Se diciamo che il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani, è fecondità, lo dobbiamo al Sangue di Cristo sparso sulla Croce per noi! Cerchiamo di capire il perché e il per come: «Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati, perché peccando ho meritato i tuoi castighi» così inizia l’Atto di dolore secondo la prima delle dieci formule presenti nel Rito del sacramento della penitenza o confessione. Lo diciamo più chiaramente: i nostri peccati hanno meritato i castighi di Dio. L’inferno, per esempio, è una condizione che consiste nella separazione eterna da Dio. È una diretta «conseguenza di una avversione volontaria a Dio, cioè di un peccato mortale, in cui si persiste fino alla fine» (Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1037), è una SCELTA, non certo la volontà di Dio.
Si sapeva che prima poi saremo dovuti arrivarci! A prestarsi al nuovo ed ennesimo stravolgimento è stata TV2000 nell’intervista fatta a certo teologo “so-tutto-io” don Paolo Squizzato.. o Schizzato? Mai gioco di parole fu indovinato! Ma non vogliamo polemizzare. Prima di passare alla risposta del domenicano Padre Riccardo Barile, che abbiamo commentato anche in video qui,
è bene ricordare i tanti argomenti già da noi trattati:
Castighi di Dio e lettura di Giobbe
Perché si parla di castigo ed anche del Sangue prezioso di Gesù?
Come fare una santa Confessione?
Terremoti e catastrofi? Come fare la volontà di Dio?
Confessione: quel Sacramento indigesto ai Protestanti, ma anche alla nuova pastorale.
Chi segue le mode non segue Gesù…. attenti agli slogan
Padre Nostro: quella traduzione che divide già la Chiesa
Vuoi sapere, stando alla Bibbia, come Dio giudica le altre religioni?
Esame della coscienza, penitenza ed Eucaristia
Lettura della Pascendi Dominici gregis: testo anche scritto e in pdf da scaricare
Caffarra: le 5 insidie della Chiesa di oggi
I Novissimi di mons. Alessandro Maggiolini
Spieghiamo facile cosa è il paradigma e la vera coscienza
Che cosa è il peccato contro lo Spirito Santo? Risponde Don Mario Proietti
Vergogna o sacro timor di Dio? Chi non dobbiamo giudicare?
Oggi dicono che siamo liberi di sbagliare: ma è davvero così?
Per Voi: Lettera ai Catechisti di sant’Agostino in audio e pdf
Dunque, rammentando quanto segue:
- “…viene in mente una parola di Gesù che dice: «Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare» (Mc 9,42). Nel suo significato originario questa parola non parla dell’adescamento di bambini a scopo sessuale. Il termine «i piccoli» nel linguaggio di Gesù designa i credenti semplici, che potrebbero essere scossi nella loro fede dalla superbia intellettuale di quelli che si credono intelligenti. Gesù qui allora protegge il bene della fede con una perentoria minaccia di pena per coloro che le recano offesa. Il moderno utilizzo di quelle parole in sé non è sbagliato, ma non deve occultare il loro senso originario. (..) Sono altrettanto importanti beni preziosi come la fede. Un diritto canonico equilibrato, che corrisponda al messaggio di Gesù nella sua interezza, (..)… deve proteggere anche la fede, che del pari è un bene importante protetto dalla legge. (..) Quando oggi si espone questa concezione in sé chiara, in genere ci si scontra con sordità e indifferenza sulla questione della protezione giuridica della fede. Nella coscienza giuridica comune la fede non sembra più avere il rango di un bene da proteggere. È una situazione preoccupante, sulla quale i pastori della Chiesa devono riflettere e considerare seriamente. (Benedetto XVI interviene sulla grave crisi nella Chiesa – aprile 2019)
leggiamo ora la risposta di Padre Riccardo Barile sulla vicenda:
Che dolore l’atto di dolore della tv targata Cei
del domenicano Padre Riccardo Barile
Confesso di coltivare un pessimo rapporto con i media. Per cui non seguivo Tv 2000 sino all’altro ieri, quando la Bussola mi ha segnalato un’intervista a don Paolo Squizzato sulla Quaresima dell’8 aprile u.s., reperibile dal minuto 32 in avanti del programma Ora solare.
Don Paolo è un prete del Cottolengo di Torino, che ha accettato la sfida di scrivere un libro “frizzante” sulla Quaresima. Mi astengo dal commentare il libro, ma parto dall’intervista, caratterizzata da una frase bomba sull’Atto di dolore e da una serie ininterrotta di frasi discutibili, ma proferite con disinvolta sicurezza e anche con una certa sincera ingenuità di chi cammina su di un campo minato senza accorgersene.
Don Paolo in fondo mi è simpatico perché sono nato a Torino a mezz’ora a piedi dal Cottolengo e prima che lui nascesse frequentavo Porta Palazzo e le vie del vicino Cottolengo. Non polemizzo con lui, ma vorrei mettere qualche pulce nell’orecchio a chi ha visto quel programma, dove non tutto ciò che era detto con sicurezza è altrettanto sicuro.
UN SCIVOLOSO APPROCCIO ERMENEUTICO
Don Paolo: «Credo che proprio noi come Chiesa oggi dobbiamo recuperare, ridare un senso alle parole, perché per molto tempo, per secoli, abbiamo spolpato di significato le parole (…). Molto di ciò che propone la Chiesa o ha ha proposto per secoli è stato qualcosa un po’ di proibito e un po’ di obbligatorio (…). Io credo che dobbiamo come cristiani soprattutto oggi tornare al vangelo autentico, a un vangelo sine glossa come direbbe san Francesco (…). Termini come sacrificio, come mortificazione, come fioretti, tutta questa cosa non è evangelica, non c’è nel vangelo».
Che qualcosa vada reinterpretato è ovvio, ma che sempre si debba reinterpretare insinua il dubbio che sino ad oggi la Chiesa ci ha ingannato. Se si aggiunge che la reinterpretazione va condotta a partire dal vangelo sine glossa (senza commento), ci si avvia verso il baratro. Infatti «La fede cristiana (…) non è una “religione del Libro”. Il cristianesimo è la religione della “Parola” di Dio, di una parola cioè che non è una parola scritta e muta, ma del Verbo incarnato e vivente» (CCC 108; concetto ribadito dalla Verbum Domini). Dunque non c’è il Libro con un vuoto ermeneutico da riempire, ma il Libro ci è dato dalla interpretazione della Tradizione; dunque il Cristo vivente nella Chiesa può dirci qualcosa che alla lettera non è contenuto nei vangeli. E san Francesco non può essere chiamato in causa più di tanto perché il suo sine glossa riguarda la Regola e il Testamento (FF 130, 1672, 1678, 2131, 2184, 2730), anche se osservò il Vangelo alla lettera in questioni di povertà (FF1622, 1682).
Venendo agli esempi addotti, la Chiesa proibendo e obbligando imita Dio (il primo peccato non è nato dopo una proibizione?) perché noi comprendiamo quando mettiamo in pratica, e non dopo le spiegazioni. Non mi fermo sul sacrificio perché è ovvio, ma affermando che la mortificazione non è evangelica ci si urta contro questa frase: «Il progresso spirituale comporta l’ascesi e la mortificazione, che gradatamente conducono a vivere nella pace e nella gioia delle beatitudini» (CCC 2015). Bisogna riscrivere il Catechismo?
LA FRASE BOMBA: L’ATTO DI DOLORE NON HA NULLA DI CRISTIANO
Don Paolo: «Noi, parlo di Chiesa, Chiesa ufficiale, la Chiesa dei preti, abbiamo credo infangato molto il termine e concetto di peccato; l’abbiamo pensato anzitutto come una trasgressione, come infrazione a una norma, a un comandamento e quindi come un’offesa fatta a Dio. Tutto questo è rimasto in quella tremenda preghiera che purtroppo viene ancora usata, so, da alcuni catechisti, che è l’Atto di dolore “perché con il peccato ho offeso te infinitamente buono e per questo merito i tuoi castighi”. È una preghiera che non ha nulla di cristiano perché Dio non si può offendere e poi Dio non castiga, perché Gesù è venuto a rivelarci un altro tipo di Dio, di Padre».
L’Atto di dolore figura a p. 48 dell’edizione italiana del Rito della Penitenza e a p. 176 del Compendio del CCC: testi così autorevoli conterrebbero una preghiera che non ha nulla di cristiano? È vero che l’argomento va un po’ smorzato perché l’Atto di dolore non è l’unica formula possibile, perché l’edizione italiana riporta la formula precedente e non traduce alla lettera il latino del testo tipico dove non ci sono i castighi, che tuttavia sono stati reintrodotti nel testo latino del Compendio del CCC. Comunque la domanda resta: testi così autorevoli conterrebbero una preghiera che non ha nulla di cristiano?
Ma anche le motivazioni non reggono. Il peccato non sarebbe un’offesa a Dio? No, il CCC 1849 dice che è «una mancanza contro la ragione, la verità, la retta coscienza; è una trasgressione in ordine all’amore vero, verso Dio e verso il prossimo, a causa di un perverso attaccamento a certi beni. Esso ferisce la natura dell’uomo e attenta alla solidarietà umana» (CCC 1849) e subito dopo continua: «Il peccato è un’offesa a Dio» (CCC 1850), «(…) il peccato è sempre un’offesa fatta a Dio» (CCC 431) e naturalmente «molti peccati recano offesa al prossimo» (CCC 1459).
Dio non castiga? La questione è complessa e vorrei intervenire prossimamente con più calma sulla Bussola. Comunque «(…) di quanto peggiore castigo pensate che sarà giudicato meritevole chi avrà calpestato il Figlio di Dio e ritenuto profano quel sangue dell’alleanza, dal quale è stato santificato, e avrà disprezzato lo Spirito della grazia? (…). È terribile cadere nelle mani del Dio vivente!» (Eb 10,29.31). Il Dio della Lettera agli Ebrei non sarebbe il Dio rivelato da Gesù? E poi la speranza è “anche” «il timore di offendere l’amore di Dio e di provocare il castigo» (CCC 2090). Bisogna riscrivere il Catechismo?
RELIGIONE E FEDE
Dice don Paolo: «Il cristianesimo non è una religione, il cristianesimo è una fede, questa è la grande rivelazione di Gesù (…). La religione è ancora in qualche modo un tentativo di raggiungere il cielo con il proprio sforzo, con la propria osservanza, e questo ci rende soltanto molto integralisti».
Dire che il cristianesimo è una fede e non una religione è una sirena alla quale è intellettualmente difficile resistere. Io stesso per due o tre anni in gioventù ne rimasi impigliato; ho trovato un testo relativamente giovanile di Caffarra in questo senso e anche il Biffi prima prete e cardinale poi vedeva bene tale interpretazione.
Una mezza verità se assolutizzata, diventa falsa. Il cristianesimo non è “solo e principalmente” una religione ma è “anche e necessariamente” una religione. Il CCC si muove sempre nella linea della integrazione e mai in quella della contrapposizione, perché togliere la religione alla fede è toglierle la necessaria radicazione umana, lasciandola disincarnata e aperta a tutte le stranezze intellettuali e pratiche. Così usa le espressioni «religione cristiana» (CCC 958), «religione divinamente rivelata» (CCC 2244), «la vera religione e l’unica Chiesa di Cristo» (CCC 2105); stabilisce che la giustizia è una virtù morale e che «la giustizia verso Dio è chiamata “virtù di religione”» (CCC 1807). Tutto questo è elevato ma non negato dalla grazia cristiana: il Battesimo «consacra il battezzato al culto della religione cristiana» (CCC 1280), la legge nuova «pratica gli atti della religione: l’elemosina, la preghiera e il digiuno, ordinandoli al Padre che vede nel segreto» (CCC 1969) e in particolare l’adorazione che «della virtù della religione è l’atto principale» (CCC 2096). Se «adorare Dio, pregarlo, rendergli il culto che a lui è dovuto, mantenere le promesse e i voti che a lui si sono fatti, sono atti della virtù della religione, che esprimono l’obbedienza al primo comandamento» (CCC 2135), anche «il secondo comandamento (…) deriva dalla virtù della religione» (CCC 2142), così come «il senso del sacro» (CCC 2144). Bisogna riscrivere il Catechismo?
Concludendo mi viene da sospirare come la donizettiana Lucia di Lammermoor nel celebre concertato: «Vorrei pianger, ma non posso… ah, mi manca il pianto ancor!» (II, scena VI). Ma mi viene anche in mente che lunedì prossimo ho l’appuntamento per la dichiarazione dei redditi. E dovrei devolvere un minimo 8×1000 per finanziare trasmissioni come questa? Non sarebbe meglio devolverlo alla Chiesa ortodossa? Poi però, siccome credo alla disciplina cattolica, come la rossiniana Amenaide nel Tancredi assicuro: «Compirò, non temete, il dover mio» (I, scena III). Sì, devolverò l’8×1000 alla CEI, ma nella speranza che sia usato per trasmissioni e interviste non devastanti come questa.
Sono un catechista novizio e chiedo se posso togliere 5 parole dall’atto di dolore
Quesito
Caro Padre Angelo,
sono un catechista novizio che in questo momento, coi bambini che quest’anno riceveranno il sacramento dell’Eucarestia, sta affrontando il tema del sacramento della Riconciliazione.
Per quanto riguarda la formula dell’ Atto di dolore” mi son sempre chiesto come mai al suo interno vi sia presente la frase “…perché peccando ho meritato i tuoi castighi…”
A parte il fatto che nostro Signore sono convinto non castighi proprio nessuno (per lo meno su questa terra) avendoci lasciato quello che si chiama libero arbitrio, ho la netta sensazione che la frase di cui sopra, possa dare un’erronea impressione ai bambini ( e non solo a loro) di un Dio molto severo e vendicativo.
Le chiedo pertanto questo:
avrei la forte tentazione di insegnare la preghiera di cui sopra ai bambini facendo omettere quelle 5 parole “ …ho meritato i tuoi castighi”…. ma temo di commettere peccato grave, anche se in fin dei conti persino il Padre Nostro è stato modificato, in quanto Dio non induce mai in tentazione.
La preghiera non ne risulterebbe affatto stravolta:
Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati, perché peccando ho offeso Te, infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa. Propongo col Tuo santo aiuto di non offenderti mai più e di fuggire le occasioni prossime di peccato. Signore, misericordia, perdonami.
Chiedo pertanto un suo autorevole parere sulla questione.
La ringrazio di cuore.
Cristian
Risposta del sacerdote
Caro Cristian,
1. l’espressione “ho meritato i tuoi castighi” può dare l’impressione di un Dio vendicativo.
Noi sappiamo che si tratta di un antropomorfismo.
Ma è usata dalla Sacra Scrittura e ricorda che col peccato ci facciamo del male.
Può darsi che un giorno venga modificata e venga sostituita con parole che non richiedono una spiegazione per non essere male intese.
2. Ma tralasciarla del tutto, senza sostituirvi niente, a parte l’arbitrio che ci prendiamo nel modificare una preghiera insegnata dalla Chiesa, toglie un elemento importante, che è questo: con il peccato l’uomo si danneggia sempre.
In questo senso si era già espresso l’Antico Testamento: “Chi pecca, danneggia se stesso” (Sir 19,4).
3. Giovanni Paolo II in Reconciliato et Paenitentia ha detto che il peccato è sempre “un atto suicida” (RP 15) e che “finisce per rivoltarsi sempre contro colui che lo compie con una oscura e potente forza di distruzione” (RP 17).
4. Fino a sessant’anni fa si insegnava ai bambini un’altro atto di dolore, che non presentava l’espressione “perché peccando ho meritato i tuoi castighi”.
Dei peccati commessi si diceva: “Li odio e li detesto come offesa della vostra maestà infinita, cagione della morte del vostro divin Figliolo Gesù e mia spirituale rovina”.
Forse bisogna convenire che l’espressione mia spirituale rovina è migliore di quella attuale: “ho meritato i tuoi castighi”.
5. In un atto di dolore ancora più antico, e che ormai sento proferire solo da pochissime persone, si diceva: “li odio (i peccati) e li detesto non solo per l’inferno che ho meritato e il paradiso che ho perduto, ma soprattutto perché ho offeso un Dio così buono, così grande, così amabile come siete Voi. Vorrei prima essere morto che avervi offeso…”.
Qui l’espressione “l’inferno che ho meritato” è troppo dura, soprattutto se si tiene conto che i peccati commessi dai bambini di solito sono peccati veniali”.
Però, anche qui, non si parlava di “castighi”.
6. Pertanto ti direi di non cambiare l’espressione. Questo compito lascialo a chi di dovere.
Da parte tua spiega le parole ai bambini dicendo che siamo noi che ci auto castighiamo, nel medesimo modo in cui uno si auto castiga quando beve cose che gli causano danni nella salute e lo fanno star male.
Ti auguro di fare del bene ai ragazzi che ti sono stati affidati.
È una grande grazia poter insegnare il catechismo.
Ti prometto un ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo
Ho sentito un prete alla Tv dei vescovi che ha definito l’Atto di dolore una “tremenda preghiera”, “una preghiera che non ha nulla di cristiano”
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Quesito
ciao,
sono quello che t’ha detto che stava leggendo i Moralia di san Gregorio.
Ho sentito un prete alla Tv dei vescovi che ha definito l’Atto di dolore una “tremenda preghiera”, “una preghiera che non ha nulla di cristiano perché Dio non si può offendere e poi Dio non castiga, perché Gesù è venuto a rivelarci un altro tipo di Dio, di Padre”.
La mia domanda: è un castigo di Dio? Intendo il fatto che abbiamo personaggi (preti?) … che pontificano in tivvù (nella tivvù dei vescovi italiani [che grazie a Dio nessuno vede, ma questa è un’altra storia]), spargendo e largamente e impunitamente diffondendo eresie.
Sii sincero (è ovvio che è un castigo di Dio, volevo… boh? tentarti… bah).
Ah ti piacciono le scarpe che porta ‘sto prete (?) in quel video? credo siano scarpe Hogan (ma non sono un esperto)
Risposta del sacerdote
Carissimo,
1. mi spiace per quello che quel prete ha detto nella TV dei vescovi e cioè che il peccato non è un’offesa fatta a Dio.
È vero che chi pecca danneggia se stesso, ma contemporaneamente fa altre due cose: continua a crocifiggere Gesù e compie un danno anche al corpo mistico di Cristo che è la Chiesa.
2. Danneggia chi lo compie: l’ho ripetuto molte volte in questo sito, ricordando anzitutto che cosa dice la Sacra Scrittura: “Chi pecca, danneggia se stesso” (Sir 19,4).
Ma poi anche è l’affermazione di Giovanni Paolo II in Reconciliatio et paenitentia: “Il peccato è un atto suicida” (RP 15).
Evidentemente si tratta del peccato mortale.
Ho ricordato anche quanto dice Sant’Agostino: “il peccato è una maledizione e che per conseguenza dal peccato ne deriva morte e mortalità” (Contra Faustum, 14,4), vale a dire un certo maleficio che uno fa a se stesso. E ho ricordato anche che San Tommaso riporta e fa propria tale affermazione (Somma teologica, III, 46, 4, ad 3).
3. Riporto per intero quanto dice Giovanni Paolo II: “Come rottura con Dio, il peccato è l’atto di disobbedienza di una creatura che, almeno implicitamente, rifiuta colui dal quale è uscita e che la mantiene in vita; è, dunque, un atto suicida.
Poiché col peccato l’uomo rifiuta di sottomettersi a Dio, anche il suo equilibrio interiore si rompe e proprio al suo interno scoppiano contraddizioni e conflitti.
Così lacerato, l’uomo produce quasi inevitabilmente una lacerazione nel tessuto dei suoi rapporti con gli altri uomini e col mondo creato” (RP 15).
4. E proprio perché con peccato l’uomo danneggia se stesso (“il suo equilibrio interiore si rompe e proprio al suo interno scoppiano contraddizioni e conflitti”) si tratta di un castigo che ci su autoinfligge.
Il castigo è intrinseco all’atto che uno compie.
Con linguaggio antropomorfico, ma vero, diciamo: “Perché peccando ho meritato i tuoi castighi.
5. Ma è anche vero che il peccato offende Dio.
La passione e morte di Gesù non è stata la più grave offesa che gli sia stata fatta?
E Gesù non è forse Dio fatto carne?
La lettera agli ebrei dice: “Tuttavia, se sono caduti, (…) dal momento che, per quanto sta in loro, essi crocifiggono di nuovo il Figlio di Dio e lo espongono all’infamia” (Eb 6,6).
L’infamia non è forse un’offesa?
6. Pensiamo, ad esempio, a un peccato purtroppo abbastanza diffuso: la bestemmia.
Insultare Dio non è forse offenderlo?
Tra l’altro la parola bestemmia deriva dal greco “blapto” e significa schiaffeggiare.
E che cos’è lo schiaffeggiare se non umiliare una persona?
7. Certo i peccati, tutti i peccati messi insieme, non decurtano neanche di un’unghia la perfezione divina.
Ciò non di meno offendono Dio.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica dice: “Il peccato è un’offesa a Dio: «Contro di te, contro te solo ho peccato. Quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto» (Sal 51,6). Il peccato si erge contro l’amore di Dio per noi e allontana da esso i nostri cuori.
Come il primo peccato, è una disobbedienza, una ribellione contro Dio, a causa della volontà di diventare «come Dio» (Gen 3,5), conoscendo e determinando il bene e il male.
Il peccato pertanto è «amore di sé fino al disprezzo di Dio». Per tale orgogliosa esaltazione di sé, il peccato è diametralmente opposto all’obbedienza di Gesù, che realizza la salvezza” (CCC 1850).
8. Ecco dunque che cosa pensa la Chiesa nella sua dottrina sul peccato.
È un’offesa a Dio, una disobbedienza, una ribellione, un disprezzo di Dio.
9. Continua il Catechismo della Chiesa Cattolica: “È’ proprio nella Passione, in cui la misericordia di Cristo lo vincerà, che il peccato manifesta in sommo grado la sua violenza e la sua molteplicità: incredulità, odio omicida, rifiuto e scherno da parte dei capi e del popolo, vigliaccheria di Pilato e crudeltà dei soldati, tradimento di Giuda tanto pesante per Gesù, rinnegamento di Pietro, abbandono dei discepoli. Tuttavia, proprio nell’ora delle tenebre e del Principe di questo mondo, il sacrificio di Cristo diventa segretamente la sorgente dalla quale sgorgherà inesauribilmente il perdono dei nostri peccati” (CCC 1851).
10. Se ci mettiamo davanti a Gesù crocifisso vediamo subito che cos’è il peccato: è odio omicida, rifiuto, scherno, vigliaccheria, crudeltà, tradimento, rinnegamento, abbandono.
E tutto questo che cos’è: una lode o un’offesa fatta a Dio?
11. Senza dire di quanto il Signore ha affermato a proposito del giudizio universale in cui verrà detto ai dannati: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me” (Mt 25,45).
Ciò significa che ogni offesa fatta al prossimo è la stessa cosa che offendere il Signore.
12. Infine il peccato oltre a colpire il corpo fisico di Gesù (la croce) e oltre al danno per chi lo compie, attua sempre un’offesa anche nei confronti della società e della Chiesa.
In Reconciliatio et paenitentia Giovanni Paolo II afferma: “Il peccato di ciascuno si ripercuote in qualche modo sugli altri.
È, questa, l’altra faccia di quella solidarietà che, a livello religioso, si sviluppa nel profondo e magnifico mistero della comunione dei santi, grazie alla quale si è potuto dire che “ogni anima che si eleva, eleva anche il mondo”.
A questa legge dell’ascesa corrisponde, purtroppo, la legge della discesa, sicché si può parlare di una comunione nel peccato per cui un’anima che si abbassa per il peccato abbassa con sé la Chiesa e, in qualche modo, il mondo intero.
In altri termini, non c’è alcun peccato, anche il più intimo e segreto, il più strettamente individuale, che riguardi esclusivamente colui che lo commette.
Ogni peccato si ripercuote, con maggiore o minore veemenza, con maggiore o minore danno, su tutta la compagine ecclesiale e sull’intera famiglia umana” (RP 16).
13. Il peccato pertanto comporta sempre una triplice offesa: verso Dio, verso chi lo compie e verso la comunità.
In quanto tale non danneggia Dio, ma solo chi lo compie e la comunità.
Ciò non ostante rimane un’offesa a Dio, alla sua sapienza e al suo amore.
14. Questa è la mia risposta.
Ma tu potresti dire: la mia domanda era anche un’altra e cioè se quel prete sia un castigo di Dio per tutte “le eresie” che sparge dalla tivù dei vescovi e rimane impunito.
Fai poi anche delle altre domande alle quali non rispondo perché sono meno competente di te, ma che forse non hanno neanche bisogno di risposta.
15. Ti ringrazio di avermi dato l’opportunità di correggere quanto è stato detto dalla TV della conferenza episcopale italiana.
Dispiace anche che forse non ci si prenda cura di correggere e di riparare il male che viene fatto e che tante persone rimangano nella confusione e danneggiate.
Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo