verbo (il Figlio) era Dio” (Gv 1,1).

Ti ringrazio di questa domanda apparentemente infantile, ma che non è affatto infantile perché è capace di lasciare a bocca aperta anche i grandi.
Ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo


Sono disorientato perché qualcuno mi dice che non partecipare alla Messa domenicale non è peccato grave

Quesito

Caro Padre Angelo,
quando ero piccolo, ora ho 75 anni, nell’insegnamento del catechismo era citato come materia grave il non assistere alla messa domenicale (ricordo che l’obbligo era valido entro certi limiti di età, ma non é di questo che voglio parlare).
Da molto tempo mi si presenta difficile capire, sopratutto con il cambiamento di linguaggio e di reazione a certe parole,  quando si potrebbe parlare di materia grave. Oggi ho l’impressione che parlare di peccato sia inteso come parlare di colpa, ma non é socialmente accettato il senso di colpa o, detto altrimenti, il sentimento di sentirsi colpevoli, e quindi … non si parla più di peccato.
Ho chiesto a sacerdoti e diaconi se fosse colpa grave (alias peccato mortale) non partecipare alla messa domenicale. La stragrande maggioranza dice che non é più grave.
Un sacerdote mi ha detto: é colpa grave, é peccato mortale, ma avrei difficoltà a parlarne coi miei fedeli.
Da un’altro mi sono stati citati i martiri di Abitine.
Lei Padre cosa mi dice in proposito? La materia grave esiste nel non partecipare a quell’incontro in cui, colui che ci attende con amore, resta solo e in attesa? In un certo linguaggio si potrebbe dire che gli si é fatto il bidone.
Che giustificazione si può dare al considerare che il cambiamento di comportamento morale sia giustificato dal cambiamento del tempi?
La ringrazio per il suo ascolto.
Camillo


Risposta del sacerdote

Caro Camillo,
1. fatico a credere che molti sacerdoti e diaconi, come tu attesti, dicano che non partecipare alla S. Messa nelle domeniche e nei giorni di festa non sia un peccato grave.
Mi domando: ma che cosa hanno studiato?
Che cosa insegnano alla gente?

2. Il sacerdote è ministro di Dio e deve insegnare alla gente ciò che ha detto Dio e quanto insegna la Chiesa.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica, ribadendo la dottrina di sempre, afferma che “i fedeli sono tenuti a partecipare all’Eucaristia nei giorni di precetto, a meno che siano giustificati da un serio motivo (per esempio, la malattia, la cura dei lattanti o ne siano dispensati dal loro parroco)” (CCC 2181) e che “coloro che deliberatamente non ottemperano a questo obbligo commettono un peccato grave (Ib.).

3. Ho parlato della dottrina di sempre.
Infatti la prassi di santificare la domenica con la partecipaziome all’Eucaristia è di tradizione Apostolica.
S. Paolo fa pensare che i fedeli fossero soliti radunarsi di domenica quando scrive “ogni primo giorno della settimana ciascuno metta da parte ciò che gli è riuscito di risparmiare” (1 Cor 16,2).
San Giustino, nella sua prima Apologia indirizzata all’imperatore Antonino e al Senato, poteva descrivere con fierezza la prassi cristiana dell’assemblea domenicale, che riuniva insieme nello stesso luogo i cristiani delle città e quelli delle campagne.
Nella Didascalia degli Apostoli (è un trattato del III secolo) si legge: “Lasciate tutto nel giorno del Signoree correte con diligenza alla vostra assemblea, perché è la vostra lode verso Dio. Altrimenti, quale scusa avranno presso Dio quelli che non si riuniscono nel giorno del Signore per ascoltare la parola di vita e nutrirsi dell’alimento divino che rimane eterno?” (II, 59, 2-3).
Quando, durante la persecuzione di Diocleziano, le assemblee furono interdette con la più grande severità, furono molti i coraggiosi che sfidarono l’editto imperiale e accettarono la morte pur di non mancare alla Eucaristia domenicale. È il caso di quei martiri di Abitine, in Africa proconsolare, che risposero ai loro accusatori: “È senza alcun timore che abbiamo celebrato la cena del Signore, perché non la si può tralasciare; è la nostra legge”; “Noi non possiamo stare senza la cena del Signore”. E una delle martiri confessò: “Sì, sono andata all’assemblea e ho celebrato la cena del Signore con i miei fratelli, perché sono cristiana” (Acta SS. Saturnini, Dativi et aliorum Plurimorum martyrum in Africa, 7, 9, 10).
Il Concilio Vaticano II lega il precetto domenicale alla Tradizione apostolica: “Secondo la Tradizione apostolica, che trae origine dal giorno stesso della risurrezione di Cristo, la Chiesa celebra il mistero pasquale ogni otto giorni… In questo giorno infatti i fedeli devono riunirsi in assemblea per ascoltare la parola di Dio e partecipare all’Eucaristia” (SC 106).

4. Già nell’Antico Testamento la violazione del sabato era considerata un peccato grave  da meritare addirittura la pena di morte.
Il Vangelo di Giovanni lo ricorda quando i giudei decidono di mettere a morte Gesù: “Proprio per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo: perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio” (Gv 5,18).
I primi cristiani, trasferendo dal sabato alla domenica il giorno di culto, avevano viva coscienza della grandezza di questa obbligazione morale.

5. In questa linea si esprime il Concilio di Elvira del 300: “Chi abita in città e non viene alla Chiesa per tre domeniche, deve essere escluso per un certo tempo, in modo che appaia che è stato ripreso” (can. 21). Così pure Concilio di Sardica e il Concilio di Agde del 506.
Giovanni Paolo II nella lettera sulla Domenica Dies Domini dice: “Questi decreti di Concili particolari sono sfociati in una consuetudine universale di carattere obbligante, come cosa del tutto ovvia…
Una tale legge è stata normalmente intesa come implicante un obbligo grave: è quanto insegna anche il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC 2181), e ben se ne comprende il motivo, se si considera la rilevanza che la domenica ha per la vita cristiana” (DD 47).

6. Mi chiedi se vi sia materia grave perché “nel non partecipare a quell’incontro in cui, colui che ci attende con amore, resta solo e in attesa, in un certo linguaggio si potrebbe dire che gli si é fatto il bidone”.
No, no, caro Camillo. Non è per questo.
San Tommaso dice: “Il precetto della santificazione del sabato letteralmente è insieme morale (diritto naturale) e cerimoniale (diritto positivo). È un precetto morale nel senso che l’uomo deve destinare un dato tempo della sua vita alle cose divine. Infatti l’inclinazione naturale porta l’uomo a destinare a ogni cosa necessaria un dato tempo: così egli fa per il vitto, per il sonno e per altre cose simili. Perciò l’uomo secondo il dettame della ragione naturale deve destinare del tempo anche al ristoro spirituale, saziando di Dio la propria anima. Ecco quindi che la destinazione di un dato tempo per attendere alle cose divine costituisce un precetto morale.
Ma la determinazione di un giorno particolare, quale ricordo della creazione del mondo, fa di questo comandamento un precetto cerimoniale (diritto positivo)” (Somma Teologica, II-II, 122, 4, ad 1).
Nel non santificare la festa non facciamo alcun male a Dio, ma priviamo noi stessi della sua presenza, della potenza del sacrificio di Gesù, della S. Comunione, del nutrimento della sua parola e della comunione ecclesiale.
È come se dicessimo: le mie pigrizie o i miei divertimenti sono ben di più di tutto quello che mi viene dato a Messa.
Ma insieme con questo si attua un disorientamento di fondo nella propria vita: Dio non è più al primo posto, ma ai margini. La vita non ruota più attorno a Lui, principio e fine della nostra esistenza e di ogni nostra azione.
Così la persona si priva della luce e della grazia di Cristo e si trova in stato di peccato mortale.

7. Infine domandi: “Che giustificazione si può dare al considerare che il cambiamento di comportamento morale sia giustificato dal cambiamento del tempi è un male molto grave”.
Tu dai già per scontato che quanto hai sentito da alcuni sacerdoti e diaconi sia vero.
Invece è vero il contrario, come insegna la Chiesa.
Ciò significa in pratica che chi deliberatamente non partecipa alla Messa la domenica e nei giorni di precetto non può fare la S. Comunione senza essersi prima confessato.
La legge di Dio è regolata dalla sua Sapienza infinita e mira esclusivamente a custodire l’uomo dal male e a farlo crescere nel bene.
Non è condizionata ai cambiamenti dei tempi e cioè dagli umori degli uomini. Piuttosto gli uomini trovano la loro salvezza conformandosi alla legge di Dio, nella quale è inserito anche il terzo comandamento.

Ti saluto, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo


Il marchio della bestia di cui parla l’Apocalisse è il marchio dell’Anticristo che perseguita i cristiani spegnendo la fede e causando l’apostasia

(su questo argomento abbiamo fatto un video, vedi qui, con le parole e lo studio di Don Dolindo Ruotolo che giungeva alla medesima conclusione: il marchio della bestia è LA GRAVE APOSTASIA, strumento di satana per disperdere i cristiani, qui i testi)

Premessacon questa risposta padre Angelo intende rispondere alle numerose e-mail che associano il vaccino al marchio della bestia.

Quesito

Buongiorno Padre Angelo.
vorrei ringraziarla per le precedenti risposte!
Sono preoccupato per questi eventi Covid e vaccino: Sono una persona che non vuole vaccinarsi perché non credo e vedo le forzature del governo impedendoci di vivere, vedo un grande inganno e vedo un riferimento al marchio della bestia.
Si sta pian piano arrivando che chi non ha fatto questo siero non potrà più vendere ne comprare ecc… come è descritto in Apocalisse.
Sono tanto turbato perché ho due bambini e sono l’unico che lavora.
Spero che la Chiesa non sia coinvolta in questo complotto ma solo ingannata da questo nuovo ordine vedendo anche il Papa invogliare a vaccinare!
Le chiedo un suo parere, se è vero il mio dubbio.
Le chiedo di pregare per la mia famiglia affinché nostro Signore Gesù ci dia la forza e la perseveranza di affrontare questa grande tribolazione.
La ringrazio anticipatamente e sia lodato Gesù Cristo.


Risposta del sacerdote

Carissimo, 
1.  si parla della bestia e del marchio della bestia nell’Apocalisse al capitolo 13º.
Per comprendere l’indole del marchio è necessario anzitutto precisare chi sia la bestia.
Ebbene, il testo sacro inizia così: “E vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, sulle corna dieci diademi e su ciascuna testa un titolo blasfemo” (Ap 13,1).

2. Chi è la bestia di cui ad un certo punto si dice anche che ha un numero misterioso?
Il biblista A. Wikenhauser scrive: “La bestia cela un uomo; meglio ancora: nei 42 mesi della grande tribolazione la bestia si è incarnata in un uomo, il cui nome è composto di lettere” (L’Apocalisse di Giovanni, p. 149). 

3. Un altro biblista, Angelo Lancellotti, nel testo dell’Apocalisse curato dalle edizioni Paoline, scrive: “Una bestia che saliva dal mare: si tratta dell’Anticristo già menzionato in Ap 11,7”.
E poco più avanti dice che “la bestia dell’Apocalisse riassume in sé tutte e quattro le bestie di Daniele e rappresenta il potere politico che quale agente di Satana si erge contro Dio e la sua Chiesa. Tutto fa pensare all’impero romano che, autodivinizzandosi, scatenò le più tremende persecuzioni contro i seguaci della nuova fede. Del resto anche nei circoli giudaici la quarta bestia di Daniele 7, che rappresentava l’impero di Alessandro magno con i suoi epigoni ellenistici, veniva identificata con l’impero romano; impero che era destinato a soccombere sotto i colpi del re Messia”.

4. Un altro grande biblista, il domenicano Marco Sales, a proposito della bestia scrive: “La maggioranza degli interpreti (Sant’Ireneo, Tertulliano, San Gregorio,… Rivera, Cornelio a Lapide, ecc…) ritiene che questa bestia significhi l’Anticristo, il quale armato di tutta la potenza del secolo, sarà uno strumento in mano di Satana nella lotta contro il regno di Gesù Cristo.
La descrizione che ne fa qui l’Apostolo corrisponde a quanto ne dice San Paolo nella seconda ai Tessalonicesi (2 Ts 3,11).
Parecchi moderni pensano invece che questa bestia figuri l’impero romano. (…). Secondo alcuni le sette teste rappresentano i sette colli di Roma, e i sette imperatori; le 10 corna figurano tutti i poteri, che usciranno dall’impero romano e si volgeranno contro la Chiesa. I nomi di bestemmia sulle sette teste alludono al fatto che agli imperatori romani si dava il culto il titolo di divino, e si rendeva un culto pubblico”.

5. La Bibbia di Gerusalemme annota: “La bestia del mare (Mediterraneo) è l’impero romano, il quale rappresenta tutte le forze che, arrogandosi poteri divini, insorgono contro Cristo e la Chiesa”.

6. C’è dunque una certa unanimità tra i vari autori per indicare che quella bestia rappresenta molto probabilmente l’impero romano che nella persecuzione contro Cristo e contro la Chiesa è strumento di Satana e dell’Anticristo.

7. Identificata la bestia, rimane da vedere in che cosa consista il suo marchio.
A. Wikenhauser scrive: “Affinché nessuno possa sottrarsi al culto della bestia, il falso profeta esige che tutti si imprimano sulla fronte o sulla mano un marchio, il quale attesti che appartengono a lui. Nell’antichità spesso gli adoratori di una divinità praticavano il tatuaggio, imprimendo su se stessi la sua immagine o il suo nome.
Secondo Ap 22,4; 3,12 i cittadini della nuova Gerusalemme portano sulla fronte il nome di Dio come segno esterno della propria appartenenza a lui; in 7,3 in 14,1 si legge che gli eletti ricevono in fronte il sigillo di Dio, come simbolo della sua efficace protezione.
Chiunque non porta il marchio della bestia è esposto al boicottaggio economico, venendo posto nell’impossibilità di comprare e di vendere, e quindi di vivere. Questo provvedimento brutale mira a far sì che coloro i quali si rifiutano di adorare la bestia siano denunciati all’autorità e puniti. Non rimane perciò che la terribile alternativa: o adorare la bestia o morire.
Il marchio che tutti gli abitanti dell’impero devono portare consiste nel nome della bestia o nel numero del suo nome. Di che nome si tratta? È quanto il veggente dice a questo punto; ma lo fa in maniera tale che serve più a nascondere che a non manifestare quel nome, tanto sono enigmatiche le parole di cui si serve” (L’Apocalisse di Giovanni, pp. 148-149).

8. Marco Sales annota: “Si allude all’uso antico per cui si imprimeva con ferro rovente un segno sul corpo degli schiavi. In virtù di questo segno impresso nella destra o nella fronte gli uomini venivano a dichiarare di appartenere come proprietà alla bestia, cioè all’Anticristo.
Anche i pagani solevano portare impresso sulla mano o nella fronte il nome o un simbolo della divinità a cui si consacravano”.
E: “I cristiani saranno messi fuori di ogni legge, e sarà loro vietato anche l’uso dei diritti più naturali. Mentre i perversi porteranno il carattere della bestia, i giusti porteranno quello di Gesù Cristo. È noto che Diocleziano fece un editto analogo nel quale si proibiva ai cristiani di vendere o di comprare, se prima non avessero sacrificato agli dei (cfr. Lattanzio, De morte persecutorum, XV).
“Viene indicato il numero di un uomo: benché quindi la bestia sia dotata di grande potenza, essa però in sé è debole e fragile, poiché non indica che un uomo”.

9. Angelo Lancellotti, nel commento menzionato, scrive: “Il marchio è il contrapposto del sigillo del Dio vivente con cui sono segnati gli eletti.
Il marchio è lo stesso nome della bestia o meglio il numero del suo nome cioè 666. (…).
Il numero della bestia è 666, un numero d’uomo, cioè fragile debole; infatti, componendosi di tre 6 (cioè 7-1), esso denota imperfezione, incompletezza; indica perciò che la sua dominazione sarà effimera”.

10. Venendo alla conclusione, il marchio della bestia è il sigillo spirituale dell’appartenenza all’Anticristo nel medesimo modo in cui coloro che appartengono a Cristo hanno segnato sulla fronte il sigillo (spirituale) del Dio vivente.
Dell’Anticristo San Paolo dice: “Prima infatti verrà l’apostasia e si rivelerà l’uomo dell’iniquità, il figlio della perdizione, l’avversario, colui che s’innalza sopra ogni essere chiamato e adorato come Dio, fino a insediarsi nel tempio di Dio, pretendendo di essere Dio” (2 Ts 2-4).
La Bibbia di Gerusalemme commenta: “(l’Anticristo) appare come un essere personale, che si rivelerà alla fine dei tempi (mentre Satana di cui è lo strumento, agisce da ora nel mistero), esercitando un potere persecutorio seduttore per l’ultima grande prova qui metterà fine il ritorno del Cristo”.
Come si vede, associare il vaccino contro l’epidemia, che colpisce tutti indipendentemente dalla fede dei singoli, all’opera dell’Anticristo che perseguita i cristiani spegnendo in loro la fede e causando l’apostasia non c’entra nulla.

Volentieri pregherò per te e per la tua famiglia perché il Signore vi dia forza e vi protegga.
Ti benedico.
Padre Angelo


Il pensiero della Chiesa sull’omosessualità e sulle unioni omosessuali

LEGGI QUI: Lettera ai Vescovi sulla cura delle persone omosessuali

Quesito

Caro Padre Angelo,
Adesso vorrei chiederle una cosa seria: la Chiesa è contro l’omosessualità in generale o solo contro le unioni tra omosessuali?
Grazie dell’ascolto.
Arrivederci
Bernardo


Risposta del sacerdote

Caro Bernardo,
la Chiesa, che nell’interpretare la legge di Dio è assistita dall’alto, è convinta che l’omosessualità sia un disordine e che il peccato di omosessualità sia un peccato impuro contro natura.
Due sono gli interventi di maggior rilievo a cura della Congregazione per la Dottrina della Fede: la dichiarazione Persona humana (PH) del 29.12.1975 e Homosexualitatis problema (HP) sulla cura pastorale delle persone omosessuali del 1.10.1986.
A questi possiamo aggiungere il Catechismo della Chiesa Cattolica.
La Chiesa distingue tra:
– persone omosessuali,
– inclinazione omosessuale,
– pratica omosessuale,
– convivenze omosessuali.

1. le persone omosessuali.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica rileva che “un numero non trascurabile di uomini e di donne presentano tendenze omosessuali profondamente radicate” (CCC 2358).
Queste persone, indipendentemente dalla loro inclinazione,“devono essere accolte con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione” (CCC 2358)

2. inclinazione omosessuale
“Occorre precisare che la particolare inclinazione della persona omosessuale, benché non sia in sé peccato, costituisce tuttavia una tendenza, più o meno forte, verso un comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale.
Per questo motivo l’inclinazione stessa dev’essere considerata come oggettivamente disordinata.
Pertanto coloro che si trovano in questa condizione dovrebbero essere oggetto di una particolare sollecitudine pastorale perché non siano portati a credere che l’attuazione di tale tendenza nelle relazioni omosessuali sia un’opzione moralmente accettabile” (HP 3).
 “Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte una prova” (CCC 2358).

3. pratica omosessuale

– I rapporti omosessuali “sono intrinsecamente disordinati e che in nessun modo possono ricevere una qualche approvazione” (PH 8).
I motivi:
1- la palese difformità dalla legge di Dio espressa nella natura della persona: “Secondo l’ordine morale oggettivo le relazioni omosessuali sono atti privi della loro regola essenziale e indispensabile” (PH 8). Manca infatti ad essi la complementarità dei sessi e la connessa capacità di suscitare la vita.
“Solo nella relazione coniugale l’uso della facoltà sessuale può essere moralmente retto. Pertanto una persona che si comporti in modo omosessuale agisce immoralmente” (HP 7).
2- “l’attività omosessuale rafforza un inclinazione sessuale disordinata, per se stessa caratterizzata dall’autocompiacimento” (HP 7).

– La Dichiarazione Persona humana afferma che “le relazioni omosessuali sono condannate nella Sacra Scrittura come gravi depravazioni” (PH 8).
S. Paolo è molto esplicito: “Non illudetevi: né effeminati, né sodomiti… erediteranno il Regno di Dio” (1 Cor 6,10).
Nella lettera ai Romani parla della pratica omosessuale come di “passione infame”, di “atti ignominiosi”, di “traviamento”. E conclude: “E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa” (Rm 1, 24.26-27.32).
Il CCC ricorda che si tratta di un peccato gravissimoche “grida verso il cielo” (CCC 1867).
Con molta chiarezza il Magistero della Chiesa dice: “Come accade per ogni altro disordine morale, l’attività omosessuale impedisce la propria realizzazione e felicità, perché è contraria alla sapienza creatrice di Dio. Quando respinge le dottrine erronee riguardanti l’omosessualità, la Chiesa non limita ma piuttosto difende la libertà e la dignità della persona, intese in modo realistico e autentico” (HP 7).

4. convivenze omosessuali
Se è già di suo grave il peccato di omosessualità, l’unione omosessuale introduce un disordine ancora più grave, perché genera una concezione della sessualità del tutto difforme dalla logica della natura (il piano di Dio) e induce a pensare che il comportamento omosessuale sia una forma differenziata rispetto al percorso del matrimonio tra un uomo e una donna.
Giovanni Paolo II ha detto che è “incongrua la pretesa di attribuire una realtà coniugale all’unione fra persone dello stesso sesso.
Vi si oppone, innanzitutto, l’oggettiva impossibilità di far fruttificare il connubio mediante la trasmissione della vita, secondo il progetto inscritto da Dio nella stessa struttura dell’essere umano.
È di ostacolo, inoltre, l’assenza dei presupposti per quella complementarità interpersonale che il Creatore ha voluto, tanto sul piano fisico-biologico quanto su quello eminentemente psicologico, tra il maschio e la femmina” (Discorso al Tribunale della Rota romana, 21.1.1999).
“Molto meno si può attribuire a quest’unione il diritto di adottare bambini senza famiglia” (Ib.).
 “Nessun programma pastorale autentico potrà includere organizzazioni nelle quali persone omosessuali si associno tra loro, senza che sia chiaramente stabilito che l’attività omosessuale è immorale. Un atteggiamento veramente pastorale comprenderà la necessità di evitare alle persone omosessuali le occasioni prossime di peccato” (HP 15).

Come vedi, il pensiero della Chiesa è molto coretto e oggettivamente è inoppugnabile.
Qualsiasi persona di buona volontà, indipendentemente dalla fede, può riconoscere la validità dei giudizi.
Non si tratta di partito preso, ma di nozioni elementari che sono già intuite come valide dal buon senso.
La Chiesa ritiene che “solo ciò che è vero può ultimamente essere anche pastorale” (HP 15).

Ti ringrazio della domanda che mi hai posto.
Ti porgo i più cordiali saluti, ti assicuro la mia preghiera e ti benedico.
Padre Angelo

stesso tema: si legga anche il seguente Quesito rivolto a Padre Bellon, e la sua meravigliosa risposta qui: Mi hanno ucciso le parole di Bergoglio sulle unioni civili omosessuali; lascio la Chiesa Cattolica, sono in lutto per la mia stessa morte….


Sull’omosessualità e sul riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali

La risposta viene messa in grassetto subito dopo le singole domande

Gent.mo Padre Angelo,
Ho letto con vivo interesse la Sua risposta e, approfittando della sua cortese disponibilità, gradirei avere un riscontro da parte Sua in merito alle conclusioni che le sottopongo.
Se riscontra delle imprecisioni, Le chiedo cortesemente di riferirmele, cosicché io possa avere idee corrette sull’argomento.

Le persone di orientamento omosessuale hanno il diritto di amare ed essere amati. Se è vero che il sesso è il mezzo di espressione dell’amore, ne consegue che due persone omosessuali, che si amano reciprocamente, si esprimeranno col sesso.

Sì, hanno diritto di essere amate e di amare, ma non con la genitalità.
La genitalità non è l’unico mezzo per volersi bene.
Anche tua madre ti vuole bene. Anche tu vuoi bene a lei e vuoi bene a tante altre persone, ma non senza esercizio della genitalità.
La genitalità di suo è determinata ad una finalità che non abbiamo deciso noi, ma è scritta nella sua stretta struttura.

Le persone medesime, non potendo procreare, giustamente non possono sposarsi. E questo costituisce il loro limite. A questo proposito, mi sembrerebbe logico mettere loro a disposizione contratti di convivenza sociale, che garantissero loro gli stessi diritti che le persone ‘normali’ acquisiscono con il matrimonio.

Sono liberi di farlo, ma non si richiede che lo stato intervenga per mettere su una struttura parallela al matrimonio. 
Il matrimonio porta un beneficio alla società, le garantisce la sussistenza, il futuro. È giusto e doveroso che lo stato provveda a questo istituto. 
Ma l’unione fra due persone omosessuali non è un istituto. 
Due omosessuali possono fare tutti i contratti che vogliono. Ma non è un dovere dello stato intervenire per creare una struttura che assomigli alla famiglia. 
Perché non le assomiglia affatto.
Senza entrare nel discorso dell’immoralità e del pessimo esempio che si dà ai ragazzi e ai giovani...

Gli unici peccati “contro natura” sono quelli che non si fondono sul sentimento dell’amore.

Qui il discorso diventa ancor più sottile, perché allora bisogna dire che quello omosessuale, quando è espresso attraverso la genitalità, non  è vero amore. 
È invece una perversione del disegno di Dio sull’amore coniugale.
Nell’amore coniugale due persone (marito e moglie) non soltanto si donano, ma si immolano vita natural durante mettendo momento per momento la propria vita a servizio dei figli.
Senza dire che gli atti sessuali tra omosessuali non appagano, ma lasciano disgusto e vuoto. Sicché non pochi tra di loro si trovano in trattamento psicoterapeutico.

In riferimento a coloro che hanno la vocazione del matrimonio, la castità matura l’uomo nel sentimento dell’amore, di cui il sesso è il mezzo di espressione.

Sì, è vero. La castità crea il dominio su se stessi e sulle proprie pulsioni.
Nell’omosessualità non vi è alcun freno. Facilmente si cambia l’amore con l’esperienza erotica.
Ne è segno anche il continuo variare di partner.

Attendendo con ansia una Sua risposta, La saluto cordialmente.
G.

Ti saluto cordialmente anch’io.
Ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo


Sto seguendo delle catechesi che sostengono che il vero Papa sia Benedetto XVI e pertanto che la messa “una cum Papa Francisco” sia invalida

Caro Padre Angelo,
grazie delle sue risposte. Oggi le scrivo perché sto seguendo delle catechesi che sostengono che il vero Papa sia Benedetto XVI e pertanto che la messa “una cum Papa Francisco” sia invalida.
In altre parole non c’è lo Spirito Santo e quindi le specie del pane e del vino non transustanziano. Lo Spirito Santo assiste invece la messa officiata “una cum Benedicto XVI”.
Inoltre, Francesco è palesemente eretico per motivi che non sto qui a spiegare, che lei conosce meglio di me (due per tutte: comunione ai protestanti e ai divorziati risposati).
Dunque, secondo San Tommaso d’Aquino, il fedele ha il dovere di non partecipare alla messa in unione con un eretico.
Io, che da tempo nutro grande dubbio nei confronti di questo Papa, sono rimasto convinto a tal punto da queste affermazioni che non vado più a messa.
Padre, alla luce di tutto questo le chiedo: dove sta la verità?
Grazie, e che Dio la benedica per la sua missione, preghi per me.


Carissimo,
1. la Messa è valida in forza delle parole consacratorie e non in forza dell’una cum (insime col Papa).
Gli ortodossi non sono una cum Papa nostro (insime col nostro Papa), eppure la loro celebrazione è valida.

2. In proposito san Tommaso ricorda quanto disse sant’Ambrogio: “La consacrazione viene fatta con le parole e le affermazioni del Signore Gesù. Infatti con tutte le altre parole si loda Dio, si supplica per il popolo, per i re, per tutti gli altri.
Ma quando compie il venerabile sacramento, il sacerdote non si serve più delle proprie espressioni, bensì delle parole di Cristo.
Perciò è la parola di Cristo che compie questo sacramento” (De Sacramentis, 4,4).

3. Inoltre afferma che “la forma (vale a dire ciò che costituisce il sacramento, n.d.r.) di questo sacramento differisce in due maniere dalle forme degli altri sacramenti.
Primo, nel fatto che le forme degli altri sacramenti esprimono l’uso della materia: p. es., battezzare o confermare; mentre la forma di questo sacramento esprime solo la consacrazione della materia, che consiste nella transustanziazione, e cioè con le espressioni: “Questo è il mio corpo”, e “Questo è il calice del mio sangue”.
Secondo, perché le forme degli altri sacramenti vengono proferite dal ministro in persona propria, sia in atto di fare, come quando si dice: “Io ti battezzo” o “Io ti confermo”; sia in atto di comandare, come quando nel sacramento dell’ordine si dice: “Ricevi il potere…”; sia in atto d’intercedere, come nel sacramento dell’estrema unzione: “Per questa unzione e per la nostra intercessione…”.
Al contrario la forma di questo sacramento viene proferita in persona di Cristo stesso che parla (direttamente): in modo da far intendere che il ministro nella celebrazione di questo sacramento non fa nient’altro che proferire le parole di Cristo” (Somma teologica, III, 78, 1).

4. Se il sacerdote è in peccato (e può essere in peccato perché non è in comunione col Papa) consacra validamente.
San Tommaso cita Pascasio Radberto (confuso questa volta con sant’Agostino) il quale dice: “Nella Chiesa cattolica riguardo al mistero del corpo e del sangue del Signore un buon sacerdote non fa niente di più di un sacerdote cattivo: perché il mistero si compie non secondo i meriti del consacrante, ma per la parola del Creatore e per la virtù dello Spirito Santo” (De corpore et sanguine Domini, 12).

5. Poi aggiunge: “Il sacerdote consacra questo sacramento non per virtù propria, ma quale ministro di Cristo.
Ora, uno non cessa di essere ministro di Cristo per il fatto che è cattivo; perché il Signore possiede ministri o servi buoni e cattivi. Nel Vangelo infatti il Signore si domanda “Qual è mai quel servo fedele e prudente, ecc.?”; e poi aggiunge: “Se quel servo cattivo dice dentro di sé, ecc.”. E l’Apostolo scrive: “Ci considerino come ministri di Cristo”; e tuttavia dice più sotto: “Non ho coscienza di alcun mancamento, ma non per questo mi sento giustificato”. Egli dunque era certo di essere ministro di Cristo, sebbene non fosse certo di essere giusto.
Uno può dunque essere ministro di Cristo, senza essere giusto.
E ciò mette in risalto l’eccellenza di Cristo, perché a lui come a vero Dio servono non solo le cose buone, ma anche quelle cattive, che la sua provvidenza indirizza alla propria gloria.
È chiaro dunque che i sacerdoti, anche se non sono buoni, ma peccatori, sono in grado di consacrare l’Eucaristia” (Somma teologica, III, 82, 5).

6. È grave l’affermazione che fai secondo la quale il Papa sarebbe eretico.
Ho qui davanti a me la Somma teologica di San Tommaso e leggo queste sue precise parole: “Perciò la frase riferita di Innocenzo II esprime più un’opinione che una sentenza definitiva” (Somma teologica, III, 78, 1, ad 1).
Anche in papa Francesco, come in ogni altro Papa, va distinto il tenore delle affermazioni: “Alcune esprimono più un’opinione che una sentenza definitiva”.

7. Pertanto riprendi ad andare a Messa e ad offrire insieme con il sacerdote il sacrificio di Cristo per la vita del mondo.
Cerca la cosa più importante, che è quella di vivere in grazia di Dio.
Pensa invece che andando dietro ad un’affermazione erronea tralasci deliberatamente la partecipazione alla Messa.
E che compiendo un peccato grave ti esponi a molti mali.

Ti assicuro la mia preghiera, ti auguro una fruttuosa preparazione al Santo Natale e ti benedico.
Padre Angelo


Se ci possa essere un Papa eretico e, nel caso, a chi competerebbe emettere il giudizio

Quesito

Rev.mo Padre,
ho sentito parlare più volte della possibilità che esiste un Papa eretico e che questi possa essere giudicato dalla Chiesa. Moltissimi eminenti teologi e alcuni Papi hanno affermato questo. Se però il Papa è la più alta istanza di giudizio, in che modo e da parte di chi potrebbe essere deposto perché “a fide devius”?
Grazie.


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. io continuo a credere che nel suo insegnamento pubblico non ci sarà mai un papa eretico, perché Gesù ha pregato espressamente per questo: “Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli” (Lc 22,31-32).

2. In caso contrario, bisognerebbe dire che Cristo ha garantito l’infallibilità a chi giudica il papa e non al papa. Ma questo non consta dalla Scrittura.
Né si può invocare contro il papa l’infallibilità del collegio episcopale, perché non c’è collegio episcopale se non con la presenza di Pietro e sotto Pietro (cum Petro et sub Petro).

3. Inoltre dobbiamo ricordare le parole di Gesù in Mt 16,18: “E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa”.
Il che significa che l’infallibilità e l’indefettibilità del Papa sono intimamente legate all’infallibilità e l’indefettibilità della Chiesa.
Non c’è l’una senza l’altra.
E questo per volere preciso di nostro Signore.

4. Mi domandi: “in che modo e da parte di chi potrebbe essere deposto perché “a fide devius” (deviato dalla fede)?
La mia risposta è questa: da nessuno all’infuori che da Gesù Cristo.

5. Mi piace ricordare anche questo: proprio perché il Papa non può sbagliare nel suo insegnamento don Bosco diceva che preferiva tenere le sentenze del Papa anche quando questi parlava come teologo privato. Perché, essendo il medesimo soggetto colui si esprime come maestro nella Chiesa e teologo privato, è il meno esposto all’errore anche nel pensiero personale di teologo privato.

Ti ringrazio del quesito, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo


Spesso mi trovo a dover controbattere con persone che dichiarano prossima la venuta di Cristo e dicono che il Papa è…

Quesito

Carissimo Padre Angelo,
sono Enrico ho 2… anni e vivo a …. È ormai molti anni che seguo il sito “amicidomenicani” e la ringrazio per le sue risposte chiare e semplici, anche a persone come me.
Vorrei anch’io farle una domanda: in questi ultimi tempi si stanno diffondendo dei messaggi (a mio avviso falsi) di Gesù a una veggente. Questi messaggi dichiarano la venuta di Gesù sulla terra e annunciano uno scisma all’interno della chiesa, inoltre descrivono l’attuale papa Francesco come il falso profeta colui che prepara la strada all’anti-Cristo. Io le indico anche il sito: (…).
Vorrei da lei un chiarimento, quali siano le incongruenze con la teologia e la scrittura da dove si può capire che sono falsi. Le chiedo questo perchè in molti, purtroppo anche persone “cattoliche” credono a queste scemenze e spesso mi trovo a dover controbattere con queste persone, vorrei un aiuto da un esperto come lei, perchè la Verità trionfi, e anche se non all’altezza anch’io possa predicare, difendendo la nostra fede.
La ringrazio infinitamente.
Un abbraccio forte
Enrico


Risposta del sacerdote

Caro Enrico,
1. ti ringrazio per la fedeltà con cui segui il nostro sito e mi compiaccio per il tuo desiderio di predicare e difendere la fede cristiana. Che il Signore porti a compimento i desideri che Egli stesso ha messo dentro il tuo cuore!
Circa le rivelazioni e i messaggi che prolificano sempre più viene da dire: come è vera l’affermazione di san Giovanni della croce: “Avendoci, infatti, donato suo Figlio, che è l’unica sua Parola, egli non ha altra parola da darciCi ha detto tutto in una volta e una volta per sempre in questa sola Parola, e non ha altro da aggiungere” (Salita al monte Carmelo, II, 22, 23)!

2. Non voglio dare patenti di veridicità a fenomeni che conosco solo per sentito dire e per i quali, per altro, non ho alcun incarico da parte della Chiesa di accertarne la provenienza.
Mi limito a ricordare quello che ha detto il Signore: “Vi diranno: «Eccolo là», oppure: «Eccolo qui»; non andateci, non seguiteli. Perché come la folgore, guizzando, brilla da un capo all’altro del cielo, così sarà il Figlio dell’uomo nel suo giorno” (Lc 17,23-24).
Come vedi, il Signore predice che alcuni parleranno di Lui e non contro di Lui. Ma dice ugualmente: “non andateci, non seguiteli”.
Ci deve bastare la sua Parola e la parola di coloro che Egli stesso ha detto di garantire perché li ascoltiamo nella sicurezza di non essere ingannati: “E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa” (Mt 16,18).

3. La pietra sulla quale Cristo costruisce la Chiesa è Lui stesso, “pietra scartata dagli uomini” ma scelta da Dio come pietra d’angolo (1 Pt 2,7). Sicché “nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo” (1 Cor 3,11).

4. Ma questa pietra è anche colui al quale Cristo mise il nome di “Cefa” in ebraico, e cioè “Pietra”, latinizzato in Pietro: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa – che significa Pietro” (Gv 1,42).
Gli apostoli chiamavano San Pietro “Pietra”. San Paolo dice che andò a Gerusalemme a conoscere “la Pietra” (Cefa) (Gal 1,18).
Pietro è la pietra alla quale dobbiamo far riferimento per volontà di Gesù Cristo.
Anche gli apostoli insieme con  lui sono il fondamento della nostra fede. San Paolo ricorda che in quanto cristiani siamo “edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù” (Ef 2,20). E questo per volontà del Signore.

5. “E le porte degli inferi non prevarranno contro di essa”, sulla Chiesa.
San Tommaso commenta: “Ti combatteranno, ma non ti vinceranno.
Chi sono le porte degli inferi? Gli eretici: perché come si entra in casa attraverso la porta, così per mezzo di essi si va all’inferno. Ugualmente queste porte sono i tiranni: i demoni, i peccati.
E sebbene le altre chiese possano essere sopraffatte dagli eretici, la chiesa Roma non fu mai depravata dagli eretici perché era fondata su questa pietra. Perciò a Costantinopoli vi furono eretici, e la fatica degli apostoli fu resa vana, mentre la sola Chiesa di Pietro rimase inviolata” (Commento al Vangelo di Matteo 16,18).

6. Inoltre il Signore ha detto: “Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli” (Lc 22,31-32).
Commenta San Tommaso: “E questo non solo si riferisce alla Chiesa di Pietro, ma alla fede di Pietro, e perciò a tutta la Chiesa occidentale. Perciò credo che gli Occidentali devono avere maggiore riverenza per Pietro che per gli altri apostoli” (Commento al Vangelo di Matteo 16,18).

7. Pertanto per la nostra fede poggiata in Cristo dobbiamo ritenere che la fede di Pietro (e cioè del Papa) non verrà mai meno.
Ce lo ha assicurato Cristo stesso.
Sicché di certi messaggi, di cui si dice che vengono dal Cielo e che raccomandano cose belle come la devozione al Rosario e alla pratica della Confessione” e nello stesso tempo mettono sfiducia nel Papa perché lo presentano “come il falso profeta”, come “colui che prepara la strada all’anti-Cristo”, dobbiamo dire che si tratta di un’astuzia diabolica.
Il diavolo in genere non si presenta come tale perché metterebbe spavento. “Si maschera – invece -da angelo di luce” (2 Cor 11,14) “perché è menzognero e padre della menzogna” (Gv 8,44).

8. Il che viene ulteriormente confermato quando in tali messaggi si trovano espressioni mielose, così aliene dai testi sacri e anche dalle apparizioni private autenticate dalla Chiesa.

9. Infine come potranno certe rivelazioni private essere autenticate dalla Chiesa o dal papa quando di lui dicono che è un falso profeta e prepara la strada all’anti-Cristo?
Predicono uno scisma nella Chiesa (per l’infedeltà di Pietro). Ma non si accorgono che con le loro rivelazioni e i loro contenuti lo scisma lo stanno già attuando loro.
Anche questa è astuzia diabolica.

Ti ringrazio per la fiducia, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo


Vorrei dei chiarimenti al riguardo del parlare male e pensare male

Quesito

Caro Padre,
innanzitutto le faccio i complimenti per la rubrica, che leggo sempre con passione.
Vengo al mio quesito: vorrei dei chiarimenti al riguardo del parlare male e pensare male.
Per quanto riguarda il primo: è tale peccato che viene inteso anche nei Vangeli, quando ci si riferisce al termine “mormorazione”? E quale è il limite? A volte, con gli amici mi capita di raccontare degli aneddoti divertenti su qualche professore universitario, di criticarlo anche pesantemente quando serve, ma sottolineandone pure i lati positivi. Io penso che tale pratica non sia poi così malvagia, in quanto rientra nel diritto di valutare il singolo professore… o mi sbaglio?
Per quanto riguarda il “pensar male”: esiste un detto che dice “a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”. A me questa sembra una grossolanità popolare e non piace, in quanto quando “ci si azzecca” vuol dire che i sospetti sono legittimi, e non vedo nessun precetto che vieti di fare congetture: soprattutto quando queste ci aiutano a guardarci da alcune persone, oppure a dare una mano a loro stesse.
Mi faccia sapere cosa ne pensa, grazie in anticipo e tanti saluti
P.


Risposta del sacerdote

Carissimo P.,
1. mormorare significa parlare male del prossimo per distogliere l’affetto e la stima verso una determinata persona. Questo è certamente un peccato e talvolta può essere anche un peccato grave, che obbliga non solo alla confessione ma anche alla riparazione.

2. Tu mi porti un esempio in cui ti pare giusto giudicare.
E ti do ragione. Nell’esempio che mi hai portato non trovo peccato.
Perciò dire che un professore non spiega bene, che non si fa capire, che è confuso e confusionario non è un peccato.
Abbiamo anche noi l’intelligenza per giudicare se una lezione è fatta bene o male. Del resto quando diciamo che una lezione è bella esprimiamo un giudizio.
La nostra mente non può non giudicare.

3. Commettiamo invece un peccato contro la giustizia e la carità quando nel nostro parlare vi mettiamo malizia, quando calchiamo le tinte e soprattutto desideriamo distogliere ingiustamente l’affetto del nostro prossimo da determinate persone.

4. Pertanto se tu dici ai ragazzi di non frequentare una determinata persona perché è poco di buono, può corrompere la loro moralità e anche la loro fede, non fai mormorazione, non commetti peccato, ma compi un atto di carità.
Certe volte è doveroso mettere in guardia.
Del resto Gesù non ha messo in guardia dagli scribi e dai farisei che ha definito ipocriti e sepolcri imbiancati?
Avrebbe commesso un peccato se avesse taciuto.

5. In un commentario biblico, alle parole di Gesù: “Non giudicate e non sarete giudicati…” (Mt 7,1) leggo: “Il giudizio proibito è quello che consiste nel pensar male del prossimo senza fondamento, nell’interpretare sinistramente le sue azioni e nel condannarlo per spirito di odio o di invidia.
Gesù vuole che non siamo giudici severi e perversi del prossimo, al fine di meritare misericordia e perdono nel giudizio di Dio: perché quale sarà il giudizio che avremo pronunciato sul prossimo, tale sarà quello che Dio pronuncerà su di noi”.
In queste parole trovi la risposta anche la pensar male degli altri.

Ti ringrazio per la stima e per la frequentazione del nostro sito. Deo gratias!
Ti ricordo al Signore, ti saluto e ti benedico.
Padre Angelo

Consigliamo anche questi video: Cosa insegna Gesù sul giudicare e non giudicare?
Don Dolindo: ATTENTI ecco come fare la vera correzione fraterna


Le scrivo in merito alla nuova traduzione della preghiera del Signore, il Padre Nostro

Quesito

Gentile padre Angelo,
sono un ragazzo di 21 anni, suo assiduo lettore, e la ringrazio per il prezioso servizio che svolge, molto d’aiuto per me a sciogliere anche dubbi che mai m’ero posto.
Le scrivo in merito alla nuova traduzione della preghiera del Signore, il Padre Nostro, operata nella nuova versione della Bibbia dalla CEI. Nel Vangelo infatti è riportato un cambiamento rilevante, “non ci abbandonare alla tentazione”, al posto di “non ci indurre in tentazione”. Vorrei chiederle le ragioni filologiche di questo cambiamento, e se comporta conseguenze dogmatiche. Le confesso che ho trovato più di qualche fedele e anche qualche presbitero che si trovavano in difficoltà nel fatto che Dio potesse “indurci in tentazione” e sosteneva che quel passo fosse un retaggio del passato. Cosa significa questa parte in latino “et ne nos inducas in tentationem”, dato che porta a due traduzioni apparentemente così diverse? Ora che la traduzione è cambiata, anche noi fedeli siamo chiamati ad adeguarci a questa disposizione?
Le domando poi un giudizio in merito alla recita in chiesa del Padre Nostro, su come disporci alla preghiera: molti presbiteri invitano tutti i fedeli a stringersi la mano, mentre a me personalmente hanno insegnato a pregare a mani aperte. 
Ho assistito ad una messa, e mi è stato confermato dalla testimonianza di amici, in cui il Padre Nostro è stato cantato con la melodia di “The sound of silence”, nota canzone degli anni ‘‘60: ora, la Chiesa è ricca di canti e melodie, tradizionali, ma anche nuovi, nati nei nuovi movimenti e comunità: ritiene liturgicamente corretto attingere a canzoni che di cristiano hanno poco, oppure si tratta di una scelta discrezionale del sacerdote che presiede?
La ringrazio molto per la disponibilità.
Preghi per me peccatore!


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. il testo latino della preghiera del Pater recita da sempre: “Et ne nos induca in tentationem” (Mt 6,13).
In greco c’è l’espresssione “eisenènkes” che significa “introdurre, condurre dentro, lasciar cader in”.
In italiano finora è stato da sempre tradotto “non ci indurre in tentazione”,
La versione nuova dice: “Non abbandonarci alla tentazione”.

2. Certamente l’espressione di sempre poteva lasciar intendere che Dio tentasse le persone.
Ma questo non può essere perché Dio non tenta nessuno. L’ha detto lui stesso per bocca di Giacomo: “Nessuno, quando è tentato, dica: «Sono tentato da Dio»; perché Dio non può essere tentato al male ed egli non tenta nessuno” (Gc 1,12).
San Paolo fa capire che la tentazione non viene da Dio. Dio la permette, ma nello stesso tempo dà sempre la forza per superarla: “Dio infatti è degno di fede e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze ma, insieme con la tentazione, vi darà anche il modo di uscirne per poterla sostenere” (1 Cor 10,13).

3. La Bibbia di Gerusalemme, che viene chiamata così perché le introduzioni e le note sono curate dai domenicani delle celebre Ècole bilique” fondata in quella città dal p. M. J. Lagrange, osserva: “Il senso permissivo del verbo aramaico usato da Gesù, “lascia entrare” e non “fare entrare” non è reso dal greco e dalla volgata”.
Come vedi, nell’interpretazione di questo versetto si è voluto andare addirittura al linguaggio usato da Gesù: l’aramaico.
D’altra parte sappiamo che Matteo prima scrisse un Vangelo in aramaico, che è andato perso, poi ne ha scritto uno in greco.
In aramaico dunque quell’espressione ha un significato permissivo.
Come nota la Bibbia di Gerusalemme questo significato permissivo non appare nel testo greco e neanche in quello latino della Volgata dove sembra avere un significato attivo.

4. La Bibbia di Gerusalemme scrive ancora: “Domandiamo a Dio di liberarci dal tentatore e lo preghiamo di non entrare in tentazione, e cioè nell’apostasia”.
E fa riferimento a Mt 26,41 quando Gesù dice agli Apostoli nell’orto degli olivi “Vegliate e pregare per non entrare in tentazione”.
Qui la tentazione è consistita nell’abbandono (apostasia) del Signore: “allora tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono” (Mt 26,56).

5. Per cui il non indurci in tentazione sta per “non lasciarci cadere in tentazione”. O, come scrive la tradizione della Cei: “non abbandonarci alla tentazione”.
A mio modestissimo parere, “non lasciarci cadere in tentazione” sarebbe stato meglio che il “non abbandonarci” perché ricorda che senza il aiuto di Dio non possiamo superare le prove.

6. Sant’Agostino commenta: “Senza tentazione nessuno può essere provato né di fronte a se stesso né di fronte agli altri; davanti a Dio invece ognuno è conosciutissimo prima di ogni tentazione.
Quindi non si prega per non essere tentati, ma perché non siamo indotti in tentazione (cioè di non cadervi): così quando uno deve essere esaminato nel fuoco, non prega perché non ci sia il fuoco, ma perché non sia bruciato” (De Sermone Dom. 2,9).
E ancora: “Quando dunque diciamo “non ci indurre in tentazione” siamo avvisati di chiedere che non veniamo privati del suo aiuto e acconsentiamo ingannati a qualche tentazione o cediamo” (Lettera Proba, L. 130,11).

7. San Tommaso: “Forse Dio induce al male dal momento che ci fa dire: “non ci indurre in tentazione”?
Rispondo che si dice che Dio induce al male nel senso che lo permette, in quanto, cioè, sottrae all’uomo – a causa dei suoi molti peccati precedenti – la sua grazia, tolta la quale, egli scivola nel peccato. Per questo noi diciamo col salmista “Non abbandonarmi quando declinano le mie forze” (Sal 70,9).
Dio però sostiene l’uomo, perché non cada in tentazione, mediante il fervore della carità che, per quanto sia poca, è sufficiente a preservarci da qualsiasi peccato. Infatti che “le grandi acque non possono spegnere l’amore” (Ct 8,7)” (Commento al Pater).

8. Circa le ultime due questioni di dettaglio: se sia previsto recitare il Pater stringendosi la mano: nella celebrazione liturgica non è previsto. Fuori della celebrazione liturgica si può fare.
Non saprei invece se questa melodia sia prevista nel repertorio dei canti sacri.

Ti auguro ogni bene in questo tempo di Pasqua, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo


Il significato delle parole del Padre nostro “non ci indurre in tentazione”

Quesito

Caro Padre Angelo,
recitando il Padre Nostro, mi sono sempre domandata perchè Gesù che ce l’ha insegnato, ci fa dire Padre: “non ci indurre in tentazione”, come se il Padre cercasse, talvolta, di indurci a peccare…
Una persona amica mi detto recentemente che la traduzione comunemente usata è imprecisa: dovremmo dire: Padre, fa’ che non siamo indotti in tentazione, non permettere che cadiamo in tentazione, tienici lontani dalla tentazione, ecc.
Le domando: se la traduzione è imprecisa perchè non viene rettificata? E se è corretta, che cosa significa esattamente?
La ringrazio e la ricordo nelle mie preghiere.
Con grande stima.
Giulia


Risposta del sacerdote

Cara Giulia,
1. la traduzione è esatta, ma è proprio il caso di dire che… induce a pensare in maniera sbagliata.
Ecco che cosa dice il Catechismo della Chiesa Cattolica: “Noi chiediamo al Padre nostro di non «indurci» in tentazione.
Tradurre con una sola parola il termine greco è difficile: significa «non permettere di entrare in», [Cf Mt 26,41] «non lasciarci soccombere alla tentazione»” (CCC 2846).
 San Giacomo ricorda che “Dio … e non tenta nessuno al male” (Gc 1,13). Anzi, al contrario, vuole liberarcene.
Con questa domanda noi chiediamo a Dio “di non lasciarci prendere la strada che conduce al peccato” (CCC 2846).
“Questa richiesta implora lo Spirito di discernimento e di fortezza” (CCC 2846).

2. Il CCC continua: “Lo Spirito Santo ci porta a discernere tra la prova, necessaria alla crescita dell’uomo interiore in vista di una «virtù provata» (Rm 5,3-5) e la tentazione, che conduce al peccato e alla morte” (CCC 2847).
“Infine, il discernimento smaschera la menzogna della tentazione: apparentemente il suo oggetto è «buono, gradito agli occhi e desiderabile» (Gen 3,6), mentre, in realtà, il suo frutto è la morte” (CCC 2847).

3. Da duemila anni il popolo cristiano prega con queste parole.
È vero che a tutta prima destano qualche perplessità. Ma, subito, tutti capiscono che vanno intese nel senso che Dio non ci lasci soccombere nelle tentazioni.

Ti prometto una preghiera e ti benedico.
Padre Angelo


Alcune domande su Maria Corredentrice, sul cambiamento del Padre nostro e sull’infallibilità del Papa

Quesito

Caro Padre Angelo,
vorrei avere alcune delucidazioni sul Papa attuale (e sulle sue parole) ed sul Papa in generale, grazie per la disponibilità che ci date. Prima di tutto vorrei allegarvi un articolo sulle parole di Papa Francesco sulla questione di Maria Corredentrice, ecco il link (…).
Volevo sapere il perché di queste parole su Maria, non è forse Corredentrice? 
Un’altra domanda che le vorrei porre è il perché dell’aver cambiato alcune parole del Padre Nostro, quando queste parole sono state usate da molto tempo e pronunciate da Nostro Signore Gesù Cristo stesso.
Un’ultima domanda che le vorrei porre è se il Papa, quando non suscita l’Infallibilità Papale, può commettere errori, o anche addirittura peccati. Nel caso li commettesse, a chi li deve confessare? Faccio questa domanda perché mi sembra che ci siano stati Papi non tanto, diciamo, Santi (per fare un esempio Papa Giovanni XII). Non vorrei mettere in dubbio la figura del Papa, ma vorrei avere dei chiarimenti. Ancora grazie per la vostra disponibilità.
Spero di non essere stato contro il Buon Dio per le mie parole e di non aver commesso eresia, non mi piacerebbe affatto essere scomunicato né tanto meno aver offeso sempre il Buon Dio.
Grazie ancora per la vostra disponibilità.
Alessandro


Risposta del sacerdote

Caro Alessandro,
1. molto probabilmente Papa Francesco vuole evitare che si parli di Maria come Corredentrice perché teme che Gesù Cristo sia definito Corredentore.
Cristo infatti è l’unico Redentore.
Ciò non toglie che Gesù abbia voluto Maria come particolare compagna nell’opera della redenzione. Questo lo insegna anche il Papa, il quale non ha mai rinnegato l’insegnamento della Chiesa in materia
Si tratta pertanto della convenienza del titolo, soprattutto in riferimento al dialogo con i protestanti.

2. Non sono state cambiate le parole del Padre nostro ma alcune parole della traduzione italiana.
Gesù ha recitato il Padre nostro in aramaico, la lingua parlata dal popolo ai suoi tempi.
Nei Vangeli il Padre nostro è stato scritto in greco. Successivamente è stato tradotto in latino e di qui in tutte le altre lingue.
Ora è inevitabile che nella traduzione le parole assumono sfumature diverse.
Secondo l’autorità ecclesiastica italiana quelle parole potevano essere tradotte in maniera diversa. E così ha fatto.
Sull’opportunità del cambiamento ognuno è libero di pensare come vuole. Tanto che nulla vieta che un giorno si possa tornare alla traduzione precedente.

3. La Chiesa insegna che Gesù ha garantito l’infallibilità al Papa quando parla ex cathedra in materia di fede e di morale.
Sono molto rari i casi in cui il Papa si esprime ex cathedra.
Gli ultimi due sono avvenuti il 1 novembre 1950 e l’8 dicembre 1854 quando Pio XII e Pio IX hanno proclamato rispettivamente il dogma dell’assunzione e dogma dell’Immacolata.

4. Di fatto poi l’infallibilità si estende anche a tutti i pronunciamenti di una certa importanza che il Papa fa in comunione con i vescovi sebbene non siano radunati in concilio.
Il Concilio Vaticano II ricorda infatti che: “Quantunque i singoli vescovi non godano della prerogativa dell’infallibilità, quanto tuttavia, anche dispersi per il mondo, ma conservanti il vincolo della comunione tra loro e con il Successore di Pietro, nel loro insegnamento autentico circa materie di fede e di morale convengono su una sentenza da ritenersi come definitiva enunciano infallibilmente la dottrina di Cristo” (Lumen Gentium, 25).

5. Ulteriormente il Papa si esprime in maniera infallibile quando evoca l’autorità che Cristo ha affidato a Pietro e ai suoi successori e ribadisce in maniera costante l’insegnamento della Chiesa su un determinato argomento di fede o di morale. Di fatto tale insegnamento diventa irreformabile.
In diverse occasioni sia Paolo VI sia Giovanni Paolo II hanno fatto appello a questa autorità. E con questo
Con tale appello ricordavano l’obbedienza che i fedeli debbono al Magistero.

6. L’infallibilità pertanto riguarda solo l’insegnamento, non la vita privata del Papa oppure il governo della Chiesa.
Anche il Papa pertanto si confessa come tutti i buoni cristiani.
Si confessa da un sacerdote qualsiasi cui egli fa riferimento.
Giova ricordare che il sacerdote in confessione agisce in persona Christi, e cioè identificandosi con Cristo.
In quel momento il Papa, come uomo, gli è inferiore.

Ti benedico, ti ricordo al Signore e ti auguro ogni bene. 
Padre Angelo

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