«L’eterno riposo dona loro, o Signore» qualcuno vorrebbe cambiare anche questa Preghiera…

«L’eterno riposo dona a loro, Signore, risplenda ad essi la luce perpetua riposino in pace. Amen.»

Eccoci nuovamente a dover specificare come… dopo l’Atto di dolore, anche quiil Pater Noster, anche qui – ora dà fastidio anche L’ETERNO RIPOSO di antica tradizione, così la pensa un teologo:

Questa preghiera, che tutti ripetiamo per abitudine, L’eterno riposo, forse andrebbe riscritta perché non esprime al meglio non solo la teologia della «città del cielo» ma nemmeno quella del «riposo» del giorno della festa, che non è inattività e silenzio ma partecipazione all’opera di Dio e al suo compiacimento nel settimo giorno.”

RISPONDIAMO brevemente… che … NON SERVE CAMBIARE, MA SPIEGARE…

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Questa GIACULATORIA, vera supplica e preghiera, la troviamo dal VI secolo tratta da un apocrifo il IV Libro di Esdra che dice:

expectate pastorem vestrum,requiem eternitatis dabit vobis, quoniam in proximo est ille, qui in finem saeculi adveniet. Parati estote ad praemia regni, quia lux perpetua lucebit vobis per aeternitatem temporis“.

(in italiano): “…aspettate il vostro pastore, vi darà l’eterno riposo perché è prossimo colui che deve venire alla fine dei secoli. Siate pronti e riceverete il premio del regno, perché nei secoli dei secoli splenderà su di voi la luce perpetua. Fuggite le tenebre del secolo presente, ricevete la gioia della vostra gloria”.

Il passo è poi ripreso dai Padri della Chiesa e nel VI secolo entra nel Graduale Romano, libro liturgico del Rito romano della Chiesa cattolica, ma è diffuso già da tempo sulle iscrizioni funebri.

La formula Requiem aeternam det tibi Dominus et lux perpetua luceat tibi (Il Signore vi conceda il riposo eterno e splenda su di voi la luce eterna) identica alla nostra preghiera ma volta al singolare, si ripete nella necropoli cristiana del V secolo di Ain Zara, nei pressi di Tripoli in Libia.

L’ultima frase, “riposino in pace” è aggiunta più tardi, tratta dal breviario francescano del XIII secolo.

In ogni persona infatti, anche se morta in Stato di grazia, può sussistere certa imperfezione, tanto da doversi ancora purificare dalle conseguenze dell’antico peccato!

Tutto questo avviene nella morte. Morire significa morire al male.

Il Catechismo della Chiesa cattolica afferma che “fin dai primi tempi, la Chiesa ha onorato la memoria dei defunti e ha offerto per loro suffragi, in particolare il sacrificio eucaristico, affinché, purificati, possano giungere alla visione beatifica di Dio. La Chiesa raccomanda anche le elemosine, le indulgenze e le opere di penitenza a favore dei defunti (1032)”.

A tal fine cita Giovanni Crisostomo (In epistulam I ad Corinthios, homilia 41, 5: PG 61, 361) dice:

“Rechiamo loro soccorso e commemoriamoli. Se i figli di Giobbe sono stati purificati dal sacrificio del loro padre, perché dovremmo dubitare che le nostre offerte per i morti portino loro qualche consolazione? […] Non esitiamo a soccorrere coloro che sono morti e ad offrire per loro le nostre preghiere”.

Dice lo stesso sant’Ambrogio: «A dire il vero, la morte non era insita nella natura, ma divenne connaturale solo dopo. Dio infatti non ha stabilito la morte da principio, ma la diede come rimedio. Fu per la condanna del primo peccato che cominciò la condizione miseranda del genere umano nella fatica continua, fra dolori e avversità. Ma si doveva porre fine a questi mali perché la morte restituisce quello che la vita aveva perduto, altrimenti, senza la grazia, l’immortalità sarebbe stata più di peso che di vantaggio. L’anima nostra dovrà uscire dalle strettezze di questa vita, liberarsi delle pesantezze della materia e muovere verso le assemblee eterne.» (Dal libro «Sulla morte del fratello Satiro»)

Riposare “in pace” non esprime inerzia né ozio e neppure dormire.

Non dimentichiamo che LA CHIESA che è “una, santa, cattolica ed apostolica” è, fino alla fine del mondo, quel mistero di unità NELLA Comunione dei Santi che è il mistero che unisce la Chiesa trionfante (i beati) alla Chiesa purgante (le anime dei morti in attesa del paradiso) e alla Chiesa militante (noi che viviamo nel tempo e combattiamo la buona battaglia della fede). Chi crede in Cristo è unito alla Chiesa di Cristo per sempre.

Il riposo “in pace” invocato dalla preghiera ai defunti è quello illuminato (la luce perpetua) che è luce divina (la vera e piena pace) di chi non smette di seguire il Signore, perché solo “Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare” (Sal.23), mentre “Non avranno riposo né di giorno né di notte quanti adorano la bestia e la sua statua e chiunque riceve il marchio del suo nome” (Ap.14,11), insomma i dannati non avranno questa pace avendo rifiutato questa Luce perpetua che non è il “lumino” che si porta al cimitero come molti pensano.

Solo con queste premesse, il testo del Requiem, s’illumina di quella luce che rimanda a ciò che Gesù diceva di sé e di quanti lo seguono: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv. 8, 12).

E diceva ancora: «Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (ibidem, 10, 10). «Vi lascio la pace, vi do la mia pace» «Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis» (Gv.14,27-31)

È felicità piena perché è collaborare con Dio nel portare avanti (anche per i Defunti) l’instaurazione completa nel suo Regno. Noi, infatti, preghiamo per tutti coloro che sono morti sperando nella misericordia di Dio per ogni uomo. La nostra speranza, che esprimiamo nella preghiera dell’eterno riposo, è che ogni Defunto possa raggiungere il riposo che Dio ha promesso a tutti coloro che confidano in Lui.

È pertanto un “riposo” da ciò che era fatica sulla terra e ora è partecipazione (intercessione-cooperazione perfetta) all’opera creatrice di Dio e perciò compiacimento che la sua volontà si va compiendo e la sua regalità si va instaurando.

Dunque: L’eterno riposo dona a loro, Signore risplenda ad essi la luce perpetua riposino in pace. Amen.

Come possiamo ben vedere non c’è affatto bisogno di CAMBIARE le Preghiere della Chiesa ma, quando non le si comprendono, basterebbe un poco di umiltà, di pazienza e di impegno per imparare, semmai, perché la Chiesa abbia annoverato, tra le sue Preghiere, l’uso di un certo frasario che non è affatto incomprensibile, al contrario, in poche parole ha saputo racchiudere in esse immense e profonde catechesi di divina sapienza.


Catechismo Maggiore di San Pio X – Della commemorazione dei fedeli defunti

212 D. Perché dopo la festa di tutti i Santi si fa dalla Chiesa la commemorazione di tutti i fedeli defunti?

R. Dopo la festa di tutti i Santi si fa dalla Chiesa la commemorazione di tutti i fedeli defunti che sono in purgatorio, perché è conveniente che la Chiesa militante, dopo avere onorato e invocato con una festa generale e solenne, il patrocinio della Chiesa trionfante, venga in soccorso della Chiesa purgante con un generale e solenne suffragio.

213 D. Come possiamo noi suffragare le anime dei fedeli defunti?

R. Noi possiamo suffragare le anime dei fedeli defunti colle preghiere, colle limosine e con tutte le altre buone opere, ma sopratutto col santo sacrifizio della Messa.

214 D. Per quali anime dobbiamo noi nella commemorazione de’ fedeli defunti applicare i nostri suffragi, secondo la mente della Chiesa?

R. Nella commemorazione di tutti i fedeli defunti noi dobbiamo applicare i nostri suffragi, non solamente per le anime de’ nostri parenti, amici e benefattori, ma anche per tutte le altre che si trovano nel purgatorio.

215 D. Qual frutto dobbiamo noi ricavare dalla commemorazione di tutti i fedeli defunti?

R. Dalla commemorazione di tutti i fedeli defunti dobbiamo ricavare questo frutto:

  1. pensare che anche noi dovremo morir presto, e presentarci al tribunale di Dio per rendergli conto di tutta la nostra vita;
  2. concepire un grande orrore al peccato, considerando quanto rigorosamente Iddio lo punisca nell’altra vita, e soddisfare in questa alla sua giustizia colle opere di penitenza per i peccati commessi.


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La devozione alle Anime del Purgatorio

di Cristina Siccardi

Sebbene i media di massa stiano parlando di halloween piuttosto che del giorno di Ognissanti e di quello dei defunti, e molte persone, soprattutto i bambini e i giovani, vengano coinvolti in feste stregonesche, dalle linee oscure, dalle maschere brutte e orripilanti, e dalle “zucche” letteralmente vuote, i cimiteri, soprattutto quelli dei paesi di provincia, vengono ancora visitati con spirito cattolico, laddove, quindi, i forni crematori non hanno ancora ingurgitato, con il macabro e crudele uso della cremazione, le salme di parenti, amici e conoscenti.

Novembre inizia con la festa di tutti i Santi, ovvero di tutti coloro che hanno meritato il Paradiso, a prescindere da quelli riconosciuti dalla Chiesa in terra, ma che fanno già parte della Chiesa trionfante in Cielo. Mentre il secondo giorno di novembre vengono ricordate tutte le anime presenti in Purgatorio che necessitano ancora di purificazione per essere degne di stare al cospetto di Dio. L’esistenza del Purgatorio è verità di fede ed è una dimensione, un luogo, un tempo di carattere divino, è dunque una condizione ultraterrena spazio-temporale, soprannaturale, contrariamente a ciò che teorizza la teologia odierna che elimina i suoi connotati o addirittura la sua esistenza. È uno stato dove le anime hanno bisogno di preghiere perché esse non possono pregare per sé stesse, ma possono comunque, essendo già sante perché destinate alla beatitudine eterna, intercedere per le persone ancora in vita.

Le uniche anime che vanno direttamente in Paradiso sono quelle completamente pure al momento della loro morte. Anime, quindi, innocenti, infatti Gesù ha detto: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18, 3). L’infinita divina giustizia è inflessibile ed esige che vengano scontati tutti i debiti, fino all’ultimo centesimo, realtà purificatoria che viene desiderata dalla stessa anima, come il bravo bambino che soffre per aver commesso un tradimento nei confronti dei genitori, compiendo una mala azione, e vuole essere perdonato: le sue lacrime sono il prezzo da pagare, così quelle dell’anima purgante (in grazia di Dio, senza peccato mortale; ma al momento dell’ultimo respiro ancora legato in qualche modo alle aspirazioni terrene e macchiato dai peccati veniali) che le versa per le ingiustizie commesse di fronte alla misericordia infinita dell’Amore Uno e Trino.

Nel secondo Libro dei Maccabei (12, 42-46) leggiamo che dei giudei pregavano per i loro defunti affinché venissero scontati i loro peccati ed essi elargivano anche 2000 dramme d’argento a Gerusalemme, consci della possibilità di aiutare nell’aldilà i propri cari con preghiere. Non si prega per le anime infernali, perché non c’è più nulla da fare per la loro condizione, e neppure per le anime del Paradiso, bensì queste ultime le si invoca per il loro potere intercessorio. Invece, si prega per il suffragio delle anime del Purgatorio perché possa essere abbreviato il tempo delle loro sofferenze, stando distanti dal Padre, unica e vera felicità. Allo stesso tempo, però, i vivi possono lucrare dalle anime purganti – in virtù delle loro preghiere, delle celebrazioni delle Sante Messe, delle loro penitenze e delle loro elemosine per le indulgenze a loro favore – intercessioni per necessità spirituali e materiali. «Rechiamo loro soccorso e commemoriamoli. Se i figli di Giobbe sono stati purificati dal sacrificio del loro padre» (Gb 1,5). San Giovanni Crisostomo sollecita a non esitare nel soccorrere con le orazioni coloro che sono morti (cf. Homiliae in primam ad Corinthios, 41,5). L’abate Odilone di Cluny, nel 998, ordinò ai benedettini di osservare ogni anno la commemorazione di tutti i fedeli defunti il 2 di novembre. Presto la pratica di pregare per il suffragio di queste anime si diffuse ovunque nella Chiesa. Il vocabolo suffragio deriva dal latino «frangĕre», con riferimento ai frantumi di coccio, in quanto le votazioni, che eleggevano un candidato raccomandato, avvenivano talvolta rompendo delle tavolette/tessere. Applicato ad un candidato defunto, il suffragio è una raccomandazione affinché si accorci il suo tempo di Purgatorio.

San Gregorio Magno nel IV libro dei Dialoghi parla di un monaco morto senza riconciliarsi con la Chiesa dopo aver commesso un peccato contro la povertà: dopo trenta giorni nei quali era stata celebrata per lui una Messa di suffragio apparve ad un confratello annunciando la sua liberazione dalle sofferenze del Purgatorio. Da allora prese l’uso delle cosiddette «Messe gregoriane».

La dispersione delle ceneri del defunto, dove si smarrisce la memoria dell’esistenza di quella persona, omettendone il nome e le date di nascita e morte, non è una pratica dallo spirito cattolico poiché porta di fatto a cancellare in brevissimo tempo la sua esistenza e, contemporaneamente, porta i viventi a non compiere opere di misericordia spirituale nei suoi confronti.

Nella storia, oltre ai Padri della Chiesa, molti santi e mistici hanno avuto un’attenzione particolare per i defunti, ossia per le anime del Purgatorio, ricordiamone alcuni: santa Gertrude la Grande, santa Caterina da Genova, san Roberto Bellarmino, san Nicola da Tolentino, santa Caterina da Bologna, santa Teresa d’Avila, la beata Katharina Emmerick, san Leonardo da Porto Maurizio, sant’Alfonso Maria de’ Liguori, santa Margherita Maria Alacoque, san Giovanni Maria Vianney, san Giovanni Bosco, il beato Francesco Faà di Bruno, santa Gemma Galgani, santa Faustina Kowalska, san Pio da Pietrelcina, il beato Giacomo Alberione.

«Fin dai primi tempi, la Chiesa ha onorato la memoria dei defunti e ha offerto per loro suffragi, in particolare il sacrificio eucaristico», così venne dichiarato nel secondo Concilio di Lione del 1274. Si tratta di un legame indissolubile fra terra e Cielo, frutto della Redenzione e della comunione dei santi. I membri della Chiesa sono chiamati a partecipare alla missione di Salvezza di Cristo e ad assumere i Suoi intenti verso le anime sante del Purgatorio, le quali, incapaci di aiutarsi da sole o fra di loro, fanno affidamento sulle preghiere di compassione e di premurosa carità della Chiesa pellegrina per abbreviare la loro condizione di purificazione. Diceva il beato Alberione: «La Chiesa militante suffraga le anime purganti e glorifica la trionfante; la purgante prega per la militante od onora la trionfante cui aspira; la trionfante ama, comunica, aiuta la purgante e la militante» (Ut perfectus sit homo Dei, n. 14, pp. 226-227). Anche nei Concili di Firenze nel XV secolo e quello di Trento del XVI hanno trattato il tema del Purgatorio, conseguenza delle basi bibliche e di ciò che i Padri della Chiesa e i comuni fedeli avevano sempre creduto, insegnato e praticato.

Santa Caterina da Genova, la mistica definita «Dottoressa del Purgatorio», nel suo Trattato del Purgatorio descrive come il fuoco dell’Amore divino purifichi da ogni macchia le anime che attendono la beatitudine eterna e afferma che tale condizione è necessaria per soddisfare la giustizia divina, ma allo stesso tempo è segno della misericordia di Dio, che vuole riportare le anime alla bellezza originaria, perduta con il peccato, bellezza a cui esse bramano con tutte le loro forze.

Nel XII secolo san Bernardo da Chiaravalle ebbe una visione nella chiesa di Roma Santa Maria Scala Coeli: mentre celebrava la Santa Messa vide che su una scala salivano le anime del Purgatorio; mentre santa Teresa d’Avila ebbe a dire: «Non ho mai chiesto grazie alle anime del Purgatorio senza essere stata esaudita. Anzi, quelle che non ho potuto ottenere dagli spiriti celesti le ho ottenute per intercessione delle anime del Purgatorio». Dal canto suo, il teologo sant’Alfonso compose una straordinaria novena per i defunti, che tradizionalmente viene recitata in preparazione sia del 1° che del 2 novembre. Una delle preghiere che un tempo erano più conosciute è quella della cistercense tedesca santa Gertrude la Grande, che in uno dei suoi colloqui con Gesù Cristo, quando ella manifestò il suo desiderio di pregare per i defunti, Gesù stesso le insegnò questa invocazione: «Eterno Padre, io offro il Preziosissimo Sangue del Vostro Divin Figlio, Gesù, in unione con le Messe celebrate oggi in tutto il mondo, per tutte le sante anime del Purgatorio, per tutte le anime di tutto il mondo, per i peccatori della Chiesa Cattolica, per quelli della mia casa e della mia famiglia. Amen». Per tradizione si crede che mille anime vengano liberate dal Purgatorio ogni volta, ma ad una condizione, che la si reciti con tutto il cuore.


Nella cattedrale di Segovia, in Spagna, un dipinto allegorico di Ignacio de Ries (1612 circa-1661)
Guarda (Gesù nel dipinto), Lui ti vede. Look (at Jesus in the painting), He sees you.
– Guarda (Gesù), Lui ti sta guardando. Look (at Jesus), He is watching you.
– Guarda (alla morte), morirai. Look (at death), you are going to die.
– Guarda (il tronco dell’albero), non sai quando.Look (at the trunk of the tree), you do not know when.

fonte



Quando il sacerdote non può dire la Messa e la fa sostituire con la liturgia della parola, il suffragio per i defunti è identico a quello di una Messa?


Quesito
Buondì Padre Bellon,
nella mia parrocchia, spesso non viene celebrata la Santa Messa feriale per la indisponibilità del Don, quindi l’assemblea partecipa alla liturgia della parola e della Eucaristia.
Mi domando che valenza possa avere pregare per quei defunti i cui parenti avevano fatto richiesta di celebrare la Santa Messa in loro suffragio.
Abbiamo pregato sì, ma la Santa Messa non c’è stata, i defunti ne sono stati privati. Mi sembra una differenza sostanziale.
Buona giornata
Un caro saluto
Marta

Risposta del sacerdote
Cara Marta,
1. la liturgia della parola, per quanto bella e utile soprattutto dove non può essere celebrata l’Eucaristia, non eguaglia in nessun modo il santo sacrificio della Messa.

2. Nella liturgia della parola si può certamente pregare per i defunti per i quali si era chiesta una Santa Messa di suffragio.
Ma se non è stata celebrata e il sacerdote ne ha ricevuto l’offerta da parte del committente, deve comunque essere celebrata.

3. Il sacerdote che ha ricevuto l’offerta per la celebrazione della Messa ha l’obbligo di celebrarla o dovrà farla celebrare. Si tratta di un dovere di giustizia.
Anzi, è stabilito che i sacerdoti che non riescono a soddisfare le richieste della celebrazione di Sante Messe entro un anno, devono passarle in curia, la quale provvede o incarica qualche sacerdote perché le celebri.
Questa è la prassi ordinaria. È di un atto di giustizia prima ancora che di carità.

4. Fin dai primi tempi della religione cristiana la Chiesa ha coltivato con grande pietà la memoria dei defunti perché “santo e salutare il pensiero di pregare per i defunti perché siano sciolti dei loro peccati” (2 Mac 12,24).
I suffragi per i defunti poggiano sul fatto che in Cristo tutti costituiamo un solo corpo mediante il vincolo della carità. Sicché le opere compiuto dall’uno possono giovare all’altro.
Il suffragio più eccellente di tutti senza alcun dubbio è il santo sacrificio della Messa.

5. Ecco la motivazione teologica portata da San Tommaso: “I suffragi dei vivi giovano ai morti in quanto gli uni e gli altri sono tra loro uniti per mezzo della carità, e in quanto l’intenzione dei primi è indirizzata ai defunti.
Perciò quelle opere che cementano la carità o dirigono l’intenzione di uno verso l’altro sono per loro natura più efficaci a suffragare i defunti. Ora, lo strumento più efficace per la carità è il sacramento dell’Eucarestia; perché è il sacramento dell’unità della Chiesa, in quanto contiene colui nel quale tutta la Chiesa è unita e compaginata, cioè Cristo. Perciò l’Eucarestia è come la fonte e il vincolo della carità” (Supplemento alla somma teologica, 71, 9).

6. Ci sono altre forme di suffragio come la preghiera, l’elemosina, le opere di misericordia, alcune opere penitenziali e l’acquisto delle indulgenze. Ma la prima, la principale e la più efficace è il santo sacrificio della Messa che è un’opera divina e ha pertanto un valore infinito.
Tutte le altre pratiche, compresa la preghiera, sono opere umane e non possono mai eguagliare l’efficacia della Messa.

7. Il Direttorio della congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti su pietà popolare e liturgia dice che la Chiesa offrendo al Padre, nello Spirito Santo, il sacrificio della morte e della risurrezione di Cristo chiede che il defunto sia purificato dai suoi peccati e dalle loro conseguenze. E che proprio per questo l’eucaristia, banchetto escatologico, è il vero refrigerio cristiano del defunto” (n. 252).
Ricorda anche che “la chiesa offre il sacrificio eucaristico per i defunti in occasione non solo della celebrazione dei funerali, ma anche nel giorno terzo, settimo e trigesimo nonché nell’anniversario della morte; la celebrazione della messa in suffragio delle anime dei propri defunti è il modo cristiano di ricordare e prolungare, nel Signore, la comunione con quanti hanno varcato la soglia della morte” (n. 255).

Ti ringrazio di avermi dato l’opportunità di dire qualcosa che faccia apprezzare ancora di più il dono dell’eucaristia, segno dell’ineffabile amore di Gesù Cristo sia per i vivi sia per i defunti.
Ti benedico e ti ricordo nella preghiera.
Padre Angelo


 

leggi anche qui:

dom Prosper Guéranger: 2 novembre Commemorazione di tutti i Defunti


MEMENTO MORI – Cento giorni dopo la tua morte

di Tommaso Scandroglio

Cosa succederà il centesimo giorno dopo la tua morte? Ecco un promemoria…

Cento giorni dopo la tua morte nessuno si ricorderà di te. Cento giorni dopo che sarai morto – per un tempo che durerà un secondo, un minuto, un’ora o un giorno – nessuno più penserà a te. Fino a quel momento parenti, amici, conoscenti e anche nemici, ciascuno per suo conto, avranno inanellato ricordi costruendo un’ininterrotta catena della memoria a cui il tuo nome sarà stato saldamente appeso. Fino a quel momento almeno una persona a te cara ti avrà tenuto in vita qui sulla Terra, accarezzando il tuo maglione “da casa” rimasto nell’armadio, trovando in un cassetto i tuoi occhiali, percorrendo quel sentiero di montagna che avevi scoperto tu, bevendo quell’infuso che solo a te piaceva, buttando nel cestino i tuoi ultimi e inutili farmaci.

Ma al centesimo giorno ecco che, forse solo per il tempo di un respiro, scomparirai dalla mente e dal cuore di tutti, come cenere al vento, e quella catena si spezzerà. Un istante uguale ai 100 anni che hanno preceduto la tua nascita. Sarai per la prima volta nella tua ex vita, ignoto. Lo spazio di una virgola dentro una frase in cui tu eri il protagonista. Una virgola in cui il tuo nome non esisterà più, cancellato, bandito dal mondo dei viventi. Certo, anche in quella brevissima sincope temporale, tu continuerai a vivere nelle foto, in ciò che hai scritto o realizzato, ma dato che nessuno sarà lì a guardare le tue foto o a leggere le tue lettere, tu, semplicemente, non sarai più.

In quel frammento di tempo, breve come un battito del cuore o lungo come una giornata piovosa di novembre, tu non esisterai più tra i vivi. Forse risorgerai il secondo dopo, ma nel secondo prima sarai morto per davvero. E dopo quei 100 giorni ne verranno altri dove lo squarcio della memoria si allargherà sempre più in modo costante, impietoso, finché addirittura nessuno più saprà chi mai tu sia stato. Solo un nome in una lapide e in qualche registro pubblico. E allora sarai morto per sempre. L’oblio sarà la tua ultima condizione terrena, la tua definitiva lastra tombale.

Cento giorni dopo che sarai morto quindi sarai morto sul serio, perché sarai morto per tutti. Per tutti quelli che s’impolverano l’anima qui su questa Terra, ma non per quelli che gioiscono sulla Terra celeste. Lì sarai vivo nelle loro preghiere, nelle loro intercessioni e suppliche. Lì sei vivo anche prima della tua morte e sei più vivo tra loro di quanto non riuscirai mai ad essere vivo in Terra. Anzi il pensiero di te di fronte all’Onnipotente è così vivo, perché vivace, che ti fa sembrare oggi quasi morto.

Soprattutto tu, che ti trovi più vicino al punto finale della tua esistenza rispetto al suo punto iniziale, ormai dovresti aver imparato a cogliere la voce sommessa del tempo che ti sussurra: «Vanitas vanitatum». Allora non affidarti al ricordo di chi ti scorderà, non piantare chiodi nell’acqua del fiume, non credere di poter arrestare ciò che passa perché, come l’amante con l’amato, la vita corre veloce verso la morte, ma affidati al ricordo di chi, avendo ormai vissuto la morte, sa cosa sia davvero la vita perché ora vive veramente, stando faccia faccia con Dio.


di Lorenzo Roselli – da RS

Pensavo ad oggi, alla Solennità dei Defunti, ricorrenza liturgica della Chiesa cattolica dimenticata e ignorata (vi basti pensare che in Università Cattolica oggi si sono tenute normalmente lezioni), come capita ormai a svariati aspetti della tradizione liturgica di questi tempi.
E proprio oggi mi è capitata sotto gli occhi una storia raccapricciante: quella di Joyce Carol Vincent.

Questa ragazza britannica, per una serie di ragioni di diverso ordine, scelse di staccare ogni filo diretto con il mondo circostante. 
Contatti recisi con familiari, amici d’infanzia, colleghi, ex-fidanzati, vicini di casa.
Una volta licenziatasi dal lavoro, Joyce abbandonò il centro di recupero per maltrattamenti in cui pernottava e iniziò a spostarsi di giorno in giorno in un appartamento diverso della periferia di Londra.
Nel 2003, in un pomeriggio di dicembre, dopo aver acquistato qualche regalo di Natale forse per i genitori con cui avrebbe voluto di nuovo scambiare una parola, Joyce inaspettatamente spirò, si ritiene per una complicazione dell’asma di cui soffriva da tempo.
La televisione di fronte a lei rimase accesa, come il riscaldamento e l’elettricità pagata dall’assistenza sociale. Tutto in quella casa restò tragicamente fermo mentre le spoglie della ragazza marcivano per settimane.
Nessuno si accorse di quel corpo senza vita in quella casa di seconda mano nei cui pressi si spacciava droga e dove il rumore dell’apparecchio televisivo si mischiava al fragore degli schiamazzi notturni di qualche balordo.

Soltanto a festività natalizie concluse qualcuno si accorse dei resti di Joyce; peccato che i Natali trascorsi fossero due.
Il 25 gennaio 2006 gli ufficiali esecutori dello sfratto buttarono giù la porta della casa, e trovarono il macilento scheletro di Joyce rivolto verso un tappabuchi pomeridiano di un canale tv trasmesso senza sosta da oltre due anni.

Vedete, la storia di Joyce non è poi così diversa da quella di tutti noi: ciascuno muore da solo, che sia il padre mentre stringe sempre più flebilmente le mani del figlio, il fante d’Italia che agonizza dopo un futile assalto alla trincea durante la Grande Guerra e persino il Re nel cordoglio della sua intera corte.
Nulla può impedire il sopraggiungere di questo evento, nessuna gloria, piacere prolungato, o onore può arrestare quel rantolio che precede l’ultimo respiro.
E parliamoci chiaro, non vi è alcuna dignità nel morire e nemmeno un senso proprio nell’aver vissuto per tramutarsi in un banchetto di vermi.

Vi è solo una cosa che può giustificare la Morte: la sua dirompente sconfitta avvenuta in un sepolcro della Palestina. 
Ed è questo, credetemi, l’unico pensiero che mi libera dall’angoscia suscitatami dalla storia di Joyce Vincent.
La consapevolezza, la Fede contro ogni certezza empirica che, parafrasando Sant’Agostino, il milite ignoto caduto nell’Isonzo, il vecchio abbandonato in un ospizio, il senzatetto che ha lasciato questa vita nella fredda stazione di New York e la stessa Joyce deceduta nella dimenticanza totale di una società che erge l’Individuo ad assoluto ma la persona all’insignificanza, “guarda con i suoi occhi pieni di Gloria i nostri pieni di lacrime”.
A tutti i fratelli defunti.

Ma se la legge dello Spirito di vita in Gesù Cristo ci ha liberato dalla legge del peccato e della morte, perché dunque continuiamo a morire e non siamo stati immediatamente rivestiti d’immortalità?
Perché si compia la verità di Dio.
{San Bernardo di ChiaravalleLiber ad milites templi. De laude novae militiae}


Per quanto tempo le anime restano in Purgatorio?

Volentieri offriamo ai lettori (prendiamo da Radio Spada vedi qui) il Capitolo 3 del volume Leggimi o rimpiangilo di padre Paul O’Sullivan O.P., approvato nel 1936 dal Patriarca di Lisbona con il seguente invito: “E’ nostro sincero desiderio che ogni cattolico legga questo piccolo libricino e lo diffonda il più possibile”. La traduzione originale in italiano è dell’amico Ciro Mauriello che gentilmente ce l’ha inviata. Buona lettura!

Il tempo per cui le anime sono trattenute in Purgatorio dipende dal numero delle loro colpe, dalla malizia e deliberazione con cui queste sono state commesse, dalla penitenza fatta o non fatta, la soddisfazione fatta o non fatta per i peccati commessi in vita; e molto dipende ancora dai suffragi offerti per loro dopo la morte. Quello che può essere detto con certezza è che il tempo che le anime spendono in Purgatorio, di norma, è molto più lungo di quello che le persone comunemente immaginano. Riporteremo di seguito alcuni dei molti esempi che sono narrati nelle vite e rivelazioni dei Santi. Il padre di San Luigi Bertrando fu un cristiano esmplare, come ci verrebbe naturalmente da pensare, essendo il padre di un così gran santo. Desiderò anche di diventare un monaco Certosino fino a che non capì che non era la volontà di Dio per lui. Quando morì, dopo lunghi anni spesi nelle pratica di ogni cristiana virtù, il suo santo figlio, pienamente consapevole del rigore della Giustizia di Dio, offrì molte Messe e disse le più ferventi preghiere per l’anima che così tanto amava. Una visione di suo padre ancora in Purgatorio lo costrinse ad intesificare cento volte i suoi suffragi. Aggiunse le più severe penitenze e lunghi digiuni alle sue Messe e preghiere. Eppure, otto lunghi anni passarono prima di ottenere il rilascio di suo padre.
La sorella di San Malachia fu trattenuta in Purgatorio per molto tempo, nonostante le Messe, preghiere e le eroiche mortificazioni che il Santo offrì per lei.
Fu riferito ad una santa suora di Pamplona, che era riuscita a liberare dal Purgatorio molte suore Carmelitane, che molte di queste vi avevano trascorso dai 30 ai 60 anni! Suore Carmelitane in purgatorio per 40, 50, 60 anni! Cosa sarà di quelli che vivono in mezzo alle tentazioni del mondo e con tutte le loro centinaia di debolezze?
San Vincenzo Ferreri, dopo la morte di sua sorella, pregò con incredibile fervore per la sua anima e offrì molte Messe per la sua liberazione. Ella gli apparve a lungo e gli disse che se non fosse stato per le sua potente intercessione, sarebbe dovuta restare in Purgatorio un tempo interminabile.
E’ regola nell’Ordine dei Predicatori quella di pregare per nome per i Maestri Generali nei loro anniversari. Molti questi sono morti da centinaia di anni. Furono uomini particolarmente eminenti per la loro devozione e conoscenza. Questa regola non sarebbe stata approvata dalla Chiesa se non fosse necessaria e prudente. Noi non indentiamo dire che tutte le anime sono detenute ugualmente per un lungo tempo nel fuoco espiatorio. Molti hanno commesso meno colpe e fatto più penitenza. Quindi la loro punizione sarà meno severa. Tuttavia, gli esempi che abbiamo riportato sono molto pertinenti, poiché se queste anime godettero dell’intimità, che videro l’esempio e che condivisero l’intercessione di grandi Santi durante la loro vita e furono assistite dai loro efficacissimi suffragi dopo la morte furono trattenure per così tanto tempo in Purgatorio, che potrebbe non accadere a noi che non godiamo di nessuno di questi meravigliosi privilegi?

Perché una così lunga espiazione?

Le ragioni non sono difficili da trovare: la malizia del peccato è davvero grande. Quelle che a noi appaiono piccole colpe sono in realtà delle serie offese all’infinita bontà di Dio. E’ abbastanza vedere quanto piansero i Santi per le loro colpe. Siamo deboli, potrà essere affermato. Questo è vero, ma poi Dio ci offre abbondanti grazie e rafforza le nostre debolezze, ci dà luce per vedere la gravità delle nostre colpe, e la necessaria forza di conquistare le tentazioni. Se siamo ancora deboli, la colpa è tutta nostra. Noi non usiamo la luce e la forza che Dio così generosamente ci offre; noi non preghiamo e non riceviamo i Sacramenti come dovremmo.
Un eminente teologo saggiamente fa notare che se le anime sono condannate all’Inferno per l’eternità per un solo peccato mortale, non c’è da meravigliarsi se altre anime che hanno commesso innumerevoli peccati veniali deliberatamente, alcuni dei quali sono così gravi che al momento in cui vengono commessi il peccatore a difficoltà conosce se siano veniali o mortali, vengono trattenute per lunghi anni in Purgatorio. Inoltre, possono aver commesso molti peccati mortali per i quali possono aver avuto poco dolore e fatto poca o nessuna penitenza. La colpa è stata rimessa con l’assoluzione, ma il dolore dovuto al peccato dovrà essere ripagato in Purgatorio. Nostro Signore ci dice che dovremo rendere conto per ogni parola oziosa che diciamo e che non lasceremo la prigione fino a quando non avremo pagato fino all’ultimo spicciolo (Matteo 5,26). I Santi commettono pochi e lievi peccati, e tuttavia si addolorano e fanno molta penitenza. Noi commettiamo molti e gravi peccati, e ci addoloriamo poco e facciamo poca penitenza.

Peccati Veniali

Sarebbe difficile calcolare l’immenso numero di peccati veniali che ogni cattolico commette. C’è un numero infinito di colpe di amor proprio, egoismo; pensieri, parole e atti sensuali, in centinaia di forme. Colpe di carità in pensieri, parole e opere; pigrizia, vanità, gelosia, torpore e innumerevoli altre. Ci sono peccati di omissione a cui diamo così poca attenzione. Amiamo Dio così poco, eppure Lui ci da migliaia di motivi per amarlo. Lo trattiamo con freddezza, indifferenza e vile ingratitudine. Lui è morto per ciascuno di noi. Lo ringraziamo mai come dovremmo? Lui rimane giorno e notte sull’Altare, attendendo una nostra visita, ansioso di aiutarci. Quanto poco andiamo da Lui! Lui desidera entrare nei nostri cuori nella Santa Comunione, e noi gli neghiamo l’accesso. Si offre per noi sull’Altare ogni mattina a Messa e dà un oceano di grazie a quelli che assistono al Grande Sacrificio. Eppure siamo troppo pigri per andare al Calvario! Che abuso di grazia!
I nostri cuori sono meschini e duri, pieni di amor proprio. Abbiamo case felici, splendido cibo, abiti caldi, e abbondanza di tutte le cose. Molti intorno a noi vivono nella fame e nella miseria, e noi diamo loro così poco, mentre spendiamo generosamente ed inutilmente per noi stessi. La vita ci viene data per servire Dio, per salvare la nostra anima. La maggior parte dei cristiani, invece, è soddisfatta con dare a Dio 5 minuti di preghiera al mattino, e 5 minuti la sera! Il resto delle 24 ore è usato per il lavoro, il riposo e i piaceri. 10 minuti per Dio, per la nostra anima immortale, alla grande opera che dobbiamo compiere, la nostra salvezza. 23 ore e 50 minuti per questa vita transitoria! E’ giusto tutto ciò per Dio? Potrà essere asserito che tutto il nostro lavoro, riposo e le nostre sofferenze sono per Dio! Dovrebbero esserlo, e allora i nostri meriti sarebbero grandi. La verità è che molti non pensano quasi mai a Dio durante il giorno. Il principale oggetto dei loro pensieri è loro stessi. Pensano, faticano, riposano e dormono per soddisfare loro stessi. Dio ha davvero un piccolo spazio nella loro giornata e nella loro mente. Questo è un oltraggio al Suo dolce Cuore, che pensa costantemente a noi.

Adesso Veniamo ai Peccato Mortali

Molti cristiani sfortunatamente commettono peccati durante la loro vita, ma sebbene li confessino, non danno loro la dovuta soddisfazione, come abbiamo già detto. Beda il Venerabile sembra essere dell’opinione che quelli che spendono gran parte della loro vita commettendo peccati gravi e li confessano sul letto di morte saranno lasciati in Purgatorio fino all’Ultimo Giorno. Santa Gertrude nelle sue rivelazioni ci dice che quelli che commettono molti gravi peccati e non fanno la dovuta penitenza potrebbero non condividere gli ordinari suffragi della Chiesa per un tempo davvero considerevole. Tutti quei peccati, mortali e veniali, accumulati per 20, 30, 40, 60 anni della nostra vita. Ognuno deve essere espiato dopo la morte. C’è quindi da meravigliarsi che le anime debbano restare così a lungo in Purgatorio?


Messe per defunti e per vivi; Dio, per esaudirci, non si regola da solo? Ha forse bisogno dei nostri consigli e delle nostre preghiere?

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Quesito

Gentilissimo Padre Bellon,
Le sarei grata se potesse spiegarmi il senso delle messe per i defunti o anche per i vivi.
Se si chiede una grazia o comunque si chiede a Dio un buon trattamento per le anime, possibile che Dio si basi sulle richieste delle persone? Non si regola da solo? Si basa sui consigli/preghiere? O le ascolta solo se sono giuste? Ma se sono giuste, Dio lo sa comunque come comportarsi senza necessità di messe.
Inoltre se per una persona non si fanno messe, questa è più svantaggiata rispetto ad una per le quali se ne fanno?
La messa per i defunti è poi una messa che si farebbe comunque con l’aggiunta dei nomi delle persone. È dunque lecito prendere soldi per questo? Un conto possono essere benedizioni, ecc. (e anche qui c’è da discutere) in cui il prete fa un servizio apposta e viene pagato. Ma qui non è troppo? E quanto è diverso dalla vendita delle indulgenze?
Le sarei riconoscente per le risposte poiché in genere spiegazioni varie che sento in giro ma su tanti argomenti religiosi, non sono risposte per quanta sensatezza sembrano vederci chi le dà.
La ringrazio.
Cordialmente,
Elisabeth


Risposta del sacerdote

Cara Elisabeth,
1. ci sono molte inesattezze nelle tue considerazioni.
A cominciare dal fatto che Dio non ha bisogno di consigli e tuttavia ha chiesto di pregare e di pregare molto.
A che cosa serve dunque a preghiera?
Rispondono sant’Agostino e San Tommaso: non serve a istruire Dio, ma a cambiare noi, perché scopriamo che è necessario cambiare tante cose nella nostra vita per poter diventare degni di ricevere e di usare santamente i doni che Dio ha già determinato di accordarci.

2. La Messa.
Che cos’è la Messa?
È la perpetuazione sui nostri altari del sacrificio che Gesù ha compiuto sulla croce.
Gesù ha conferito ai sacerdoti i suoi stessi poteri divini: mutare il pane e il vino nel suo Corpo e nel suo Sangue.
Insieme con questo potere, ha dato ai sacerdoti anche il potere di destinare per qualche intenzione particolare il sacrificio che celebrano.
Così la Chiesa ha fatto fin dall’inizio, ad esempio per suffragare le anime dei defunti oppure in onore dei martiri.

3. L’offerta che si dà al sacerdote non serve per pagare la Messa e neanche il tempo che vi impiega. Questa sarebbe simonia.
Ma è un’offerta con la quale coloro che chiedono al sacerdote di applicare il sacrificio di Gesù Cristo per un’intenzione particolare intendono unirsi al sacrificio di Cristo in maniera più forte e in modo particolare, e cioè con un sacrifico personale.
L’offerta data dai fedeli ha primariamente questo significato: di volersi unire più intensamente al sacrificio di Cristo con un sacrificio personale.
Come vedi, la Messa per i defunti non ha valore perché il sacerdote aggiunge il nome, ma perché dà al sacrificio una destinazione particolare e perché i fedeli si congiungono più intimamente col sacrificio di Cristo con un sacrificio personale.

4. L’offerta viene indicata dalla Conferenza episcopale per evitare che qualche sacerdote faccia di testa sua. Ed è così esigua che non si può dire che il sacrificio personale non sia poi così grosso.
Ma è un fatto: chi fa celebrare una Messa, sente che quella Messa è “sua”.
Lo sa, certo, che il sacrificio di Cristo ha un valore generale e infinito.
Ma sa anche che il sacerdote quella volta lo offre a Dio dandogli anche una destinazione particolare, quella indicatagli da lui.
Penso allora di avere risposto alla tua domanda.

5. Il sacrificio di Cristo ha già di suo molte destinazioni generali.
Ma il sacerdote, congiungendosi ai desideri dei fedeli, ne aggiunge uno particolare.
Questo vale per i defunti, ma anche per i vivi.
Se sapessi quanto vale la celebrazione della Messa per la buona riuscita di determinate imprese, per la protezione o la salute di alcuni, per la liberazione da certi guai!
Come non pensare al papà di S. Teresina del Bambin Gesù che quando vide questa sua figlia, che gli era carissima, in preoccupanti condizioni di salute (i medici ormai disperavano e non sapevano cosa fare) decise di far celebrare una novena di Messe per la sua guarigione. E proprio l’ultimo giorno della novena la figlia all’improvviso ricuperò la salute.
Come non pensare ancora alla stessa S. Teresina del Bambin Gesù, che quand’era ancora ragazza aveva sentito dire di un criminale condannato a morte con la ghigliottina. E niente lasciava sperare in un suo ravvedimento. Chiese al Signore che le desse un segno del suo ravvedimento. Fece celebrare una Messa per la conversione di quel criminale. E questi, proprio prima di morire prese dalle mani del sacerdote il crocifisso e lo baciò per tre volte con devozione.
Sant’Ignazio di Loyola, che era sacerdote, celebrava molte messe per le sue intenzione e ne faceva celebrare molte anche da parte dei suoi confratelli.
Dio ha detto a S. Caterina da Siena: “Le preghiere e le lacrime dei miei servi mi muovono a fare misericordia al mondo”.
Ma per i defunti, la Messa ha un valore sommo, perché da se stessi ormai non possono aiutarsi.

6. Mi chiedi: “Inoltre se per una persona non si fanno messe, questa è più svantaggiata rispetto ad una per le quali se ne fanno?”.
Bisogna dire che le nostre preghiere, comprese la celebrazione di Messe, sono offerte a Dio e vengono messe nelle sue mani. Hanno un valore di impetrazione, non di comando.
Inoltre può darsi che la persona per la quale facciamo celebrare la Messa non ne abbia bisogno perché si trova già in Cielo oppure si trova irrimediabilmente dalla parte opposta.
In ogni caso la Messa non perde il suo valore e il Signore, mentre dà a offre la giusta ricompensa per il gesto di generosità compiuto, la mette a profitto delle cause generali per cui Cristo ha offerto il sacrificio di Sé.
Allora sotto questo proposito certamente alcuni sono più avvantaggiati rispetto ad altri perché c’è chi si prende cura di loro.
Tuttavia la Chiesa non dimentica nessuno. Molti infatti celebrano Messe e pregano per le anime più abbandonate del Purgatorio.
Noi – queste anime – le chiamiamo “più abbandonate” perché non c’è nessuno che specificamente prega per loro. Ma ogni Messa, nelle sue destinazioni generali, va sempre a beneficio anche delle anime più abbandonate del Purgatorio.
Indubbiamente però l’intenzione particolare dà forza alla preghiera.

7. Scrivi ancora: “È dunque lecito prendere soldi per questo? Un conto possono essere benedizioni, ecc. (e anche qui c’è da discutere) in cui il prete fa un servizio apposta e viene pagato. Ma qui non è troppo? E quanto è diverso dalla vendita delle indulgenze?”
San Paolo ha detto: “Non sapete che coloro che celebrano il culto traggono il vitto dal culto, e coloro che attendono all’altare hanno parte dell’altare?” (1 Cor 9,13).
Allora l’offerta che viene data, mentre testimonia che ci si congiunge col sacrificio di Cristo in maniera più stretta, vuole essere anche un contributo che si dà al sacerdote per il suo sostentamento.
In fondo, per quanto grande sia l’offerta che si dà al sacerdote, è sempre infinitamente inferiore al beneficio spirituale ed eterno che si riceve.
Non si tratta di pagare la sua prestazione, sarebbe simonia. Ma si sente il bisogno di fare qualcosa per lui, che ha pur bisogno di vivere.
Lo stesso discorso vale anche per le benedizioni. Anche le benedizioni non si possono pagare! Al massimo ci si onora di dare un’offerta. Anzi, molti fedeli sentono il bisogno di farla.
La vendita delle indulgenze (se qualcuno nel corso della storia l’avesse fatta) è una simonia bella e buona. E la Chiesa, come ben sai, l’ha sempre condannata.

8. Dio non ha bisogno dei nostri consigli, ma ci porta con Sé in Paradiso solo se abbiamo un cuore conforme al Suo.
Il Signore dunque vuole che siamo pieni carità e che ci aiutiamo gli uni gli altri tanto nell’ordine materiale quanto in quello spirituale e soprannaturale.
Dio sa tutto, conosce sa anche la nostra miseria.
Ma ci stimola a diventare più umili e più santi facendoci ricorrere all’affetto e all’intercessione vicendevole.

Ti saluto, ti ricorderò al Signore in modo particolare nella prossima S. Messa e ti benedico.
Padre Angelo


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