Alle Legge di Dio si obbedisce in toto, non gradualmente

Non c’è gradualità nella Legge di Dio: si obbedisce e basta.

Vogliamo fare una premessa: chi ha vinto in questo Sinodo?

Ci sono già quelli che si auto incensano gettando fango ora su gli uni, ora sugli altri “abbiamo vinto noi, hanno perso loro” e giù ad usare le parole del Papa per dare del fariseo a chi ha difeso la dottrina. Ma non vogliamo parlare di chi ha perso, è fin troppo evidente. Noi vogliamo ricordare che qui il vero vincitore è ancora una volta Benedetto XVI….

E che c’entra lui adesso, direte voi. C’entra, c’entra, perchè è lui che ha pregato incessantemente per i lavori del Sinodo, è lui che sacrificandosi aveva riconsegnato la Chiesa allo Sposo, ricordiamo le sue parole:

“…ho sempre saputo che in quella barca c’è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua. E il Signore non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto. Questa è stata ed è una certezza, che nulla può offuscare. (…)  Vorrei invitare tutti a rinnovare la ferma fiducia nel Signore, ad affidarci come bambini nelle braccia di Dio, certi che quelle braccia ci sostengono sempre e sono ciò che ci permette di camminare ogni giorno, anche nella fatica. Vorrei che ognuno si sentisse amato da quel Dio che ha donato il suo Figlio per noi e che ci ha mostrato il suo amore senza confini. Vorrei che ognuno sentisse la gioia di essere cristiano. In una bella preghiera da recitarsi quotidianamente al mattino si dice: «Ti adoro, mio Dio, e ti amo con tutto il cuore. Ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano…». Sì, siamo contenti per il dono della fede; è il bene più prezioso, che nessuno ci può togliere!

0036-legge-gradualita-1_562fb0ae16613(…)  Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro.

(..) Cari amici! Dio guida la sua Chiesa, la sorregge sempre anche e soprattutto nei momenti difficili. Non perdiamo mai questa visione di fede, che è l’unica vera visione del cammino della Chiesa e del mondo. (Udienza 27 febbraio 2013)

Mi sostiene e mi illumina la certezza che la Chiesa è di Cristo, il Quale non le farà mai mancare la sua guida e la sua cura“. (Udienza 13 febbraio 2013)

Non poche volte si ritorna su questo termine della “gradualità della legge” e non poche volte ci ritroviamo davanti a forti contrasti sulla sua comprensione. Diverso è parlare della “Legge divina offerta e donata o predicata in modo graduale”, e qui  troviamo il valore dell’accompagnamento pastorale sottolineato dallo stesso Giovanni Paolo II. Come possiamo notare, infatti, l’inganno si cela nello spostare il termine: “la gradualità della legge”.

Qualcuno potrebbe trovarla una inutile sottolineatura, ma… la conoscete la storiella della virgola, spostando la quale scoppiò la guerra?

Ecco, senza superbia alcuna tentiamo di dare delle brevi linee di demarcazione per comprendere il significato e l’importanza della corretta interpretazione e il pericolo della sua strumentalizzazione anche perchè, diciamocelo onestamente, a differenza dell’anno scorso quest’anno il Sinodo è ritornato sul tema citando però il termine in modo corretto attraverso la Familiaris consortio, una citazione naturalmente oscurata dai Media.

Discernimento nella verità e nella carità è stata la parola guida nei punti 84, 85 e 86 della relatio finalis del Sinodo 2015.

Il punto 86 ricorda che “il percorso di accompagnamento e discernimento orienta questi fedeli alla presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio. Il colloquio col sacerdote, in foro interno, concorre alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa e sui passi che possono favorirla e farla crescere. Dato che nella stessa legge non c’è gradualità (cf. FC, 34), questo discernimento non potrà mai prescindere dalle esigenze di verità e di carità del Vangelo proposte dalla Chiesa. Perché questo avvenga, vanno garantite le necessarie condizioni di umiltà, riservatezza, amore alla Chiesa e al suo insegnamento, nella ricerca sincera della volontà di Dio e nel desiderio di giungere ad una risposta più perfetta ad essa”.

La questione della “gradualità” uscì allo scoperto durante i lavori del Sinodo 2014, in questo link troverete appunti interessanti dell’anno scorso. Ripartiamo da questo per segnalare un passo molto significativo e che è stato – in un certo senso – profetico dal momento che, così sembra per ora, il Sinodo di oggi 2015 si è concluso con questa correzione e dunque con un ritorno seppur flebile alla sana dottrina:

Cos’è questa famigerata gradualità? 

Si fa un gran parlare ora di questo principio morale, ma evidentemente lasciato all’interpretazione della linea sinodale della rottura dottrinale, viene interpretato in modo surrettizio, al fine di poter guardare con occhi di misericordia chi vive in una situazione disordinata e di peccato. Tale principio ci permetterebbe di vedere solo il bene che c’è nel peccato (che non bisogna però dire tale), e così l’approccio misericordioso ha la meglio sulla dottrina rigida e fissista, quella dei fondamentalisti della fede, che, al dire di Forte, colpisce come una clava. Lui invece è morbido e umano, e sa accarezzare il mondo.

Sta di fatto che la grande reazione dei Padri che si è avuta dopo la Relazione-sintesi della prima settimana, fatta lunedì 13 ottobre, indica una cosa: la “gradualità” così come è stata concepita e interpretata nel Sinodo è sbagliata.

Infatti, Nella sintesi degli interventi in aula dopo la Relatio post disceptationemfatta dal Card. Erdö, leggiamo: «Necessario è approfondire e chiarire il tema della “dicendo gradualità”, che può essere all’origine di una serie di confusioni…».

Il tema della gradualità era stato già affrontato da S. Giovanni Paolo II nell’Esortazione apostolica post-sindodale Familiaris consortio, esortazione di fatti messa in soffitta in questo Sinodo:

«Anche i coniugi, nell’ambito della loro vita morale, sono chiamati ad un incessante cammino, sostenuti dal desiderio sincero e operoso di conoscere sempre meglio i valori che la legge divina custodisce e promuove, e dalla volontà retta e generosa di incarnarli nelle loro scelte concrete. Essi, tuttavia, non possono guardare alla legge solo come ad un punto ideale da raggiungere in futuro, ma debbono considerarla come un comando di Cristo Signore a superare con impegno le difficoltà. “Perciò la cosiddetta legge della gradualità, o cammino graduale, non può identificarsi con la gradualità della legge, come se ci fossero vari gradi e varie forme di precetto nella legge divina per uomini e situazioni diverse» (FC 34).

La gradualità della legge indica che la legge stessa sarebbe graduale, quindi che si potrebbe scegliere quello che più conviene, invece legge della gradualità o cammino graduale, accezione corretta, esprime piuttosto l’esigenza di un’opera maieutica per entrare nel cuore della legge e per osservarla non solo in modo esteriore, ma con la mente e il cuore. Posso cioè essere educato a capire gradualmente il valore della legge, che in sé rimane intangibile e comunque la via al bene da perseguire.

La gradualità non può essere manipolata per avere uno sguardo misericordioso su chi vive in situazioni non conformi alla legge di Dio. Il principio della gradualità, pertanto, non è per se stesso la soluzione ai problemi di chi vive in situazioni matrimoniali difficili o disordinate, ma richiede una spiegazione morale giusta, altrimenti degenera in un grande equivoco

Abbiamo trovato una intervista del dicembre 2014, molto interessante, fatta al  Prof. Marcelo Fiaes, Maestro in Scienze del Matrimonio e Famiglia, vedi qui, e dalla quale riportiamo questi ulteriori passaggi fondamentali:

“Penso che tra autori più importanti c’è appunto Rahner nel suo famoso libro “Il problema di una etica esistenziale formale” del 1969, dove propone un’etica centrata sui gradi evolutivi della coscienza nella percezione della legge. In parole povere, Rahner critica la formalità della legge morale e punta come principio essenziale della moralità la coscienza della persona nel confronto di essa.  Dire che l’adulterio è sempre e ovunque un atto disordinato sembrerebbe per Rahner un “formalismo” che non considera adeguatamente la dimensione soggettiva dell’agire umano. Un cristiano potrebbe vivere in adulterio per ragioni che la sua propria coscienza giustifica e non per questo lasciare di essere un uomo o una donna di buona volontà, quindi orientata al vero bene. Da qui l’idea della gradualità della legge, tema centrale nella Relatio post disceptationem dell’ ultimo Sinodo. Poi esclusa della Relatio finale…”

Quale danno ne deriva?

“…. la gradualità della legge consiste nel presentare la legge morale “a tappe”, adeguandola al soggetto che la ascolta. Ci sarebbe una separazione tra fede e vita morale, kerigma e didaké. Ci sarebbe una priorità della fede sulla morale, della misericordia sulla legge. Quest’ultima sarebbe una verità strumentale a servizio della fede. Quindi una verità di seconda categoria, da presentare in un “secondo momento”, in un “dopo la conversione”. La vita morale è concepita come una scala, con vari gradini. La persona non sarebbe obbligata a vivere tutta la legge (naturale o rivelata), ma un pezzo di essa, fino a quando sia in grado di vivere il livello seguente. Così non si dovrebbe chiedere a tutti gli uomini la totalità della legge, ma proporla a seconda della cultura, stato di vita, circostanze, etc. La legge morale si aggiusterebbe alla condizione di ognuno.

Un esempio potrebbe aiutare. Se per la extra grande maggioranza dei giovani europei il sesso prematrimoniale è pane quotidiano, è inutile insistere a dire che i rapporti prematrimoniali sono peccato per i giovani europei. Magari in Africa andrebbe bene dirlo, ma non nelle diocesi europee. Nella pratica la “nuova morale” se la prende principalmente con la morale sessuale. È la morale sessuale la pietra di scandalo della nuova morale.”

Di fatto, è questa la bandiera teologica che si alza: la misericordia. Secondo i sostenitori di tale teoria morale, la legge “imposta” e “formale” della Chiesa non tiene in conto la situazione concreta di peccato della gente. La legge morale della Chiesa è vista come un peso morale come quello che Gesù denuncia ai farisei: “Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!” (Lc 11,46). La legge morale è presentata proprio come un peso insopportabile che impedisce la gente di entrare in comunione con Dio. Bisogna quindi eliminare questo ostacolo e spalancare le porte della Chiesa a tutti gli uomini, in primis i peccatori per i quali Gesù si è fatto uomo: “Io non vengo per i giusti, ma per i peccatori” (Mc 2,15)…”

Come abbiamo letto troviamo un uso del vangelo, contro la vera dottrina, al quale ci aveva abituati Lutero.

Vi ricordiamo anche, piuttosto, di sfogliare La vera e falsa morale – vedi qui –già denunciata negli Anni ’50 dal venerabile vescovo Fulton Sheen.

Certo, assolutizzare il male è sbagliato, si diventa farisei se non si trovasse mai nel peccatore una speranza che lo possa condurre al vero Bene, molti moniti del santo Padre Francesco devono essere valorizzati da noi stessi per comprendere se, in qualche modo, non rischiamo di essere noi quei farisei che “imponevano” la legge come fosse una tagliola o data come il famoso “olio di Ricino”. Non dimentichiamo che Gesù venne non certo per abolire la legge ma per portarla a compimento, ossia, è venuto a salvare l’uomo che vuole salvarsi e non per condannarlo.

Così come è sbagliato chi usa, contro i difensori della vera fede, la parabola del Figliol prodigo, accusando i “conservatori” (termine ambiguo oggi, ma necessario a far comprendere quale battaglia stiamo combattendo che non è contro le persone ma contro l’errore) di essere come il fratello minore della parabola dimenticando però, che quel figliolo prodigo, abbandonò il peccato e ritornando dal Padre aveva riconosciuto i suoi errori e perciò si pentì. In tal senso è giusto il monito rivolto al fratello minore.

Ma è scorretto usare questa parabola accusando il giusto di comportarsi come il fratello minore quando abbiamo di fronte un figlio che NON abbandona il peccato ma che, al contrario, rimanendo nel peccato, pretende pure la riconciliazione con il Padre.

Ricordiamo il monito paolino: “Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina. Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole. Tu però vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del vangelo, adempi il tuo ministero.” (2Tim. 4,1-5)

E se è vero che la prima testimonianza della carità è la verità, è anche vero che questa non va imposta (il Padre aspettava il ritorno del figlio), ma soprattutto non va presentata come una sorta di dittatura, tuttavia va esortata, dice San Paolo: “con ogni magnanimità e dottrina“, persino “rimproverando”, “in ogni occasione opportuna e non opportuna“, insistendo e ammonendo se fosse necessario. E ricordarci che – se siamo qui a difendere la sana dottrina – non è un merito tutto nostro, ma la grazia di Dio che ci ha “eletti”.

Vale la pena di leggere un momento questo passo di Benedetto XVI:

“…noi siamo gli eletti, Dio ha eletto questo piccolo popolo non perché noi siamo grandi – dice il Deuteronomio – ma perché lui ci ama (cfr 7,7-8). Siamo eletti: questo, adesso san Pietro lo trasferisce a tutti i battezzati… Eletti: mi sembra valga la pena di riflettere su questa parola. Siamo eletti. Dio ci ha conosciuto da sempre, prima della nostra nascita, del nostro concepimento; Dio mi ha voluto come cristiano, come cattolico, (..). Mi sembra che valga la pena di riflettere diverse volte su questo, e rientrare di nuovo in questo fatto della sua elezione: mi ha eletto, mi ha voluto; adesso io rispondoForse oggi siamo tentati di dire: non vogliamo essere gioiosi di essere eletti, sarebbe trionfalismo. Trionfalismo sarebbe se noi pensassimo che Dio mi ha eletto perché io sono così grande. Questo sarebbe realmente trionfalismo sbagliato. Ma essere lieti perché Dio mi ha voluto non è trionfalismo, ma è gratitudine, e penso che dobbiamo re-imparare questa gioia: Dio ha voluto che io sia nato così, in una famiglia cattolica, che abbia conosciuto dall’inizio Gesù. Che dono essere voluto da Dio, così che ho potuto conoscere il suo volto, che ho potuto conoscere Gesù Cristo, il volto umano di Dio, la storia umana di Dio in questo mondo! Essere gioiosi perché mi ha eletto per essere cattolico, per essere in questa Chiesa sua, dove subsistit Ecclesia unica; dobbiamo essere gioiosi perché Dio mi ha dato questa grazia, questa bellezza di conoscere la pienezza della verità di Dio, la gioia del suo amore. Eletti: una parola di privilegio e di umiltà nello stesso momento…( Discorso 8 febbraio 2013)

E’ perciò un bene quando riceviamo delle critiche costruttive affinchè non diamo a questa “elezione” quella famosa “autoreferenzialità” della quale il Papa Francesco ci mette in guardia, ma tornando e per concludere, sulla questione della gradualità della legge, no, non possiamo essere d’accordo perchè stravolge i principi, ribalta le priorità che dobbiamo a Dio e allontana gli uomini dalla via della conversione autentica.

La legge non è graduale. La legge è dato di natura o rivelazione. La legge è fonte di gioia e descrizione di cosa è genuinamente umano. Non è un peso sulla spalla degli uomini, ma la condizione sine qua non della sua libertà.

La legge non è neppure “formale” come intendono gli uomini di oggi, ma una descrizione di cosa è l’amore, la giustizia e la misericordia. La legge di Dio è la forma dell’amore, è la forma della misericordia. La legge è Cristo stesso, la rivelazione dell’uomo all’uomo. Tutti gli atti intrinsecamente cattivi, quelli cui presentazione si fa in forma negativa. Il non uccidere, non rubare, non commettere adulterio, non dire falsa testimonianza, il non desiderare la roba d’altri, non desiderare la donna d’altri, non sono dei “no” che limitano la nostra libertà, piuttosto sono dei “sì” alla vita che Dio ha voluto per noi, sono quegli atti che i cristiani sempre hanno capito e vissuto come intrinsecamente disordinati, e non sono passibili di gradualità, perché sono la soglia minima per così dire della conversione a Gesù….

L’esempio concreto è la scena dell’adultera, ricordate? Tutti la ricordano, ricordano “chi è senza peccato scagli la prima pietra”, ricordano “neppure io ti condanno”, ma ciò che molti omettono è l’ultima frase: «va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,9). Non sapeva forse Gesù che l’uomo è facile alle cadute? Ma è per questo che ci ha dato la grazia del Sacramento della Penitenza…. ma se la nostra intenzione è quella di continuare a vivere nel peccato, no scusate, non c’è gradualità che tenga…. Il gesto e tutta la scena lasciano ben sperare che, in forza del pentimento della donna adultera, la quale si attendeva invece la lapidazione come diceva la legge, e a seguire quel   perdono e quell’esperienza di salvezza fatta nell’incontro con Gesù, ella sia stata capace di cambiare veramente vita. Non nel senso che non abbia poi più commesso nessun tipo di peccato, ma nel senso che non è stata più adultera, tanto che la Tradizione patristica la inserisce nella sequela al Cristo, altre fonti la riconoscono nella figura della Maddalena.

Ciò che dobbiamo fare a nostra volta è questo: non scagliare la prima pietra, non voler lapidare il peccatore, e a questo sono i tanti Santi che ci insegnano la vera misericordia. Il Sacramento della Penitenza non è una bacchetta magica, ma è una vera scuola per chi, come il Figliol prodigo vuole fare ritorno a Casa. La salvezza entra nella casa di Zaccheo, sì, ma quando lui decide di riparare il male fatto (Lc 19,1-10).  Ma non soltanto. Gesù si fida degli uomini, sa che siamo deboli, per questo è venuto, ma non pensa che siamo incapaci alle altezze della vita morale, i Santi lo dimostrano e migliaia di famiglie sane lo attestano.

Gesù non ha una visione pessimistica e negativa dell’uomo, è fiducioso che essi sono in grado di seguirlo (Mc 2, 13-17). Il suo processo pedagogico, per così dire, non ha radice nel peccato ma nella conversione che è dal principio negazione di ogni forma di peccato. La Chiesa primitiva, che nessuno potrebbe in sana coscienza giudicare non misericordiosa e accogliente, chiedeva ai catecumeni l’abbandono di ogni forma di peccato.

Del resto è San Paolo che sempre afferma: “Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema!  L’abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema!  Infatti, è forse il favore degli uomini che intendo guadagnarmi, o non piuttosto quello di Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo!  Vi dichiaro dunque, fratelli, che il vangelo da me annunziato non è modellato sull’uomo…” (Gal.1, 8-12), un passo che oggi non viene più citato.

Conclude con queste parole il prof. Fiaes che facciamo nostre:

“Proprio perché il peccato non è genuinamente umano. Il peccato è la malattia dell’umanità, non la sua natura originale, neppure la sua vocazione. Non può essere, quindi, il peccato in quanto peccato origine di santità e comunione, neppure punto di partenza per un possibile camino di santificazione graduale. Il peccato si soffre, si ha su di sé come ferita aperta, come partecipazione nella croce del Signore.

Dobbiamo infine odiare il peccato e amare il peccatore. Dobbiamo apprendere ad amarlo come è, nella sua miseria… ma non amare la miseria che è in lui. Così come devo amare a me stesso, ma non il peccato che si insinua in me. Ripudiare il peccato che vuole fiorire in atto nelle mie azioni concrete è amare a me stesso. Così con il peccato del prossimo. Come ci invita Papa Francesco, dobbiamo essere missionari e andare all’incontro degli uomini nelle periferie esistenziali, anche quelle di peccato.Ma non per fare i turisti; sino per portare la luce di Cristo attraverso il nostro esempio e proclamare il kerigma: “Il Regno dei Cieli è vicino. Convertitevi e credete nel Vangelo” (Mt 3,1-2). Sì, dire queste parole soprattutto con il nostro esempio, cercando di vivere la conversione ogni giorno, vivendo la legge morale con gioia; altrimenti è meglio rimanere a casa.”

Mi sostiene e mi illumina la certezza che la Chiesa è di Cristo, il Quale non le farà mai mancare la sua guida e la sua cura“. (Udienza 13 febbraio 2013)

Sia lodato Gesù Cristo +

AGGIORNAMENTO:

Mentre stavamo pubblicando l’articolo, è giunta questa notizia – qui la fonte -:

«No alla comunione ai divorziati risposati, nemmeno caso per caso»

Al termine del Sinodo sulla famiglia, che si è chiuso il 25 ottobre, il cardinale George Pell, prefetto della Segreteria per l’Economia della Santa Sede, ha rilasciato un’ampia intervista al National Catholic Register.

Interrogato sulla presunta apertura della Chiesa cattolica a dare la comunione ai divorziati risposati «caso per caso», risponde:

«Nel testo non c’è ambiguità. Si può dire che i paragrafi 84-86 sono insufficienti, ma non ambigui. Se si legge attentamente il paragrafo 85, è molto chiaro. La base per tutti i discernimenti deve essere “l’insegnamento complessivo” di Giovanni Paolo II. Poi si ripete che la base per il discernimento è l’insegnamento della Chiesa. Molti padri sinodali avrebbero voluto che si specificasse in modo più esplicito, ma da nessuna parte si fa menzione della Comunione ai divorziati risposati».

Poi ha aggiunto:

«Non c’è niente nel testo che giustifichi l’idea che la Chiesa darà la Comunione ai divorziati risposati giudicando caso per caso. Il testo può piacere o meno, si può pensare che sia buono, pessimo o indifferente, ma almeno leggiamolo bene e giudichiamolo per quello che dice. (…) Non c’è niente in questi paragrafi che sia eretico od opposto alla pratica corrente della Chiesa».