Per conservare il Deposito della fede sempre uno e identico fino alla fine dei secoli, Cristo lo ha affidato ad un’autorità sempre viva e parlante; l’autorità della Chiesa che consiste nel corpo universale dei Vescovi uniti con il capo visibile della Chiesa, il Pontefice Romano, a cui Cristo ha conferito pienezza di potestà sulla Chiesa universale.
Anticipiamo una parte della conferenza sul tema Che cos’è la Tradizione? che il prof. Roberto de Mattei terrà il 15 luglio 2022 all’Université d’été de Renaissance catholique, al Château des Termelles, Abilly (Francia).
La crisi che oggi vive la Chiesa è certamente inedita nelle sue caratteristiche, ma non è né la prima né l’ultima della sua storia. Pensiamo ad esempio all’attacco subito dal Papato negli anni della Rivoluzione francese.
Nel 1799 la città di Roma fu invasa dall’esercito giacobino del generale Bonaparte. Il papa Pio VI fu condotto prigioniero nella città di Valence, dove morì il 29 agosto, logorato dalle sofferenze. Il municipio di Valence notificò al Direttorio la morte di Pio VI, aggiungendo che era stato sepolto l’ultimo Papa della storia. Dieci anni dopo, nel 1809, anche il successore di Pio VI, Pio VII, vecchio e infermo, fu arrestato e, dopo due anni di prigionia a Savona, venne portato a Fontainebleau, dove rimase fino alla caduta di Napoleone. Mai il Papato era apparso così debole di fronte al mondo. Ma dieci anni dopo, nel 1819, Napoleone era scomparso dalla scena e Pio VII era tornato sul soglio pontificio, riconosciuto come suprema autorità morale dai sovrani europei. In quell’anno 1819, veniva pubblicato a Lione, Du Pape, il capolavoro del conte Joseph de Maistre (1753-1821), un’opera che ebbe centinaia di ristampe e che anticipò il dogma dell’infallibilità papale, poi definita dal Concilio Vaticano I.
Joseph de Maistre è un grande difensore del Papato, ma sbaglierebbe chi volesse fare di lui un apologeta del Papa dispotico o dittatore. Oggi ci sono alcuni tradizionalisti che attribuiscono la responsabilità degli abusi di potere ecclesiastici ai cattolici intransigenti dell’Ottocento. Gli ultramontani e i contro-rivoluzionari avrebbero attribuito un potere eccessivo al Papa, entusiasmandosi oltre misura per il dogma dell’infallibilità. Da questa erronea convinzione deriva la simpatia verso quei cattolici gallicani che negavano l’infallibilità e il Primato universale del Papa, e verso quei cattolici liberali o semi-liberali che, pur non negando in principio il dogma dell’infallibilità, ne consideravano inopportuna la definizione. Tra questi ci fu l’arcivescovo di Perugia mons. Gioacchino Pecci, poi Papa con il nome di Leone XIII, il quale, una volta eletto, fu il primo Papa moderno a governare in maniera accentratrice, imponendo come quasi infallibile la scelta politica e pastorale del ralliement con la III Repubblica francese.
Il dogma dell’infallibilità proclamato da Pio IX definisce accuratamente i limiti di questo straordinario carisma, che nessuna religione possiede, al di fuori di quella cattolica. Il Papa nella Chiesa non può fare tutto quello che vuole, perché la fonte del suo potere non è la sua volontà. Il compito del Papa è quello di trasmettere e difendere, attraverso il suo Magistero, la Tradizione della Chiesa. Accanto al Magistero straordinario del Papa, che ha la sua fonte nelle definizioni ex cathedra, esiste un insegnamento infallibile che scaturisce dalla conformità del Magistero ordinario di tutti i Papi alla Traditio apostolica. Solo credendo con la Chiesa e con la sua ininterrotta Tradizione, il Papa può confermare nella fede i suoi fratelli. La Chiesa non è infallibile perché esercita un’autorità, ma perché trasmette una dottrina.
Suscitano talvolta scandalo le parole attribuite al Beato Pio IX: «La Tradizione sono io». Queste parole vanno però comprese nel loro corretto significato. Ciò che il Papa vuole dire, non è che la sua persona è la fonte della Tradizione, ma che non c’è Tradizione al di fuori di lui, così come non esiste una Sola Scriptura indipendente dal Magistero della Chiesa. La Chiesa si fonda sulla Tradizione, ma non può fare a meno del Papa, la cui autorità non può essere trasferita né a un Concilio ecumenico, né a un episcopato nazionale, né a un sinodo permanente.
C’è una frase di Joseph de Maistre nella sua Lettre à une dame russe sur la nature et les effets du schisme, che può stupire come quella di Pio IX, ma che è anch’essa profondamente vera: «Se fosse permesso stabilire gradi di importanza tra le cose di istituzione divina, porrei la gerarchia prima del dogma, tanto essa è indispensabile al mantenimento della fede» (Joseph de Maistre, Lettre à une dame russe sur la nature et les effets du schisme et sur l’unité catholique, in Lettres et opuscules inédits, A. Vaton, Paris 1863, vol. II, pp. 267-268).
Questa frase racchiude il problema capitale della regula fidei nella Chiesa. Il padre Giovanni Perrone (1794-1876), fondatore della scuola teologica romana, sviluppa questo tema nei tre volumi della sua opera Il protestantesimo e la regola di fede. Le due fonti della Rivelazione sono la Tradizione e la Sacra Scrittura. La prima è divinamente assistita, la seconda divinamente ispirata. «Scrittura e Tradizione si fecondano, s’illustrano, si rafforzano a vicenda e completano il deposito sempre uno e identico della rivelazione divina» (Il protestantesimo e la regola di fede, in La Civiltà Cattolica, Roma 1953, 3 voll., vol. I, p. 15).
Ma per conservare questo deposito della fede sempre uno e identico fino alla fine dei secoli, Cristo lo ha affidato ad un’autorità sempre viva e parlante; l’autorità della Chiesa che consiste nel corpo universale dei Vescovi uniti con il capo visibile della Chiesa, il Pontefice Romano a cui Cristo ha conferito pienezza di potestà sulla Chiesa universale.
La Sacra Scrittura e la Tradizione costituiscono le norme remote della nostra fede, ma la regula fidei prossima è rappresentata dall’autorità insegnante e giudicante della Chiesa, che ha nel Papa il suo culmine. La gerarchia viene in questo senso prima del dogma. Ma anche se volessimo attribuire al dogma il primato sulla gerarchia, dovremmo ricordare che, tra tutti i dogmi, quello che in certo senso sorregge tutti gli altri è proprio il dogma dell’autorità infallibile della Chiesa. La Chiesa gode del carisma dell’infallibilità, anche se lo esercita in maniera straordinaria solo in maniera intermittente. Ma la Chiesa è sempre infallibile, e lo è non dal 1870, ma da quando nostro Signore trasmise al suo Vicario sulla terra san Pietro il potere di confermare nella fede i suoi fratelli.
La successione apostolica su cui si basa l’autorità della Chiesa è un elemento fondamentale della sua divina costituzione. Il Concilio di Trento, definendo la verità e le regole della fede Cattolica, afferma che sono contenute «nei libri scritti e nelle tradizioni non scritte che, raccolte dagli Apostoli dalla bocca dello stesso Cristo o dai medesimi Apostoli, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, trasmesse quasi di mano in mano, sono giunte fino a noi» (Denz-H, n. 1501). «Vera è soltanto la Tradizione che s’appoggia sulla Tradizione apostolica», ribadisce la teologia romana contemporanea, con mons. Brunero Gherardini (1925-2017) (Quod et tradidi vobis. La Tradizione vita e giovinezza della Chiesa, Casa Mariana, Frigento 2010, p. 405). Ciò significa che il Romano Pontefice, successore di Pietro, principe degli Apostoli, è il garante per eccellenza della Tradizione della Chiesa. Ma significa anche che in nessun caso, l’oggetto della fede può eccedere quello che ci è dato dalle testimonianze degli Apostoli.
Sola Scriptura e Sola Traditio
I protestanti hanno negato l’autorità della chiesa in nome della “Sola Scriptura”. Quest’errore conduce da Lutero al socinianesimo, che è la religione dei moderni relativisti. Ma l’autorità della Chiesa può essere negata anche in nome della “Sola Traditio”, come fanno gli ortodossi e come rischiano di fare alcuni tradizionalisti. La separazione della Tradizione dall’autorità della Chiesa porta in questo caso all’autocefalia, che è la condizione di chi è privo di un’autorità visibile e infallibile a cui rapportarsi.
Ciò che i fautori protestanti della Sola Scriptura e quelli greco-ortodossi della Sola Traditio hanno in comune è il rifiuto dell’infallibilità del Papa e del suo Primato universale: il rifiuto della Cattedra romana. E’ per questo che, secondo Joseph de Maistre, non c’è nessuna differenza radicale tra lo scisma orientale e il protestantesimo occidentale. «È una verità fondamentale in tutte le questioni religiose che ogni chiesa che non è cattolica è protestante. Invano si è cercato di fare una distinzione tra chiese scismatiche ed eretiche. So bene cosa si vuol dire, ma alla fine tutta differenza sta solo nelle parole, e ogni cristiano che rifiuta la comunione del Santo Padre è un protestante o lo sarà presto. Che cos’è un protestante? È un uomo che protesta; e cosa importa se protesta contro uno o più dogmi, contro questo o contro quello? Può essere più o meno protestante, ma protesta sempre» (Du Pape, H. Pélagaud, Lyon-Paris 1878, p. 401). «Una volta rotto il vincolo dell’unità, non c’è più un tribunale comune, né di conseguenza una regola di fede invariabile. Tutto si riduce al giudizio particolare e alla supremazia civile che costituiscono l’essenza del protestantesimo» (Ivi, p. 405).
Nella Chiesa cattolica la autenticità della tradizione è garantita dall’infallibilità del Magistero. Senza l’infallibilità non ci sarebbe nessuna garanzia che ciò che insegna la Chiesa è vero. La comprensione della parola di Dio sarebbe lasciata all’indagine critica dei singoli e si spalancherebbero le porte del relativismo, come è accaduto con Lutero e con i suoi seguaci. La Rivoluzione protestante negando l’autorità del Papa, si è condannata a continue variazioni, in un vorticoso divenire dottrinale. Ma in Oriente, dopo lo scisma del 1054, la chiesa ortodossa, che in nome della sola Traditio accetta solo i primi sette concili della Chiesa, si è condannata a uno sterile immobilismo.
A chi subisce il fascino dell’Ortodossia bisogna ricordare le parole di Joseph de Maistre: «Tutte queste Chiese separate dalla Santa Sede all’inizio del XII secolo possono essere paragonate a cadaveri congelati le cui forme sono state preservate dal freddo» (ivi, p. 406).
Un teologo agostiniano dell’Assunzione, il padre Martin Jugie (1878-1954), ha sviluppato questo tema in un libro pubblicato nel 1923 su Joseph de Maistre et l’Eglise greco-russe, di cui consiglio la lettura. «Per molti secoli, l’Oriente è stato abituato a considerare la dottrina rivelata come un tesoro da custodire, non come un tesoro da sfruttare; come un insieme di formule immutabili, non come una verità viva e infinitamente ricca, che lo spirito del credente cerca sempre di comprendere e assimilare meglio» (Martin Jugie, Joseph de Maistre et l’Eglise greco-russe, Maison de la bonne presse, Paris 1923, pp. 97-98).
La Chiesa non fu fondata da Cristo come un’istituzione, già rigidamente e irrevocabilmente costituita, ma come un organismo vivo, il quale – come il corpo, che è immagine della Chiesa – avrebbe dovuto avere uno sviluppo. Questo sviluppo della Chiesa, la sua crescita nella storia, avviene attraverso la contraddizione e la lotta, combattendo soprattutto contro le grandi eresie che la attaccavano al suo interno. «Quando consideriamo le prove che la Chiesa romana ha subito attraverso gli attacchi dell’eresia e la mescolanza di nazioni barbare che si è verificata nel suo seno»,aggiunge Maistre, «restiamo ammirati vedendo che, in mezzo a queste terribili rivoluzioni, tutti i suoi titoli sono intatti e risalgono agli Apostoli. Se la Chiesa ha cambiato alcune cose nelle sue forme esterne, è una prova che Essa vive, perché tutto ciò che vive nell’universo cambia, secondo le circostanze, in tutto ciò che non ha a che fare con le essenze. Dio, che le ha riservate per sé, ha dato le forme al tempo per disporne secondo certe regole. La variazione di cui parlo è addirittura il segno indispensabile della vita, perché l’immobilità assoluta appartiene solo alla morte» (Du Pape, p. 410).
Il Concilio Vaticano I, citando Vincenzo di Lerins, spiega che la comprensione delle verità di fede deve crescere e progredire col susseguirsi dell’età e dei secoli in intelligenza, scienza e sapienza, anche se solamente «nello stesso dogma, nello stesso significato e nella stessa sentenza» (Commonitorium, cap. 23, 3). Progresso della fede, non significa infatti alterazione della fede. La condanna dell’alterazione della fede, non significa però il rifiuto di ogni organico sviluppo dei dogmi, che si compie attraverso il Magistero della Chiesa, sotto l’influsso dello Spirito Santo, ed è garantito dal carisma dell’infallibilità. Ma se la Chiesa è infallibile bisogna che ci sia un soggetto che esercita questo carisma. Questo soggetto è il Papa e non può essere altri che lui. Nella fede dell’infallibilità del Papa stanno le radici della fede nell’infallibilità di tutta la Chiesa (Michael Schmaus, Dogmatica cattolica, Marietti, Casale Monferrato 1963, vol. III/1, p. 696).
La costituzione Pastor Aeternus del Concilio Vaticano I stabilisce con chiarezza quali sono le condizioni della infallibilità pontificia. L’infallibilità del Papa non significa in alcun modo che egli goda, in materia di governo e di magistero, di un potere illimitato e arbitrario.Il dogma dell’infallibilità, mentre definisce un supremo privilegio, ne fissa dei confini precisi, ammettendo la possibilità dell’infedeltà, dell’errore, del tradimento.
Per il papolatra, o “iperpalista”, il Papa non è il Vicario di Cristo in terra, che ha il compito di trasmettere integra e pura la dottrina che ha ricevuto, ma è un successore di Cristo che perfeziona la dottrina dei suoi predecessori, adattandola al mutamento dei tempi. La dottrina del Vangelo è in perpetua evoluzione, perché coincide con il Magistero del regnante Pontefice. Al magistero perenne si sostituisce quello “vivente”, espresso da un insegnamento pastorale, che ogni giorno si trasforma e ha la sua regula fidei nel soggetto dell’autorità e non nell’oggetto della verità trasmessa.
Non c’è bisogno di scienza teologica per comprendere che, nel malaugurato caso di contrasto – vero o apparente – tra il “Magistero vivente” e la Tradizione, il primato non può che essere attribuito alla Tradizione, per un semplice motivo: la Tradizione, che è il Magistero “vivente” considerato nella sua universalità e continuità, è in sé infallibile, mentre il cosiddetto Magistero “vivente”, inteso come la predicazione attuale della gerarchia ecclesiastica, lo è solo a determinate condizioni (R. de Mattei, Apologia della Tradizione, Lindau, Torino 2011, p. 146).
Nella Chiesa, infatti, la “regola della fede” ultima nelle epoche di defezione della fede, non è il Magistero vivente contemporaneo, in ciò che esso ha di non definitorio, ma la Tradizione, che costituisce, con la Sacra Scrittura, una delle due fonti della Parola di Dio.
Che cosa accade quando chi governa la Chiesa cessa di custodire e trasmettere la Tradizione, e invece di confermare i suoi fratelli nella fede crea confusione nelle loro menti e provoca amarezza e risentimento nei loro cuori?
Quando ciò accade è l’ora di aumentare l’amore per la Chiesa e per il Papa. Ma la risposta all’iper-papalismo non è il neo-gallicanesimo di certi tradizionalisti, né la Sola Traditio degli scismatici greco-russi. L’uomo della Tradizione non è un anarco-tradizionalista, ma un cattolico che ripete con Joseph de Maistre: «O santa Chiesa di Roma, fintanto che la parola mi sarà conservata, la userò per celebrarti. Ti saluto, madre immortale della scienza e della santità! Salve, magna parens» (Du Pape, p. 482). «In mezzo a tutti gli sconvolgimenti immaginabili, Dio ha costantemente vegliato su di te, o Città eterna! Tutto ciò che poteva distruggerti si è radunato contro di te e tu sei rimasta in piedi; e come un tempo sei stata il centro dell’errore, ora sei da diciotto secoli il centro della verità» (Ivi, p. 483).
L’amore al Romano Pontefice, alle sue prerogative e ai suoi diritti, ha caratterizzato gli spiriti autenticamente cattolici nel corso di venti secoli di storia, perchè, come afferma Plinio Corrêa de Oliveira, «dopo l’amore per Dio questo è il più elevato amore insegnatoci dalla religione» (in R. de Mattei, Il crociato del secolo XX. Plinio Correa de Oliveira, Piemme, Casale Monferrato 1996, p. 309).
Però non bisogna confondere il Primato Romano con la persona del Papa regnante, così come non si deve confondere il cosiddetto Magistero vivente, con il Magistero perenne, l’insegnamento privato e non infallibile del Papa con la Tradizione della Chiesa. L’errore, come ha ben sottolineato lo studioso cileno José Antonio Ureta (Defending Ultramontanism, in OnePeterFive, 20 giugno 2022) non sta nell’ultramontanesimo, ma nel neo-gallicanesimo, che oggi si presenta in due versioni: quella dei sinodalisti tedeschi e quella di alcuni neo-tradizionalisti, soprattutto di area anglosassone.
L’unica speranza nel futuro non sta nella diminuzione del Papato, ma nell’esercizio della sua suprema autorità, per condannare in maniera solenne e infallibile gli errori teologici, morali, liturgici e sociali del nostro tempo. È inutile discutere su chi sarà il prossimo Papa. È importante discutere su ciò che il prossimo Papa dovrà fare e pregare che lo faccia
Roberto de Mattei
(fonte: corrispondenzaromana.it)
RICORDA CHE:

Il vero concetto di Tradizione spiegato da Mons. Spadafora
“Tradidi vobis quod et accepi” dice san Paolo scrivendo ai Corinzi (1Cor. I, 2). Ma che cos’è quella Tradizione che in queste parole è significata? Poiché oggigiorno la sua nozione, a ragione degli errori del Vaticano II, è assai poco ben conosciuta, vediamo di capirla dalla spiegazione di Mons. Francesco Spadafora (1913-1997), famoso Ordinario di Esegesi alla Lateranense, tra i membri più eminenti di quella scuola teologica romana che cercò di opporsi al neomodernismo. (FONTE – RS)
Il depositum fidei. “O Timoteo, custodisci il deposito, evitando le profane vanità e i contrasti di una pretesa scienza, della quale facendo professione, alcuni hanno deviato dalla fede” 1 Tim. 6, 20 s.
Il deposito è tutta la dottrina e i precetti del Divino Maestro che Timoteo e, in generale, i ministri della Chiesa devono custodire intatto, senza alterazione (A. Vaccari).
E ancora: “Sono certo che egli (Dio) è in grado di custodire fino a quel giorno (dell’incontro con Cristo – giudizio particolare) il mio deposito il complesso delle verità rivelate, secondo tutti i Padri greci). Come norma di sane dottrine tieni quelle, che hai da me ricevute, con la fede e la carità che si hanno in Gesù Cristo. Custodisci il buon deposito con la virtù dello Spirito Santo che abita in noi” (2 Tim. 1, 12-14). (P. Medebielle, in DBs., II, 374 ss. – C. Spicq, Les Ep. Pastorales, Tome II, J. Gabalda, Paris 1969, 4eme ed., p. 719 s.; Justo Collantes s.j., Cartas Pastorales, ne La Sagrada Escritura, Nuevo Testamento, II, BAC 211, Madrid 1962, p. 1042).
“Il buon deposito, il prezioso deposito, è senza dubbio l’insieme della dottrina rivelata, trasmesso da san Paolo. Prezioso perché è in realtà un tesoro inestimabile. La forza per conservarlo intatto si ha dallo Spirito Santo, data a Timoteo nella sua ordinazione (2 Tim. 1, 6 s.) e che permane perennemente in lui” (Justo Collantes).
Questo complesso di verità, Gesù Nostro Signore affidò ai suoi Apostoli, si senta il Concilio di Trento nella sua formulazione chiarissima.
– “Sacrosancta … Tridentina Synodus … hoc sibi perpetuo ante oculos proponens, ut sublatis erroribus, puritas ipsa Evangelii in Ecclesia conservetur: quod promissum ante per Prophetas in Scripturis Sanctis, Dominus noster Iesus Christus, Dei Filius, proprio ore primum promulgavit, deinde per suos Apostolos, tamquam fontem omnis et salutaris veritatis et morum disciplinae, omni creaturae praedicari iussit: perspiciensque hanc veritatem et disciplinam contineri in libris scriptis et sine scripto traditionibus, quae ab ipsius Christi ore ab Apostolis acceptae, aut ab ipsis Apostolis Spiritu Sancto dictante, quasi per manus traditae, ad nos usque pervenerunt: orthodoxorum Patrum exempla secuta, omnes libros tam Veteris quam Novi Testamenti … nec non traditiones ipsas, tum ad fidem, tum ad mores pertinentes, tamquam vel oretenus a Christo, vel a Spiritu Sancto dictatas, et continua successione in Ecclesia catholica conservatas, pari pietatis affectu ac reverentia suscipit ac veneratur” [1] (Sessione IV, 8 aprile 1546; Denz. 783-784).
La tradizione apostolica (sine scripto traditiones) è dunque il complesso delle verità rivelate che Gesù trasmise immediatamente ai suoi Apostoli e che fu completato dalle rivelazioni “dettate” ai medesimi dallo Spirito Santo. Essa è la fonte insieme alla Sacra Scrittura, di ogni verità rivelata e della morale.
Tradizione: verità conservata per continua successione nella Chiesa Cattolica.
Per le rivelazioni “dettate” agli Apostoli dallo Spirito Santo, vedi lo studio magistrale dell’esimio esegeta André Feuillet: Munus doctrinale Paracliti in Ecclesia.
“Adhuc multa habeo vobis dicere (è Gesù che parla, nel discorso d’addio ai suoi Apostoli), sed non potestis portare modo, cum autem venerit ille Spiritus veritatis, deducet vos in totam veritatem …” (Giov. 16, 12-15) [2]. Lo Spirito di verità vi guiderà per tutta intera la verità (A. Vaccari).
“Apostolis – commenta il Feuillet – Paraclitus datur ad constituendam Traditionem apostolicam, quae fundamentum fidei pro tota vita Eccelsiae usque ad finem mundi habenda est; lumen Paracliti ulteriori Ecclesiae conceditur … ad magis magisque investigandas divitias traditionis apostolicae” [3].
La Tradizione apostolica costituisce il depositum fidei, cioè il complesso delle verità rivelate comunicate da Gesù. il rivelatore definitivo (Hebr. 1, 1 s.), agli Apostoli e completate dall’azione dello Spirito Santo sui medesimi.
Questo complesso di verità gli Apostoli insegnarono ai primi fedeli, trasmisero fedelmente ai primi vescovi (es. Timoteo, Tito). È quel che risulta ineccepibilmente da tutte le lettere di san Paolo (cf. 1 Cor. 1, 17; 9, 16; 15, 1-11, ecc.) fino alle Pastorali.
Trasmisero donde “traditiones“. “Tenete traditiones, quas didicistis, sive per sermonem sive per epistolam nostram” (2 Tess. 2, 15; 3, 14) [4].
Il complesso delle verità rivelate è un tutto già completo quando gli Apostoli incominciano ad attuare il mandato di predicare in Palestina e fino ai confini della terra. Gesù per quaranta giorni, tra la Risurrezione e la sua visibile Ascensione in cielo, apparve ai suoi Apostoli, nel duplice scopo (espressamente rivelato da S. Luca): “confermare la loro fede nella Resurrezione, questa prova suprema del Cristianesimo, e completare la loro istruzione” (J. Renié, Actes des Apotres, La Ste Bible, Pirot-Clamer, XI, 1. Paris 1949, p. 37): “parlando loro del regno di Dio” (Act 1, 13). “È normale che gli ultimi colloqui di N.S. con gli Apostoli abbiano riguardato la costituzione del regno di Dio, la Chiesa”.
Gli scritti occasionali degli Apostoli e degli altri autori ispirati verranno in seguito e non muteranno il mandato di Gesù, la costituzione della Chiesa.
La tradizione apostolica non è soltanto una fonte di trasmissione delle medesime verità rivelate attestate dalla Sacra Scrittura e nemmeno solo una sorgente di luce per la retta interpretazione delle rivelazione contenuta nei Libri Sacri; ma è fonte o canale anche di distinte verità teoriche o pratiche; derivanti anch’esse da Gesù Cristo o dallo Spirito Santo, tramite il ministero apostolico. Si ha così la Tradizione costitutiva. Tra queste verità è da porre fuori discussione a) il Canone dei Libri Sacri, b) la loro ispirazione estendentesi a tutte e singole le loro porti.
È alla Sacra Gerarchia, il Magistero, che Gesù Cristo ha affidato la custodia del depositum fidei, garantendone al tempo stesso la fedeltà e l’interpretazione infallibile. Secondo la testimonianza di Sant’Agostino: Ego vero Evangelio non crederem, nisi a me catholicae Ecclesiae commoveret auctoritas (Contra Epist. Manich. , 5: PL 42, 176).
Se i Protestanti ammettessero quanto in realtà è abbastanza chiaro rivelato nella S. Scrittura (Giov. 14, 16), cioè l’aiuto indefettibile promesso da Gesù Cristo alla sua Chiesa, a fine di renderla idonea ad illustrale e interpretare rettamente il deposito della rivelazione, lasciando l’erroneo, infondato principio della sola Scriptura, finirebbe con l’accettare senza difficoltà alcuna tutti i dogmi, non eccettuati i mariani. Invece, fino a quando non riconosceranno il Magistero, e non riterranno la Tradizione come un’altra fonte costitutiva della rivelazione, non accetteranno mai i recenti dogmi mariani e sarà illusorio l’attendersi che siano a ciò indotti dalle nostre così dette dimostrazioni scientifiche.
Il Salverri (Theologia Fundamentalis, p. 756 ss.) precisa:
1. Divina Apostolorum traditio est primarius revelationis fons:
2. Traditio ut revelationis fons, antiquitate, plenitudine et sufficienza, ipsam sacram Scripturam antecellit. [5]
Si tratta di dottrina implicite definitiva nei Concili Tridentino e Vaticano I (D. 783, 1787) o almeno theologice certa, cioè dedotta con certezza dalle definizioni degli stessi Concili (D. 786, 1788).
[…] [Nella formulazioni della Dei Verbum [6] ] la dottrina cattolica era mortificata: immotivatamente mortificata … Per proporre a riguardo la dottrina cattolica bisogna ritornare allo schema approntato dalla Commissione preparatoria ed inconsultamente archiviato dal Concilio Vaticano II. La formulazione era chiarissima e perfetta: “Sacra Scriptura non est unicus fons Revelationis quae continetur in deposito fidei. Nom praeter divinam Traditionem, qua Sacra Scriptura interpretatur (tradizione interpretativa), habetur Traditio divina veritatum quae in sacra Scriptura non continentur (Tradizione costitutiva)” [7].
Monsignor Francesco Spadafora, La Tradizione contro il Concilio, Volpe Editore, Roma, 1989, pp. 50-58.
NOTE
[1] “Il sacrosanto … Concilio Tridentino, legittimamente riunito nello Spirito Santo, sotto la presidenza dei medesimi tre legati della sede apostolica, ha sempre presente che, tolti di mezzo gli errori, si conservi nella chiesa la stessa purezza del Vangelo, quel Vangelo che, promesso un tempo attraverso i profeti nelle scritture sante, il signore nostro Gesù Cristo, Figlio di Dio, prima promulgò con la sua bocca, poi comandò che venisse predicato ad ogni creatura per mezzo dei suoi Apostoli, quale fonte di ogni verità salvifica e della disciplina dei costumi. E poiché il Sinodo sa che questa verità e disciplina è contenuta nei libri scritti e nelle tradizioni non scritte – che raccolte dagli apostoli dalla bocca dello stesso Cristo e dagli stessi Apostoli, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, tramandate quasi di mano in mano sono giunte fino a noi … ed anche le tradizioni stesse, che riguardano la fede e i costumi, poiché le ritiene dettate dallo stesso Cristo oralmente o dallo Spirito santo, e conservate con successione continua nella Chiesa Cattolica”.
[2] “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera”
[3] “Agli Apostoli il Paraclito è dato per costituire la Tradizione Apostolica, che si deve tenere per fondamento della fede fino alla fine del mondo. Il lume del Paraclito è concesso alla Chiesa nei secoli … per sempre più investigare le ricchezze della Tradizione Apostolica”.
[4] “Mantenete le tradizioni che avete apprese così dalla nostra parola come dalla nostra lettera”.
[5] “La divina Tradizione apostolica è fonte primaria della Rivelazione. La Tradizione, come fonte della Rivelazione, precede per antichità, pienezza e sufficienza la stessa Sacra Scrittura”.
[6] La costituzione conciliare Dei Verbum sostituì lo schema De fontibus revelationis, frutto della teologia romana, fatto respingere dai Padri e periti progressisti, o meglio modernisti, con la complicità di Giovanni XXIII perché riproponeva il dogma cattolico fissato a Trento, compresa la nozione di Tradizione come esposta dallo Spadafora, invisa ai protestanti, con cui bisognava instaurare però il dialogo ecumenico.
[7] “La Sacra Scrittura non è l’unica fonte della Rivelazione che è contenuta nel Deposito della Fede. Infatti oltre alla divina tradizione per cui si interpreta la Sacra Scrittura, si ha anche la divina Tradizione di verità che non sono contenute nella Sacra Scrittura”.